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Le ‘catene di blocchi’, a cosa servono? Di Paul Krugman (New York Times, 1 dicembre 2022)

 

Dec. 1, 2022

Blockchains, What Are They Good For?

By Paul Krugman

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A year ago Bitcoin and other cryptocurrencies were selling at record prices, with a combined market value of around $3 trillion; glossy ads featuring celebrities — most infamously Matt Damon’s “Fortune Favors the Brave” — filled the airwaves. Politicians, including, alas, the mayor of New York, raced to align themselves with what seemed to be the coming thing. Skeptics like yours truly were told that we just didn’t get it.

Since then the prices of crypto assets have plunged, while a growing number of crypto institutions have collapsed amid allegations of scandal. The implosion of FTX, which appears to have used depositors’ money in an attempt to prop up a related trading firm, has made the most headlines, but it’s only one entry on a growing list.

We are, many people say, going through a “crypto winter.” But that may understate the case. This is looking more and more like Fimbulwinter, the endless winter that, in Norse mythology, precedes the end of the world — in this case the crypto world, not just cryptocurrencies but the whole idea of organizing economic life around the famous “blockchain.”

And the real question, it seems to me, is why so many people — not just naïve small investors, but also major financial and business players — bought into the belief that this bad idea was the wave of the future.

A blockchain is a digital ledger associated with an asset, recording the history of transactions in that asset — who bought it from whom and so on. The asset could be a digital token like a Bitcoin, but it could also be a stock or even a physical thing like a shipping container. Ledgers, of course, are nothing new. What’s distinctive about blockchains is that the ledgers are supposed to be decentralized: They aren’t sitting on the computers of a single bank or other company; they’re in the public domain, sustained by protocols that induce many people to maintain records on many servers.

These protocols are, everyone tells me, extremely clever. I’ll take their word for it. The question I’ve never heard or seen satisfactorily answered, however, is, “What’s the point?” Why go to the trouble and expense of maintaining a ledger in many places, and basically carrying that ledger around every time a transaction takes place?

The original rationale for Bitcoin was that it would do away with the need for trust — you wouldn’t have to worry about banks making off with your money, or governments inflating away its value. In reality, however, banks rarely steal their customers’ assets, while crypto institutions more easily succumb to the temptation, and extreme inflation that destroys money’s value generally happens only amid political chaos.

Still, there was an alternative, more modest justification for using blockchain technology, if not necessarily for cryptocurrencies: It was supposed to offer a lower-cost, more secure way to keep track of transactions and stuff in general.

But that dream appears to be dying, too.

Amid all the sound and fury over FTX, I’m not sure how many people have noticed that the few institutions that seriously tried to make use of blockchains seem to be giving up.

Five years ago, it was supposed to be a big deal — a sign of mainstream acceptance — when Australia’s stock exchange announced that it was planning to use a blockchain platform to clear and settle trades. Two weeks ago, it quietly canceled the plan, writing off $168 million in losses.

Maersk, the shipping giant, has also announced that it is winding down its efforts to use a blockchain to manage supply chains.

A recent blog post by Tim Bray, who used to work for Amazon Web Services, tells us why Amazon chose not to implement a blockchain of its own: It couldn’t get a straight answer to the question, “What useful thing does it do?”

So how did this enterprise, which never stood up to scrutiny, become such a big deal?

It was probably a combination of factors. Political ideology played a role: Not all crypto enthusiasts were right wingers, but distrust of banks — we all know who runs them — and government-managed money provided a hard core of support.

The romance of high tech also played a role, with the very incomprehensibility of crypto discourse acting, for a while, as a selling point. And then, as prices soared, fear of missing out — plus large outlays on marketing and political influence-buying — brought many others into the bubble.

It’s an amazing story, and also a tragedy. It’s not just the small investors who have lost much if not all of their life savings. The crypto bubble has had huge costs to society as a whole. Bitcoin mining alone uses as much energy as many countries; I’ve been trying to estimate the value of the resources consumed in producing fundamentally worthless tokens, and it’s probably in the tens of billions of dollars, not counting the environmental damage.

Add in the costs associated with other tokens and the resources burned up in abortive efforts to apply a blockchain approach to everything, and we’re probably talking about waste on an epic scale.

 

Le ‘catene di blocchi’, a cosa servono?

