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Non un nuovo Xi, di Branko Milanovic (dal blog Global Inequality and more, 18 gennaio 2023)

 

JAN 18

Not a new Xi

Branko Milanovic 

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In today’s Financial Times Ruchir Sharma has a very nice article about the recent readjustments in China’s policies: discontinuation of zero-covid restrictions, stronger support for globalization, and a nod toward the private sector.  As the title (“The Xi nobody saw coming”) says, Sharma sees them as a sudden and unexpected volte-face of Xi. Instead of going down the Maoist path as the Western mainstream media and majority of the academics have been predicting during the past several years, Xi has decided to suddenly change course.

I liked Sharma’s article, but his main hypothesis is, I think, wrong. There is no sudden turn-around or change. This is still the same Xi, and the policy is one of hypothesis “readjustment” or “rectification”.

To understand how intelligent politicians (and I think Xi belongs to that category) operate in the states of political capitalism, one needs  to start with two cardinal principles of governance: tactical flexibility, and the “bird in a cage”. The first term goes back to Lenin. Its meaning is clear. Policies ought to be flexible, in a tactical sense, while never losing sight of an ultimate vision. In Xi’s case, this ultimate vision is “socialism with Chinese characteristics”, “moderately prosperous society” and “common prosperity.” The second term goes back to Chen Yun (the father of China’s First Five-year plan). If the private sector is controlled too tightly,  it will,  like an imprisoned  bird, suffocate. And the people will suffer. But if is left entirely free, it will fly away, bringing (as it did in the second term of Hu Jintao’s rule) all the negative effects of capitalism: increased inequality, lack of social mobility, monopolies, rule of moneyed elite, corruption etc. Thus, a smart politician needs permanently to maintain the middle line. But maintaining the middle line, in a strategic sense, is possible only by favoring alternatively pro-leftist and pro-rightist policies.

With the situation that Xi inherited in 2012, the only way forward was to move against pervasive corruption by arresting those engaged in grand embezzlement and sale of favors, to try to lessen economic inequality through state transfers and more recently the relaxation of the hukou system, and to reduce locational inequality of opportunities by implementing an ambitious policy of investments in Western provinces. Further, after covid slowed things down, to “correct” the power of the very loosely regulated financial and non-financial giants (like Alibaba).

These corrective measures were, perhaps because they were also accompanied by Xi’s cult of personality, interpreted by many as steps toward new Maoism. But they were never that: they were tactical movements necessitated by the desire to keep the achievement of the strategic objective in mind.

This policy is not markedly different from Deng’s. Although Sharma explicitly mentions Deng as the architect of China’s liberalization and its stable policies, it is forgotten that Deng’s policies were “tactically flexible”, both when he came back to having some measure of power in the last years of Mao (before being “purged” again), and most obviously during and after the Tiananmen events. The Tiananmen crackdown—decided by Deng—led to the strong leftward lurch in economic policy. Thus it was not just a political, but also economic policy, shock. Yet, after three years of “leftist policies”, Deng through his Southern Tour inaugurated the reintroduction of “pro-rightist” policies. To an unsophisticated observer, these appear as sudden policy shifts; they seem as movements that presage further policy changes in the same direction. But they are not: they are tactical “rectifications”. And such policies in one direction will, necessarily, be followed after several years by policies in the opposite direction.

When the Air France plane crashed in the Atlantic in 2009, the inquiry revealed that the main cause of the crash was inability of the crew, when the plane was losing altitude, to perform a complicated maneuver, where in order to regain altitude, the plane needed first to dive down. The same holds for economic policy makers in state capitalist societies. In order to make the economy “harmoniously” grow in the long term, they have to accept short-term slow-downs and policy changes. To simple observers, they look like zig-zags; to the perceptive eye, they look like a straight line.

