SOFIA – Advanced-economy central bankers seem to have earned their summer vacation. With a series of sharp interest-rate hikes, they appear to have beaten back a wave of inflation that, according to the conventional wisdom, was caused by an unprecedented combination of negative shocks. But before we praise central bankers for taming inflation, we should consider their role in causing it.
The most commonly cited factor driving the recent surge in inflation is high energy prices, which soared after Russia’s full-scale invasion of Ukraine, owing to fears that Western sanctions would prevent Russian hydrocarbons from reaching markets. But, by early 2023, crude oil prices had fallen back to pre-invasion levels.
More important, the 2022 spike was not exceptional. Oil prices have increased at comparable speeds and reached similar peaks before, such as in 2008 and 2011-12. But neither of those episodes brought a noticeable surge in the price level. Even in Europe, where the increase in natural-gas prices after the invasion was indeed unprecedented, energy prices returned to pre-war levels well before inflation began to fall.
No central banker has yet acknowledged the well-founded doubt that last year’s energy-price shock caused the surge in non-energy prices. What central bankers have done is to point to a second culprit: supply-chain disruptions.
But here, too, the shock in question was temporary. The Federal Reserve Bank of New York’s composite indicator of global supply-chain pressures shows that there was an unprecedented increase in 2022; but by early 2023, the index was back in normal territory. Today, it is in negative territory, indicating that supply chains are running particularly smoothly.
Most macroeconomic models – not to mention common sense – indicate that a temporary supply shock should cause a similarly temporary increase in the price level. This means that, if recent inflation had been caused by the two supply shocks of 2022, it would have initially risen above the canonical 2% target, then fallen below it as the shocks faded. This is not the case in the United States or in the eurozone: stripping out the impact of falling energy prices, inflation continues to run at about 4-5%.
One could, of course, argue that asymmetries could cause overall prices to behave differently when energy prices rise and fall. But it is not clear what the relevant asymmetries would be in this particular episode. Workers have accepted a reduction in real wages, despite tight labor markets. And while there might be a need for some prices to fall when energy prices do, there is no sign that downward rigidity of nominal prices or wages currently plays any role.
So, why has inflation persisted? One likely reason is that we are seeing the delayed effects of past monetary policy. In 2020 and 2021, when the global economy was being ravaged by the pandemic, central banks began purchasing huge amounts of assets. During the first few months of 2020, the policy served a clear purpose: to stabilize financial markets. But even after that goal was achieved, central banks continued to buy up assets.
At this point, central bankers were motivated by fear of deflation. But while inflation had fallen in 2020-21, this was mainly due to a short-lived drop in energy prices. Simply put, policymakers’ decision to continue massive asset purchases was an overreaction to a temporary shock.
Nobody should be surprised that this policy had inflationary consequences, or that they took time to materialize. As Milton Friedman explained, monetary policy affects the economy with “long and variable lags.” Assuming a lag of 12-24 months, central banks’ pandemic asset purchases would have begun affecting inflation by the end of 2021, with the most powerful effects coming in 2022-23 – a time of notable labor-market tightness. The state of the labor market would explain why pandemic monetary policy did more to fuel core inflation than did the previous wave of unconventional monetary policy, in 2015-18.
It is difficult to know precisely how much blame for current inflation can be attributed to pandemic asset purchases. But, based on the European Central Bank’s own assessment of its 2015-18 policy, one might conclude that the purchases contributed a couple of percentage points. So, if the US Federal Reserve and the ECB had ended their asset purchases once financial markets were stabilized in early 2020, core inflation today might be in the region of 3%, rather than 5%.
To be sure, the large fiscal-support packages enacted during the pandemic probably also contributed to inflation, especially in the US. But that does not let monetary policymakers off the hook. On the contrary, while American and European central bankers might prefer to focus on their progress in tamping down inflation, there is no use pretending that they did not play a significant role in creating the problem.
I veri responsabili dell’inflazione,
di Daniel Gros
SOFIA – I banchieri centrali delle economie avanzate pare si siano guadagnati le loro vacanze estive. Con una serie di bruschi rialzi dei tassi di interesse, sembra che abbiano respinto un’ondata di inflazione che, secondo l’opinione comune, era stata provocata da una combinazione senza precedenti di shock negativi. Ma prima di elogiare i banchieri centrali nell’addomesticare l’inflazione, dovremmo considerare il loro ruolo nell’averla provocata.
Il fattore più comunemente citato che ha guidato la recente crescita nell’inflazione sono gli alti prezzi dell’energia, che hanno avuto un picco dopo l’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, a seguito dei timori che le sanzioni occidentali avrebbero impedito agli idrocarburi russi di raggiungere i mercati. Ma, con gli inizi del 2023, i prezzi del petrolio greggio sono ricaduti ai livelli precedenti l’invasione.
