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Gli alti costi delle nuove tariffe statunitensi sui veicoli elettrici della Cina, di Pinelopi Koujianou Goldberg (da Project Syndicate, 22 maggio 2024) (

 

May 22, 2024

The High Costs of the New US Tariffs on Chinese EVs

PINELOPI KOUJIANOU GOLDBERG

penelope

NEW HAVEN – President Joe Biden’s administration has just announced 100% tariffs on electric vehicles (EVs) manufactured in China, prompting Donald Trump to promise a 200% tariff on Chinese cars made in Mexico if he is elected in November. Neither policy would have notable effects on the US car market, because imports of Chinese EVs are miniscule, owing to past tariffs and the anti-Chinese sentiment that has gripped the country in recent years. Nonetheless, the announcement is significant for three reasons.

First, the latest tariffs – which include steep increases for several other products, ranging from semiconductors to needles and syringes – are the final nail in the coffin of US-China trade cooperation. Denials of a complete decoupling can be put to rest. Gone is any pretense that America is merely erecting a “high fence” around a “small yard,” or trying to manage national-security risks without endangering bilateral economic cooperation. The United States and China are now in a full-blown economic war – one that will have far-reaching geopolitical consequences.

Second, the tariffs signal defeat. Trailing in the polls as this year’s election approaches, Biden and his team feel obliged to join the anti-China, anti-trade fervor that has emerged as one of the very few unifying issues in a polarized country. Moreover, the tariffs, combined with US complaints that China is producing too much and putting pressure on the global economic system, speak to a deep-seated anxiety about America’s international competitiveness.

These worries come despite earlier tariffs, export restrictions, and the aggressive industrial policy being pursued through the CHIPS and Science Act and the Inflation Reduction Act (IRA). By escalating the trade war, the administration is effectively admitting that these previous policies have not (yet) delivered, and that China is galloping ahead despite facing headwinds. Even if the tariffs are largely symbolic, they are a symbol of weakness.

Third, and perhaps most importantly, EV tariffs seriously undermine the broader climate-change agenda. Experts agree that time is of the essence in reducing greenhouse-gas (GHG) emissions. With every passing year of inaction, the costs of climate change increase, bringing us closer to dangerous planetary tipping points. Absent carbon pricing, which has proven politically infeasible in the US, the decarbonization of transportation has long been a worthwhile second-best alternative.

China is by far the most price-competitive EV producer, owing to aggressive consumer subsidies that started in 2010, big investments in charging infrastructure, and domestic content requirements that favor batteries from Chinese producers. With these policies, China has been able to benefit from network externalities and learning-by-doing.

Several provisions of the IRA and the European Green Deal – including domestic content requirements – aim to emulate China’s success. But the US and Europe start with a big cost disadvantage relative to China; and while one can debate whether China’s past use of domestic content requirements was “fair,” the fact remains that its EV industry is more competitive (especially in the lower-priced segment of the market).

Since we cannot rewrite history, we should try to take advantage of the circumstances that history has created. From a climate perspective, availing ourselves of cheaply produced Chinese EVs would have been a step in the right direction. But now, tariffs will delay EV adoption and could imperil the entire EV market. In the best-case scenario, US and European producers will catch up, but only after many years. In the worst-case scenario, US consumers will simply give up on EVs, repelled by the higher costs associated with manufacturing them in Western countries.

Apart from the direct consequences for GHG emissions, tariffs on EVs also expose the hypocrisy of some climate-change advocates, further undermining the cause. The Biden administration is saying that climate policies are fine if they promote the interests of domestic workers in advanced economies, but not if they happen to benefit China. Many in the West may consider this calculation acceptable. But it will be much harder to pressure less affluent countries, such as India, to adopt green policies that may be costly in the short run. If the US and Europe are not willing to put the environment ahead of their short-term economic interests, why should anyone else?

It should be obvious by now that recent efforts to promote domestic economic interests through trade protection have failed to produce the desired results. Yet every time one set of measures disappoints, the US escalates the conflict in the hope that additional restrictions will prove more effective. In the process, it undermines the very causes it stands for (in this case, addressing climate change).

The best way to stay ahead of rivals is not to trip them; it is to run faster by concentrating on what one does best. For the US, that means promoting research and development, stimulating the creation and exchange of new ideas, encouraging innovation, and taking advantage of international talent. America should focus on creating the next Tesla, not on costly, futile efforts to outcompete low-cost rivals.

 

Gli alti costi delle nuove tariffe statunitensi sui veicoli elettrici della Cina,

di Pinelopi Koujianou Goldberg 

 

NEW HAVEN – L’Amministrazione del Presidente Joe Biden ha appena annunciato tariffe del 100% sui veicoli elettrici (EV) prodotti in Cina, inducendo Donald Trump a promettere una tariffa del 200% sulle auto cinesi prodotte in Messico, se verrà eletto a novembre. Nessuna delle due politiche avrà effetti considerevoli sul mercato statunitense delle automobili, perché le importazioni dei EV  cinesi sono minuscole, a seguito delle passate tariffe e del sentimento anticinese che ha contagiato il paese negli anni recenti. Ciononostante, l’annuncio è significativo per tre ragioni.

La prima: le ultime tariffe – che includevano aumenti esosi per altri vari prodotti, in una gamma che va dai semiconduttori agli aghi e alle siringhe – sono il chiodo definitivo sulla bara della cooperazione commerciale tra Stati Uniti e Cina. I discorsi che negano un completo disaccoppiamento possono essere messi a tacere. Se ne è andata ogni pretesa secondo la quale l’America starebbe semplicemente alzando un’ “alta recinzione” attorno ad un “piccolo cortile”, o cercando di gestire i rischi della sicurezza nazionale senza mettere a rischio la cooperazione economica bilaterale. Gli Stati Uniti e la Cina sono adesso in una guerra economica conclamata – una di quelle che avranno conseguenze geopolitiche di vasta portata.

