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Per uno Stato binazionale israelo-palestinese, di Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 14 maggio 2024)

 

PUBLIÉ LE14 MAI 2024

For a binational Israeli-Palestinian State

Thomas Piketty

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Can a two-state solution in Israel-Palestine still be reached and under what conditions would it be viable? A word of optimism first: There are many citizen peace movements in both Israel and Palestine who tenaciously and imaginatively advocate peaceful, democratic solutions. Unfortunately, these groups are in a minority, and without powerful external support they have little chances of prevailing.

To break the stalemate, it’s time for the European Union and the US, which between them absorb almost 70% of Israeli exports, to match rhetoric with action. If Western governments truly support the two-state solution, then sanctions must be imposed on the Israeli government, which is openly trampling all peaceful prospects by pursuing settlement and repression and opposing recognition of the Palestinian state.

In other words, military aid must stop, and above all the US and Europe must hit Netanyahu and his allies in the wallet. This means introducing trade and financial sanctions, gradually increasing to dissuasive levels. The academic boycott of universities that has been started will not be enough, and may prove counter-productive. It is often on campuses that the main opponents of the Israeli right can be found, and in many cases the right will be delighted to weaken them and cut them off from the outside world. At the same time as imposing sanctions on Israel, Europe and the US must put in place implacable and dissuasive sanctions against Hamas and its external supporters, and decisively strengthen representative and democratic Palestinian organizations.

This major external involvement, which ideally should bring together Western countries and a coalition of countries from the South, is all the more essential given that no two-state solution will be possible without a strong confederate structure – a form of Israeli-Palestinian Union, similar to the European Union – covering both states and guaranteeing a certain number of fundamental rights. The two territories and populations are deeply intertwined, due to the scale of Jewish settlement in the West Bank, the large number of Palestinian workers employed in Israel with family ties to Israeli Arabs, and the non-contiguity of the Palestinian territories. To begin with, the Israeli-Palestinian Union would have to guarantee freedom of movement and establish a minimum basis of social and political rights for Israelis living or working in Palestine, as well as for Palestinians living or working in Israel. One of the most successful projects along these lines is that developed by the remarkable Israeli-Palestinian citizen movement A Land for All, too often ignored abroad.

Eventually, this confederate structure could become a genuine bi-national Israeli-Palestinian state treating all its citizens equally, regardless of their origins, beliefs or religions. But for the process to get underway, extremely strong external pressure will be essential, backed up by substantial financial resources (but well within the reach of Europe or the US) and a multinational force to enforce the agreement and disarm Hamas and extremist groups on both sides.

The challenges may seem immense, but what’s the alternative? To wait peacefully for the open slaughter of Palestinian civilians to reach 40,000 dead, then 50,000 dead, then 100,000 dead? The moral and political cost of Western inaction is exorbitant. It can be explained first and foremost by the navel-gazing of European and American societies, too preoccupied with their own divisions to take any real interest in constructive solutions in Israel-Palestine. There is, of course, the old anti-Semitism, never extinguished and always ready to be rekindled, based on ignorance and misunderstanding of the other. Every Jew is accused of complicity with Israeli generals, just as stupidly as every Muslim is suspected of complicity with jihadists.

What’s also new is the shameful instrumentalization of the fight against anti-Semitism. On the right and now also in the center, pro-Palestinian mobilizations are immediately branded as anti-Semitic – even by notorious anti-Semites – and associated with an imaginary Islamo-Leftism, without any concern for the reality of the speeches and proposals. The fact that there are provocateurs ready to play with fire in all camps is obvious, but it’s always possible to distance oneself clearly and focus on what counts. Unfortunately, fear (not to say hatred) of Islam and European Muslims sometimes seems to block any calm reflection. Accusations of anti-Semitism allow us to clear our consciences while turning a blind eye to the ongoing massacres.

In the US, the Muslim minority is smaller than in Europe and causes less tension, but the political reflexes are the same, with the added bonus of a Messianic, semi-delusional mobilization of evangelical Christians in favor of Israel. Conversely, a large proportion of Jewish students and secular Jews of all ages are now mobilizing across the Atlantic for Palestinian rights. This is the main reason for hope. On both sides of the Atlantic, young people are rejecting old divisions as well as new hatreds. They see clearly that what is at stake in Israel-Palestine is the possibility of living together beyond our origins. It is on this hope that we must build the future.

 

Per uno Stato binazionale israelo-palestinese,

di Thomas Piketty

 

Può una soluzione dei due Stati in Israele-Palestina essere ancora raggiunta e a quali condizioni essa sarebbe possibile? Anzitutto una parola di ottimismo: ci sono molti movimenti di cittadini per la pace sia in Israele che in Palestina che sostengono con tenacia e con la forza dell’immaginazione soluzioni pacifiche e democratiche. Purtroppo, questi gruppi sono una minoranza e senza un potente sostegno esterno hanno poche possibilità di prevalere.

