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Elon Musk ha mezza ragione sui piani economici di Trump, di James K. Galbraith (da Project Syndicate, 1 novembre 2024)

 

Nov 1, 2024

Elon Musk Gets Trump’s Economic Plans Partly Right

James K. Galbraith

james galbr

AUSTIN – One can only admire Elon Musk for the candid nihilism of his belief that Donald Trump’s proposed tariffs, deportations, and spending cuts (which Musk has volunteered to supervise) would tank financial markets and cause an “initial severe overreaction in the economy.” They would indeed.

Musk fancies that he can save trillions of dollars by eliminating government waste. Despite being short on details, he vows to make “no exceptions.” But in the decades since Ronald Reagan took office, the US federal government has been hollowed out, leaving only two places where big waste can be found. One is the Pentagon. The other is interest payments on government debt and bank reserves. In deference to Musk, we’ll ignore the vast flow of loans, subsidies, and tax breaks for corporate America, including his own firms.

Cuts in the military and on interest are long overdue. America must face the reality that its Cold War-era network of nearly 800 bases, 11 carrier strike groups, and its nuclear arsenal has been rendered obsolete by high-precision missiles and drones. The US government must rethink national security from the ground up, recognizing the advent of a multipolar world – where mutual security is better than none at all.

To cut interest payments, cut interest rates. Only then can America, using resources unlocked by strategic reforms, fund necessary investments in new industries, climate mitigation, cities, transport, and the environment. The tragedy of President Joe Biden’s Inflation Reduction Act and CHIPS and Science Act is that they have been undercut by the US Federal Reserve, which values the dollar’s global hegemony above all else. Biden’s policies could not succeed when more powerful counter-policies blocked the way.

High tariffs may be attractive to Musk partly because they would continue to protect Tesla against competition from Chinese electric-vehicle makers, whose EVs now sell for as little as $15,000 in China. With EV tariffs already in place, new ones could cover a wide range of goods, including semiconductors and everything that uses them. While the goal is to foster new and competitive American industries, the likely effect will be to create a secure home market for second-rate stuff. The Chinese may not mind too much; they can sell their wares to the rest of the world.

As for deportations, like Musk, I live in Texas. He surely knows that the state runs on the labor of millions of immigrants, documented and not, who are woven into the fabric of our communities and would be irreplaceable if forced to leave. The idea of a mass roundup is as savage as it is impractical – less an actual policy than a pitch for cruelty-curious voters, a long-standing electoral strategy in the United States. Back in the nineteenth century, the anti-immigrant party – the “American Party” – was aptly called the “Know-Nothings.”

Suppose the cuts and the tariffs happen, along with a bracing market crash, mass bankruptcies, bank failures, and unemployment. Musk assures us that recovery will be spontaneous and swift. In this he resembles another great American, President Herbert Hoover’s Treasury Secretary, Andrew Mellon, who counseled after the stock-market crash of 1929: “Liquidate labor, liquidate stocks, liquidate the farmers, liquidate real estate. It will purge the rottenness out of the system. High costs of living and high living will come down. People will work harder, live a more moral life. Values will be adjusted, and enterprising people will pick up the wrecks from less competent people.” (Hoover disdained this advice, but rapid recovery began only after Franklin Roosevelt was elected, when he cut the dollar loose from gold and launched the New Deal.)

One can see how some people today might be drawn to Musk’s mantra of purification: burn it down and rebuild from scratch. Americans know that something must give. The problem is that today’s Democratic Party, clinging to a worldview that was framed under President Bill Clinton in the 1990s, has promised gradual change that it cannot deliver, precisely because of its unwillingness to break with imperial commitments and Big Finance. And if Trump does win, it will largely be because the Democrats have failed to come to grips with this dilemma.

