PUBLIÉ LE14 MARS 2023
Let’s say it straight away: Macron is in the wrong era and is wasting our time. He is applying recipes that are completely unsuited to the world of the 2020s, as if he had remained intellectually stuck in the era of the market euphoria of the 1990s and early 2000s, the world before the 2008 crisis, Covid and Ukraine. Yet the current context is one of rising inequality, hyper-prosperity of wealth and the climate and energy crisis. The urgent need is for investment in education and health and the establishment of a fairer economic system, in France and in Europe, and even more so on an international scale. But the government continues to pursue an anti-social policy from another age.
On pensions, Macron had tried in 2019 to promote the idea of a ‘universal’ pension, with a unification of the rules between the schemes, which are indeed too complex. The problem is that he was supporting a very unequal universal pension, which roughly speaking perpetuates the abysmal inequalities of working life until death. Many other universal pensions are possible, with an emphasis on small and medium pensions, with a replacement rate varying with the level of salary, all financed by a progressive levy on income and wealth (with for example the introduction of a 2% CSG rate on the 500 largest fortunes, which alone would bring in 20 billion euros).
Today Macron is no longer even trying to pretend and play the moderniser of the social state: the 2023 pension reform simply aims to raise money, without any objective of universality or simplification. It is even the most opaque of the parametric reforms that one could have imagined. The new rules on long careers are totally muddled. The so-called measure on small pensions at 1,200 euros will in the end concern less than 3% of pensioners, and it will have taken the government a year to arrive at this still very approximate figure, even though it has the entire state apparatus at its disposal and spends billions on consultancy firms. The reality, which it is now impossible to hide, is that the efforts will fall mainly on low and middle paid women, who will have to work two years longer in difficult and poorly paid jobs, when they are still in employment.
Beyond these injustices and all the time wasted on pensions, the social and economic mess of the Macron presidency is found in other areas. If we look at the evolution of higher education resources, we see that the budget per student has decreased by 15% in France over the last ten years. Rather than rehashing McKinsey powerpoints on the start-up nation, the government would be well advised to meditate on the basic lesson of all economic history, namely that it is investment in training that is the source of prosperity.
In general, the construction of the welfare state was a huge historical success in the 20th century, and this achievement must be built upon. It is thanks to a powerful movement of investment in education, health and public infrastructure that we have achieved both greater equality and prosperity than ever before in history. Public resources mobilised in education have increased tenfold, from 0.5% of national income in Western countries before 1914 to around 5-6% since the 1980s-1990s.
In the middle of the 20th century, the United States was by far the world’s educational leader (with 80% of an age group in long secondary education by 1950, compared with 20-30% in France or the United Kingdom at the same time), and this is why it was also the economic leader. All of this was done with inequalities strongly compressed, thanks to tax progressivity: the top income tax rate reached 81% on average across the Atlantic from 1930 to 1980. Clearly, this has not harmed the exceptional productivity of the world’s leading economy, quite the contrary.
The great lesson of history is that prosperity comes from equality and education, not from chasing inequality. Reasonable income disparities can be justified (say, one to five), but stratospheric inequalities serve no public good. This lesson has been forgotten, and social and educational investment has stagnated for 30 years, while student numbers have increased. We need look no further for the reasons for the stagnation of productivity.
By weakening the social state instead of expanding it, the government is weakening the country and its place in the world. It also misses a historical turning point, which is the transition from the social-national state to the social-global (or social-federal) state. In the 20th century, the social state developed primarily within the national framework, sometimes superbly forgetting North-South inequalities. This is all the more problematic because Western enrichment could never have taken place without a very strong international integration and without the often brutal exploitation of the natural and human resources available on a global scale. It is no longer possible to ignore the consequences of the environmental damage caused by the enrichment of the North (including of course Russia and China). The social-global state must be based on an overhaul of the global economic and fiscal system, with the richest global players (multinationals, billionaires) being taxed for the benefit of all. This is the way to revive the social state in the North as well as in the South and to get out of the current contradictions.
Macron, il disastro sociale ed economico.
Di Thomas Piketty
Diciamolo subito: Macron è nell’epoca sbagliata e sta sprecando il nostro tempo. Sta applicando ricette che sono completamente inadatte al mondo del secondo decennio degli anni 2000, come se fosse rimasto bloccato intellettualmente nell’epoca della euforia di mercato degli anni ’90 e dei primi anni 2000, nel mondo prima della crisi del 2008, del Covid e dell’Ucraina. Tuttavia il contesto attuale è quello della crescente ineguaglianza, della iper prosperità dei ricchi e della crisi climatica ed energetica. Il bisogno urgente è investire nell’istruzione e nella salute e nella costruzione di un sistema economico più giusto, in Francia e in Europa, ed ancora di più su scala internazionale. Ma il Governo continua a perseguire una politica anti sociale di un’altra epoca.
