Dec. 26, 2022
By Paul Krugman
The average national price of regular gasoline this Christmas was almost 20 cents a gallon lower than it was a year earlier. Prices at the pump are still higher than they were during the pandemic slump, when economic shutdowns depressed world oil prices, but the affordability of fuel — as measured by the ratio of the average wage to gas prices — is most of the way back to pre-Covid levels.
Now, gas prices aren’t a good measure either of economic health or of successful economic policy — although if you listened to Republican ads during the midterms, you might have thought otherwise. But subsiding prices at the pump are only one of many indicators that the inflationary storm of 2021 to ’22 is letting up. Remember the supply-chain crisis, with shipping rates soaring to many times their normal level? It’s over.
More broadly, recent reports on the inflation measures the Federal Reserve traditionally uses to guide its interest rate policy have been really, really good.
So is this going to be the winter of our diminishing discontent?
After the nasty shocks of the past two years, nobody wants to get too excited by positive news. Having greatly underestimated past inflation risks myself, I’m working hard on curbing my enthusiasm, and the Fed, which is worried about its credibility, is even more inclined to look for clouds in the silver lining. And those clouds are there, as I’ll explain in a minute. It’s much too soon to declare all clear on the inflation front.
But there has been a big role reversal in the inflation debate. Last year optimists like me were trying to explain away the bad news. Now pessimists are trying to explain away the good news.
What’s really striking about the improvement in inflation numbers is that so far, at least, it hasn’t followed the pessimists’ script. Disinflation, many commentators insisted, would require a sustained period of high unemployment — say, at least a 5 percent unemployment rate for five years. And to be fair, this prediction could still be vindicated if recent progress against inflation turns out to be a false dawn. However, inflation has declined rapidly, even with unemployment still near record lows.
What explains falling inflation? It now looks as if much, although not all, of the big inflation surge reflected one-time events associated with the pandemic and its aftermath — which was what Team Transitory (including me) claimed all along, except that transitory effects were both bigger and longer lasting than any of us imagined.
First came those supply chain issues. As consumers, fearing risks of infection, avoided in-person services — such as dining out — and purchased physical goods instead, the world faced a sudden shortage of shipping containers, port capacity and more. Prices of many goods soared as the logistics of globalization proved less robust and flexible than we realized.
Then came a surge in demand for housing, probably caused largely by the pandemic-driven rise in remote work. The result was a spike in rental rates. Since official statistics use market rents to estimate the overall cost of shelter and shelter, in turn, is a large part of measured inflation, this sent inflation higher even as supply-chain problems eased.
But new data from the Cleveland Fed confirms what private firms have been telling us for several months: Rapid rent increases for new tenants have stopped, and rents may well be falling. Because most renters are on one-year leases, official measures of housing costs — and overall inflation numbers that fail to account for the lag — don’t yet reflect this slowdown. But housing has gone from a major driver of inflation to a stabilizing force.
So why shouldn’t we be celebrating? You can pick over the entrails of the inflation numbers looking for bad omens, but I’m ever less convinced that anybody, myself included, understands inflation well enough to do this in a useful way. Basically, as you exclude more and more items from your measure in search of “underlying” inflation, what you’re left with becomes increasingly strange and unreliable.
Instead, my concern (and, I believe, the Fed’s) comes down to the fact that the job market still looks very hot, with wages rising too fast to be consistent with acceptably low inflation.
What I would point out, however, is that many workers’ salaries are like apartment rents, in the sense that they get reset only once a year, so official numbers on wages will lag a cooling market, and there is some evidence that labor markets are, in fact, cooling. Official reports in January — especially on job openings early in the month and on employment costs at the end — may (or may not) give us more clarity on whether this cooling is real or sufficient.
Oh, and with visible inflation slowing, the risks of a wage-price spiral, which I never thought were very large, are receding even further.
So we’ve had some seriously encouraging inflation news. There are still reasons to worry, and the news isn’t solid enough to justify breaking out the Champagne. But given the season, I am going to indulge at least in a glass or two of eggnog.
La tempesta dell’inflazione si è calmata?
Di Paul Krugman
Questo Natale, il prezzo medio nazionale della benzina normale era circa 20 centesimi al gallone più basso di quello che era un anno fa. I prezzi al distributore sono ancora più alti di quello che erano durante la recessione pandemica, quando gli arresti dell’economia deprimevano i prezzi mondiali del petrolio, ma la convenienza del carburante – come misurata dal rapporto tra salari medi e prezzi della benzina – è per la maggior parte tornata ai livelli precedenti al Covid.
Ora, i prezzi della benzina non sono una buona misura né della salute dell’economia né dei successi della politica economica – per quanto se ascoltavate la propaganda repubblicana durante le elezioni di medio termine potevate pensare diversamente. Ma il calo dei prezzi al distributore è solo uno degli indicatori secondo i quali la tempesta inflazionistica del 2021/22 sta attenuandosi. Ricordate la crisi delle catene dell’offerta, con le tariffe delle spedizioni navali che crescevano di molte volte sul loro normale livello? È passata.
Più in generale, i recenti rapporti sulle misurazioni dell’inflazione che la Federal Reserve utilizza per guidare la sua politica sui tassi di interesse sono stati davvero molto positivi.
Questo dunque è destinato ad essere l’inverno del nostro malcontento che si attenua?
