Blog di Krugman

Teorie originariamente vere (per esperti e con indulgenza verso me stesso) (dal blog di Krugman, 10 luglio 2017)

 

Formerly True Theories (Wonkish and Self-Indulgent)

 JULY 10, 2017 4:23 PM 

Paul Krugman 

Taking a break from health care, treason, and all that to read David Glasner on the price-specie-flow mechanism. The exposition of this mechanism by David Hume in his 1752 “Of the balance of trade“, was a landmark in the development of economics — arguably the first real economic model, making sense of the real world (and giving important policy guidance) via a simplified thought experiment, basically a model despite the absence of explicit math. Glasner argues, however, that it had ceased to be a good model by the 19th century due to the rise of fractional reserve banking and central bank discretion.

I think this critique may go both too far and not far enough. In systems where bank reserves still took the form of specie — and bank notes were backed by specie, as in the United States — a lot of the specie-flow mechanism remained in place for most of the 19th century. On the other hand, the simple link between trade balances and specie flows was broken by the rise of widespread capital mobility: when British investors were buying lots of US railroad bonds, we were no longer in Hume’s world.

But that doesn’t mean that Hume was wrong about *his* world. And reading Glasner made me think of a category of economic ideas that’s crucial, I’d argue, in making sense of part of the history of economic thought — the category of “formerly true” ideas. That is, ideas that were either good descriptions of the world the classical economists lived in, or had been good descriptions of the world just before the classicals wrote.

Pride of place here surely goes to Malthusian economics. You still see people saying flatly that Malthus was wrong. But over the roughly 60 centuries that have passed since civilization emerged in Mesopotamia, the Malthusian proposition — population pressure swallows up any gains in productivity, so that most people live on the edge of subsistence — was true for 58. It just so happens that the two centuries for which the proposition didn’t hold were the two centuries after Malthus wrote.

Actually, of course, this wasn’t an accident. Malthus didn’t kill Malthusian economics; but the rise of intellectual curiosity, of systematic hard thinking, of the scientific attitude, gave rise both to people like Malthus — who tried to approach economics in a recognizably modern manner — and to the dramatic acceleration of technological progress that took us out of the 58-century Malthusian trap.

Similarly, I don’t think there can be any doubt that something like Hume’s specie-flow mechanism did indeed operate through all of history from the first introduction of metallic money to sometime in the late 18th or early 19th century. How did Spanish silver end up fueling a rise in prices all across Europe? As Hume himself said, because silver raised Spanish prices, leading to trade deficits, and the silver flowed out to Spain’s trading partners.

Eventually, however, people — especially the Scots! — developed modern banking and learned to invest capital across borders. These commercial innovations were part of a general spirit of inquiry and innovation that produced, among other things, David Hume and Adam Smith.

Are there other examples? The self-correcting economy — in which unemployment leads to deflation, which increases the real money supply, and thus restores full employment — is another thing that probably did work for most of history, but began to fall apart as agrarian economies gave way to industrialized economies with less flexible prices. David Ricardo’s rejection of the possibility of demand shortfalls eventually turned out to be very wrong — and was surely already wrong in Britain by 1817 — but had been true in the past.

Is there a moral to this story? Maybe it is that things economic do change. By and large they change more slowly than many people think; understanding the 1930s was still immensely valuable to understanding the world after 2008. But economic “laws” — I generally hate that term — aren’t immutable, and good economists can be both right about the past and wrong for today.

I now return you to our regularly scheduled Trump coverage.

 

Teorie originariamente vere (per esperti e con indulgenza verso me stesso)

 di Paul Krugman

Prendendomi una pausa dall’assistenza sanitaria, dal tradimento [1] e tutto il resto per leggere David Glasner sul meccanismo del flusso monetario del prezzo [2]. L’esposizione di questo meccanismo da parte di David Hume nel suo libro del 1752 “Della bilancia commerciale” fu una pietra miliare nello sviluppo dell’economia – probabilmente il primo vero modello economico, che fornisce significato al mondo reale (e offre una importante guida economica) attraverso un semplificato esperimento di pensiero, fondamentalmente un modello nonostante l’assenza di matematica vera e propria. Glasner sostiene, tuttavia, che esso cessò di essere un buon modello economico col diciannovesimo secolo a seguito della riserva frazionale del sistema bancario [3] e della riservatezza delle banche centrali.

Io penso che questa critica allo stesso tempo vada oltre il limite e non vada abbastanza lontano. Nei sistemi nei quali le riserve delle banche presero tuttavia la forma delle monete – e le banconote furono sostenute dalla moneta, come negli Stati Uniti – un bel po’ del meccanismo del flusso monetario rimase all’opera per gran parte del 19° Secolo. D’altra parte, il semplice collegamento tra bilance commerciali e flussi di moneta fu interrotto dalla crescita della generalizzata mobilità del capitale: quando gli investitori inglesi vennero acquistando molte obbligazioni delle ferrovie statunitensi, non eravamo più nel mondo di Hume.

