AUSTIN – Google “shamanism” and you will find that it is “a tradition of part-time religious specialists who establish and maintain personalistic relations with specific spirit beings through the use of controlled and culturally scripted altered states of consciousness.” Every element of that definition applies to monetary policymaking today, as illustrated by the reaction to the US Federal Reserve’s September 18 decision to cut the short-term interest rate by 50 basis points.
The “part-time religious specialists” are those economists who comment on Fed actions. The “specific spirit being” is Fed Chair Jerome Powell. And “controlled and culturally scripted altered states of consciousness” describes textbook economics and statements from people who write economics textbooks.
Consider Paul Krugman, a noted “part-time specialist” who burnishes his glory by holding up a “Nobel Prize” (in fact, the prize is awarded “in memory of Alfred Nobel” and funded by – surprise – a central bank, but let that pass). Commenting in The New York Times on the day of the Fed’s big move, he declares, “first and foremost … we’ve won the war on inflation. And we did it without a recession or a large rise in unemployment.”
Note the personal relationship that this statement implies. Who, exactly, is “we”? Krugman does not say, but he clearly means to include himself (that is what “we” means in English). Still, the key player is not Krugman; it is the spirit being at the Fed. As Krugman explains: “the Fed is a tremendously powerful economic actor and one that can act quickly … So the Fed is basically the short-term manager of the economy.”
How, exactly, does the Fed go about managing the economy when inflation threatens? “By raising interest rates,” Krugman explains, “and the reason you do that is to try to cool off the economy, reduce spending, and reduce the demand for goods. It’s standard practice.” He goes on to note, correctly, that the Fed’s interest-rate hikes after March 2022 were the biggest since the early 1980s.
Next, Krugman offers his view of the specific spirit being. If Powell says one thing, it means X; if he says another thing, it means Y. According to Krugman, “it’s the words and the specificity” that matter. Or, to put it another way: it’s the “scripted, culturally specific state of consciousness.” This, Krugman tells us, will determine the effect on long-term interest rates and thus economic performance.
Back in 1981, when the Fed chair, Paul Volcker, pushed the short-term interest rate to 20%, four times higher than now, the dollar soared, the economy crashed, unions and industry were destroyed, and unemployment hit 10% before he relented. That, and a global debt crisis and a commodity price crash, did bring inflation back down.
None of that happened this time. Growth did not slow, commodities have not crashed, and unemployment is up barely a point, hovering at levels that would have been considered hyper-full employment in the 1980s. So, how did the Fed manage to win the war on inflation?
The clear answer is that the Fed didn’t, in fact, win anything. Price increases peaked in June 2022 when the spirit being was still putting on his boots. After the start of the tightening cycle three months earlier, interest rates had risen only 75 basis points. And the inflation rate has been falling ever since, as the pandemic-related shocks, supply disruptions, and oil-price manipulations have passed through and out of the US economy. (The Russia-Ukraine war was a big factor in Europe, but not so much in the United States.)
The unmistakable conclusion – unless you’re a shaman – is that the Fed did not manage the economy by masterfully placating the spirits and demons of growth, employment, and inflation. Instead, it twiddled with its interest-rate levers, and – so far – nothing happened. As I wrote in May 2022, Powell merely “waved his wand” – permitting his shamans to give him credit for developments that were already underway.
The question now is whether interest rates, still high, will produce a recession later this year or next. It is possible. To cause a slowdown, and soften up the labor market, was precisely the Fed’s goal. High interest rates are bad for businesses, and high mortgage rates are bad for housing. Bad business and bad housing are bad for jobs. A slowdown may be starting now. But it hasn’t gone very far – yet.
Causes must precede effects. A cause that has not happened cannot be credited with an effect that already has. This is a very simple point, yet Krugman and his many fellow shamans overlook it. One would hope, however vainly, that the recipient of a big prize in “economic sciences” would see the problem.
Lo sciamanismo dell’inflazione,
di James K. Galbraith [1]
AUSTIN – Cercate su Google “shamanismo” e troverete che è “una tradizione di specialisti religiosi occasionali che istituiscono e mantengono relazioni di natura personale con particolari entità spirituali attraverso l’uso di stati alterati della coscienza, controllati e culturalmente prescritti”. Ogni elemento di quella definizione si applica alla politica monetaria odierna, come è stato dimostrato dalle reazioni alla decisione della Federal Reserve degli Stati Uniti del 18 settembre di tagliare il tasso di interesse a breve termine di 50 punti base.
Gli “occasionali specialisti religiosi” sono quegli economisti che commentano le iniziative della Fed. La “particolare entità spirituale” è il Presidente della Fed Jerome Powell. E “gli alterati stati di coscienza controllati e culturalmente prescritti” si riferiscono ai libri di testo di economia ed alle persone che scrivono libri di testo di economia.
Si consideri Paul Krugman, un noto “specialista occasionale” che dà lustro alla sua fama innalzando un “Premio Nobel” (di fatto, il premio è conferito “in memoria di Alfredo Nobel” e finanziato – sorpresa – da una banca centrale, ma lasciamo correre). Commentando sul New York Times nel giorno della grande decisione della Fed, egli dichiara: “prima di tutto … abbiamo vinto la Guerra sull’inflazione. E l’abbiamo fatto senza una recessione o senza una grande crescita della disocccupazione.”
