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La risposta della Cina al ‘disaccoppiamento’, di Yu Yongding (da Project Syndicate, 28 giugno 2023)

 

Jun 28, 2023

China’s Response to Decoupling

YU YONGDING

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BEIJING – Before Deng Xiaoping launched China’s reform and opening up, the People’s Republic was working to establish a self-sufficient economy. But after decades of integration into the global economy, autarky certainly is no longer an option.

While China’s participation in global value chains boosted the economy’s efficiency and technological capabilities, it also caused its industrial system to become more fragmentated and vulnerable to external shocks.

In recent years, the United States has expanded the scope of sanctions on Chinese firms, such as by placing 603 Chinese persons on its so-called Entity List, blacklisting them on national-security grounds. These entities’ suppliers can no longer sell them US technology without a difficult-to-obtain permit.

US National Security Adviser Jake Sullivan says that these measures do not amount to a “technology blockade.” But that claim is dubious. While national security is a legitimate concern for any country, it is difficult, or impossible, to decide whether many supply chains – or segments of supply chains – have security implications or not. The concept of national security can be easily abused to violate World Trade Organization provisions. Furthermore, should politicians who may face protectionist pressure by domestic incumbents really be entrusted with making such distinctions?

China has responded to Western antagonism by embracing a new development strategy. In 2020, after decades of “great international circulation” – a strategy of pursuing economic growth and development through export-oriented production – China announced that it would adopt a “dual-circulation” strategy. This means that, while China will continue to engage with global markets and supply chains, it will rely on domestic markets rather than external demand to drive economic growth.

More recently, the Chinese government proclaimed that China should build a comprehensive, advanced, and secure industrial system. Re-emphasizing the importance of comprehensiveness is a reaction to the new geopolitical reality. While China cannot and should not produce everything – autarky is impossible for a modern economy – it should be able to quickly launch or increase production of critical goods, as needed. In other words, China must increase its industrial system’s adaptability. The more adaptable the system is, the less comprehensive it needs to be – and the less efficiency it must sacrifice – to deliver the same level of security.

Even if the geopolitical situation deteriorates further, China cannot disengage fully from global supply chains – at least not without paying a heavy price. But the same is true of the West, which may be tempted by the idea of forcing China out. Just as Chinese industry would suffer massively from the economy’s isolation, so would Western businesses.

The Institute of World Economics and Politics, a Chinese government think tank, reports that China ranked among the world’s top three exporters (by volume) in 2,400 of 4,000 categories of intermediate goods traded globally between 2017 and 2020. China also ranked at least third in 800 of 1,001 categories of intermediate goods with a high degree of centrality to finished goods.

According to a 2020 report by the United Nations Conference on Trade and Development, approximately 20% of global trade in intermediate goods for manufacturing came from China. If China’s intermediate-goods exports declined by two percentage points, total global exports would decrease by approximately $50 billion, with Europe, the US, Japan, South Korea, and Taiwan (China) most heavily affected.

It is obvious that the Biden Administration is still committed to hampering China’s economic and technological development, even at the cost of US economic and commercial interests. The result will be a Pyrrhic victory for the US, at best.

While the US can slow China’s technical progress, it is too late to stop it. In fact, China has established a very comprehensive and adaptable modern economy featuring a formidable manufacturing sector. According to the UN’s industrial classification, China is the only country with all manufacturing goods at all levels of sections, subsections, groups, subgroups, classes, and subclasses of industry. Given China’s manufacturing capacity, market scale, and abundant human resources, no sanctions will prevent China from eventually making its own high-tech products, such as chips.

In a recent speech, US Treasury Secretary Janet L. Yellen struck a more positive note. She pointed out that, like an economy, America’s relationship with China “is just an aggregate of choices that people make,” and that the relationship’s trajectory “is not preordained, and it is not destined to be costly.” Rather, it will be determined by countless choices, including “when to cooperate, when to compete, and when to recognize that even amid our competition, we have a shared interest in peace and prosperity.”

Those are wise words. I couldn’t agree more.

 

La risposta della Cina al ‘disaccoppiamento’,

di Yu Yongding [1]

 

PECHINO – Prima che Deng Xiaoping desse il via al processo di riforma e di apertura della Cina, la Repubblica del Popolo stava lavorando a costruire un’economia autosufficiente. Ma dopo decenni di integrazione nell’economia globale, certamente l’autarchia non è più un opzione.

Mentre la partecipazione della Cina alle catene globali del valore ha promosso l’efficienza dell’economia e le capacità tecnologiche, essa ha anche costretto il suo sistema industriale a diventare più frammentato e vulnerabile agli shock esterni.

Negli anni recenti, gli Stati Uniti hanno ampliato il raggio delle sanzioni sulle imprese cinesi, così come hanno collocato 603 individui nella cosiddetta “Entity List”, mettendoli al bando con argomenti di sicurezza nazionale. I fornitori di queste “entità” non possono più vendere loro tecnologia statunitense senza un permesso difficile da ottenere.

Il Consigliere della Sicurezza Nazionale Jake Sullivan sostiene che queste misure non corrispondono ad un “blocco tecnologico”. Ma si tratta di una pretesa dubbia. Mentre la sicurezza nazionale è una preoccupazione legittima per ogni paese, è difficile, o impossibile, decidere se molte catene dell’offerta – o segmenti di catene dell’offerta – abbiano o no implicazioni di sicurezza. Il concetto di sicurezza nazionale può essere facilmente abusato per violare le disposizioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Inoltre, i politici che fronteggiano pressioni protezionistiche da parte imprese nazionali in funzione, dovrebbero per davvero essere creduti nel fare tali distinzioni?