Di Paul Krugman

 

Un anno fa il Bitcoin e altre criptovalute venivano vendute a prezzi record, con un valore complessivo di mercato di circa 3.000 miliardi di dollari; brillanti pubblicità con la presenza di celebrità – la più tristemente nota “La fortuna favorisce gli audaci” di Matt Damon [1] – riempivano le onde radio. Uomini politici, incluso, purtroppo, il Sindaco di New York, gareggiavano nell’allinearsi con quella che sembrava essere la grande novità in arrivo. Agli scettici come il sottoscritto veniva detto che soltanto noi non lo comprendevamo.

Da allora i prezzi delle criptovalute sono crollati, mentre un numero crescente di organismi delle criptovalute sono collassati in mezzo ad accuse di scandali. L’implosione della FTX [2], che sembra aver usato i soldi dei depositanti nel tentativo di sostenere una impresa commerciale collegata, ha ricevuto la maggior parte dei titoli dei giornali, ma essa è soltanto un caso in una lista in crescita.

Stiamo, dicono in molti, attraversando un “inverno delle cripto”. Ma ciò sembra sottostimare la situazione. Questo assomiglia più ad un Fimbulwinter [3], l’inverno senza fine  che, nella mitologia norrena [4], precede la fine del mondo – in questo caso, il mondo cripto, non solo le criptovalute ma l’intera idea di organizzare la vita economica attorno alle famose “catene di blocchi” [5].

E a me sembra che la vera domanda sia perché così tante persone – non solo piccoli investitori ingenui, ma anche importanti protagonisti finanziari e dell’imprenditoria – abbiano finito per credere che questa cattiva idea fosse l’onda del futuro.

Una ‘catena di blocchi’ è un libro mastro digitale associato ad un asset, che memorizza a storia delle transazioni su quell’asset – chi lo ha acquistato da chi, e così via. L’asset potrebbe essere un segno digitale come un Bitcoin, ma potrebbe anche essere una azione o un oggetto fisico come un container di una spedizione navale. I libri mastri, ovviamente, di nuovo non hanno niente. Quello che distingue le ‘catene di blocchi’ è che il libro mastro si suppone sia decentralizzato: essi non sono collocati sui computer di una singola banca o di un’altra società; sono accessibili da tutti, sostenuti da protocolli che inducono molte persone a mantenere le registrazioni su molti server.

Questi protocolli, mi dicono tutti, sono estremamente intelligenti. Voglio prendere su serio la loro affermazione. La domanda che non ho mai sentito fare o alla quale non ho mai sentito rispondere in modo soddisfacente, è “a cosa servono?” Perché affrontare il disagio e la spesa del mantenimento di un libro mastro in molti luoghi, e fondamentalmente portarsi dietro quel libro mastro ogni volta che ha luogo una transazione?

La logica originaria del Bitcoin era che esso eliminerebbe la necessità di avere fiducia – non vi preoccupereste che le banche vi portino via il denaro, o che i Governi erodano il suo valore con l’inflazione. Tuttavia, in realtà raramente le banche rubano gli asset della loro clientela, mentre le organizzazioni delle criptovalute soccombono più facilmente alla tentazione, e un’inflazione estrema che distrugge il valore della moneta generalmente avviene soltanto in mezzo al caos politico.

Eppure, c’era una giustificazione alternativa, più modesta per utilizzare la tecnologia delle “catene dei blocchi”, anche se non necessariamente delle criptovalute: si supponeva che offrissero un modo più economico e più sicuro per tener traccia della transazioni e in generale di ogni cosa.

Ma anche questo sogno sembra stia per svanire.

In mezzo a tutto il clamore su FTX, non sono sicuro quante persone abbiano notato che le poche istituzioni che hanno cercato di usare seriamente le “catene dei blocchi” sembra ci stiano rinunciando.

Cinque anni orsono, si pensava fosse un grande affare – la prova di un consenso generalizzato – quando la borsa azionaria dell’Australia annunciò che stava programmando di usare una piattaforma di ‘catene dei blocchi’ per chiarire e stabilizzare gli scambi. Due settimane fa, essa ha pacificamente cancellato il programma, denunciando una perdita di 168 milioni di dollari.

Anche Marsk, il gigante delle spedizioni navali, ha annunciato che sta gradualmente cessando i suoi sforzi per usare le ‘catene di blocchi’ per gestire le catene dell’offerta.

Un recente post sul blog di Tim Bray, che un tempo lavorava per Amazon Web Services, ci racconta perché Amazon ha scelto di non realizzare per suo conto una “catena di blocchi”: perché non si sarebbe potuta avere una risposta chiara alla domanda: “Cosa fa di utile?”

Come è accaduto, dunque, che questa impresa, che non ha mai retto ad una prova, diventasse un così grande affare?

