Oct 9, 2024
BERKELEY – The COVID-19 pandemic created both a short- and a medium-term challenge for American economic policy. The immediate challenge was to maintain consumers’ incomes in the face of sweeping lockdowns, supply-chain disruptions, and shifts in aggregate supply. This meant striking a balance between avoiding a depression and not goosing the economy with so much liquidity as to turbocharge inflation.
The medium-term challenge concerned a broader crisis-induced structural shift away from the purchase of services – especially in-person services – toward the purchase of durable goods. At the height of the pandemic, we crammed a couple of decades’ worth of societal learning about leveraging e-commerce and the internet into just two years. One takeaway was that doing more of our consuming at home was more comfortable and simply made more sense. Today, durable-goods spending in real terms is 38% above where it was at the end of March 2018, while services spending is only 15% higher, a 23-percentage-point gap in relative growth.
The medium-term challenge, then, was to create the market incentives to induce workers and firms to respond to this great structural shift in demand. Since neither nominal wages nor prices were going to fall back to their previous levels (they are “sticky,” in the economic parlance), substantially cutting wages and prices in shrinking service-sector industries was a non-starter. Instead, creating more supply in the areas where there was growing demand required wage and price inflation in the newly expanding sectors.
Managing the COVID economy thus required an enormously large – but not too large – amount of income support, as well as a price-level jump that would be sufficient to help the economy settle in to a new occupational and sectoral configuration. In other words, the United States needed some inflation, but not so much as to create expectations that the inflationary burst would be persistent.
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Where are we today? On October 4, we learned that estimated payroll employment (seasonally adjusted) in September was 254,000 higher than it had been in August. Moreover, the August number was revised upward by 72,000, which means there are 326,000 more employed workers than in the previous jobs report. After rising from 3.8% a year ago to 4.3% in July, the unemployment rate is back down to 4.1%.
Yes, this is just one data point; but it is a remarkable one. Moreover, we also recently learned, following data revisions, that income growth coming out of the pandemic was substantially higher than previously estimated. Real (inflation-adjusted) income as of the second quarter of 2024 has been revised upward by 3.6%, and the estimated level of real production – which by definition should be equal to real income, save for a pesky “statistical discrepancy” – was revised upward by 1.3%. This means that estimated productivity growth since the start of 2020 will be revised upward by about 0.3 percentage points per year, whereas real labor costs will be revised downward by a similar amount.
After the US Federal Reserve began its rapid tightening cycle in the spring of 2022, I was constantly worried that it would go too far and send the US economy into an unnecessary and avoidable recession. After all, market-based indicators of inflation expectations strongly suggested that the post-pandemic inflation was “transitory.” But there has been no recession, and now I have to think hard about why I was wrong.
Has the US economy remained so remarkably strong because the effect of expansionary fiscal policy was more powerful than I thought? Or is it because the “neutral” rate of interest has risen substantially over the past half-decade, implying that the Fed’s monetary policy has been substantially less restrictive and contractionary than I thought?
The post-pandemic economy has had no shortage of silver linings. The question is whether there are any dark clouds looming on the horizon. One obvious risk is that the ongoing AI boom will prove to be a bubble. While there are plenty of promising use cases for AI technologies, it is not yet clear how these will translate into increased business profits.
Macroeconomic forecasting often rewards pessimists. Even absent a disaster, new challenges almost always emerge where we least expect them. For now, though, we should all enjoy the soft landing that the economy has made. The recovery from the pandemic has been nothing short of extraordinary.
Godiamoci l’atterraggio morbido,
di J. Bradford DeLong
BERKELEY – La pandemia del Covid-19 ha creato una sfida sia a breve che a medio termine per la politica economica americana. La sfida immediata è stata mantenere i redditi dei consumatori a fronte di lockdown generalizzati, di turbamenti nelle catene dell’offerta e di spostamenti nell’offerta aggregata. Questo ha comportato trovare un equilibrio tra l’evitare una depressione e non accelerare l’economia con tanta liquidità da sovralimentare l’inflazione.
La sfida a medio termine ha riguardato un più ampio spostamento strutturale indotto dalla crisi tra l’acquisto di servizi – particolarmente dei servizi alla persona – e l’acquisto di beni durevoli. Al punto più alto della pandemia, avevamo accumulato in soli due anni l’apprendimento collettivo sull’abile utilizzo dello e-commerce e di internet del valore di decenni. Prendere qualcosa da asporto significava qualcosa di più che consumare in casa, era più confortevole e semplicemente aveva più senso. Oggi la spesa in beni durevoli in termini reali è del 38% superiore di quello che era alla fine di marzo del 2018, mentre la spesa in servizi è più elevata soltanto del 15%, un divario di 23 punti percentuali nella crescita relativa.