La Cina ha risposto all’antagonismo occidentale abbracciando una nuova strategia di sviluppo. Nel 2020, dopo decenni di “grande circolazione internazionale” – una strategia di perseguimento della crescita economica e dello sviluppo attraverso una produzione orientata alle esportazioni – la Cina ha annunciato che avrebbe adottato una strategia a “circolazione duale”. Questo comporta che, mentre la Cina continuerà a impegnarsi con i mercati globali e con le catena dell’offerta, essa si baserà sulla domanda dei mercati interni piuttosto che esteri per guidare la crescita economica.

Più di recente, il Governo cinese ha proclamato che la Cina dovrebbe costruire un sistema industriale completo, avanzato e sicuro. Il rimettere l’enfasi sull’importanza della ‘completezza’ è una reazione alla nuova realtà geopolitica. Mentre la Cina non può e non dovrebbe produrre ogni cosa – l’autarchia è impossibile per una economia moderna – essa dovrebbe essere capace di avviare o avviare le produzione di prodotti fondamentali, quanto necessario. In altre parole, la Cina deve accrescere l’adattabilità del suo sistema industriale. Più adattabile è un sistema, meno ha bisogno di essere completo – e meno efficienza deve sacrificare per fornire lo stesso livello di sicurezza.

Persino se la situazione geopolitica si deteriorasse ulteriormente, la Cina non può disimpegnarsi pienamente dalle catene globali dell’offerta – almeno non senza pagare un prezzo pesante. Ma lo stesso è vero per l’Occidente, che può essere tentato dall’idea di escludere la Cina. Proprio come l’industria cinese soffrirebbe in modo massiccio per l’isolamento economico, altrettanto farebbero le imprese occidentali.

L’Istituto di economia e di politica mondiale, un gruppo di ricerca del Governo cinese, resoconta che la Cina, tra il 2017 ed il 2020, si è collocata tra i tre maggiori esportatori del mondo (per volumi) su 2.400 delle 4.000 categorie di beni intermedi scambiati globalmente. La Cina si è anche collocata almeno al terzo posto in 800 categorie su 1.001 di beni intermedi con un grado elevato di centralità per i prodotti finiti.

Secondo un rapporto del 2020 della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, approssimativamente il 20% del commercio globale dei beni intermedi per il settore manifatturiero proviene dalla Cina. Se le esportazioni di beni intermedi si riducessero di due punti percentuali, le esportazioni globali totali calerebbero approssimativamente di 50 miliardi di dollari, con l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan (Cina) tra le più pesantemente colpite.

È evidente che l’Amministrazione Biden è ancora impegnata a ostacolare lo sviluppo economico e tecnologico della Cina, persino a costo degli interessi economici e commerciali statunitensi. Per gli Stati Uniti, il risultato sarà, nel migliore dei casi, una vittoria di Pirro.

Mentre gli Stati Uniti possono rallentare il progresso tecnico della Cina, è troppo tardi per fermarlo. Di fatto la Cina ha costruito un’economia moderna molto completa e adattabile, che comprende un settore manifatturiero formidabile. Secondo la classificazione industriale delle Nazioni Unite, la Cina è il solo paese dotato di tutti i prodotti manifatturieri ad ogni livello di sezione, di sottosezione, di gruppo, di sottogruppo, di classe e di sottoclasse dell’industria. Data la capacità manifatturiera della Cina, la dimensione del suo mercato e le sue abbondanti risorse umane, nessuna sanzione impedirà alla Cina alla fine di realizzare i propri prodotti di alta tecnologia, come i semiconduttori.

In un recente discorso, la Segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen ha battuto una nota più positiva. Essa ha messo in evidenza che, in quanto economia, le relazioni dell’America con la Cina sono “precisamente un aggregato di scelte che fanno le persone”, e che la traiettoria delle relazioni “non è preordinata, e non è destinata ad essere costosa”. Piuttosto, essa sarà determinata da innumerevoli scelte, compresa quella del “quando cooperare, quando competere e quando riconoscere che, persino nel mezzo della nostra competizione, abbiamo un interesse condiviso alla pace ed alla prosperità”.

Sono parole sagge. Non potrei essere più d’accordo.

 

 

 

 

 

 

[1] Di solito non offro, forse sbagliando, notizie utili a identificare il ruolo ed il curriculum degli autori che traduco. Ma in questo caso, considerando che questo articolo è in interlocuzione diretta con rilevanti autorità statunitensi (come Jake Sullivan, che abbiamo recentemente tradotto, e Janet Yellen)  può essere utile farlo, pur essendo Yu Yongding un autore che compare abbastanza frequentemente su “Fata Turchina”.

Dunque, Yu Yongding è un economista cinese che opera in Cina ed è stato Presidente della Società cinese di economia mondiale e direttore dell’Istituto di Economia e di Politica Mondiale presso l’Accademia cinese di scienze sociali. Da 2004 al 2006 è stato membro del Comitato di Politica Monetaria della Banca del Popolo della Cina. Diciamo: un ‘public intellectual‘ cinese che ha avuto ruoli di primo piano.

 

 

 

 

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