 

Non un nuovo Xi,

di Branko Milanovic

 

Nel Financial Times di oggi Ruchir Sharma ha un articolo davvero buono sulle recenti correzioni delle politiche in Cina: dismissione delle restrizioni dello zero Covid, sostegno più forte alla globalizzazione e gesti di attenzione verso il settore privato. Come dice il titolo (“Lo Xi che nessuno aveva visto arrivare”), Sharma vede in essi un improvviso e inaspettato voltafaccia di Xi. Anziché scendere su un sentiero maoista come i principali media occidentali e la maggioranza degli accademici  avevano previsto negli anni passati, Xi ha improvvisamente deciso di cambiare indirizzo.

Mi è piaciuto l’articolo di Sharma, ma penso che la sua ipotesi principale sia sbagliata. Non c’è nessun capovolgimento o cambiamento. Questo è ancora lo stesso Xi, e la politica è quella del “riaggiustamento” o “rettifica” della ipotesi di lavoro.

Per comprendere come politici intelligenti (ed io penso che Xi appartenga a quella categoria) operino negli Stati del capitalismo politico, si deve prendere le mosse da due principi cardinali della governance: la flessibilità tattica e “l’uccello in una gabbia”. Il primo termine risale a Lenin. Il suo significato è chiaro. Le politiche devono essere flessibili, in senso tattico, senza mai perdere di vista la visione finale. Nel caso di Xi, questa visione finale è “un socialismo con caratteristiche cinesi”, “una società moderatamente prospera” e “una prosperità diffusa”. La seconda espressione (l’uccello in una gabbia) risale a Chen Yun (il padre del primo piano quinquennale della Cina). Se il settore privato è controllato troppo rigidamente, esso soffocherà come un uccello imprigionato. E il popolo soffrirà. Ma se viene lasciato completamente libero, volerà via, portando (come accadde nel secondo mandato del governo di Hu Jintao) tutti gli effetti negativi del capitalismo: accresciuta ineguaglianza, mancanza di mobilità sociale, monopoli, governo di un’elite facoltosa, corruzione etc. Quindi, una politica intelligente deve permanentemente mantenere una linea mediana. Ma mantenere una linea mediana, in senso strategico, è possibile solo realizzando alternativamente politiche a favore della sinistra e a favore della destra [1].

Con la situazione che Xi ereditava nel 2012, l’unico modo per andare avanti era agire contro la pervasiva corruzione arrestando coloro che si impegnavano in grandi frodi e in vendite di favore, cercare di diminuire l’ineguaglianza economica attraverso i trasferimenti statali e, nel tempi più recenti, attraverso l’attenuazione del sistema dello hukou [2], e ridurre le ineguaglianze di opportunità nei territori mettendo in atto una politica ambiziosa di investimenti nelle province occidentali. Inoltre, quando il Covid avesse rallentato, “correggere” il potere dei giganti finanziari e non finanziari (come Alibaba) regolamentati in modo molto debole.

Queste misure correttive vennero interpretate da molti, forse perché erano anche accompagnate dal culto della personalità di Xi, come passi verso un nuovo maoismo. Ma esse non furono mai tali: erano movimenti tattici resi necessari dal desiderio di mantener viva la realizzazione dell’obbiettivo strategico.

Questa politica non è particolarmente diversa da quella di Deng. Sebbene Sharma faccia espliciti riferimenti a Deng come l’architetto della liberalizzazione della Cina e delle sue stabili politiche, si dimentica che le politiche di Deng erano “tatticamente flessibili”, sia quando egli tornò ad avere in qualche misura potere negli ultimi anni di Mao (prima di essere nuovamente “purgato”), sia più evidentemente durante e dopo gli eventi di Tiananmen. Il giro di vite di Tiananmen – deciso da Deng – portò ad un forte sbandamento a sinistra nella politica economica. Quindi fu un trauma non solo politico, ma anche di politica economica. Tuttavia, dopo tre anni di “politiche di sinistra”, Deng con il suo Viaggio nel Sud inaugurò la reintroduzione di politiche “di destra”. Ad un osservatore inesperto, queste appaiono come improvvise svolte politiche; sembrano mosse che fanno presagire ulteriori cambiamenti nella medesima direzione. Ma non lo sono: sono “rettifiche” tattiche. E tali politiche in un’unica direzione, saranno necessariamente seguite da vari anni di politiche nella direzione opposta.