Ma questo non significa che Hume sbagliasse rispetto al “suo” mondo. E il leggere Glasner mi fa riflettere su una categoria delle idee economiche che, secondo me, è fondamentale nel rendere comprensibile una parte della storia del pensiero economico – la categoria delle idee “originariamente corrette”. Ovvero, idee che erano buone descrizioni del mondo in cui vivevano gli economisti classici, oppure che erano buone descrizioni del mondo proprio prima che i classici scrivessero.

In questo caso, il primo posto va certamente all’economia malthusiana. Si notano ancora persone che dicono insensatamente che Malthus aveva torto. Ma nel corso dei circa 60 secoli che erano passati dal momento in cui la civiltà era emersa in Mesopotamia, l’idea malthusiana – la pressione della popolazione inghiotte ogni guadagno nella produttività, cosicché gran parte della popolazione vive al limite della sussistenza – fu vera per 58 di quei secoli. Si dà solo il caso che i due secoli nei quali quell’idea non resse furono quelli successivi agli scritti di Malthus.

Per la verità, come è ovvio, non si trattò di un incidente. Non fu Malthus ad ammazzare l’economia malthusiana, ma lo sviluppo della curiosità intellettuale, della sistematica faticosa riflessione, della attitudine scientifica, fecero crescere sia le persone come Malthus – che cercarono un approccio all’economia in termini riconoscibilmente moderni – e portarono ad una spettacolare accelerazione del progresso tecnologico che ci portò fuori dalla trappola malthusiana durata 58 secoli.

In modo simile, non penso possa esserci alcun dubbio che qualcosa come il meccanismo del flusso monetario in Hume operò effettivamente per tutta la storia sin dalla prima introduzione della moneta metallica, sino a una certa fase del tardo 18° secolo e del primo 19° secolo. Come l’argento spagnolo finì per accendere una crescita dei prezzi in tutta l’Europa? Come disse Hume stesso, dipese dal fatto che l’argento alzò i prezzi spagnoli, portando a deficit commerciali, e l’argento si riversò fuori ai partner commerciali della Spagna.

Alla fine, tuttavia, le persone – specialmente gli Scozzesi – svilupparono un sistema bancario moderno e impararono ad investire i capitali oltre i confini. Queste innovazioni commerciali furono parte di uno spirito generale di indagine e di innovazione che produsse, tra le altre cose, David Hume e Adam Smith.

Ci sono altri esempi? Una economia che si corregge per suo conto – nella quale la disoccupazione porta alla deflazione, che accresce la reale offerta di moneta e quindi restaura la piena occupazione – è un’altra cosa che probabilmente funzionò per gran parte della storia, ma cominciò ad andare a pezzi nel momento in cui le economie agrarie cedettero il passo ad economie industrializzate con prezzi meno flessibili. Il rigetto di David Ricardo della possibilità di deficit della domanda alla fine si dimostrò del tutto sbagliato – ed era certamente già sbagliato nell’Inghilterra del 1817 – ma era stato vero nel passato.

C’è una morale in questa storia? Forse che le cose dell’economia subiscono per davvero modifiche. In generale esse cambiano più lentamente di quanto non pensino molte persone; comprendere gli anni ’30 ha avuto ancora un grandissimo valore per comprendere il mondo dopo il 2008. Ma le “leggi” dell’economia – una espressione che in generale io odio – non sono immutabili, e i buoni economisti possono aver ragione rispetto al passato e nello stesso tempo torto rispetto all’oggi.

E adesso torno ai miei regolarmente programmati articoli su Trump.

 

 

[1] Ovvero dalle notizie sullo scandalo russo di Trump.

[2] Meccanismo classico, elaborato da Hume, di riequilibrio della Bilancia dei pagamenti. Il nesso tra aggiustamento esterno e variazioni dei prezzi interni ed esterni è offerto dalla teoria quantitativa della moneta e dalla connessione tra saldi di bilancia dei pagamenti e stock di moneta. La variazione nella quantità di mezzi monetari modifica i prezzi interni, facendoli diminuire nel Paese che registra un deficit. Tende così a ristabilirsi l’equilibrio se la somma delle elasticità al prezzo delle importazioni e delle esportazioni è maggiore dell’unità.

[3] Ovvero alla regola per la quale nelle banche deve esserci costantemente un adeguato rapporto tra depositi e prestiti, nella forma di riserve che consentano di soddisfare picchi improvvisi di richiesta di denaro.

