Through a flurry of executive orders, US President Donald Trump has spent his first weeks in office trying to dismantle the international order that the United States helped create after World War II. Under the banner of “America First,” his administration has withdrawn from the Paris climate agreement, the World Health Organization, and the UN Human Rights Council. And now, it is poised to go further. A sweeping review of all multilateral organizations is underway to determine whether the US should stay or go.
Trump is also determined to upend the international trade system. Less than two weeks after taking office, he announced steep tariffs: 25% on imports from Canada and Mexico, and 10% on imports from China (on top of the levies already in place). He has also announced a 25% tariff on all steel and aluminum imports, and hinted at additional levies on automobiles, pharmaceuticals, and computer chips. Europe, too, could soon find itself in the crosshairs.
The consequences of the trade war Trump seems determined to stoke could be severe, and not just because of the sheer volume of trade that is at stake. Supply chains today are deeply integrated across borders, accounting for around 50% of intra-regional trade. In many cases, components cross borders multiple times before final assembly, so paying a 25% tariff each time an input crosses a border would quickly ratchet up costs.
Consider Mexico, which has surpassed even China as America’s largest trading partner in goods. Beyond disrupting supplies of Mexican avocados (a well-known example), tariffs would have serious repercussions on an agriculture sector that supplies 63% of US vegetable imports and 47% of its fruit and nut imports.
The automotive industry – one of Mexico’s key economic sectors, employing more than a million people and contributing around 5% of GDP – would also take a major hit. A recent S&P Global report shows that Mexico is now the largest source of US light-vehicle imports, outpacing Japan, South Korea, and Europe. Nissan, for example, sources 27% of its US sales from Mexico, while Honda sources nearly 13%, and Volkswagen 43%.
What should Mexico do? When Trump imposed tariffs on America’s neighbors in 2018, Mexican authorities responded strategically by targeting products from politically significant US states, slapping tariffs on apples, bourbon, cheese, cranberries, pork, and potatoes. But this approach has limitations, especially given the vast size of the US economy relative to its neighbours.
Still, Mexico, Canada, and Europe have leverage. America’s Achilles’ heel is its highly internationalized oligarchy: a small group of ultra-wealthy individuals whose fortunes depend on access to global markets. This vulnerability gives foreign governments influence.
The most effective countermeasure is simple: tariffs for oligarchs. Countries should tie market access for foreign multinationals and billionaires to fair taxation. As Trump follows through with tariffs on Canada and Mexico, those countries should retaliate by taxing US oligarchs. In other words, if Tesla wants to sell cars in Canada and Mexico, Elon Musk – Tesla’s primary shareholder – should be required to pay taxes in those jurisdictions.
Of course, this strategy is explicitly extraterritorial, since it applies tax obligations on foreign actors in exchange for access to local markets. But rather than fearing extraterritoriality, countries should embrace it as a tool for enforcing minimum standards, curbing inequality, preventing tax evasion, and promoting sustainability.
Unlike traditional tariffs, an oligarch tax targets those who benefit the most from globalization: billionaires and the corporations they control. It shifts the economic conflict from a battle between countries – which fuels nationalist tensions and economic retaliation – to one between consumers and oligarchs.
Moreover, this approach could trigger a virtuous cycle. Countries with major consumer markets could collect taxes that multinationals have dodged elsewhere, gradually eroding the appeal of tax competition. It would become pointless for firms or individuals to move to low-tax countries, because the savings would be offset by higher taxes owed in countries with large consumer markets. The race to the bottom would soon be replaced by a race to the top.
Trump’s return to the White House carries alarming implications. But it also presents an opportunity. This is a moment to rethink international economic relations, calmly but radically. The best response is a new global economic framework that neutralizes tax competition, fights inequality, and protects our planet. Under such a framework, importing countries would enforce tax justice beyond their borders, ensuring that multinational corporations and their billionaire owners pay their fair share.
If it’s a trade war Trump wants, consumers in Mexico, Canada, Europe, and beyond should unite to ensure that Musk and his fellow oligarchs feel the cost.
Gli oligarchi d’America sono il tallone di Achille di Trump,
di Gabriel Zucman
Attraverso un turbinio di ordinanze esecutive, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha speso le sue prime settimane in carica nel cercare di smantellare l’ordine internazionale che gli Stati Uniti avevano contribuito creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sotto la bandiera dell’ “America First”, la sua amministrazione si è ritirata dagli accordi sul clima di Parigi, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. È in corso un ampio esame di tutte le organizzazioni multilaterali internazionali per stabilire se gli Stati Uniti dovrebbero restare o andarsene.