Quando nel 2009 l’aereo della Air France crollò nell’Atlantico, le indagini rilevarono che la causa principale era stata l’incapacità dell’equipaggio, mentre l’aereo stava perdendo altitudine, di eseguire una complicata manovra, nella quale allo scopo di recuperare altitudine, l’aereo ha bisogno anzitutto di scendere in picchiata.  Lo stesso vale per le autorità economiche nelle società del capitalismo di stato. Allo scopo di far crescere “armoniosamente” l’economia nel lungo termine, esse devono accettare rallentamenti a breve termine e cambiamenti politici. Ad osservatori semplici essi appaiono come zig-zag; ad un occhio perspicace sembrano una linea retta.

 

 

 

 

 

 

[1] Può non essere sempre facilmente comprensibile, nel caso della Cina, il significato delle espressioni di politiche economiche ‘di sinistra’ e ‘di destra. Ad esempio: una politica per regolamentare maggiormente le grandi società finanziarie e no – come Alibaba e Tencent – parrebbe un politica ‘di sinistra’, nella misura in cui si propone di ridurre la libertà di azione di società monopolistiche che rischiano di avere un enorme ‘potere di mercato’. Ciononostante, vari commentatori occidentali – a me pare con non molti argomenti – tendono a considerarla come una politica unicamente rivolta a tutelare il potere dello Stato, e del Partito, nei confronti delle grandi società tecnologiche. Non è questa è, mi pare, la spiegazione fornita da Paola Subacchi nel recente articolo pubblicato e tradotto su FataTurchina, nel quale si mette in evidenza come le restrizioni messe in atto siano state un plausibile giro di vite nel confronti dei giganti cinesi della tecnologia e dei rischi sistemici che costituivano per la stabilità finanziaria e monetaria cinese.

In modo simile, la politica dello ‘zero Covid’ è stata considerata – così normalmente è accaduto in Occidente – come una politica ‘autoritaria’ e dunque probabilmente ‘non di sinistra’. Ma, aldilà della complicata questione del non utilizzo da parte della Cina di vaccini più efficienti prodotti in Occidente, aver avuto negli anni passati qualche migliaio di decessi, anziché le svariate centinaia di migliaia di decessi di altri paesi – USA inclusi –  era di destra o di sinistra?

Quindi, come direbbe Giorgio Gaber, cosa sia di sinistra o di destra, può essere lasciato alle inclinazioni personali di chi legge. Il che non inficia il ragionamento di Milanovic sulle ‘svolte’ nella politica cinese attribuibili alla “flessibilità tattica’.

[2] Il sistema dello houkou è un sistema di registrazione delle famiglie in uso nella Cina continentale che ha origine nella Cina antica. Significa letteralmente “origine della famiglia” e comporta la registrazione di ogni individuo che compone una famiglia (ogni kou, ovvero ogni “bocca da sfamare”). Ma soprattutto comporta l’obbligo della residenza permanente degli individui singoli nelle originaria residenza della loro famiglia. Con l’enorme fenomeno di urbanizzazione dei decenni passati, lo houkou comportava che i lavoratori che si trasferivano in città continuavano ad avere le passate residenze rurali; di conseguenza non potevano godere di nessuna facilitazione nelle politiche sociali (sanitarie, educative, previdenziali) disponibili per i lavoratori delle grandi città. La conseguenza dello houkou era la permanenza di forti disparità e ineguaglianze di reddito, al punto che riformare quel sistema era da tempo l’obbiettivo principale da realizzare per affermare un processo di crescita delle eguaglianze economiche.

Da alcuni anni quella riforma è in atto e, con il metodo gradualistico tipico dello Stato cinese, ormai lo houkou conosce un processo di smantellamento che già interessa molte importanti metropoli cinesi.

 

 

 

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