Si noti la relazione personale che questa affermazione comporta. Chi sono, esattamente i “we”? Krugman non lo dice, ma egli intende chiaramente includere se stesso (che è quello che “we” significa in inglese). Eppure, il protagonista principale non è Krugman; esso è l’entità spirituale presso la Fed. Come spiega Krugman: “la Fed è un attore economico tremendamente potente ed è un soggetto che può agire rapidamente … Dunque, la Fed è fondamentalmente il gestore a breve termine dell’economia”.
Come, esattamente, la Fed mette mano a gestire l’economia quando minaccia l’inflazione? “Elevando i tassi di interesse”, spiega Krugman, “e la ragione per la quale si fa quello è per cercare di raffreddare l’economia, di ridurre la spesa e di ridurre la domanda di beni. É la pratica consueta.” Egli procede osservando, correttamente, che i rialzi del tasso di interesse della Fed dopo marzo 2022 sono stati i più grandi dagli inizi degli anni ‘980.
Successivamente, Krugman offre la sua visione della ‘particolare entità spirituale’. Se Powell dice una cosa, ciò comporta X; se ne dice un’altra, ciò comporta Y. Secondo Krugman, “sono le parole e la specificità” che contano. É questo che, ci dice Krugman, determinerà l’effetto sui tassi di interesse a lungo termine e quindi la prestazione economica.
Nel passato, quando il Presidente della Fed, Paul Volcker, spinse il tasso di interesse a breve termine al 20%, quattro volte più in alto di adesso, il dollaro salì alle stelle, l’economia crollò, i sindacati e l’industria vennero distrutti e la disoccupazione raggiunse il 10% prima che egli rallentasse. Quello, e la crisi globale del debito nonché un crollo del prezzo delle materie prime, riportarono in basso l’inflazione.
Questa volta non è accaduto niente del genere. La crescita non è rallentata, le materie prime non sono crollate e la disoccupazione è salita appena di un punto, mantenendosi a livelli che sarebbero stati considerate negli anni ‘980 di iper-piena-occupazione. Dunque, come è riuscita la Fed a vincere la guerra sull’inflazione?
Di fatto, la semplice risposta è che la Fed non ha vinto alcunché. Gli incrementi dei prezzi sono arrivati al massimo nel giugno del 2022, quando l’entità spirituale stava ancora mettendosi gli stivali. Tre mesi prima dell’avvio del ciclo restrittivo, i tassi di interesse erano cresciuti soltanto di 75 punti base. E il tasso di inflazione da allora è venuto calando, mentre gli shock connessi con la pandemia, i turbamenti dal lato dell’offerta e le manipolazioni del prezzo del petrolio stavano imperversando dentro e fuori l’economia statunitense (la guerra tra Russia ed Ucraina è stata un grande fattore in Europa, ma non così tanto negli Stati Uniti).
La conclusione inequivocabile – a meno che non siate uno sciamano – è che la Fed non ha gestito l’economia magistralmente placando gli spiriti ed I demoni della crescita, dell’occupazione e dell’inflazione. Piuttosto, essa si è trastullata con le sue leve del tasso di interesse e – sin qua – non è accaduto niente. Come scrissi nel maggio del 2022, Powell semplicemente “ha agitato la sua bacchetta magica” – consentendo ai suoi sciamani di dargli credito per gli sviluppi che erano già in corso.
La domanda, adesso, è se i tassi di interesse, ancora elevati, produrranno una recessione alla fine di quest’anno o dopo. Ciò è possibile. Provocare un rallentamento e ammorbidire il mercato del lavoro, era precisamente l’obbiettivo della Fed. Alti tassi di interesse sono negativi per le imprese ed alti tassi sui mutui sono negativi per l’edilizia. Imprese ed edilizia in difficoltà sono negativi per i posti di lavoro. Un rallentamento adesso potrebbe partire. Ma sinora non è andato molto lontano.
Le cause debbono precedere gli effetti. Una causa che non è accaduta non può essere accreditata per un effetto già accaduto. Si tratta di un argomento molto semplice, tuttavia Krugman ed i suoi molti colleghi sciamani se lo lasciano sfuggire. Si spererebbe, per quanto vanamente, che il destinatario di una grande premio in “scienze economiche” sia capace di vedere il problema.
[1] Mi è capitato altre volte di “abbinare” la presentazione di due testi in polemica l’uno con l’altro. E le polemiche tra James Galbraith e Paul Krugman – soprattutto del primo verso il secondo – non sono una novità. Ma in questo caso debbo far notare che Galbraith non si riferisce all’articolo del 19 settembre tradotto in precedenza di Krugman su FataTurchina, bensì ad un commento pubblicato il giorno prima sul New York Times, dedotto da un colloquio con Krugman dalla giornalista Vishakha Darbha. L’articolo di Krugman del giorno dopo, in realtà, contiene almeno alcuni argomenti non del tutto dissimili da quelli di Galbraith.
By mm
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