Trump è anche determinato a sovvertire il sistema commerciale internazionale. Dopo meno di due settimane dal suo ingresso nella carica, ha annunciato esose tariffe: il 25% sulle importazioni dal Canada e dal Messico e il 10% sulle importazioni dalla Cina (in aggiunta alle imposte già in funzione). Ha annunciato una tariffa del 25% su tutte le importazioni di acciaio e di alluminio, ed ha fatto cenno a imposte aggiuntive sulle automobili, sui prodotti farmaceutici e sui semiconduttori per computer. Anche l’Europa dovrebbe presto finire nel mirino.
Le conseguenze della guerra commerciale che Trump pare determinato ad alimentare dovrebbero essere severe, e non solo per il grande volume di scambi che è in gioco. Oggi le catene dell’offerta sono profondamente integrate oltre i confini, esse realizzano circa il 50% del commercio intra regionale. In molti casi, le componenti attraversano molte volte i confini prima dell’assemblaggio finale, cosicché pagare ogni volta una tariffa del 25% su una importazione che attraversa un confine farebbe rapidamente lievitare i costi.
Si consideri il Messico, che ha sorpassato persino la Cina come il maggiore partner commerciale dell’America nei prodotti. Oltre a disarticolare le offerte degli avocados messicani (un esempio ben noto), le tariffe avrebbero gravi ripercussioni su un settore agricolo che fornisce il 63% delle importazioni vegetali statunitensi ed il 47% delle sue importazioni di frutta e di noci.
Anche l’industria automobilistica – uno dei settori economici fondamentali del Messico, che occupa più di un milione di persone e contribuisce per circa il 5% al PIL – subirebbe un colpo importante. Un recente rapporto di S&P Global mostra che oggi il Messico è la più ampia fonte di importazione di veicoli leggeri statunitensi, che sorpassa il Giappone, la Corea del Sud e l’Europa. Nissan, ad esempio, si procura il 27% delle sue vendite statunitensi dal Messico, mentre Honda se ne procura il 13% e Volkswagen il 43%.
Cosa dovrebbe fare il Messico? Quando nel 2018 Trump impose le tariffe ai vicini dell’America, le autorità messicane risposero strategicamente prendendo di mira prodotti da Stati statunitensi politicamente significativi, imponendo tariffe su mele, liquori, formaggi, mirtilli, carne suina e patate. Ma questo approccio ha limiti, particolarmente se si considera la grande dimensione dell’economia statunitense in rapporto ai suoi vicini.
La contromisura più efficace è semplice: tariffe per gli oligarchi. I paesi dovrebbero legare l’accesso al mercato per le multinazionali straniere ed i miliardari ad una giusta tassazione. Mentre Trump porta a termine le tariffe sul Canada e su Messico, quei paesi dovrebbero rivalersi tassando gli oligarchi statunitensi. In altre parole, se Tesla vuole vendere auto in Canada e in Messico, a Elon Musk – il principale azionista di Tesla – dovrebbe essere posta la condizione di pagare tasse in quella giurisdizione.
Naturalmente, questa strategia è esplicitamente extraterritoriale, dal momento che applica obblighi fiscali ad attori stranieri in cambio dell’accesso ai mercati locali. Ma piuttosto che aver timore dell’extraterritorialità, i paesi dovrebbero abbracciarla per far rispettare standard minimi, per tenere a freno l’ineguaglianza, impedire l’evasione fiscale e promuovere la sostenibilità.
Diversamente dalle tariffe tradizionali, una tassa sugli oligarchi prende di mira coloro che traggono maggiori benefici dalla globalizzazione: i miliardari e e società che essi controllano. Ciò sposta il conflitto economico da una battaglia tra paesi – che innesca tensioni nazionalistiche e rivalse economiche – ad una battaglia tra consumatori e oligarchi.
Inoltre, questo approccio potrebbe innescare un ciclo virtuoso. I paesi con importanti mercati di consumo potrebbero raccogliere tasse che le multinazionali hanno eluso altrove, erodendo gradualmente l’attrazione verso la competizione fiscale. Diventerebbe inutile per le imprese o gli individui spostarsi sui paesi con basse tasse, perché i risparmi sarebbero bilanciati da tasse più elevate dovute nei paesi con ampi mercati di consumo. La gara verso il basso sarebbe rimpiazzata da una gara verso l’alto.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca comporta implicazioni allarmanti. Ma rappresenta anche una opportunità. Queso è un momento per ripensare le relazioni economiche internazionali, con calma ma radicalmente. La risposta migliore è un nuovo modello economico globale che neutralizzi la competizione fiscale, combatta l’ineguaglianza e protegga il nostro pianeta. Con tale modello, i paesi importatori costringerebbero alla giustizia fiscale oltre i loro confini, garantendo che le società multinazionali e i loro proprietari miliardari paghino la loro giusta parte.
Se è una guerra commerciale che Trump vuole, i consumatori nel Messico, in Canada, in Europa e altrove dovrebbero unirsi per assicurare che Musk e i suoi compagni oligarchi ne avvertano il costo.
By mm
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