Dec. 9, 2024
By Paul Krugman
This is my final column for The New York Times, where I began publishing my opinions in January 2000. I’m retiring from The Times, not the world, so I’ll still be expressing my views in other places. But this does seem like a good occasion to reflect on what has changed over these past 25 years.
What strikes me, looking back, is how optimistic many people, both here and in much of the Western world, were back then and the extent to which that optimism has been replaced by anger and resentment. And I’m not just talking about members of the working class who feel betrayed by elites; some of the angriest, most resentful people in America right now — people who seem very likely to have a lot of influence with the incoming Trump administration — are billionaires who don’t feel sufficiently admired.
It’s hard to convey just how good most Americans were feeling in 1999 and early 2000. Polls showed a level of satisfaction with the direction of the country that looks surreal by today’s standards. My sense of what happened in the 2000 election was that many Americans took peace and prosperity for granted, so they voted for the guy who seemed as if he’d be more fun to hang out with.
In Europe, too, things seemed to be going well. In particular, the introduction of the euro in 1999 was widely hailed as a step toward closer political as well as economic integration — toward a United States of Europe, if you like. Some of us ugly Americans had misgivings, but initially they weren’t widely shared.
Of course, it wasn’t all puppies and rainbows. There was, for example, already a fair bit of proto-QAnon-type conspiracy theorizing and even instances of domestic terrorism in America during the Clinton years. There were financial crises in Asia, which some of us saw as a potential harbinger of things to come; I published a 1999 book titled “The Return of Depression Economics,” arguing that similar things could happen here; I put out a revised edition a decade later, when they did.
Still, people were feeling pretty good about the future when I began writing for this paper.
Why did this optimism curdle? As I see it, we’ve had a collapse of trust in elites: The public no longer has faith that the people running things know what they’re doing, or that we can assume that they’re being honest.
It was not always thus. Back in 2002 and ’03, those of us who argued that the case for invading Iraq was fundamentally fraudulent received a lot of pushback from people refusing to believe that an American president would do such a thing. Who would say that now?
In a different way, the financial crisis of 2008 undermined any faith the public had that governments knew how to manage economies. The euro as a currency survived the European crisis that peaked in 2012, which sent unemployment in some countries to Great Depression levels, but trust in Eurocrats — and belief in a bright European future — didn’t.
It’s not just governments that have lost the public’s trust. It’s astonishing to look back and see how much more favorably banks were viewed before the financial crisis.
And it wasn’t that long ago that technology billionaires were widely admired across the political spectrum, some achieving folk-hero status. But now they and some of their products face disillusionment and worse; Australia has even banned social media use by children under 16.
Which brings me back to my point that some of the most resentful people in America right now seem to be angry billionaires.
We’ve seen this before. After the 2008 financial crisis, which was widely (and correctly) attributed in part to financial wheeling and dealing, you might have expected the erstwhile Masters of the Universe to show a bit of contrition, maybe even gratitude at having been bailed out. What we got instead was “Obama rage,” fury at the 44th president for even suggesting that Wall Street might have been partly to blame for the disaster.
These days there has been a lot of discussion of the hard right turn of some tech billionaires, from Elon Musk on down. I’d argue that we shouldn’t overthink it, and we especially shouldn’t try to say that this is somehow the fault of politically correct liberals. Basically it comes down to the pettiness of plutocrats who used to bask in public approval and are now discovering that all the money in the world can’t buy you love.
So is there a way out of the grim place we’re in? What I believe is that while resentment can put bad people in power, in the long run it can’t keep them there. At some point the public will realize that most politicians railing against elites actually are elites in every sense that matters and start to hold them accountable for their failure to deliver on their promises. And at that point the public may be willing to listen to people who don’t try to argue from authority, don’t make false promises, but do try to tell the truth as best they can.
We may never recover the kind of faith in our leaders — belief that people in power generally tell the truth and know what they’re doing — that we used to have. Nor should we. But if we stand up to the kakistocracy — rule by the worst — that’s emerging as we speak, we may eventually find our way back to a better world.
Il mio ultimo articolo: trovare speranza in un’epoca di rancore,
di Paul Krugman
Questo è il mio articolo finale per il New York Times, dove cominciai a pubblicare le mie opinioni nel gennaio del 2000. Mi sto congedando dal Times, non dal mondo, dunque continuerò ad esprimere i miei punti di vista in altri luoghi. Ma questa sembra una buona occasione per riflettere su cosa è cambiato in questi 25 anni.
Quello che mi colpisce, guardando indietro, è come erano ottimiste molte persone, sia qua che in gran parte del mondo occidentale, e in quale misura quell’ottimismo sia stato sostituito da rabbia e da rancore. Non sto solo parlando dei membri della classe lavoratrice che si sentono traditi dalle élites; in questo momento, alcune delle persone più arrabbiate e risentite in America – persone che sembra assai probabile abbiano molta influenza nella prossima amministrazione Trump – sono miliardari che non si sentono ammirati a sufficienza.
È difficile trasmettere quanto la maggior parte degli americani fosse a suo agio nel 1999 e agli inizi del 2000. I sondaggi mostravano un livello di soddisfazione per l’indirizzo del paese che pare surreale per gli standard di oggi. La mia sensazione è che quello che accadde nelle elezioni del 2000 fu che molti americani considerarono la pace e la prosperità garantite, dunque votarono il personaggio con cui pareva ci fosse più divertimento a passare il tempo. [1]
Anche in Europa le cose sembravano andare per il meglio. In particolare, l’introduzione dell’euro nel 1999 fu ampiamente accolta come un passo verso una più stretta integrazione politica ed economica – verso gli Stati Uniti d’Europa, se preferite. Alcuni di noi, gli americani sgradevoli, avevano dei timori, ma all’inizio essi non erano ampiamente condivisi.