Per superare lo stallo, è tempo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti, che assieme assorbono quasi il 70% delle esportazioni israeliane, appaino alla retorica l’iniziativa. Se i Governi occidentali sostengono davvero la soluzione dei due Stati, allora devono essere imposte sanzioni sul Governo israeliano, che sta apertamente calpestando ogni prospettiva pacifica perseguendo gli insediamenti e la repressione e opponendosi al riconoscimento dello Stato palestinese.

In altre parole, l’aiuto militare deve essere interrotto, e soprattutto gli Stati Uniti e l’Europa devono colpire Netanyahu nel portafoglio. Questo comporta introdurre sanzioni commerciali e finanziarie, incrementandole gradualmente sino a livelli dissuasivi. Il boicottaggio accademico delle università che è cominciato non sarà sufficiente, e può mostrarsi controproducente. È spesso nelle università che si possono trovare i principali oppositori della destra israeliana, e in molti casi quella destra sarà compiaciuta di indebolirli e di tagliarli fuori dal mondo esterno. Nello stesso tempo, nel mentre impongono sanzioni su Israele, l’Europa e gli Stati Uniti debbono mettere in atto sanzioni implacabili e dissuasive contro Hamas ed i suoi sostenitori esterni, e rafforzare in modo sostanziale le organizzazioni palestinesi rappresentative e democratiche.

Questo importante coinvolgimento esterno, che idealmente dovrebbe mettere assieme paesi occidentali ed una coalizione di paesi del Sud, è ancora più essenziale considerato che nessuna soluzione dei due Stati sarà possibile senza una forte struttura confederale – una forma di Unione Israelo-Palestinese simile all’Unione Europea – che riguardi entrambi gli Stati e garantisca un certo numero di fondamentali diritti. I due territori e le due popolazioni sono profondamente interconnesse, a seguito della dimensione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, del gran numero di operai palestinesi occupati in Israele con legami familiari con  gli arabi israeliani e della non contiguità dei territori palestinesi. Come punto di partenza, l’Unione israelo palestinese dovrebbe garantire la libertà di movimento e stabilire una basa minima di diritti sociali e politici per gli israeliani che vivono o lavorano in Palestina come per i palestinesi che vivono o lavorano in Israele. Uno dei progetti di maggiore successo di questo genere è quello sviluppato dal movimento israelo palestinese di cittadini Una terra per tutti, troppo spesso ignorato all’estero.

Ala fine, questa struttura confederata potrebbe diventare un effettivo Stato israelo palestinese che tratta tutti i suoi cittadini egualmente, a prescindere dalle loro origini, fedi o religioni. Ma perché il processo abbia un radicamento, sarà essenziale una forte pressione esterna, sostenuta da risorse finanziarie sostanziali (seppure bene all’interno della disponibilità dell’Europa e degli Stati Uniti) e di una forza internazionale che faccia rispettare l’accordo e disarmi Hamas ed i gruppi estremisti di entrambi gli schieramenti.

La sfida può apparire immensa, ma quale è l’alternativa? Aspettare tranquillamente che il massacro dei civili palestinesi raggiunga i 40.000 morti, poi i 50.000 morti, poi i 100.000 morti? Il costo morale e politica dell’inerzia occidentale è esorbitante. Esso può essere spiegato anzitutto e soprattutto dall’egoismo delle società europee ed americana, troppo preoccupate per le loro divisioni per assumere un qualche reale interesse a soluzioni costruttive in Israele-Palestina. C’è ovviamente il vecchio antisemitismo, mai estinto e sempre pronto ad essere rinfocolato, basato sull’ignoranza e sull’incomprensione dell’altro. Ogni ebreo viene accusato di complicità con i generali israeliani, precisamente come stupidamente ogni musulmano viene sospettato di complicità con i jihadisti.

Quello che anche è nuova è la vergognosa strumentalizzazione della lotta contro un certo antisemitismo. A destra e adesso anche al centro, le mobilitazioni a favore dei palestinesi vengono immediatamente etichettate come antisemite – persino da notori antisemiti – e associate con un immaginario sinistrismo islamico, senza curarsi per nulla della realtà dei discorsi e delle proposte. Il fatto che ci siano provocatori disposti a giocare col fuoco in tutti i campi è evidente, ma è sempre possibile prenderne le distanze chiaramente e concentrarsi su quello che conta. Sfortunatamente il timore (per non dire l’odio) dell’Islam e dei musulmani europei pare che impedisca qualsiasi calma riflessione. Le accuse di antisemitismo ci permettono di ripulire le nostre coscienze mentre si resta ciechi verso i perduranti massacri.

Negli Stati Uniti la minoranza musulmana è più piccola che in Europa e provoca minori tensioni, ma i riflessi politici sono i medesimi, con in aggiunta l’omaggio di una messianica, quasi delirante mobilitazione dei cristiani evangelici a favore di Israele. Di contro, un’ampia quota di studenti ebrei e di ebrei laici di tutte le età si sta adesso mobilitando sulle due sponde dell’Atlantico per i diritti palestinesi. Questa è la principale ragione di speranza. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, i giovani stanno rigettando vecchie divisioni e nuovi odî. Essi vedono chiaramente che quello che è in gioco in Israele-Palestina è la possibilità di vivere insieme al di là delle nostre origini. È su questa speranza che dobbiamo costruire il futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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