One way or another, therefore, a large rupture may be coming. But there is no sign that Musk and Trump will execute the military, diplomatic, and financial reforms required to launch the country toward renewal. Instead, disregarding campaign promises, they may turn to the old reactionary tactic of cuts in Social Security, Medicare, and Medicaid, as well as other remaining bulwarks from the New Deal and Great Society, such as the Securities and Exchange Commission, and even older agencies, like the Federal Trade Commission. Such cuts will indeed crash the economy – and much else besides. But they will free up few resources, and recovery will be elusive. They will make a desert and call it “waste.”

As for Musk, what Mark Twain once wrote about Cecil Rhodes, the ultimate imperialist, seems worth repeating: “I admire him, I frankly confess it; and when his time comes, I shall buy a piece of the rope for a keepsake.”

 

Elon Musk ha mezza ragione sui piani economici di Trump,

di James K. Galbraith

 

AUSTIN – Si può soltanto ammirare Elon Musk per il candido nichilismo della sua convinzione che le proposte tariffe di Donald Trump, le deportazioni e i tagli alla spesa (che Musk si è offerto volontariamente di sovraintendere) farebbero crollare i mercati finanziari e provocherebbero una “inizialmente grave esagerata reazione nell’economia”. In effetti, è quello che accadrebbe.

Musk è attratto dal poter risparmiare migliaia di miliardi di dollari eliminando gli sprechi governativi. Nonostante sia a corto di dettagli, egli promette di non fare “nessuna eccezione”. Ma nel corso dei decenni, dal momento che Ronald Reagan entrò in carica, il governo federale degli Stati Uniti è stato svuotato e sono rimasti soltanto due luoghi dove possono essere trovati grandi sprechi. Uno è il Pentagono. L’altro sono i pagamenti degli interessi sul debito pubblico e le riserve delle banche. Per rispetto di Musk, ignoreremo il grande flusso di prestiti, sussidi e sgravi fiscali per l’America delle grandi società, che includono le stesse imprese del magnate.

I tagli sulle forze armate e sugli interessi sono dovuti da lungo tempo. L’America deve affrontare la realtà: la sua rete dell’epoca della Guerra Fredda di quasi 800 basi, di 11 gruppi di portaerei da combattimento e il suo arsenale nucleare sono stati resi obsoleti dai missili di alta precisione e dai droni. Il Governo statunitense deve ripensare la sicurezza nazionale dalle fondamenta, riconoscendo l’avvento di un mondo multipolare – dove la sicurezza reciproca è meglio che niente.

Per tagliare i pagamenti sugli interessi, si devono tagliare i tassi di interesse. Soltanto dopo l’America può, utilizzando le risorse liberate da riforme strategiche, finanziare gli investimenti necessari nelle nuove industrie, nella mitigazione climatica, nelle città, nel trasporto pubblico e nell’ambiente. La tragedia della Legge per la Riduzione dell’Inflazione e la Legge sui Semiconduttori e la Scienza del Presidente Joe Biden è stata che esse sono state erose dalla Federal Reserve statunitense, che considera l’egemonia globale del dollaro sopra tutto il resto. Le politiche di Biden non potevano avere successo quando contropolitiche più potenti bloccavano la strada.

In parte le alte tariffe potrebbero essere attraenti per Musk perché continuerebbero a proteggere Tesla contro la competizione dei produttori di veicoli elettrici cinesi, i cui prodotti adesso in Cina si vendono per non più di 15.000 dollari. Con le tariffe sui veicoli elettrici già in atto, quelle nuove potrebbero coprire una vasta gamma di prodotti, compresi i semiconduttori ed ogni cosa che li utilizza. Mentre l’obiettivo è sostenere nuove e competitive industrie americane, l’effetto probabile sarà creare un sicuro mercato domestico di oggetti di second’ordine. I cinesi possono non dispiacersene troppo; loro possono vendere i loro prodotti al resto del mondo.