La seconda ragione è che le tariffe segnalano una sconfitta. In svantaggio sui sondaggi nel mentre si avvicinano le elezioni di quest’anno, Biden e la sua squadra si sentono obbligati ad aderire al fervore contro la Cina e contro il commercio che è emerso come uno dei pochissimi temi unificanti in una paese polarizzato. Inoltre, le tariffe, associate alle lamentele statunitensi secondo le quali la Cina sta producendo troppo e mettendo pressione sul sistema economico globale, parlano ad un ansietà profonda sulla competitività internazionale dell’America.

Questi timori si presentano nonostante le precedenti tariffe, le restrizioni alle esportazioni e aggressiva politica perseguita attraverso la Legge sui semiconduttori e ls scienza e la Legge sulla riduzione dell’inflazione (IRA). Accrescendo la guerra commerciale, la Amministrazione in effetti sta riconoscendo che queste precedenti politiche non hanno (ancora) prodotto gli effetti e che la Cina sta procedendo di gran lena, nonostante sia di fronte a venti contrari. Anche se le tariffe sono ampiamente simboliche, sono un simbolo di debolezza.

La terza ragione, e forse la più importante, è che le tariffe sugli EV mettono seriamente a repentaglio la più generale agenda sul cambiamento climatico. Gli esperti concordano che questo è il periodo fondamentale nella riduzione delle emissioni dei gas serra (GHG). Ogni anno di inerzia che passa, i costi del cambiamento climatico aumentano, avvicinandoci a pericolosi  punti di svolta planetari. In assenza della fissazione di un prezzo sul carbonio, che negli Stati Uniti si è dimostrato politicamente non fattibile, la decarbonizzazione dei trasporti è stata da tempo una apprezzabile alternativa di seconda scelta.

La Cina è di gran lunga la produttrice più competitiva sui prezzi dei veicoli elettrici, a seguito di aggressivi sussidi al consumo che sono partiti nel 2010, di grandi investimenti nelle infrastrutture di ricarica e di ‘requisiti di contenuto nazionale’ che favoriscono le batterie dei produttori cinesi. Con queste politiche, la Cina è stata capace di trarre beneficio dalle esternalità di rete e dall’apprendere con l’esperienza.

Varie misure dell’IRA e dell’Accordo Verde Europeo – compresi i requisiti di contenuto interno – sono indirizzate ad emulare il successo della Cina. Ma gli Stati Uniti e l’Europa partono con un grande svantaggio di costi rispetto alla Cina; e mentre si può discutere se l’utilizzo passato dei ‘requisiti di contenuto nazionale’ sia stato “onesto”, resta il fatto che la sua industria dei veicoli elettrici è più competitiva (in particolare nel segmento di mercato con prezzi più bassi).

Dal momento che non si può riscrivere la storia, dovremmo cercare di trarre vantaggio dalle circostanze che la storia ha creato. In una prospettiva climatica, impiegare noi stessi veicoli elettrici di produzione cinese sarebbe stato un passo nella direzione giusta. Ma adesso le tariffe ritarderanno l’adozione dei veicoli elettrici e potrebbero mettere a rischio l’intero loro mercato. Nello scenario migliore, i produttori statunitensi ed europei si metteranno al passo, ma solo dopo molti anni. Nello scenario peggiore, i consumatori statunitensi semplicemente rinunceranno ai veicoli elettrici, respinti dai costi più alti connessi con la produzione nei paesi occidentali.

A parte le conseguenze dirette per le emissioni dei gas serra, le tariffe sui veicoli elettrici mettono anche in evidenza l’ipocrisia di alcuni sostenitori del cambiamento climatico, ulteriormente mettendo in crisi quella causa. L’Amministrazione Biden sta dicendo che le politiche sul clima sono buone se promuovono gli interessi dei lavoratori all’interno delle economie avanzate, ma non se accade che esse beneficino la Cina. Molti in Occidente possono considerare accettabile questo calcolo. Ma sarà molto più difficile spingere i paesi meni ricchi, come l’India, ad adottare politiche verdi che nel breve periodo possono essere costose. Se gli Stati Uniti e l’Europa non sono disponibili a mettere l’ambiente sopra i loro interessi economici a breve termine, perché dovrebbe farlo chiunque altro?

Per adesso, dovrebbe essere evidente che i recenti sforzi di promuovere gli interessi economici nazionali attraverso la protezione commerciale non sono riusciti a produrre i risultati sperati. Tuttavia ogni volta che un complesso di misure delude, gli Stati Uniti accrescono i conflitto nella speranza che restrizioni aggiuntive si mostrino più efficaci. Nel corso del processo, essi mettono a repentaglio proprio le cause per la quali prendono posizione (in questo caso, affrontare il cambiamento climatico).

Il miglior modo per sopravanzare i rivali non è far loro lo sgambetto; è correre più veloci concentrandosi su quello che si fa meglio. Per gli Stati Uniti, questo comporta promuovere la ricerca e lo sviluppo, stimolare la creazione e lo scambio di idee nuove, incoraggiare l’innovazione e trarre vantaggio dai talenti internazionali. L’America dovrebbe concentrarsi nel creare la prossima Tesla, non su sforzi costosi e inutili per superare i rivali con bassi costi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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