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Democrazia contro oligarchia, la battaglia del secolo. Di Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 21 gennaio 2025)

 

Publié le21 janvier 2025 

Democracy vs oligarchy, the fight of the century

Thomas Piketty

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A few days ahead of Donald Trump, Elon Musk, and tech executives aligned with the Make America Great Again (MAGA) movement coming to power, Joe Biden delivered a forceful warning about the emergence of a new « tech industrial complex » threatening the US’s democratic ideal. For the outgoing president, the extreme concentration of wealth and power risked undermining « our entire democracy, our basic rights and freedoms, and a fair shot for everyone to get ahead. »

Biden is not wrong. The issue is that he has done little to oppose the oligarchic drift taking place both in his country and globally. In the 1930s, his predecessor Roosevelt, also deeply concerned about such trends, did not stop at making speeches. Under his leadership, Democrats implemented a robust policy of reducing social inequalities (with tax rates on the highest incomes nearing 70%–80% for half a century) and investing in public infrastructure, health, and education.

In the 1980s, Republican Ronald Reagan, deftly playing on nationalism and a feeling of catching up, undertook to dismantle Roosevelt’s New Deal. The problem was that Democrats, far from defending this legacy, actually helped legitimize and solidify Reagan’s turn, notably under the Clinton (1993-2001) and Obama (2009-2017) administrations.
Biden has often been described as more of an interventionist than his predecessors in economic matters. This is not entirely false, minus two major drawbacks. Biden was among the Democrats who voted for the Tax Reform Act of 1986, the foundational law of Reaganism, which dismantled Roosevelt’s progressive tax system by lowering the top tax rate to 28%. Everyone can make mistakes, but Biden has never felt it necessary to explain that he had made a mistake or changed his mind. If spending isn’t funded, inflation inevitably rises, another major issue on which we are still awaiting Biden’s remorse.

Moreover, the outgoing administration’s so-called « Inflation Reduction Act » primarily facilitated the flow of public funds into private enterprises, effectively supporting the accumulation of private capital. There is no doubt that the Trump administration will push this unrestrained alliance between the federal government and private interests to its peak.

Could Democrats change course in the future? The overwhelming influence of private money in US politics, as pervasive among Democrats as it is among Republicans (if not more so, even with the recent growth of small donations), urges caution. However, the party’s chances of finding its footing remain real. First, the mix of nationalism and ultra-liberalism taking power in Washington will solve none of the social and environmental challenges of our time. Second, opposition to oligarchy continues to be a cornerstone of the nation’s identity.

In 2020, the Bernie Sanders–Elizabeth Warren duo had proposed extending Roosevelt’s New Deal, with the addition of a mega-wealth tax (with rates reaching 8% annually on billionaires, a level never seen in Europe), a massive investment plan for universities and public infrastructure, and the invention of a US-tailored economic democracy (with significant voting rights for employees in corporate boards, as practiced in Germany and Sweden for decades). The two candidates had nearly tied with Biden and won overwhelmingly among younger voters. Disillusioned by the Biden-Harris experience, Democrat voters were largely absent in 2024, a costly blow to the party. It is entirely possible that a Sanders-Warren-style candidacy could succeed in the future.

Above all, the rest of the world might well spearhead the most progressive political changes in the decades to come. Little is expected from the authoritarian oligarchies that China and Russia have become. But within the BRICS, there are vibrant democracies representing more voters than all Western countries combined, starting with India, Brazil and South Africa. In 2024, Brazil supported the idea of a global wealth tax on billionaires at the G20.

The initiative was unfortunately rejected by the West, who, in the same year, also found it strategic to oppose a proposed UN tax convention, in an effort to maintain their monopoly over international tax cooperation within the rich-country club of the OECD. This stance also sought to avoid any significant redistribution of revenue on a global scale. If, in the coming years, India shifted to the left and sent the nationalist, business-oriented BJP into opposition – an increasingly plausible scenario – the pressure from the Global South for fiscal and climate justice could become irresistible.

In the global battle between democracy and oligarchy, one can only hope that Europeans will emerge from their lethargy and play their full role. Europe invented the welfare state and the social-democratic revolution in the 20th century, and it stands to lose the most from Trumpist hypercapitalism. Here again, there is reason for optimism: since the Covid-19 pandemic, the public expects a lot from the European Union and is less hesitant than its leaders. One can only hope that these leaders will rise to the occasion and, by 2025, manage to overcome the mutual distrust and perpetual self-criticism that has held them back.

 

Democrazia contro oligarchia, la battaglia del secolo.

Di Thomas Piketty

 

Pochi giorni prima di Donald Trump, di Elon Musk e dei manager della tecnologia allineati con il movimento che sta arrivando al potere Rifacciamo l’America Grande (MAGA), Joe Biden esprimeva un enfatico ammonimento  sull’emergenza di un nuovo “complesso tecnologico industriale” che minaccia l’ideale democratico degli Stati Uniti. Per il Presidente uscente, l’estrema concentrazione di ricchezza e di potere rischia di indebolire “la nostra intera democrazia, i nostri diritti e le nostre libertà fondamentali, e la ragionevole possibilità per tutti di progredire”.

Biden non ha torto. Il punto è che lui ha fatto poco per opporsi all deriva oligarchica che sta avendo luogo sia nel suo paese che globalmente. Negli anni ‘930, il suo predecessore Roosevelt, anch’egli profondamente preoccupato per tali tendenze, non si fermò a fare discorsi. Sotto la sua guida i democratici misero in atto una solida politica di riduzione delle ineguaglianze sociali (con aliquote fiscali sul redditi più alti vicine al 70%-80% per mezzo secolo) e investimenti nelle infrastrutture pubbliche, nella sanità e nell’educazione.

