BARRY EICHENGREEN and RUURD BROUWER
AMSTERDAM – Global leaders will soon assemble in Paris for the Summit for a New Global Financing Pact, popularly known as the Macron Summit. According to Catherine Colonna, France’s Minister for Europe and Foreign Affairs, the goal is to build a new financial contract between the Global North and Global South.
Among the summit’s concrete objectives will be to enhance fragile economies’ access to the finance needed to cope with higher food and energy prices, the green transition, and development challenges. A key issue is to ensure that this renewed financial access does not create more problems than it solves.
It is appropriate that the Macron Summit is in Paris, because France provides a cautionary tale in this respect. In 1947, when post-World War II France was still financially and economically vulnerable, it became the first country to receive a World Bank loan. The Bank awarded it $250 million “pour faciliter la réparation des dommages causés par la guerre.”
Like today, a key purpose of the 1947 loan was to help the government meet France’s energy requirements, which were critical for getting the economy back on its feet. Along with steel, fertilizer, and animal fats, the loan financed imports of seven million tons of coal and 1.2 million metric tons of petroleum products.
The 3.25% interest rate and 1% annual fee made the loan look like a bargain. The 4.25% cost to service the loan was far cheaper than market terms, and war-ravaged France would have had little chance of finding private capital at all. The loan came with a 30-year term, a five-year grace period, and minimal repayments in the first ten years, all in recognition of the French Treasury’s limited resources and the country’s difficult economic situation.
The conditionality attached to the loan also resembles current practice. The World Bank required proof that the proceeds were being used for approved purposes. Bank staff vetted supplier contracts, down to the level of individual invoices. France’s chief negotiator considered this an affront to his country. But beggars couldn’t be choosers.
That first World Bank loan continues to cast a long shadow over official thinking. Three quarters of a century later, the standard for multilateral development bank (MDB) loans remains 30 years with a ten-year grace period and concessional interest rates. Similarly, the focus of the Macron Summit is on supporting economic reconstruction and development by providing long-term, low-interest loans; the only additional requirement is that energy supplies should be green. Plus ça change, one might say.
There is also another unappreciated parallel. Like in 1947, the MDBs are still offloading their currency risk on the borrowers.
In 1950, a dollar cost 3.5 French francs; in 1958, when the franc was devalued, the exchange rate rose to 4.2 francs. In 1959 it rose above 4.9 francs, and another devaluation pushed it to nearly 5.2 in 1969. In all, the cost in francs of interest payments in dollars rose by 50%. The French government’s annual payments rose even more sharply, because the initial grace period meant that it was now repaying the principal over 20, not 30, years.
This is the same problem faced by low-income countries today. Since the MDBs lend in dollars, poor countries are hammered when the dollar rises. And the hammer falls hardest on the poorest, because the grace period on their MDB loans concentrates their amortization payments in a shorter period. Thus, a capital increase for the MDBs and another round of concessional lending, as is likely to be proposed at the Macron Summit, will create more problems than it solves if the resulting loans are again denominated in dollars.
In some cases, the World Bank converts its dollar disbursals into local currency using swap transactions. But the Bank does not take currency risk on its balance sheet. It undertakes local currency conversions only when it can execute mirroring currency-swap transactions with market counterparties. And there are no such counterparties for the currencies of poor countries, given the illiquidity of their markets.
Rather than simply providing the World Bank with more capital or authorizing it to borrow to enable it to extend more dollar loans, shareholders meeting at the Macron Summit should create a guarantee fund to recapitalize the Bank in the event of exchange-rate-related losses. The Bank could then safely keep currency swaps and local currency loans on its balance sheet. In addition, leaders could agree to scale up mechanisms, such as TCX (full disclosure: one of us is its CEO), designed to create access to indexed local currency for low-income sovereign borrowers.
These simple steps would eliminate the exchange-rate bugaboo that haunted France after WWII and which similarly stalks low-income countries today.
Rendere sicuro l’atterraggio delle Banche di Sviluppo per i paesi poveri,
di Barry Eichengreen e Ruurd Brouwer
AMSTERDAM – I leader globali si riuniranno presto a Parigi per il Summit Per un Nuovo Patto del Finanziamento Globale, generalmente noto come il Summit Macron. Secondo Catherine Colonna, Ministro per l’Europa e per gli Affari Esteri della Francia, l‘obbiettivo è costruire un nuovo contratto finanziario tra il Nord Globale ed il Sud Globale.
Tra gli obbiettivi concreti del summit ci sarà accrescere l’accesso delle economie fragili alla finanza necessaria per far fronte ai prezzi più elevati dei generi alimentari e dell’energia, alla transizione verde ed alle sfide dello sviluppo. Una questione cruciale è garantire che questo rinnovato accesso ai finanziamenti non crei più problemi di quelli che risolve.
È logico che il Summit Macron si tenga a Parigi, dato che la Francia sotto questo aspetto ha una storia istruttiva. Nel 1947, quando la Francia post-bellica era ancora vulnerabile finanziariamente ed economicamente, essa divenne il primo paese a ricevere un prestito della Banca Mondiale. La Banca assegnò 250 milioni di dollari “per facilitare la riparazione dei danni provocati dalla guerra”.
Come oggi, uno scopo fondamentale del prestito del 1947 fu aiutare il Governo a soddisfare i fabbisogni energetici della Francia, che erano fondamentali per rimettere l’economia sulle sue gambe. Assieme all’acciaio, ai fertilizzanti ed ai grassi animali, il prestito finanziò importazioni di sette tonnellate di carbone e di 1,2 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi.
