BERKELEY – At the start of February 2022, the five-year, five-year-forward consumer-price-index (CPI) inflation break-even rate in the US bond market was hovering at around 2% per year – a figure that corresponds to a chain-weighted personal-consumption-expenditures (PCE) inflation forecast of 1.6% per year 5-10 years from now. Since 1.6% inflation is materially below the US Federal Reserve’s 2% target, I entered that month feeling quite good about being on “Team Transitory” – or at least on “Team The Fed Has Got This” or “Team Inflation Expectations Remain Solidly Anchored.”
But then, at the end of that month, Russian President Vladimir Putin – the wannabe Grand Prince of Muscovy – ordered a blitzkrieg invasion of Ukraine. Things did not go as he had planned. The Ukrainians fended off the initial onslaught, and both sides settled in for a longer war of attrition. Energy, grain, and fertilizer prices skyrocketed. The world began to worry that, come winter, Europe would freeze and many other countries – from Egypt to Nigeria – would starve.
Owing to these fears, the five-year, five-year-forward CPI inflation rate shot up from 2% per year to its peak of 2.67% on April 21, 2022, while expectations of annual PCE inflation 5-10 years hence reached 2.27%. That PCE projection suggested that bond traders had not lost confidence in the Fed’s commitment to its inflation target.
But if one supposes that the width of the Fed’s target zone is 0.6 percentage points – meaning the bond market expects the central bank to remain on target if five-year, five-year-forward CPI inflation remains between 2% and 2.6% – that April 2022 peak raised concerns. For those whose hair was already on fire, there was every reason to fear that we were just one more big supply shock away from losing the inflation-expectations anchor that has kept prices relatively stable for decades.
Perhaps we were. But since we did not get that additional large adverse supply shock, it hardly matters now. The PCE-chain inflation rate for November was just 0.16%, which is less than 2% per year when multiplied by 12. To be sure, one swallow does not make a summer, and one data point does not make a trend. Even the decline from 0.62% in June (7% per year) is not necessarily bankable. After all, we also saw some declines between December 2021 and April 2022, and between August 2021 and December 2021.
As I have said before, this pandemic business cycle has been one of those rare periods when I have not envied the members of the Federal Open Market Committee (FOMC). What they do over the next six months will not really affect the real economy of demand, employment, and production until one year from now, and it will not meaningfully affect the inflation news until a year and a half from now. There will be many new developments over the next 18 months – some of them good, and some of them bad.
Regardless of what the Fed decides to do, it is almost certain to have some regrets afterwards. Will it continue to overdo interest-rate hikes? If so, the economy, two years from now, will be mired once again in secular stagnation – with interest rates at their zero lower bound, and no visible path for a rapid return to full employment. Will the economy achieve a “soft landing” through immaculate disinflation, or will additional supply shocks and political pressures throw us into stagflation and a painful and prolonged recession?
Nobody knows. But if I was on the FOMC right now, I would keep two considerations in mind. First, the Fed does not have to move slowly. The past six months have shown that there are very few downsides to rapid monetary-policy changes. Until this month, the Fed was raising interest rates by a massive 75 basis points at a time, and even that rate is not a speed limit. The FOMC should take advantage of this apparent optionality. When the situation is unclear, it can pause, confident in the knowledge that it can then move very fast when the situation becomes clear.
Second, in retrospect, former Fed Chair Alan Greenspan’s 1996 decision to set the inflation target at 2% per year was very ill advised. Yes, there may be substantial benefits from maintaining and strengthening the Fed’s credibility by getting the economy back to the 2% annual target, even if that target will be raised in the medium term. But is that really the kind of credibility the Fed wants to have? Is it good for markets to think that you will persist with policies that no longer fit new circumstances, just because you said you would? Once again, I do not envy the members of the FOMC this winter.
Il nuovo quadro dell’inflazione,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – Agli inizi di febbraio del 2022, il tasso di inflazione quinquennale a pareggio, al termine dei cinque anni, dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) del mercato obbligazionario statunitense si manteneva attorno al 2% all’anno – un dato che corrisponde ad una previsione di inflazione delle spese per i consumi personali ‘concatenati’ (PCE) dell’1,6% all’anno per 5-10 anni a partire da oggi [1]. Dal momento che una inflazione all’1,6% è inferiore sostanzialmente all’obbiettivo del 2% della Federal Reserve statunitense, sono entrato in quel mese con la sensazione abbastanza positiva di far parte della cosiddetta “squadra della transitorietà” – o almeno della “squadra secondo la quale la Fed aveva visto giustamente”, oppure della “squadra secondo la quale le aspettative di inflazione restano saldamente ancorate” [2].
Ma poi, alla fine di quel mese, il Presidente russo Vladimir Putin – l’aspirante Principe di Moscovia – ha ordinato la ‘guerra lampo’ dell’invasione dell’Ucraina. Le cose non sono andate come aveva programmato. Gli ucraini hanno respinto l’attacco iniziale, ed entrambi gli schieramenti si sono assestati in una guerra di logoramento. I prezzi dell’energia, dei cereali e dei fertilizzanti sono schizzati alle stelle. Il mondo ha cominciato a preoccuparsi che, con l’inverno, l’Europa avrebbe patito il freddo e molti altri paesi – dall’Egitto alla Nigeria – la fame.
