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Il BRICS e il non-allineamento oggi, di Branko Milanovic (da Global Inequality and more, 25 agosto 2023)

 

Aug. 25, 2023

BRICS and non-alignment today

Branko Milanovic

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The expansion of BRICS membership is directly related to the expansion of NATO and NATO-like alliances around the world. When this statement is read superficially without understanding what is meant it seems wrong: the two organizations could not be more dissimilar.  The new globalized NATO is a hierarchical, monolithic, and military alliance. None of the four terms applies to BRICS. BRICS is non-hierarchical; the members are extremely heterogeneous and often in political disagreement with each other; BRICS’ objectives are not military; and it is not an alliance but a mere organization. While two of the now eleven BRICS members are in open or tacit conflict with the West, the others are not. BRICS is not a counterweight to the West or NATO. But it is growing in reaction to NATO’s globalization. Why? Because it is the only place where nations not interested in participating in the new Cold War, or even in a possible hot war between the superpowers, can “runaway” in order not to have to choose sides.

It is a profound misunderstanding of what BRICS is, to search for commonalities amongst the members and not having found them to dismiss the organization. Looking for commonalities at times makes sense—but not always. Let’s go over some historical precedents. We can think of international political organizations in positive terms, that is of countries banding together because they believe in a set of common things (which they might consider values). When the Nazis created the Anti-Comintern Pact (the Tripartite pact), the member-countries, spanning two continents, believed in nationalism and fighting Communism; when NATO was formed in 1949, the member countries believed in democracy and containment of the Soviet Union; when the Warsaw Pact was formed in 1955, the member countries believed in expansion of communism, or at least in defending it over the area it then ruled.

But when the non-alignment movement was formed in the late 1950s and early 1960s (note the dates!), or later the Group 77, the members did not possess a positive agenda similar to the ones I just listed. Their agenda was negative: they did not want to have to choose sides in the Cold War waged between the West and the East. They wanted to stay out of it. Many people failed to understand the logic of non-alignment, precisely because they failed to understand that you can create an organization composed of heterogeneous countries that may disagree on many issues, but find it useful, for geopolitical reasons, to get together in a loose association. Non-alignment was liked neither by the Soviet Union nor by the USA. The Soviets believed that it was superfluous because the USSR was “the natural ally” of the Third World and decolonization and rather than getting together in a new organization, the Third World countries should simply support the Soviet bloc. The United States saw the non-alignment as little better than betrayal: countries who drew the equivalence between democracy and tyranny. John Lewis Gadis, the US historian of the Cold War, barely disguises his contempt for the movement and when he condescends to note it, calls it “the so-called ‘non-alignment’ movement.”

The movement in fact ended with the end of the Cold War. This also shows what its true role was: to be a buffer zone during the global confrontation between the US and the Soviet Union, and to minimize the likelihood of their members becoming the ground on which the proxy wars may be fought. Once that confrontation ended, there was no room for non-alignment. It was not obvious what one is non-aligning with anymore.

But now when the contours of a new Cold War are apparent, the need for an organization grouping countries that do not want to be involved in it (and including, somewhat incongruously, and for historical reasons, countries that are in war or conflict with NATO and the West, namely Russia and China) had naturally re-emerged. Many commentators dismiss the new BRICS because they dislike the idea of the formerly Third World nations, whose economic importance has risen, getting together. They fear the grouping will, in some economic areas like de-dollarization or international infrastructure finance, challenge Western supremacy. Other, as I mentioned, very wrongly believe that any grouping must be based on some shared ideas, values, interests, or on hegemonic pressure. Not finding any of the four among BRICS, they dismiss them. Indeed, if BRICS could have more in common they would be stronger. But they do not, and cannot have—for various historical, political or cultural reasons. Yet, the fact that an increasing number of countries want to join BRICS cannot be ignored or taken lightly. BRICS’ refusing to participate in new global trade, proxy or actual wars may make such wars less likely. And BRICS’ economic clout may help reduce some of the glaring economic imbalances between the rich, middle-income, and poor nations across the world.