Probabilmente per una combinazione di fattori. L’ideologia politica ha avuto un certo peso: non tutti gli entusiasti delle criptovalute sono estremisti di destra, ma la sfiducia nelle banche – sappiamo tutti chi le amministra – e del denaro gestito dal Governo hanno fornito uno zoccolo duro del sostegno.

Anche il fascino dell’alta tecnologia ha giocato un ruolo, proprio con l’incomprensibilità della spiegazione del cripto che ha agito, per un po’, come un punto a favore. E poi, quando i prezzi sono schizzati in alto, il timore di perdere un’occasione – assieme ad ampi esborsi nell’acquistare influenza di mercato e politica – hanno spinto molti altri nella bolla.

È una storia impressionante, ed è anche una tragedia. Non si tratta solo dei piccoli investitori che hanno perso molti se non tutti i risparmi della loro vita. La bolla delle criptovalute ha anche avuto enormi costi per la società nel suo complesso. La ‘estrazione’ [6] del Bitcoin da sola consuma tanta energia come molti paesi; ho provato a stimare il valore delle risorse consumate nel produrre ‘ricordini’ fondamentalmente di nessun valore, ed esso probabilmente è attorno alle decine di miliardi di dollari, senza contare i danni ambientali.

Aggiungete i costi associati con altri simboli e le risorse bruciate negli sforzi abortiti di applicare una ‘catena di blocchi’ ad ogni cosa, e stiamo probabilmente parlando di un spreco di dimensioni epiche.

 

 

 

 

 

[1] La connessione è con un articolo del 26 di ottobre del 2022 di quest’anno su “The Intercept” che spiega perché quella pubblicità è ‘tristemente nota’: se qualcuno avesse seguito i consigli di Matt Damon investendo 1.000 dollari in criptovalute, il 28 di ottobre si sarebbe ritrovato con un valore di 342 dollari.

[2] FTX è stata una azienda per lo scambio di criptovalute, costituita ad Antigua e Barbuda e con sede alle Bahamas. È stata fondata nel 2019 e a febbraio 2022 contava oltre un milione di utenti. FTX gestiva anche FTX.US, un Exchange separato disponibile per i residenti negli Stati Uniti. Nel novembre 2022, un articolo di CoinDesk affermava che la società collegata ad Alameda Research deteneva una parte significativa delle sue attività in FTT, nativo di FTX. A seguito di questa rivelazione, l’Amministratore Delegato della società rivale Binance, Changpeng Zhao, ha annunciato che Binance avrebbe venduto le sue partecipazioni in FTT. Seguì un successivo crollo del prezzo di FTT e un rapido crollo di FTX. In seguito ad una conseguente crisi di liquidità di FTX, Binance ha accettato una lettera di intenti per acquisire l’azienda ma il giorno successivo ha ritirato la proposta. FTX ha presentato istanza di protezione dal fallimento secondo il Capitolo 11 l’11 novembre 2022. Sam Bankman-Fried si è dimesso e l’incarico di A.D. è stato affidato a John J. Ray III. Wikipedia.

[3] Il Fimbulvetr, o Fimbulvinter (spesso anglicizzato come Fimbulwinter), è uno dei segni, secondo la mitologia norrena, che annunceranno la venuta del Ragnarǫk, la fine del mondo. La parola, alla lettera, significa “terribile inverno”, e indica una lunga stagione fredda al termine della quale avverrà la destabilizzazione di tutti i rapporti sociali e la fine del mondo. In SveziaNorvegia e altri paesi nordici, “fimbulvetr” può essere anche usato per riferirsi ad un inverno particolarmente freddo e rigido, con moltissima neve. Wikipedia.

[4] Ovvero norvegese, scandinava.

[5] La blockchain (in italiano: blocchi concatenati) è una struttura dati condivisa e “immutabile”. È definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in “blocchi”, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia … Il suo contenuto una volta scritto tramite un processo normato, non è più né modificabile né eliminabile, a meno di non invalidare l’intero processo. Wikipedia.

[6] Il “mining” delle criptovalute – ovvero la loro ‘estrazione’ nel momento in cui si realizza l’operazione informatica di ogni transazione – hanno un costo energetico molto elevato, al punto da essere rilevanti anche sotto il profilo ambientale. Ovviamente Internet in quanto tale non inquina – almeno non inquina direttamente l’ambiente – ma l’energia necessaria per la complicate operazioni di transazione ha dimensioni tali da essere ambientalmente assai rilevante.

 

 

 

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