 

 

 

 

 

 

Quale fu il periodo aureo degli intellettuali conservatori? (dal blog di Krugman, 9 luglio 2017)

luglio 16, 2017

 

When Was The Golden Age Of Conservative Intellectuals?

di Paul Krugman

 JULY 9, 2017 3:00 PM 

A few days late, but a few thoughts on Bret Stephens’s column about the intellectual decline of conservatism. As you might guess, I agree completely with his take on the modern degeneracy of the movement. But Stephens harks back to a golden age of deep thought; and my question is, when was this age, exactly?

William F. Buckley is a problematic icon. Surely one needs to mention his spirited defense of white supremacy in the South, and National Review’s weird infatuation with Generalissimo Francisco Franco. I’d also note that while God and Man at Yale castigated my alma mater for its downgrading of religion, he seemed equally dismayed by the fact that it was teaching Keynesian economics — you know, the stuff that has been so thoroughly vindicated these past few years.

But leave that aside. When did conservatives have good ideas, and when did they stop? Let’s talk about four areas I know pretty well: macroeconomics, environment, health care, and inequality.

In macroeconomics, there’s no question that Milton Friedman and, initially, Robert Lucas performed a useful service by challenging the case for policy activism, especially fiscal activism. Circa 1976 the track record of Chicago macroeconomics was impressive indeed.

But then it all fell apart. Lucas-type models failed the test of events in the 1980s, while updated Keynesianism held up. Rather than admitting that they had overreached, however, conservative macroeconomists just dug themselves deeper into the rabbit hole — effectively turning their back on Friedman-style monetarism as well as Keynesianism. Vigorous monetary expansion to fight a deep slump, originally a conservative idea, became anathema on the right even as it was welcomed on the left. What was once a good conservative idea was incorporated by liberals while rejected by the right.

On environment, a similar turn took place a bit later. The use of markets and price incentives to fight pollution was, initially, a conservative idea condemned by some on the left. But liberals eventually took it on board — while cap-and-trade became a dirty word on the right. Crude slogans –Government bad! — plus subservience to corporate interests trumped analysis.

On health care, ObamaRomneycare — relying on mandates, regulation, and subsidies rather than a single-payer system — was, famously, a conservative idea developed at the Heritage Foundation. But liberals took it on board — pretty quickly, actually — while conservatives began denouncing their own side’s clever idea as evil incarnate.

Finally, on inequality, conservative intellectuals were terrible from the very beginning. I wrote a long piece in 1992 detailing their evasions and distortions, many of which remain unchanged to this day. It wasn’t just that they were wrong; as I wrote at the time,

the combination of mendacity and sheer incompetence displayed by the Wall Street Journal, the U.S. Treasury Department, and a number of supposed economic experts demonstrates something else: the extent of the moral and intellectual decline of American conservatism.

Remember, this was a quarter-century ago.

So when was the golden age of conservative intellectuals? Actually, there never was one. Certainly, the supposed era in which only conservatives had all the interesting ideas while liberals rehashed tired dogma never happened in any field I know well. That said, there was a period when conservatives contributed some useful stuff to the discourse. But that era ended a long, long time ago.

 

Quale fu il periodo aureo degli intellettuali conservatori?

di Paul Krugman 

Alcune riflessioni, sia pure con alcuni giorni di ritardo, sull’articolo di Bret Stephens sul declino intellettuale del conservatorismo. Come potete immaginarvi, concordo pienamente con la sua presa di posizione sulla moderna degenerazione del movimento. Ma Stephens risale ad una età aurea di pensiero profondo; e la mia domanda è, quale fu quel periodo, esattamente?

William F. Buckley è una icona problematica [1]. Di sicuro si dovrebbe ricordare la sua vivace difesa della supremazia bianca nel Sud, e l’infatuazione della National Review per il Generalissimo Francisco Franco.  Osserverei anche che mentre il suo libro Dio e l’uomo a Yale se la prendeva con la mia Università di provenienza per la sua scarsa considerazione della religione, egli sembrava anche sconcertato dal fatto che in essa si insegnava economia keynesiana – sapete, quella roba che è stata così completamente risarcita negli ultimi anni.

Ma lasciamo da parte questi argomenti. Quando i conservatori ebbero buone idee, e quando smisero di averne? Consentitemi di parlare di quattro aree che conosco abbastanza bene: la macroeconomia, l’ambiente, l’assistenza sanitaria e l’ineguaglianza.

In macroeconomia non c’è dubbio che Milton Friedman e, inizialmente, Robert Lucas fecero un servizio utile mettendo alla prova l’argomento dell’attivismo politico, in particolare dell’attivismo in materia di finanza pubblica. In effetti, attorno al 1976, i risultati della macroeconomia di Chicago erano impressionanti.