 

Il BRICS e il non-allineamento oggi,

di Branko Milanovic [1]

 

L’espansione della partecipazione al BRICS è direttamente connessa alla espansione della NATO e delle alleanze del genere della NATO in tutto il mondo. Quando questa affermazione viene letta superficialmente senza comprendere cosa comporta, sembra sbagliata: le due organizzazioni non potrebbero essere più diverse. La nuova NATO globalizzata è una alleanza gerarchica, monolitica e militare. Nessuno dei quattro termini ha significato nel caso del BRICS. Il BRICS non è gerarchico; i membri sono estremamente eterogenei e spesso in disaccordo politico gli uni con gli altri; gli obbiettivi del BRICS non sono militari ed essa non è una alleanza ma una semplice organizzazione. Mentre due dei nove membri del BRICS sono in aperto o tacito conflitto con l’Occidente, gli altri non lo sono. Il BRICS non è un contrappeso all’Occidente o alla NATO. Eppure è in crescita in reazione alla globalizzazione della NATO. Perché? Perché è l’unico posto nel quale le nazioni non interessate a partecipare alla nuova Guerra Fredda, o persino ad una possibile guerra calda tra le superpotenze, possono “rifugiarsi” allo scopo di non  dover scegliere di schierarsi.

È una profonda incomprensione di quello che è il BRICS, cercare comunanze tra i membri e non trovandole liquidare l’organizzazione. Guardare alle comunanze talvolta ha senso – ma non sempre. Esaminiamo alcuni precedenti storici. Possiamo pensare alle organizzazioni politiche internazionali in termini affermativi, ovvero a paesi che si legano assieme in quanto credono in un complesso di cose comuni (che essi potrebbero considerare valori). Quando i nazisti crearono il Patto Anti-Comintern (il patto tripartito), i paesi membri, che abbracciavano due continenti, credevano nel nazionalismo e nella lotta al comunismo; quando venne formata la NATO nel 1949, i paesi membri credevano nella democrazia e nel contenimento dell’Unione Sovietica; quando il Patto di Varsavia venne formato nel 1955, i paesi membri credevano nell’espansione del comunismo, o almeno nella sua difesa nell’area che allora governavano.

Ma quando il movimento dei non-allineati, o successivamente il Gruppo 77 [2], venne formato nella fine degli anni ‘950 e nei primi anni ‘960 (si notino le date!), i membri non possedevano un programma positivo simile a quelli che ho appena elencato. La loro agenda era ‘negativa’: essi non volevano dover scegliere di schierarsi nella Guerra Fredda intrapresa tra l’Occidente e l’Oriente. Volevano restarne fuori. Molte persone non riuscivano a comprendere la logica del non-allineamento, precisamente perché non riuscivano a comprendere che si potesse creare una organizzazione composta di paesi eterogenei che su molti temi potevano non essere d’accordo, eppure trovavano utile, per ragioni geopolitiche, mettersi assieme in una associazione non rigida. Il non-allineamento non piaceva né all’Unione Sovietica né agli Stati Uniti. I sovietici credevano che fosse superfluo perché l’URSS era “l’alleato naturale” del Terzo Mondo e della decolonizzazione e piuttosto che mettersi assieme in una nuova organizzazione, i paesi del Terzo Mondo avrebbero semplicemente dovuto sostenere il blocco sovietico. Gli Stati Uniti consideravano il non-allineamento come poco meglio di un tradimento: paesi che stabilivano un equivalenza tra democrazia e tirannia. John Lewis Gadis, lo storico statunitense della Guerra Fredda, appena maschera il suo disprezzo per il movimento e quando si degna di citarlo, lo chiama “il cosiddetto movimento del ‘non-allineamento’”.

Di fatto, il movimento terminò con la fine della Guerra Fredda. Questo mostra anche quale fosse il suo ruolo: essere una zona di cuscinetto durante il confronto globale tra Stati Uniti e Unione Sovietica e minimizzare la probabilità che i suoi membri diventassero il terreno sul quale potevano essere combattute guerre per procura. Una volta che il confronto terminò, non ci fu alcuno spazio per il non-allineamento. Non era più evidente cosa fosse chi non si allineava.