Naturalmente, non erano tutte rose e fiori. C’era già, ad esempio, negli anni di Clinton una discreta dose di teorie della cospirazione del genere proto-QAnon [2] e persino casi di terrorismo interno. Ci furono le crisi finanziarie in Asia, che alcuni di noi considerarono come un presagio di cose in arrivo; io pubblicai un libro dal titolo “Il ritorno delle depressioni economiche”, sostenendo che cose simili potevano avvenire anche da noi; un decennio dopo feci uscire una edizione rivista, quando ciò accadde.
Eppure, le persone sembravano sentirsi abbastanza bene quanto al futuro quando cominciai a scrivere per questo giornale.
Perché questo ottimismo si guastò? Per come la vedo io, abbiamo avuto un collasso nell’affidamento alle classi dirigenti; l’opinione pubblica non ha più fiducia che le persone che gestiscono le cose sappiano quello che stanno facendo, o che si possa dar per scontato che siano oneste.
Non è sempre stato così. Nel passato 2002 e 2003, coloro tra noi che sostennero che l’argomento per l’invasione dell’Iraq era fondamentalmente fraudolento ricevettero molta opposizione da parte di persone che rifiutavano di credere che un Presidente americano potesse fare cose simili. Chi lo sosterrebbe oggi?
In un modo diverso, la crisi finanziaria del 2008 minò ogni fiducia che l’opinione pubblica aveva sul fatto che i governi sapessero gestire le economie. L’euro come valuta sopravvisse alla crisi europea che toccò il punto massimo nel 2012, il che spedì in qualche paese la disoccupazione ai livelli della Grande Depressione, ma la fiducia negli eurocrati – e la convinzione di un luminoso futuro per l’Europa – non crollarono altrettanto.
Non si tratta solo del fatto che i governi hanno perso la fiducia dell’opinione pubblica. È stupefacente tornare indietro e constatare quanto le banche erano considerate più favorevolmente prima della crisi finanziaria.
E non era tanto tempo fa che i miliardari della tecnologia erano ampiamente ammirati in tutto l’arco dello spettro politico, alcuni ottenendo la considerazione di eroi popolari. Ma adesso sia loro che alcuni dei loro prodotti sono di fronte alla disillusione e peggio ancora; l’Australia ha persino messo a bando l’uso dei social media ai ragazzi sotto i 16 anni.
Il che mi riporta al mio argomento che alcune delle persone più risentite oggi in America sembrano essere i miliardari arrabbiati.
L’abbiamo visto già nel passato. Dopo la crisi finanziaria del 2008, che venne ampiamente (e giustamente) attribuita in parte agli intrallazzi finanziari, ci si poteva aspettare che i passati Signori dell’Universo mostrassero un po’ di contrizione, forse persino di gratitudine per essere stati tratti in salvo. Quello che avemmo fu invece la “rabbia verso Obama”, la collera verso il 44° Presidente per aver persino suggerito che Wall Street poteva in parte essere incolpata del disastro.
Questi giorni c’è stato molto dibattito per la svolta a destra di alcuni miliardari della tecnologia, da Elon Musk in giù. Io direi che non dovremmo fasciarci troppo la testa, e che specialmente non dovremmo cercar di dire che questa è in qualche modo responsabilità dei liberali del politicamente corretto. Fondamentalmente essa deriva dalla meschinità dei plutocrati che erano abituati a crogiolarsi nell’approvazione dell’opinione pubblica e adesso stanno scoprendo che tutto il denaro del mondo non può costringervi ad amarli.
C’è dunque un modo per venir fuori dalla sgradevole collocazione nella quale siamo finiti? Quello che io credo è che mentre il risentimento può portare al potere le persone sbagliate, nel lungo periodo non può mantenercele. In qualche momento l’opinione pubblica comprenderà che la maggior parte dei politici che si scagliano contro le élites, in effetti, sono le élites da ogni punto di vista significativo, e comincerà a ritenerli responsabili per il loro fallimento nel mantenere le promesse. E a quel punto l’opinione pubblica potrà essere disponibile ad ascoltare le persone che non cercano di farsi forti dell’autorità, non fanno false promesse, ma cercano di dire la verità meglio che possono.
Potremo non recuperare mai quel genere di fiducia nei nostri leader – la convinzione che le persone al potere in generale dicono la verità e sanno quello che stanno facendo – a cui eravamo abituati. Non dovremmo neanche farlo. Ma se resistiamo alla cachistocrazia – il governo dei peggiori – che sta emergendo mentre parliamo, forse alla fine torneremo ad un mondo migliore.
[1] Alle elezioni del 2000, la sfida oppose il candidato repubblicano George W. Bush e il vicepresidente democratico uscente Al Gore. In termini di voto popolare prevalse quest’ultimo, ma i voti elettorali, 271 contro 266, furono favorevoli a Bush e ne determinarono l’elezione.
[2] Teoria cospirazionista diffusa negli Stati Uniti a partire dall’ottobre 2017 sul sito web 4chan dall’utente anonimo Q (da cui per metonimia deriva la denominazione), sulla base della quale esisterebbe un deep state globalizzato, organizzato in una rete mondiale composta da celebrità di Hollywood, miliardari e politici democratici dediti alla pedofilia e al satanismo, contro cui il presidente D. Trump condurrebbe una strenua lotta per smascherarne le trame occulte e stabilire un Nuovo ordine mondiale. (Treccani)
By mm
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