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Draghi ha ragione: l’Europa deve investire, di Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 17 settembre 2024)

 

Publié le17 septembre 2024

 

Europe must invest: Draghi is right

Thomas Piketty

pikettyLet’s face it: The report on Europe’s competitiveness and future submitted by Mario Draghi to the European Commission is heading in the right direction. For the former ECB president, Europe needs to make €800 billion of additional investments per year in the future – the equivalent of 5% of the European Union’s (EU) GDP – or around three times the Marshall Plan (between 1% and 2% of GDP in annual investments in the post-war period). This would enable the continent to return to the investment levels of the 1960s and 1970s. To achieve this, the report proposes recourse to EU borrowing, as was done with the €750 billion recovery plan adopted in 2020 to cope with Covid-19. Except that the aim now is to raise such sums each year for sustained investment in the future (particularly in research and new technologies), and not to fund an exceptional response to a pandemic. If Europe proves incapable of making these investments, then the continent will enter a « slow agony » in the face of the US and China, the report warns.

One may disagree with Draghi on several key points, not least of which is the precise composition of the investment in question. Nevertheless, this report has the immense merit of challenging the dogma of fiscal austerity.

According to some, in Germany but also in France, European countries should repent for their past deficits and enter a long phase of primary surpluses in their public accounts, in other words, a phase in which taxpayers should pay much more in taxes than they receive in expenditure, to urgently repay the interest on the debt and the principal.

In reality, this austerity dogma is based on economic nonsense. Firstly, because real interest rates (net of inflation) have fallen to historically extremely low levels in Europe and the US over the last 20 years: Less than 1% or 2%, and sometimes even negative levels. This reflects a situation where there is a huge windfall of little-used or misused savings in Europe and worldwide, ready to pour into Western financial systems with virtually no yield. In such a situation, it is the role of public authorities to mobilize these sums and invest them in training, healthcare, research and new technologies, major energy and transport infrastructures, thermal renovation of buildings, and so on.

As for the level of public debt, it is indeed very high, but not unprecedented. It is close to that observed in France in 1789 (around one year’s national income), and significantly lower than that seen in the UK after the Napoleonic Wars and in the 19th century (two years’ national income) and in all Western countries after the two World Wars (between two and three years).

Yet history shows that such high levels of debt cannot be dealt with using ordinary methods. Exceptional measures are needed, such as levies on the highest private assets, like those successfully applied in Germany and Japan in the post-war period. When real interest rates rise again, we’ll have to do the same, by taxing multi-millionaires and billionaires. Some will argue that this is impossible, but in reality it’s a simple book-entry transfer. The same cannot be said of global warming, public health or training challenges, which cannot be solved with the stroke of a pen.

If we now examine the details of the Draghi report’s proposals, there is obviously much to criticize, and that’s a good thing. Once the principle that Europe needs to invest massively has been accepted, it’s healthy for different visions to be expressed as to the type of development model and welfare indicators we want to promote. In this case, Draghi’s approach is technophile, mercantile and consumerist. He emphasizes large-scale public subsidies for private investment in digital technology, artificial intelligence and the environment. However, there is every reason to believe that Europe should seize the opportunity to develop other modes of governance and avoid, once again, giving full power to large private capitalist groups to manage our data, our energy sources or our transport networks.

Draghi also considers public investment, for example in research and higher education, but in an overly elitist and restrictive way. He proposes that the European Research Council should finance universities directly (and not just individual research projects), which would be a very good thing. Unfortunately, the report proposes to focus solely on a few poles of excellence in major metropolises, which would be economically dangerous and politically unacceptable. Public health and hospitals are almost entirely absent from the report.

Generally speaking, for such an investment plan to be adopted, it is essential that disadvantaged territories and the most disadvantaged regions – including, for example, in Germany – benefit from massive and visible resources. If France, Germany, Italy and Spain, which together account for three-quarters of the eurozone’s population and GDP, can agree on a balanced, socially and territorially inclusive compromise, then it will be possible to move forward without waiting for unanimity, relying on a core group of countries (as envisaged in the Draghi report). This is the debate that Europe must now engage in.

 

Draghi ha ragione: l’Europa deve investire,

di Thomas Piketty

 

Riconosciamolo: il rapporto sulla competitività e il futuro dell’Europa presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea è orientato nella direzione giusta. Per il passato Presidente della BCE l’Europa ha bisogno di realizzare nel futuro 800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui – l’equivalente del 5% del PIL dell’Unione Europea (UE) – ovvero, circa tre volte il Piano Marshall (tra l’1 e il 2% del PIL in investimenti annuali nel periodo post bellico). Questo permetterebbe al continente di tornare ai livelli di investimento degli anni ‘960 e ‘970. Per realizzarlo, il rapporto propone il ricorso all’indebitamento dell’UE, come fu fatto con il piano di ripresa di 750 miliardi di euro adottato nel 2020 per reagire al Covid-19. Sennonché l’obbiettivo adesso è raccogliere tali somme ogni anno per investimenti duraturi nel futuro (particolarmente nella ricerca e nelle nuove tecnologie), e non finanziare una risposta eccezionale ad una pandemia. Se l’Europa si mostra incapace di realizzare questi investimenti, allora – ammonisce il rapporto – il continente entrerà, in rapporto agli Stati Uniti ed alla Cina, in una “lenta agonia”.