A seguito di queste paure, il tasso di inflazione (calcolato con il metodo) CPI quinquennale al termine del quinquennio si è impennato dal 2% all’anno al suo massimo del 2,67% del 21 aprile 2022, mentre le aspettative di inflazione annuale (calcolate con il metodo PCE) hanno da allora raggiunto il 2,27%. Quella proiezione secondo il metodo PCE ha indicato che gli operatori sul mercato delle obbligazioni non avevano perso la fiducia nell’impegno della Fed sul suo obbiettivo di inflazione.
Ma se si suppone che l’ampiezza dell’area obbiettivo della Fed sia di 0,6 punti percentuali – comportando che il mercato obbligazionario si aspetti che la banca centrale mantenga il suo obbiettivo se l’inflazione quinquennale al termine dei cinque anni resta tra il 2 e il 2,6% – quel picco dell’aprile 2022 ha sollevato preoccupazioni. Per quelli che erano già in stato di allerta, c’erano tutte le ragioni per temere che sarebbe bastato soltanto un altro grande shock dal lato dell’offerta per perdere quell’ancoraggio delle aspettative di inflazione, che ha tenuto per decenni i prezzi relativamente stabili.
Può darsi che fossimo a quel punto. Ma dal momento che non abbiamo avuto quell’ampio aggiuntivo shock dal lato dell’offerta, adesso ciò non è particolarmente significativo. Il tasso di inflazione secondo il metodo ‘concatenato’ PCE a novembre è stato solo dello 0,16%, che moltiplicato per 12 è inferiore al 2% all’anno. Di sicuro, una rondine non fa primavera, e il dato di un punto non fa una tendenza. Persino il calo dallo 0,62% di giugno (7% su base annuale) non è necessariamente affidabile. Dopo tutto, abbiamo registrato cali anche tra il dicembre del 2021 e l’aprile del 2022, e tra l’agosto del 2021 e il dicembre del 2021.
Come ho detto in passato, questo ciclo economico pandemico è stato uno dei quei rari periodi nei quali non ho invidiato i componenti del Comitato Federale a Mercato Aperto (FOMC) [3]. Quello che essi faranno nei prossimi sei mesi non influenzerà realmente l’economia reale della domanda, dell’occupazione e della produzione sino ad un anno a partire da oggi, e non influenzerà in modo significativo le notizie sull’inflazione sino ad un anno e mezzo a partire da oggi. Ci saranno molti nuovi sviluppi nel corso dei prossimi 18 mesi – alcuni positivi ed altri negativi.
A prescindere da quello che la Fed decide di fare, è quasi certo che in seguito avrà qualche pentimento. Continuerà ad esagerare con i rialzi dei tassi di interesse? In quel caso l’economia, tra due anni, sarà nuovamente impantanata in una stagnazione secolare – con i tassi di interesse al loro limite inferiore di zero [4], e nessun sentiero praticabile per il ritorno alla piena occupazione. L’economia realizzerà un “atterraggio morbido” attraverso una disinflazione ‘immacolata’, oppure shock aggiuntivi dal lato dell’offerta e pressioni politiche ci getteranno nella stagflazione e in una dolorosa e duratura recessione?
Nessuno lo sa. Ma se in questo momento fossi un componente del FOMC, terrei due considerazioni a mente. La prima, la Fed non deve muoversi lentamente. I sei mesi passati hanno dimostrato che ci sono molto pochi svantaggi nei rapidi mutamenti della politica monetaria. Sino a questo mese, la Fed è venuta elevando i tassi di interesse di massicci 75 punti base per volta, e persino quel tasso non costituisce un limite di velocità. Il FOMC dovrebbe avvantaggiarsi da questa apparente libertà di scelta. Quando la situazione non è chiara, esso può prendere una pausa, fiducioso di sapere che può muoversi molto rapidamente quando la situazione divenga chiara.
La seconda: retrospettivamente la decisione del passato Presidente della Fed Alan Greenspan di fissare al 2% l’obbiettivo del tasso di inflazione fu davvero sconsiderata. È vero, ci possono essere benefici sostanziali dal mantenere e rafforzare la credibilità della Fed trattenendo l’economia all’obbiettivo del 2% annuale, persino se quell’obbiettivo nel medio termine verrà aumentato. Ma è davvero quello i tipo di credibilità che la Fed vuole avere? È positivo per i mercati pensare che si persisterà con politiche che non si adattano più alle nuove circostanze, solo perché si è detto di volerlo fare? Una volta ancora, non invidio in questo inverno i componenti del FOMC.
[1] Suppongo che questa frase potrebbe concorrere in una competizione planetaria delle espressioni più complicate di tutti i tempi. Ma senza scoraggiarsi:
[2] Come si ricorderà, nel dibattito tra gli economisti statunitense di questi mesi, la “squadra della transitorietà” era il gruppo degli economisti americani che sostenevano che l’alta inflazione era un fenomeno transitorio (tra i quali Krugman, Stiglitz ed anche, appunto, DeLong), mentre gli altri propendevano per un interpretazione pessimistica (tra questi Summers. Jason ed anche Blanchard).
[3] Ovvero, l’organismo della Fed che prende le decisioni principali in materia di tassi di interesse.
[4] Suppongo che la previsione di un ritorno dei tassi di interesse al limite inferiore dello zero non sarebbe ovviamente una conseguenza dei rialzi esagerati dei tassi interesse, ma una conseguenza di un obbligatorio e rapido successivo riabbassamento dei tassi in conseguenza di una economia stagnante. Il tema della “stagnazione secolare” ha caratterizzato per anni il dibattito degli economisti, in seguito abbastanza stravolto degli effetti della pandemia.
By mm
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