Sulle pensioni, Macron ha cercato nel 2019 di promuove l’idea di una pensione ‘universale’, con una unificazione delle norme entro schemi che sono davvero troppo complicati. Il problema è che stava sostenendo una pensione universale molto iniqua, che parlando approssimativamente perpetua le abissali ineguaglianze della vita lavorativa sino alla morte. Sono possibili molte altre pensioni universali, con un’enfasi sulle pensioni piccole e medie, con una aliquota di sostituzione che varia con il livello del salario, interamente finanziate con una imposta progressiva sul reddito e sulla ricchezza (ad esempio con la introduzione di una aliquota del 2% di Contributo Sociale Generalizzato (CSG) sulle 500 più grandi fortune, che da sola porterebbe 20 miliardi di euro).
Oggi Macron non sta più nemmeno cercando di fingere e di atteggiarsi a modernizzatore dello Stato sociale: la riforma pensionistica del 2023 punta semplicemente a raccogliere soldi, senza alcun obbiettivo di universalità o di semplificazione. Essa è persino più opaca delle riforme dei parametri che si potevano immaginare. Le nuove regole sulle ‘lunghe carriere’ sono del tutto confuse. Le cosiddette misure sulle piccole pensioni a 1.200 euro alla fine riguarderanno meno del 3% dei pensionati e al Governo ci vorrà un anno per arrivare a questo dato ancora molto approssimativo, anche se esso ha a sua disposizione l’intero apparato statale e spende miliardi con le imprese di consulenza. La verità, che adesso è impossibile nascondere, è che gli sforzi ricadranno principalmente sulle donne con compensi bassi e medi, che dovranno lavorare due anni di più in posti di lavoro difficili e miseramente pagati, nel mentre sono ancora occupate.
Oltre queste ingiustizie e tutto il tempo sprecato sulle pensioni, il disastro sociale ed economico della Presidenza Macron si scopre in altre aree. Se guardiamo all’evoluzione delle risorse per l’istruzione superiore, osserviamo che il bilancio per studente in Francia nel corso degli ultimi dieci anni è diminuito del 15%. Nella nazione delle start-up, anziché rielaborare le applicazioni con le diapositive della McKinsey, il Governo farebbe bene a meditare sulla lezione fondamentale di tutta la storia economica, precisamente che la fonte della prosperità è l’investimento nella formazione.
In generale, la costruzione dello Stato assistenziale è stato un enorme successo storico del ventesimo secolo, e la sua realizzazione deve essere incrementata. È grazie ad un potente movimento di investimenti nell’istruzione, nella salute e nelle infrastrutture pubbliche che abbiamo realizzato sia una maggiore eguaglianza che una prosperità come mai in precedenza nella storia. Le risorse pubbliche mobilitate nell’istruzione, dallo 0,5% del reddito nazionale dei paesi occidentali prima del 1914 a circa il 5-6% dagli anni ‘80 e ’90, sono aumentate di dieci volte. Nella metà del 20° secolo, gli Stati Uniti erano di gran lunga alla testa dell’istruzione mondiale (con l’80% di un gruppo di età nella prolungata educazione secondaria nell’anno 1950, al confronto con il 20-30% nello stesso periodo in Francia o nel Regno Unito), e questa era anche la ragione per la quale erano alla testa dell’economia. Tutto questo venne realizzato con una forte compressione delle ineguaglianze, grazie alla progressività fiscale: l’aliquota della tassa sul reddito dei più ricchi raggiungeva in media l’81%, dal 1930 al 1980, al di là dell’Atlantico. Chiaramente, questo non danneggiò la produttività dell’economia alla guida del mondo, piuttosto il contrario.
La grande lezione della storia è che la prosperità viene dall’eguaglianza e dall’istruzione, non dall’inseguire le ineguaglianze. Una ragionevole disparità di redditi può essere giustificata (diciamo, da uno a cinque), ma le ineguaglianze stratosferiche non fanno alcun bene pubblico. Questa lezione è stata dimenticata e l’investimento sociale ed educativo ha ristagnato per 30 anni, mentre il numero degli studenti è aumentato. Non c’è bisogno di guardare ad altro per trovare le ragioni della stagnazione della produttività.
Indebolendo lo stato sociale anziché espandendolo, il Governo sta indebolendo il paese e la sua posizione nel mondo. Esso perde anche un momento di svolta storico, che è la transizione dallo stato sociale nazionale allo stato sociale globale (o sociale-federale). Nel ventesimo secolo, lo stato sociale si è sviluppato principalmente all’interno di una schema nazionale, talvolta dimenticando con superbia le ineguaglianza tra Nord e Sud. Questo è sempre più problematico perché l’arricchimento occidentale non avrebbe mai potuto avvenire senza una integrazione internazionale molto forte e senza lo sfruttamento spesso brutale delle risorse umane e naturali disponibili su scala globale. Non è più possibile ignorare le conseguenze del danno ambientale provocato dall’arricchimento del Nord (incluse ovviamente Russia e Cina). Lo stato sociale globale deve essere basato su una revisione del sistema globale economico e della finanza pubblica, con i più ricchi protagonisti globali (multinazionali, miliardari) che vengono tassati a beneficio di tutti. Questo è il modo per ripristinare lo stato sociale nel Nord come nel Sud e per venir fuori dalle contraddizioni attuali.
By mm
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