Ma nel momento in cui si delineano i contorni di una nuova Guerra Fredda, il bisogno di una organizzazione dei paesi che non vogliono essere coinvolti in essa (anche compresi, in modo un po’ incongruo, e per ragioni storiche, paesi che sono in guerra o in conflitto con la NATO e l’Occidente, precisamente la Russia e la Cina) doveva riemergere naturalmente. Molti commentatori liquidano il nuovo BRICS perché non gradiscono l’idea che le nazioni un tempo del Terzo Mondo, la cui importanza economica è cresciuta, si mettano assieme. Temono che il raggruppamento, in alcune aree economiche come la dedollarizzazione o la finanza infrastrutturale internazionale, sfiderà la supremazia occidentale. Altri, come ho ricordato, credono in modo del tutto errato che ogni raggruppamento debba basarsi su alcune idee, valori, interessi condivisi, oppure su un spinta egemonica. Non trovando nessuno di questi quattro elementi nel BRICS, lo rigettano. In effetti, se il BRICS potesse avere qualcosa di più in comune, sarebbe più forte. Ma non lo ha né può averlo – per varie ragioni storiche, politiche o culturali. Tuttavia il fatto che un numero crescente di paesi voglia aderire al BRICS non può essere ignorato o preso alla leggera. Il rifiuto del BRICS di partecipare, nel nuovo commercio globale, a guerre per procura o effettive può rendere tali guerre meno probabili. E l’influenza economica del BRICS può contribuire a ridurre alcuni dei più eclatanti squilibri economici tra i paesi ricchi, di medio reddito e le nazioni povere del mondo.

 

 

 

 

 

 

[1] Tradurre il termine “BRICS” pone un curioso problema di grammatica: va considerato un termine al singolare – come si considera singolare la “NATO”, ad esempio – oppure deve essere considerato come un termine plurale, intendendo la “S” finale come un specificazione della sua pluralità (in pratica, “ i BRIC”).

In realtà, l’acronimo originale era proprio “BRIC” e venne coniato nel 2001 dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill per descrivere le economie in rapida crescita che avrebbero dominato collettivamente l’economia globale entro il 2050, che a quel tempo includevano Brasile, Russia, India e Cina. Ma nel 2010 si è aggiunto il Sudafrica e nel termine che da allora è in voga pare evidente che la S finale, maiuscola, stia ad indicare la nuova nazione aderente (in effetti, se si volesse intendere una specificazione al plurale, correttamente si dovrebbe scrivere “BRICs”).

Quindi io considero BRICS come un acronimo per i cinque paesi, Sudafrica aggiunto, che denomina un’organizzazione, quindi lo considero un termine al singolare, mentre il testo di Milanovic lo considera talora un termine singolare (“BRICS is not hierarchical …”) e talaltra plurale (ad esempio:“Not finding any of the four among BRICS, they dismiss them.”). Lo segnalo non per pedanteria, ma perché è piuttosto frequente trovare nei testi in italiano il termine “i BRICS” …

[2] Il gruppo dei 77 nacque il 15 giugno 1964, dai 77 paesi in via di sviluppo firmatari della “Dichiarazione unitaria dei 77 stati”, sottoscritta alla prima sessione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo e il Commercio (UNCTAD) svoltasi a Ginevra. Il primo incontro si tenne ad Algeri dal 10 al 25 ottobre 1967 e gli stati membri approvarono l’adozione della “Carta di Algeri”, una struttura istituzionale permanente che si sviluppò gradualmente, con l’obiettivo di creare le Sezioni del Gruppo dei 77, tramite gli uffici di collaborazione presenti a Ginevra (UNCTAD), Nairobi (UNEP), Parigi (UNESCO), Roma (FAO), Vienna (UNIDO), Washington D.C. (Gruppo dei 24). Attualmente gli Stati membri sono 134. Wikipedia.

 

 

 

 

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