Si può non concordare con Draghi su vari aspetti principali, non ultimo quale debba essere la precisa composizione degli investimenti in questione. Ciononostante, questo rapporto ha l’immenso merito di sfidare il dogma dell’austerità fiscale.

Secondo alcuni, in Germania ma anche in Francia, i paesi europei dovrebbero pentirsi per i loro passati deficit ed entrare in una lunga fase di surplus primari nei loro conti pubblici, una fase, in altre parole, nella quale i contribuenti dovrebbero pagare molto di più in tasse di quanto ricevono in spese pubbliche, per ripagare urgentemente gli interessi e il capitale sul debito.

In realtà, questo dogma dell’austerità è basato su una assurdità economica. In primo luogo, perché i tassi di interesse reali (al netto dell’inflazione) sono caduti negli ultimi 20 anni, in Europa e negli Stati Uniti, a livelli storicamente estremamente bassi: meno dell’1 o 2% e talvolta a livelli persino negativi. Questo riflette una situazione nella quale c’è, in Europa e nel mondo intero, una vasta provvista di risparmi poco o male utilizzati, pronti a riversarsi nei sistemi finanziari occidentali sostanzialmente senza alcun rendimento. In una tale situazione, il ruolo delle autorità pubbliche è mobilitare queste somme ed investirle in formazione, assistenza sanitaria, ricerca e nuove tecnologie, principali infrastrutture energetiche e di trasporto, rinnovamento termico degli edifici, e via dicendo.

Per quanto riguarda il livello del debito pubblico, esso è in effetti molto elevato, ma non senza precedenti. È vicino a quello osservato in Francia nel 1789 (pari a circa il reddito nazionale di un anno), e significativamente più basso di quello osservato nel Regno Unito dopo le Guerre Napoleoniche e nel diciannovesimo secolo (pari al reddito nazionale di due anni) e in tutti i paesi occidentali dopo le due Guerre Mondiali (tra due e tre anni di reddito nazionale).

Tuttavia la storia dimostra che tali elevati livelli di debito non possono essere risolti con metodi ordinari. Sono necessarie misure eccezionali, quali prelievi sugli asset privati più alti, come quelli realizzati con successo in Germania e in Giappone nel periodo post bellico. Quando i tassi di interesse reali torneranno a crescere, noi dovremo fare lo stesso, tassando i multi milionari ed i miliardari. Qualcuno sosterrà che questo è impossibile, ma in realtà è un semplice trasferimento delle scritture contabili. Non si può dire lo stesso del riscaldamento globale, delle sfide della sanità pubblica e della formazione, che non possono essere risolte con un tratto di penna.

Se adesso esaminiamo i dettagli delle proposte del rapporto di Draghi, ovviamente c’è molto da criticare, e questa è una cosa buona. Una volta che venga accettato il principio secondo il quale l’Europa ha bisogno di investire in modo massiccio, è salutare che siano espresse diverse visioni in rapporto al tipo di modello di sviluppo ed agli indicatori di benessere che vogliamo promuovere. L’approccio di Draghi, da questo punto di vista, è tecnofilo, mercantile e consumistico. Egli enfatizza sussidi pubblici su larga scala agli investimenti privati nelle tecnologie digitali, nell’intelligenza artificiale e nell’ambiente. Tuttavia, ci sono tutte le ragioni per credere che l’Europa dovrebbe cogliere l’opportunità di sviluppare altre modalità di governo ed evitare di dare, ancora una volta, pieno potere ai grandi gruppi capitalistici privati nel gestire i nostri dati, le nostre fonti di energia o le nostre reti di trasporto.

Draghi considera anche gli investimenti pubblici, ad esempio nella ricerca e nell’istruzione superiore, ma in un modo eccessivamente elitario e restrittivo. Egli propone che il Consiglio Europeo della Ricerca dovrebbe finanziare direttamente le università (e non solo i progetti di ricerca individuali), il che sarebbe un’ottima cosa. Sfortunatamente, il rapporto propone di concentrarsi solo su pochi poli di eccellenza nelle principali metropoli, il che sarebbe economicamente pericoloso e politicamente inaccettabile. La sanità pubblica e gli ospedali sono quasi completamente assenti nel rapporto.

Parlando in generale, perché un tale piano di investimenti venga adottato, è essenziale che i territori svantaggiati e le regioni più svantaggiate – compresi quelli, ad esempio, della Germania – beneficino di risorse massicce e visibili. Se la Francia, la Germania, l’Italia e la Spagna, che considerate assieme realizzano tre quarti della popolazione e del PIL dell’eurozona, possono concordare su un compromesso equilibrato, socialmente e territorialmente inclusivo, allora sarà possibile procedere senza attendere l’unanimità, basandosi su un gruppo centrale di paesi (come previsto nel rapporto Draghi). Questo è il dibattito nel quale adesso l’Europa deve impegnarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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