Il tasso di interesse al 3,25% e l’imposta annuale dell’1% rese il prestito un affare. Il costo del 4,25% degli interessi sul prestito era molto più conveniente dei termini di mercato, e la Francia sconvolta dalla guerra aveva poca o nessuna possibilità di trovare i capitali privati. Il prestito fu concesso con una durata trentennale, con un periodo di proroga di cinque anni e con restituzioni minime nei primi dieci anni, il tutto a seguito del riconoscimento delle limitate risorse del Tesoro francese e della difficile situazione economica del paese.
Anche le condizioni connesse al prestito assomigliano alla pratica attuale. La Banca Mondiale richiese prove che le entrate sarebbero state usate per i propositi ammessi. Lo staff della Banca passò al vaglio i contratti con i fornitori, sino al livello delle singole fatture. Il capo negoziatore della Francia lo considerò un affronto al suo paese. Ma a caval donato non si guardò in bocca.
Il primo prestito della Banca Mondiale continua a gettare una lunga ombra sul pensiero ufficiale. Dopo tre quarti di secolo, la consuetudine dei prestiti delle banche multilaterali di sviluppo (MDB) restano i trent’anni con un periodo decennale di proroga e tassi di interesse agevolati. In modo simile, il Summit Macron si concentra sul sostegno alla ricostruzione economica ed allo sviluppo fornendo prestiti a lungo termine con bassi tassi di interesse; la sola condizione aggiuntiva è che le forniture di energia dovrebbero essere verdi. Si potrebbe dire: Non cambia mai niente.
Ma esiste un’altra somiglianza, poco apprezzata. Come nel 1947, i prestiti della banche di sviluppo scaricano ancora i loro rischi valutari su coloro che si indebitano.
Nel 1950, un dollaro valeva 3,5 franchi francesi; nel 1958, quando il franco venne svalutato, il tasso di cambio salì a 4,2 franchi. Nel 1959 salì a 4,9 franchi, ed un’altra svalutazione lo spinse nel 1959 vicino ai 5,2 franchi. In tutto, i costo in franchi del pagamento degli interessi in dollari crebbe del 50%. I pagamenti annuali del Governo francese crebbero persino più bruscamente, perché l’iniziale periodo di proroga comportò che adesso esso stava restituendo il capitale in venti anni, non in trenta.
Questo è lo stesso problema cui sono dinanzi oggi i paesi a basso reddito. Dal momento che i prestiti delle banche multilaterali di sviluppo vengono fatti in dollari, quando il dollaro sale i paesi poveri sono presi a martellate. E il martello cade più pesantemente sui più poveri, perché il periodo di proroga sui loro prestiti MDB concentra i loro pagamenti di ammortizzamento in un periodo più breve. Quindi, un aumento del capitale per i prestiti MDB ed un’altra serie di prestiti agevolati, come è probabile venga proposto al Summit Macron, creerà più problemi di quelli che risolve se i prestiti risultanti venissero ancora denominati in dollari.
In alcuni casi, la Banca Mondiale converte le sue restituzioni in dollari in valuta locale utilizzando transazioni swap [1]. Ma la Banca non assume il rischio valutario nel suo bilancio patrimoniale. Essa si impegna nelle conversioni in valuta locale solo quando può eseguire analoghe transazioni in valuta swap con le controparti di mercato. E tali controparti non esistono per le valute dei paesi poveri, data l’illiquidità dei loro mercati.
Piuttosto che semplicemente rifornire la Banca Mondiale di maggiori capitali o autorizzarla a indebitarsi per avviare ulteriori prestiti in dollari, gli azionisti che si incontrano al Summit Macron dovrebbero creare un fondo di garanzia per ricapitalizzare la Banca nel caso di perdite derivanti dal tasso di cambio. La Banca potrebbe allora tenere swap valutari e prestiti in valuta locale nei suoi bilanci patrimoniali. In aggiunta, i leader potrebbero concordare di accrescere i meccanismo come il TCX [2] (informativa completa: uno di noi è il suo amministratore delegato [3]), concepiti per creare accesso alle indicizzate valute locali per i debitori sovrani a basso reddito.
Questi semplici passi eliminerebbero lo spauracchio del tasso di cambio che ha perseguitato la Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale e in modo simile perseguita oggi i paesi a basso reddito.
[1] “ … swap di valute (currency swap, CS): è un contratto stipulato fra due controparti che si scambiano nel tempo un flusso di pagamenti denominati in due diverse valute. Si pone quale scambio a pronti di una determinata valuta e nel contempo in uno scambio di eguale ammontare e cambio, ma di segno opposto, a una data futura prestabilita.” Da Wikipedia.
[2] Il “TCX” è un organismo internazionale – il termine è un acronimo per “Fondo per scambi valutari”. L’organismo venne fondato nel 2007 da “un gruppo di istituti di finanza per lo sviluppo, specializzati in investimenti di micro finanza e donazioni per offrire soluzioni per la gestione del rischio valutario nei mercati in via di sviluppo”. Vedi: TCX.
Queste soluzioni consistono in strumenti finanziari che consentono agli investitori del Fondo ed ai loro clienti di fornire a chi si indebita finanziamenti nella propria valuta, nel mentre si trasferisce il rischio valutario al Fondo stesso. I debitori sono di conseguenza protetti da ogni rischio di volatilità.
[3] Ruurd Brouwer, uno degli autori del presente articolo, è Amministratore delegato del TCX.
By mm
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