Dopo gli odiosi shock dei due anni passati, nessuno ha voglia di eccitarsi troppo per le notizie positive. Avendo io stesso sottovalutato grandemente i passati rischi di inflazione, sono molto impegnato nel tenere a freno il mio entusiasmo, e la Fed, che è preoccupata per la sua credibilità, è anche più incline a fare attenzione alle nuvole negli aspetti positivi. E, come spiegherò tra un attimo, quelle nuvole ci sono. È davvero troppo presto per dichiarare che sul fronte dell’inflazione sia tutto chiaro.
Ma c’è stato una grande rovesciamento delle parti nel dibattito sull’inflazione. L’anno scorso gli ottimisti come me cercavano di dare spiegazioni delle notizie infauste. Adesso i pessimisti stanno cercando di dare spiegazioni delle buone notizie.
Quello che realmente colpisce del miglioramento dei dati sull’inflazione è che, almeno sinora, essi non seguono il copione dei pessimisti. Molti commentatori insistevano che la disinflazione avrebbe richiesto un periodo duraturo di elevata disoccupazione – diciamo, almeno un tasso di disoccupazione al 5 per cento per cinque anni. E ad esser giusti, questa previsione potrebbe essere confermata se si scoprisse che il recente progresso contro l’inflazione era un falso inizio. Tuttavia, l’inflazione è calata rapidamente, persino con una disoccupazione che è ancora ai minimi storici.
Cosa spiega il calo dell’inflazione? Adesso sembra che buona parte, sebbene non tutta, la grande crescita dell’inflazione abbia riflesso eventi unici associati con la pandemia e le sue conseguenze – che erano quello che i componenti della ‘squadra della transitorietà’ sostenevano dall’inizio, sennonché gli effetti transitori erano stati sia più grandi che di più lunga durata di quello che alcuni di noi si immaginavano.
Sono arrivati prima di tutto quelle questioni delle catene dell’offerta. Nel momento in cui i consumatori, temendo i rischi dell’infezione, evitavano i servizi alla persona – come il pranzare fuori – e piuttosto acquistavano prodotti materiali, il mondo si è trovato dinanzi ad una improvvisa scarsità di container per le spedizioni, di capacità nei porti ed altro ancora. I prezzi di molti beni sono schizzati alle stelle al momento in cui la logistica della globalizzazione si è dimostrata meno solida e flessibile di quanto avevamo compreso.
Poi è arrivata un aumento della domanda di abitazioni, probabilmente in gran parte provocato dalla crescita del lavoro da remoto guidata dalla pandemia. Il risultato è stato un picco delle tariffe degli affitti. Dal momento che le statistiche ufficiali utilizzano gli affitti di mercato per stimare i costi complessivi degli alloggi e gli alloggi, a loro volta, sono una gran parte dell’inflazione che si registra, questo ha spedito più in alto l’inflazione persino quando i problemi nelle catene dell’offerta si attenuavano.
Ma nuovi dati della Fed di Cleveland confermano quello che agenzie private ci stavano dicendo da vari mesi: i rapidi aumenti degli affitti per i nuovi affittuari si sono fermati e gli affitti stanno proprio calando. Poiché la maggior parte dei locatari si impegnano su locazioni della durata di un anno, le misurazioni ufficiali dei costi delle abitazioni non riflettono ancora questo rallentamento – e i numeri complessivi sull’inflazione non riescono a darne conto a seguito di questo ritardo. Ma il settore abitativo è passato dall’essere un fattore principale dell’inflazione ad essere un fattore di stabilizzazione.
Dunque, perché non dovremmo festeggiare? Si può fare una selezione nel gran corpo dei dati sull’inflazione alla ricerca di presagi negativi, ma io sono sempre meno convinto che ci sia qualcuno, compreso il sottoscritto, che comprende a sufficienza l’inflazione per far questo in modo utile. Fondamentalmente, se si escludono sempre più articoli dalle nostre misurazioni sull’inflazione “sottostante”, quello che ci resta diventa sempre più strano e inaffidabile.
Piuttosto, la mia preoccupazione (e, ritengo, quella della Fed) deriva dal fatto che il mercato del lavoro sembra ancora molto caldo, con i salari che crescono troppo velocemente per essere coerenti con un’inflazione accettabilmente bassa.
Quello che metterei in evidenza, tuttavia, è che molti salari dei lavoratori sono come gli affitti degli appartamenti, nel senso che vengono ridefiniti solo una volta all’anno, cosicché i dati ufficiali sui salari saranno in ritardo rispetto ad un mercato che si raffredda, e ci sono alcune prove che i mercati del lavoro, in effetti, si stanno raffreddando. I rapporti ufficiali a gennaio – in particolare quelli sui posti di lavoro che si attivano agli inizi del mese e sui costi dell’occupazione alla fine – potrebbero (o non potrebbero) darci maggiore chiarezza sul fatto che questo raffreddamento sia reale o sufficiente.
In ogni caso, con un visibile rallentamento dell’inflazione, i rischi di una spirale salari prezzi, che io non ho mai pensato fossero molto ampi, stanno riducendosi anche ulteriormente.
Dunque, abbiamo avuto alcune notizie sull’inflazione seriamente incoraggianti. Ci sono ancora ragioni per preoccuparsi, e le notizie non sono sufficientemente solide per stappare lo champagne. Ma, considerata la stagione, opterei per indulgere almeno almeno ad un bicchiere o due di zabaione.
By mm
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