Negli anni ‘980, il repubblicano Ronald Reagan, giocando abilmente sul nazionalismo e su un sentimento di rimessa al passo con i tempi, intraprese lo smantellamento del New Deal di Roosevelt. Il problema fu che i democratici, lungi dal difendere questa eredità, in effetti contribuirono a legittimare e consolidare la svolta di Reagan, in particolare sotto le amministrazioni Clinton (1993-2001) e Obama (2009-2017).

Biden è stato spesso descritto come più interventista dei suoi predecessori sui temi dell’economia. Questo non è interamente falso, ad eccezione di due importanti inconvenienti. Biden fu tra i democratici quello che votò per la Legge di Riforma del Fisco del 1986, la legge fondativa del reaganismo, che smantello il sistema fiscale progressivo abbassando le massime aliquote fiscali al 28%. Gli errori li possono fare tutti,  ma Biden non ha mai sentito la necessità di spiegare che aveva fatto un errore o cambiato la sua concezione. Se la spesa non è finanziata, inevitabilmente cresce l’inflazione, un altro importante tema sul quale stiamo ancora aspettando il pentimento di Biden.

Inoltre, la cosiddetta “Legge per la riduzione dell’inflazione” ha soprattutto facilitato il flusso dei finanziamenti pubblici nelle imprese private, sostanzialmente sorreggendo l’accumulazione del capitale privato. Non c’è dubbio che l’Amministrazione Trump spingerà al massimo questa dilagante alleanza tra il Governo federale e gli interessi privati.

Potrebbero i democratici cambiare indirizzo nel futuro? La schiacciante influenza dei soldi privati nella politica statunitense, altrettanto pervasiva tra i democratici che tra i repubblicani (se non di più, anche con la crescente crescita delle piccole donazioni), spinge alla cautela. Tuttavia, le possibilità che il partito ritrovi i suoi fondamenti resta reale. Anzitutto, la combinazione di nazionalismo e di ultra-liberalismo che prende il potere a Washington non risolverà alcuna delle sfide sociali ed ambientali del nostro tempo. In secondo luogo, l’opposizione alla oligarchia continua ad essere un fondamento dell’identità nazionale.

Nel 2020, il duo Bernie Sanders – Elizabeth Warren aveva proposto una estensione del New Deal di Roosevelt, con l’aggiunta di una tasse sulle enormi ricchezze (con aliquote che raggiungevano l’8% sui miliardari, un livello mai visto in Europa), con un massiccio programma di investimenti nelle università e nelle infrastrutture pubbliche e con l’invenzione di una democrazia economica su misura degli Stati Uniti (con significativi diritti di voto per i dipendenti nei consigli di amministrazione delle imprese, come praticati in Germania e in Svezia da decenni). I due candidati quasi finirono alla pari [1] con Biden e vinsero in modo schiacciante tra gli elettori più giovani. Delusi dalla esperienza di Biden-Harris, gli elettori democratici sono stati in gran parte assenti nel 2024, uno smacco che è costato caro al partito. È del tutto possibile che una candidatura del genere di Sanders-Warren possa avere successo nel futuro.

Soprattutto, il resto del mondo potrebbe ben mettersi alla testa dei cambiamenti più progressisti nei prossimi decenni. C’è poco da aspettarsi dalle oligarchie autoritarie che la Cina e la Russia sono diventate. Ma all’interno dei BRICS, esistono democrazie vibranti che rappresentano più elettori di tutti i paesi occidentali presi assieme, a cominciare dall’India, dal Brasile e dal Sudafrica. Nel 2024, il Brasile ha sostenuto l’idea di una tassa globale sui miliardari al G20.

L’iniziativa sfortunatamente è stata respinta dall’Occidente che, nello stesso anno, ha anche ritenuto strategico opporsi ad una proposta convenzione fiscale delle Nazioni Unite, nello sforzo di mantenere il suo monopolio sulla cooperazione fiscale internazionale all’interno del club dei paesi ricchi dell’OCSE. Questa posizione ha anche cercato di evitare qualsiasi significativa redistribuzione delle entrate su scala globale. Se, negli anni avvenire, l’India si spostasse a sinistra e mandasse all’opposizione il partito BJP orientato a favore delle imprese – uno scenario sempre più plausibile – la spinta da parte del Sud Globale per la giustizia globale e climatica potrebbe divenire irresistibile.

Nella battaglia globale tra democrazia e oligarchia, si può solo sperare che gli europei si risveglino dal loro letargo e giochino il loro ruolo pienamente.  L’Europa inventò lo stato assistenziale e la rivoluzione socialdemocratica nel ventesimo secolo, e adesso si prepara a perdere la maggior parte di tutto ciò dall’ipercapitalismo trumpiano. Anche qua ci sono ragioni di ottimismo: a partire dalla pandemia del Covid-19, l’opinione pubblica si aspetta molto dall’Unione Europea ed è meno esistante dei suoi leader. Si può solo sperare che questi leader siano all’altezza dell’occasione e, col 2025, riescano a superare la reciproca sfiducia e l’autocritica senza fine che li ha sinora trattenuti.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il riferimento, ovviamente è alla primarie dei democratici nel 2020. Biden ottenne il 51,68% dei voti, Sanders il 26,22% e la Warren il 7,67% (quindi gli esponenti della sinistra ottennero il 33,89%). Non meno rilevante, Sanders vinse le primarie quanto a numero dei delegati in California, Nevada, Utah, Colorado, Nord Dakota, Iowa e New Hampshire. Nello Stato di New York le primarie non si tennero per l’emergenza del Covid ed il ritiro di Sanders, che lasciò campo libero a Biden.

 

 

 

 

 

 

 

 

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