Quanto alle deportazioni, io vivo nel Texas come Musk. Egli certamente sa che lo Stato si basa sul lavoro di milioni di immigrati, privi o meno di documenti, che sono intrecciati nel tessuto delle nostre comunità e che sarebbero insostituibili se costretti ad andarsene. L’idea di una retata di massa è tanto feroce quanto non pratica – è più una mossa per elettori curiosi di crudeltà che una politica concreta, negli Stati Uniti è una strategia elettorale di lunga data. Nel passato diciannovesimo secolo, il partito anti emigranti – il “Partito Americano” – era opportunamente chiamato il partito di quelli che “Non Sanno Niente”.

Supponiamo che i tagli e le tariffe si realizzino, assieme con un tonificante crollo dei mercati, con fallimenti di massa, bancarotte e disoccupazione. Musk ci assicura che la ripresa sarà spontanea e repentina. In questo egli assomiglia ad un altro grande americano, il Segretario a Tesoro del Presidente Herbert Hoover, Andrew Mellon, che dopo il crollo del mercato finanziario del 1929 consigliava: “Liquidate il lavoro, liquidate le azioni, liquidate il patrimonio immobiliare. Ciò depurerà il marcio dal nostro sistema. Gli alti costi della vita e le esistenze lussuose si ridurranno. Le persone lavoreranno più duramente, vivranno una vita più morale. I valori saranno corretti, e le persone con spirito imprenditoriale raccoglieranno i rottami delle persone meno competenti” (Hoover disdegnò questo consiglio, ma la rapida ripresa cominciò solo dopo che Franklin Roosevelt venne eletto, quando tagliò il legame del dollaro con l’oro e lanciò il New Deal).

Si può osservare come alcune persone al giorno d’oggi potrebbero essere attratti dal mantra della purificazione di Musk: mandate tutto in cenere e ricostruite da zero. Gli americani sanno che qualcosa deve essere pur dato. Il problema è che il Partito Democratico odierno, aggrappato ad una visione del mondo che venne formulata sotto il Presidente Bill Clinton negli anni ‘990, ha promesso un cambiamento graduale che non si materializza, precisamente a causa della sua indisponibilità a rompere con gli impegni imperialistici e la grande finanza. E se Trump davvero vincesse, sarebbe in gran parte a causa del fatto che i democratici hanno fallito nel fare i conti con questo dilemma.

In un modo o nell’altro, di conseguenza, è probabile che una rottura profonda sia in arrivo. Ma non c’è alcun segno che Musk e Trump eseguiranno le riforme militari, diplomatiche e finanziarie richieste per lanciare il paese verso il rinnovamento. Piuttosto, disprezzando le promesse della campagna elettorale, essi possono tornare alla vecchia tattica reazionaria dei tagli alla Sicurezza Sociale, di Medicare e di Medicaid, così come gli altri residui baluardi del New Deal e della Grande Società, come la Commissione per i Titoli e gli Scambi, e persino le agenzie più antiche, come la Commissione Federale del Commercio. Tali tagli in effetti faranno crollare l’economia – e molto altro oltre ad essa. Ma libereranno poche risorse e la ripresa sarà inafferrabile. Faranno un deserto e lo chiameranno “spreco”.

Sembra sia il caso di ripetere, nel caso di Musk, quello che una volta Mark Twain scrisse su Cecil Rhodes, il massimo imperialista: “Lo ammiro, lo confesso francamente; e quando arriverà il suo momento, comprerò un pezzo della corda come souvenir [1]”.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] La frase, riferita al massimo esponente del colonialismo europeo Cecil Rhodes,  venne scritta da Twain nel suo libro Following the Equator. Il “pezzo di corda” che Twain si riprometteva di acquistare suppongo fosse quella della sua impiccagione, ma Rhodes morì nel suo letto nel marzo del 1902, lasciando una immensa fortuna ad una fondazione che forniva anche borse di studio agli studenti di Oxford provenienti dal Commonwealth.

 

 

 

 

 

 

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