4 Dec 2022
In June 2012, world leaders at the G20 meeting in Los Cabos attested to the need to curb the corporate practice of using tax havens. The OECD was put in charge of developing a plan that ended up consisting of 15 tangible actions that should significantly limit abusive corporate tax practices. Three years later, the G20 adopted the plan officially and implementation began across the world in 2016 (Djankov 2021).
In the immediate aftermath of this landmark agreement, leaks of questionable corporate tax practices flooded the ether (the Panama Papers, Paradise Papers and many more). These bolstered public outrage and led to further political action across the world. In the US, the Trump administration passed the Tax Cuts and Jobs Act in late 2017 that almost halved the corporate tax rate in the US and cracked down on profits located in tax havens, both actions intent on lowering the incentive to shift profits to tax havens. Meanwhile Margrethe Vestager – named “the tax lady” by Trump – started going after EU member states granting preferential tax deals to multinationals. Finally, lowering profit shifting to tax havens became an explicit part of the Sustainable Development Goals (SDGs) with SDG 16.4.1.
So, did all of these plans work? Was profit shifting to tax havens curbed by these global efforts? In a new paper (Wier and Zucman 2022), we investigate this and find that it was not. The increase in artificial profit shifting to tax havens by corporations have been relentless since the 1980’s until today.
A body of evidence suggests that multinational companies shift profits to tax havens (e.g. Bolwijn et al. 2018, Clausing 2016, Crivelli et al. 2015, Tørsløv et al. 2022). Until now, however, we have not had a good sense of the dynamic of global profit shifting. Have corporations reduced the amounts they book in tax havens since 2015, or have they found ways to eschew the new regulations? A number of studies provide estimates of global profit shifting, but they typically do so for just one reference year. Moreover, because these studies rely on different raw sources and methodologies, their estimates are not directly comparable, making it hard to construct consistent time series by piecing different data points together.
This limits our ability to study the dynamics of profit shifting and to learn about the effects of the various policies implemented to curb it. This paper attempts to overcome this limitation by creating global profit shifting time series constructed following a common methodology. Our series allow us to characterize changes in the size of global corporate profits, the fraction of these profits booked in relatively low-tax places, and the cost of this shifting for governments of each country.
Our starting point is the estimates from Tørsløv et al. (2022), which are for 2015. Building on the same sources and applying the same methodology, we first extend these estimates to cover the years 2015 to 2019, a period that includes the base erosion and profit shifting (BEPS) process and the US tax reform of 2017. We then construct pre-2015 series back to 1975, which allows us to capture the decades of financial and trade liberalisation that saw a dramatic rise in multinational profits. Due to the lack of some of the input data required to implement the full methodology of Tørsløv et al. (2022), these pre-2015 series are based on additional assumptions and have some margin of error. However, the main quantitative patterns that emerge from these series are likely to be reliable.
Figure 1 Corporate profits (% of income) and multinational profits (% of all profits)
Figure 2 Multinational profits in tax havens and corporate tax lost
Nuove stime globali sui profitti nei paradisi fiscali indicano che la perdita fiscale continua a crescere,
di Gabriel Zucman e Ludvig Wier
Nel giugno del 2012, i leader mondiali nell’incontro del G20 a Los Cabos attestarono il bisogno di mettere un freno alla pratica delle società di usare i paradisi fiscali. L’OCSE venne incaricata di sviluppare un piano che finì col consistere in 15 inizative tangibili che dovevano limitare significativamente le pratiche fiscali abusive delle società. Tre anni dopo il piano venne ufficialmente adottato dal G20 e nel 2016 ebbe inizio in tutto il mondo la sua attazione (Djankov 2021).
Nel periodo immediatamente successivo a questo accordo epocale, fughe di notizie su pratiche discutibili delle società inondarono la rete (le Panama Papers, le Paradise Papers e molte altre ancora). Questo rafforzò l’indignazione dell’opinione pubblica e portò ad ulteriori iniziative politiche in tutto il mondo. Negli Stati Uniti, l’Amministrazione Trump sulla fine del 2017 approvò la Legge sui Tagli alle Tasse e sui Posti di Lavoro che quasi dimezzò l’aloquota fiscale per le società e inasprì i controlli sui profitti allocati nei paradisi fiscali, entrambe iniziative tese a ridurre gli incentivi a spostare i profitti in quei paradisi. Nel frattempo, Margrethe Vestager – soprannominata da Trump “la signora delle tasse” – cominciò a scagliarsi contro gli Stati membri dell’UE che garantiscono accordi fiscali preferenziali alle multinazionali. Infine, abbassare lo spostamento dei profitti verso i paradisi fiscali divenne una parte esplicita degli Obbiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDG) nella versione dello SDG 16.41.
Dunque, hanno prodotto effetti tutti questi piani? Lo spostamento dei profitti verso i paradisi fiscali è stato messo a freno da questi sforzi globali? In un nuovo studio (Wier e Zucman, 2022) facciano un’indagine su tutto questo e scopriamo che così non è stato. L’aumento degli artificiali profitti con lo spostamento nei paradisi fiscali da parte delle società è stato inarrestabile a partire dagli anni ’80 sino ad oggi.
Stime quantitative dello spostamento globale dei profitti
Un corpo di prove indica che le società multinazionali spostano i profitti nei paradisi fiscali (ad es. Bolwijn ed altri 2018, Clausing 2016, Crivelli ed altri 2015, Tørsløv ed altri 2022). Sinora, tuttavia, non avevamo una percezione chiara della dinamica dello spostamento globale di profitti. Le società hanno ridotto i quantitativi che esse imputano nei paradisi fiscali a partire dal 2015, oppure hanno trovato modi per derogare ai nuovi regolamenti? Un certo numero di studi fornisce stime dello spostamento globale dei profitti, ma normalmente lo fanno solo in riferimento ad un anno. Inoltre, poiché questi studi si basano su differenti fonti e metodologie grezze, le loro stime non sono direttamente confrontabili, rendendo difficile costruire coerenti serie temporali assemblando diverse stazioni dei dati.
