BERKELEY – Inflation in the United States is lower than it was a year ago, and substantial economic weakness elsewhere is driving other central banks toward interest-rate cuts. With little empirical basis to believe that US monetary policy is not restrictive, I continue to believe that in 18 months, the US Federal Reserve will have wished that it had started cutting rates in January 2024.
Back then, the Carter administration’s nominal GDP forecast had been dead-on, real growth came in two percentage points low, and inflation came in two percentage points high. Then came the Iranian Revolution and the second major oil-price spike of the decade, leading ultimately to the “neoliberal turn,” the Volcker disinflation (when the Fed hiked rates to 20%), and Latin America’s “lost decade.” To those who worry that history will rhyme, keeping interest rates too high for too long is a risk worth taking.
But even if you are an inflation hawk, why would you worry most about a premature lowering of rates? Is a recurrence of 1977-82 really the scenario that should keep you up at night? With Donald Trump seeking to return to the White House, surely there is a much bigger risk on the horizon. Among other things, Trump has promised to impose significantly higher tariffs than Biden has. And while Biden at least has national-security and industrial-policy rationales for his trade policies, Trump would pursue random, chaotic, corruption-ridden interventions that are almost certain to be substantially inflationary.
Moreover, Trump is keen to remove Fed Chair Jerome Powell through untested legal means, so that he can either install a loyal crony or at least set off a fight with Congress in which he can appear to be challenging the “establishment.” He is also itching to mobilize social-media mobs, if not real-world insurrectionist terrorists, against Fed governors and bank presidents who refuse to lower interest rates at his command.
Far from hyperbole, this threat of political violence is a familiar issue in Washington today. As journalist McKay Coppins writes in his recent book on Mitt Romney: “One Republican congressman confided to Romney that he wanted to vote for impeachment, but declined out of fear for his family’s safety. The congressman reasoned that Trump would be impeached by House Democrats with or without him – why put his wife and children at risk if it wouldn’t change the outcome?”
This would be a MAGA rerun of Andrew Jackson’s Bank War in the 1830s, when the president ultimately succeeded in killing off the Second Bank of the United States, arguing that it benefited a wealthy elite at the expense of the American people. In fact, the Bank War ultimately brought financial disruption, commercial bankruptcies, and deflation, thus destroying some share of national wealth and shifting the rest from entrepreneurial debtors to already-rich creditors.
True, later historians argued that Jackson’s battle against the oligarchy of Philadelphia bankers led by the Second Bank’s president, Nicholas Biddle, prefigured Franklin D. Roosevelt’s battle against “economic royalists” a century later during the New Deal. And yet, nothing is better for already-rich heirs and heiresses than general deflation. Should Trump return to the White House and launch a Fed War, the effect would be as economically damaging as Jackson’s Bank War. But, like the Bank War, the effort would probably be popular with his base.
Is this all overblown? Bill Dudley, the former president of the Federal Reserve Bank of New York, recently downplayed the risk that Trump would pose to Fed operations, arguing that the next president will appoint only two of the Federal Open Market Committee’s 12 voting members. I am less sanguine. Fed governors and bank presidents who do not feel like spending $5,000 a day on security might be induced to resign. And while the Fed chair can be dismissed only “for cause” (inefficiency, neglect of duty, or malfeasance), the conservative majority on the Supreme Court has demonstrated that its commitment to precedent, original intent, or the black-letter meaning of statutes cannot be taken seriously.
Moreover, Dudley himself recognizes that another Trump presidency would be damaging enough, regardless of what he manages to get away with: “The dollar has become the world’s reserve currency and a stable store of value thanks to prudent economic management, a strong rule of law, deep and liquid capital markets, and free movement of capital. If efforts to control the Fed threatened these key attributes, the dollar would likely weaken, stock markets would decline and risk premia on US fixed income assets would increase, impairing the country’s economic health.”
For now, Powell and the FOMC are doing their best to make marginal adjustments to interest rates and financial conditions to keep the economy in its soft-landing, slowing-on-the-runway groove. The biggest threats to monetary and economic stability right now have nothing to do with what they decide at their next meeting. If inflation hawks are serious about price stability and the long-term economic outlook, they should be much more worried about the return of Trumpism.
La minaccia della trumpflazione e la guerra alla Fed,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – L’inflazione negli Stati Uniti è più bassa di un anno fa e una sostanziale debolezza economica altrove sta spingendo altre banche centrali verso tagli ai tassi di interesse. Avendo poche basi empiriche per credere che la politica monetaria statunitense non sia restrittiva, io continuo a pensare che tra 18 mesi, la Federal Reserve statunitense dovrà dolersi di non aver cominciato a tagliare i tassi a gennaio del 2024.
Se ho ragione, gli Stati Uniti non sono indirizzati su un sentiero di atterraggio morbido; essi sono già sulla pista di atterraggio, seppure con un timone della politica monetaria che vira bruscamente verso una contrazione, piuttosto che mantenendosi in una lineare posizione neutrale. Tuttavia molti commentatori e dirigenti della Fed continuano a credere che i tassi di interesse dovrebbero restare ai loro relativamente alti tassi di interesse, giacché essi sono stati stabiliti nel periodo 1977-79, quando un tasso di inflazione prossimo alla stabilizzazione finì fuori controllo.