Ancora più importante, l’impennata del 2022 non era stata eccezionale. I prezzi del petrolio erano cresciuti con velocità comparabile ed avevano raggiunto simili picchi in precedenza, come nel 2008 e nel 2011-12. Ma nessuno di quegli episodi aveva portato ad un sensibile innalzamento del livello dei prezzi. Persino in Europa, dove la crescita dei prezzi del gas naturale dopo l’invasione è stata in effetti senza precedenti, i prezzi dell’energia sono tornati ai livelli prebellici ben prima che l’inflazione cominciasse a scendere.
Nessun banchiere centrale ha ancora riconosciuto il dubbio ben fondato che lo shock del prezzo dell’energia dell’anno passato abbia provocato la crescita dei prezzi non energetici. Quello che i banchieri centrali hanno fatto è indicare una secondo colpevole: i turbamenti nelle catene dell’offerta.
Ma anche in questo caso, lo shock in questione è stato temporaneo. L’indicatore composito della Federal Reserve Bank di New York delle spinte globali delle catene dell’offerta mostra che c’è stato un incremento senza precedenti nel 2022; ma agli inizi del 2023, l’indice era tornato in territorio normale. Oggi è in territorio negativo, indicando che le catene dell’offerta stanno procedendo in modo assai fluido.
La maggior parte dei modelli macroeconomici – per non dire del senso comune – indicano che uno shock temporaneo dovrebbe provocare un temporaneo aumento simile del livello dei prezzi. Questo comporta che, se l’inflazione recente fosse stata provocata dai due shock dell’offerta del 2022, essa avrebbe dovuto inizialmente crescere oltre l’obbiettivo canonico del 2%, per poi cadere al di sotto quando gli shock svanivano. Non è stato questo il caso negli Stati Uniti o nell’eurozona: trascurando l’impatto dei prezzi in calo dell’energia, l’inflazione continua a crescere a circa il 4-5%.
Si potrebbe, naturalmente, sostenere che le asimmetrie potrebbero spingere i prezzi complessivi a comportarsi diversamente quando i prezzi dell’energia crescono o diminuiscono. Ma non è chiaro quali sarebbero in questo caso le asimmetrie rilevanti. E mentre ci potrebbe essere il bisogno per alcuni prezzi di cadere quando lo fanno i prezzi dell’energia, non c’è alcun segno che la rigidità verso il basso dei prezzi nominali o dei salari giochi attualmente alcun ruolo.
Dunque, perché l’inflazione è proseguita? Una ragione probabile è che stiamo assistendo agli effetti ritardati della precedente politica monetaria. Nel 2020 e 2021, quando l’economia globale veniva devastata dalla pandemia, le banche centrali hanno cominciato ad acquistare grandi quantità di asset. Durante i primi pochi mesi del 2020, quella politica serviva ad uno scopo chiaro: stabilizzare i mercati finanziari. Ma persino dopo che quell’obbiettivo era stato realizzato, le banche centrali hanno continuato a comprare asset.
A quel punto, i banchieri centrali erano motivati dal timore della deflazione. Ma mentre l’inflazione nel 2020-21 era caduta, questo era principalmente dovuto ad un caduta di breve durata dei prezzi dell’energia. Per dirla semplicemente, la decisione delle autorità di proseguire con massici acquisti degli asset è stata una reazione esagerata ad uno shock temporaneo.
Nessuno dovrebbe essere sorpreso che questa politica abbia avuto conseguenze inflazionistiche, o che esse abbiano richiesto tempo per materializzarsi. Come spiegava Milton Friedman, la politica monetaria influenza l’economia con “lunghi e variabili ritardi”. Assumendo un ritardo di 12-24 mesi, gli acquisti degli asset dalle banche centrali nella pandemia avrebbero cominciato a influenzare l’inflazione attorno alla fine del 2021, con gli effetti più forti che sarebbero cominciati nel 2022-23 – un periodo di notevole rigidità del mercato del lavoro. Lo stato del mercato del lavoro spiegherebbe perché la politica monetaria nella pandemia ha fatto di più nell’alimentare l’inflazione sostanziale che non la precedente ondata di politica monetaria non convenzionale, nel 2015-18.
È difficile sapere con precisione quanta responsabilità per l’attuale inflazione possa essere attribuita agli acquisti degli asset nella pandemia. Ma, basandosi sullo stesso giudizio della Banca Centrale sulla sua politica del 2015-18, si potrebbe concludere che gli acquisti abbiano contribuito per un paio di punti percentuali. Dunque, se la Federal Reserve degli Stati Uniti e la BCE avessero interrotto i loro acquisti degli asset una volta che i mercati finanziari si erano stabilizzati agli inizi del 2020, oggi l’inflazione sostanziale sarebbe in un territorio del 3%, anziché del 5%.
Di sicuro, anche gli ampi pacchetti di sostegno della finanza pubblica durante la pandemia hanno probabilmente contribuito all’inflazione, particolarmente negli Stati Uniti. Ma questo non consente di scagionare le autorità monetarie. Al contrario, mentre i banchieri centrali americani ed europei preferirebbero concentrarsi sul loro progresso nel comprimere l’inflazione, non c’è alcuna utilità a fingere che essi non abbiano giocato un ruolo significativo nel creare il problema.
By mm
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