Questo limita la nostra capacità di studiare le dinamiche dello spostamento dei profitti e di venire a conoscenza degli effetti delle varie politiche messe in atto per contenerlo. Questo studio cerca di superare questo limite creando serie temporali dello spostamento globale dei profitti costruite seguendo una comune metodologia. Le nostre serie ci permettono di caratterizzare nella dimensione dei profitti globali delle società, la frazione di questi profitti imputata a luoghi con tasse relativamente basse, e il costo di questo spostamento per il governi di ciascun paese.
Il nostro punto di partenza sono le stime di Tørsløv ed altri (2022), che riguardano l’anno 2015. Lavorando sulle stesse fonti ed applicando la stessa metodologia, abbiamo esteso queste stime sino a coprire gli anni dal 2015 al 2019, un periodo che include il processo di erosione della base fiscale e di spostamento dei profitti (BEPS) e la riforma fiscale statunitense del 2017 [1]. Abbiamo poi ricostruito le serie precedenti al 2015, che ci consentono di registrare i decenni della liberalizzazione finanziaria e commerciale che videro una crescita spettacolare nei profitti delle multinazionali. A seguito della mancanza di alcuni dati di input richiesti per mettere in atto l’intera metodologia di Tørsløv ed altri (2022), queste serie precedenti al 2015 sono basate su assunti aggiuntivi che hanno qualche margine di errore. Tuttavia, i principali schemi quantitativi che emergono da queste serie è probabile siano affidabili.
Le nostre principali scoperte
Tabella 1 Profitti delle società (% sul reddito) e profitti delle multinazionali (% su tutti i profitti)
multinazionali spostati sui paradisi fiscali. Secondo le nostre stime, questa frazione è cresciuta da meno del 2% negli anni ’70 al 37% nel 2019. Poiché gli stessi profitti multinazionali sono venuti crescendo molto più velocemente dei profitti globali, la frazione dei profitti globali (multinazionali e non multinazionali) che si è spostata verso i paradisi fiscali è cresciuta dallo 0,1% a circa il 7%. In coerenza con queste scoperte, noi stimiamo che la perdita delle tasse dalle società per lo spostamento dei profitti globali è cresciuta da meno dello 0,1% delle entrate fiscali societarie negli anni ’70 al 10% nel 2019. La perdita fiscale è leggermente più alta della frazione dei profitti che si è spostata globalmente nei paradisi fiscali perché l’aliquota marginale sui profitti spostati è più alta dell’aliquota media.
Tabella 2 Profitti multinazionali nei paradisi fiscali e perdita dalla tassazione delle società
[3]
[1] Per una precisa comprensione anche di quanto viene successivamente spiegato nel testo, è il caso di soffermarsi su questi concetti. L’erosione della base fiscale è stato negli ultimi anni un processo generale caratterizzato, appunto, da politiche diffuse di maggior favore verso i profitti delle società; la legge della Amministrazione Trump espresse in modo molto marcato questa tendenza negli Stati Uniti. Quei processi non vennero semplicemente argomentati come “favori” alle società multinazionali; uno degli argomenti che venivano utilizzati, era che quella erosione della base fiscale e quella legge avrebbero comportato una riduzione della tendenza a spostare i profitti verso i paradisi fiscali. Sarebbero forse diminuite le entrate fiscali negli Stati Uniti (e in altri paesi) – come in effetti è accaduto, per quelle specifiche entrate fiscali dai profitti delle società – ma la perdita sarebbe stata più che compensata da una riduzione degli spostamenti fittizi dei profitti all’estero, perché le condizioni fiscali interne più favorevoli avrebbero comportato una maggiore tendenza a ‘trattenere’ i profitti all’interno dei paesi in cui erano prodotti, ovvero a ‘riportare’ quei profitti in patria. In sostanza, ci sarebbero state meno tasse ma questo sarebbe stato più che compensato da una riduzione delle emigrazioni fittizie dei profitti all’estero; le ‘case madri’ delle grandi società avrebbero recuperato risorse che vengono sottratte dai paradisi fiscali.
Questo studio dimostra che in realtà lo spostamento dei profitti nei paradisi fiscali è proseguito in modo ininterrotto.
[2] La linea celeste indica il rapporto tra i profitti delle società e il reddito globale, da circa il 15% a circa il 20%. La linea nera indica il rapporto tra i profitti delle multinazionali e i profitti globali delle società.
[3] La tabella mostra nella linea celeste l’evoluzione – già mostrata nella tabella precedente – di circa 5 punti percentuali nel rapporto tra i profitti delle società ed il reddito globale (la misurazione di questa variazione è nell’asse di sinistra); nella linea nera mostra (la misurazione è nell’asse di destra) l’aumento delle perdite nella tassazione, che come si vede è proseguito anche dal 2017 al 2019. Ma la perdita nelle entrate fiscali è particolarmente impressionante nel confronto tra il dato del 1975 e quello del 2019: da una perdita praticamente nulla ad una perdita del 10%.
[4] Ricordiamo che BEPS, come ricordato sopra nel testo, è una acronimo che sta per: “Erosione della base fiscale e spostamento dei profitti”.
[5] Cioè il grande taglio fiscale realizzato dall’Amministrazione Trump nel 2017.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"