La sfida a medio termine, poi, fu creare gli incentivi di mercato per indurre lavoratori ed imprese a rispondere a questo grande spostamento strutturale nella domanda. Dal momento che né i salari reali né i prezzi stavano scendendo ai loro livelli precedenti (nel linguaggio economico, essi sono “vischiosi”), tagliare i salari ed i prezzi nel restringere le attività del settore dei servizi era in sostanza un fallimento in partenza. Piuttosto, creare maggiore offerta nelle aree nelle quali c’era crescente domanda richiedeva una inflazione dei salari e dei prezzi nei settori in nuova espansione.
Gestire l’economia del Covid richiese quindi una straordinariamente ampia – ma non troppo ampia – quantità di sostegno ai redditi, così come un balzo nel livello dei prezzi che fosse sufficiente ad aiutare l’economia nel sistemarsi in una nuova configurazione occupazionale e settoriale. In altre parole, gli Stati Uniti avevano bisogno di un po’ di inflazione, ma non così grande da creare aspettative che lo scoppio inflazionistico sarebbe stato persistente.
Dove siamo oggi? Il 4 di ottobre abbiamo appreso che l’occupazione dipendente stimata (corretta stagionalmente) a settembre era di 254.000 unità superiore di quello che era stata in agosto. Inoltre, il dato di agosto era stato corretto verso l’alto di 72.000 unità, il che comporta che ci sono 326.000 lavoratori occupati in più del precedente rapporto sui posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione, dopo essere cresciuto dal 3,8% di un anno fa al 4,3% di luglio, è tornato al 4,1%.
È vero, questo è solo un dato statistico; ma è un dato considerevole. Inoltre, abbiamo di recente appreso, a seguito delle revisioni dei dati, che la crescita del reddito venendo fuori dalla pandemia è stata sostanzialmente più elevata di quanto stimato in precedenza. Il reddito reale (corretto per l’inflazione) del secondo trimestre 2024 è stato rivisto verso l’alto del 3,6%, e il livello stimato della produzione reale – che per definizione dovrebbe essere uguale al reddito reale, ad eccezione di qualche fastidiosa “discrepanza statistica” – è stato rivisto verso l’alto per l’1,3%. Questo comporta che la crescita stimata della produttività a partire dall’inizio del 2020 sarà rivista verso l’alto di circa 0,3 punti percentuali per anno, mentre i costi reali del lavoro saranno rivisti verso il basso per un ammontare simile.
Dopo che la Federal Reserve degli Stati Uniti avviò il suo rapido ciclo di restrizione nella primavera del 2022, io ero continuamente preoccupato che sarebbe andata troppo oltre ed avrebbe spedito l’economia statunitense in una recessione non necessaria ed evitabile. Dopo tutto, gli indicatori delle aspettative di inflazione basati sui mercati indicavano con forza che l’inflazione post-pandemica era “transitoria”. Ma non c’è stata alcuna recessione, e adesso devo ragionare seriamente sulle ragioni per le quali mi sbagliavo.
L’economia statunitense è rimasta così considerevolmente forte perché l’effetto della politica finanziaria pubblica espansiva è stato più potente di quanto pensassi? Oppure è stato a causa del fatto che il tasso di interesse “neutrale” è cresciuto sostanzialmente nel corso del passato mezzo decennio, comportando che la politica monetaria della Fed è stata sostanzialmente meno restrittiva e depressiva di quanto pensassi?
L’economia post-pandemica non ha certo avuto scarsità di lati positivi. La domanda è se c’è qualche nuvola buia all’orizzonte. Un rischio evidente è che il perdurante boom dell’Intelligenza Artificiale si dimostrerà una bolla. Mentre c’è una quantità di casi di usi promettenti delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale, tuttavia non è chiaro come queste si tradurranno in accresciuti profitti di impresa.
Le previsioni macroeconomiche spesso premiano i pessimisti. Anche in assenza di un disastro, quasi sempre nuove sfide appaiono quando meno le si aspetta. Per adesso, tuttavia, dovremmo tutti compiacerci dell’atterraggio morbido che l’economia ha realizzato. La ripresa dalla pandemia è stata niente altro che straordinaria.
By mm
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