A quei tempi, la previsione del PIL nominale dell’Amministrazione Carter era stata azzeccata, la crescita reale si abbassò di due punti percentuali e l’inflazione si alzò di due punti percentuali. Fu allora che avvenne la Rivoluzione Iraniana e la seconda maggiore impennata nel decennio del prezzo del petrolio, che in ultima analisi portò alla “svolta neoliberista”, alla disinflazione Volcker (quando la Fed alzò i tassi sino al 20%) e al “decennio perso” dell’America Latina. Per coloro che si preoccupano che la storia si ripeta, mantenere i tassi di interesse troppo alti e troppo a lungo può essere il rischio giusto.
Ma anche se siete dei falchi dell’inflazione, perché preoccuparvi di un prematuro abbassamento dei tassi? Lo scenario che dovrebbe non farvi dormire la notte è davvero un ripetersi del 1977-79? Con Donald Trump che cerca di tornare alla Casa Bianca di sicuro all’orizzonte c’è un rischio molto maggiore. Tra le altre cose, Trump ha promesso di imporre tariffe significativamente più alte di quelle decise da Biden. E mentre Biden ha almeno le giustificazioni della sicurezza nazionale e della politica industriale per le sue scelte commerciali, Trump perseguirebbe interventi casuali, caotici, influenzati dalla corruzione, che quasi certamente sarebbero sostanzialmente inflazionistici.
Inoltre, Trump è incline a rimuovere il Presidente della Fed Jerome Powell tramite indimostrate modalità legali, in modo che egli possa o installare un fedele compare o almeno provocare una battaglia con il Congresso nella quale possa apparire come lo sfidante dell’ “apparato”. Egli peraltro non vede l’ora di mobilitare assalti dei social-media, se non proprio terroristi insurrezionalisti in carne ed ossa, contro i Governatori della Fed ed i presidenti delle banche che si rifiutassero di abbassare i tassi di interesse al suo ordine.
Lungi dall’essere una iperbole, questa minaccia di violenza politica è un tema familiare nella Washington di oggi. Come il giornalista McKay Coppins scrive nel suo recente libro su Mitt Romney: “Un congressista repubblicano confidò a Romney che voleva votare a favore dell’impeachment, ma ci rinunciò per paura della sicurezza della sua famiglia. Il congressista pensò che Trump sarebbe stato costretto alle dimissioni con o senza lui – perché mettere a rischio sua moglie ed i suoi figli se il risultato sarebbe stato il medesimo?”
Questa sarebbe una riedizione della Guerra Bancaria di Andrew Jackson degli anni ‘830, quando il Presidente alla fine ebbe successo nel liberarsi della Seconda Banca degli Stati Uniti, sostenendo che da essa traeva beneficio una elite di ricchi a spese del popolo americano. Di fatto, la Guerra Bancaria in ultima analisi portò a gravi turbative finanziarie, a fallimenti nel settore commerciale ed alla deflazione, distruggendo in tal modo una parte della ricchezza nazionale e spostando il resto da imprenditori indebitati a creditori già ricchi.
È vero: storici più recenti hanno sostenuto che la battaglia di Jackson contro l’oligarchia dei banchieri di Filadelfia guidata dal Presidente della Seconda Banca, Nicholas Biddle, prefigurò la battaglia di Franklin D. Roosevelt un secolo dopo, durante il New Deal, contro i “monarchici economici”. E tuttavia, niente è meglio per gli ereditieri e le ereditiere già ricchi che una deflazione generale. Se Trump dovesse tornare alla Casa Bianca e lanciare una Guerra alla Fed, l’effetto sarebbe dannoso economicamente come la Guerra Bancaria di Jackson. Ma, come la Guerra Bancaria, lo sforzo sarebbe probabilmente popolare tra la sua base.
Tutto questo è esagerato? Bill Dudley, il passato Presidente della Banca della Federal Reserve di New York, recentemente ha minimizzato il rischio che Trump costituirebbe per le operazioni della Fed, sostenendo che il prossimo Presidente nominerà soltanto due dei 12 componenti votanti del Comitato Federale a Mercato Aperto (FOMC). Io sono meno ottimista. I Governatori della Fed ed i presidenti delle banche che non gradiscono di spendere 5.000 dollari al giorno per la sicurezza, potrebbero essere indotti alle dimissioni. E mentre il Presidente della Fed può essere licenziato solo per “giusta causa” (inefficienza, negligenza verso i suoi doveri e cattiva condotta), la maggioranza conservatrice della Corte Suprema ha dimostrato che il suo impegno verso un precedente originario intento, ovvero la lettera di chiarimenti sul significato degli statuti, non può essere preso sul serio.
Inoltre, lo stesso Dudley riconosce che un’altra Presidenza di Trump sarebbe sufficientemente dannosa, a prescindere da quanto egli riesca a cavarsela: “Il dollaro è diventato la riserva valutaria del mondo e uno stabile deposito di valore grazie alla prudente gestione economica, ad un forte stato di diritto, a mercati dei capitali profondi e liquidi ed al libero movimento dei capitali. Se gli sforzi per controllare la Fed minacciassero questi principali attributi, i mercati azionari declinerebbero e i premi di rischio sulle attività a reddito fisso statunitensi aumenterebbero, danneggiando la salute economica del paese”.
Per adesso, Powell e il FOMC stanno facendo del loro meglio per correggere in modo marginale i tassi di interesse e le condizioni finanziarie per mantenere l’economia nel suo atterraggio morbido, rallentandola sul solco della pista. In questo momento, le più grandi minacce alla stabilità monetaria ed economica non hanno niente ache fare con quello che essi decidono nel loro prossimo incontro. Se i falchi dell’inflazione sono seri sulla stabilità dei prezzi e sulle previsioni economiche a lungo termine, essi dovrebbero essere molto più preoccupati per un ritorno del trumpismo.
By mm
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