Ma poi andò tutto in frantumi. Negli anni ’80 i modelli del genere di Lucas non superarono la prova dei fatti, mentre un keynesismo aggiornato resse. Tuttavia, piuttosto che ammettere di essersi spinti troppo oltre, i macroeconomisti conservatori si rintanarono più a fondo nella buca del coniglio – in sostanza voltando le spalle sia al monetarismo sul genere di Friedman che al keynesismo. Una vigorosa espansione monetaria per combattere una profonda recessione, originariamente un’idea conservatrice, divenne a destra un anatema, persino quando era bene accolta a sinistra. Si trattò di una precedente buona idea conservatrice che era stata incorporata dai progressisti, nel mentre veniva rigettata dalla destra.

Sull’ambiente, un po’ dopo si manifestò una svolta simile. L’uso dei mercati e degli incentivi dei prezzi per combattere l’inquinamento era stata, inizialmente, un’idea conservatrice, condannata da alcuni a sinistra. Ma alla fine i progressisti la accolsero – mentre la politica del “cap-and-trade[2] per la destra divenne un espressione sconcia. Puri e semplici slogan – il Governo è il Male! – oltre alla sottomissione agli interessi delle grandi società,  prevalsero sull’analisi.

Sulla assistenza sanitaria, le riforme di Obama e di Romney [3] – che si basavano sull’obbligo ad acquistare una assicurazione, sui regolamenti e sui sussidi anziché su un sistema centralizzato di pagamenti – furono, come è noto, un’idea sviluppata presso la Fondazione Heritage. Ma i progressisti la fecero propria – in effetti, abbastanza rapidamente – mentre i conservatori cominciarono a denunciare l’idea intelligente prodotta dal loro stesso schieramento come un’incarnazione del Male.

Infine, sull’ineguaglianza gli intellettuali conservatori sono stati terribili sin dall’inizio. Io scrissi nel 1992 un lungo articolo per dettagliare le loro ambiguità e le loro distorsioni, molte delle quali restano immutate sino ai giorni nostri. Non era solo il fatto che sbagliavano; come scrissi a quel tempo la combinazione di menzogne e di pura e semplice incompetenza mostrata dal Wall Street Journal, dal Dipartimento del Tesoro e da un certo numero di presunti esperti di economia dimostrano qualcos’altro: la misura del declino morale e intellettuale del conservatorismo americano.

Ricordiamo che questo accadeva un quarto di secolo fa.

Dunque, quale fu il periodo aureo degli intellettuali conservatori? Effettivamente, non ce n’è mai stato uno. Certamente, la presunta epoca nella quale soltanto gli intellettuali conservatori avevano tutte le idee interessanti mentre i progressisti rimasticavano stanchi dogmi, non c’è mai stata in nessun campo che io conosco bene. Ciò detto, ci fu un periodo nel quale i conservatori fornirono il contributo di qualche cosa di utile al dibattito. Ma quell’epoca terminò molto tempo fa.

 

 

[1] William Frank Buckley Junior (New York24 novembre 1925 – Stamford28 febbraio 2008) è stato un saggistagiornalista e conduttore televisivo statunitense. Probabilmente viene definito “icona problematica” considerato che – oltre ai particolari segnalati nel post, dopo una pur ricca carriera di studi – trovò il modo di fare esperienze più singolari, come diventare membro di una setta chiamata “Teschio ed ossa” e lavorare per la CIA in Messico.

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[2] Letteralmente, del “mettere un limite e consentire gli scambi” in materia di inquinamento ambientale – ovvero mettere un limite all’inquinamento e premiare chi sta sotto quel limite, anche permettendogli di ‘vendere’ il proprio comportamento virtuoso a chi resta provvisoriamente indietro (l’acquisto di ‘punti’ dai più virtuosi – e talora anche di tecnologie – essendo un modo provvisorio per restare nella legalità).

[3] Come si è varie volte segnalato, Krugman insiste nel mettere sullo stesso piano le due riforme – quella di Obama e la precedente del repubblicano Romney nello Stato del Massachusetts – perché c’era una effettiva somiglianza. Romney non poté mai vantarsene, perché nel periodo di tempo trascorso da quando era Governatore di quello stato a quando divenne candidato repubblicano, i repubblicani ormai la consideravano una bestemmia.

 

 

 

 

 

Vera e propria lotta di classe, con disprezzo in aggiunta, ( dal blog di Paul Krugman, 23 giugno 2017)

giugno 27, 2017

 

JUN 23 3:24 AM

Pure Class Warfare, With Extra Contempt

 Paul Krugman

The Senate version of Trumpcare – the Better Care Reconciliation Act – is out. The substance is terrible: tens of millions of people will experience financial distress if this passes, and tens if not hundreds of thousands will die premature deaths, all for the sake of tax cuts for a handful of wealthy people. What’s even more amazing is that Republicans are making almost no effort to justify this massive upward redistribution of income. They’re doing it because they can, because they believe that the tribalism of their voters is strong enough that they will continue to support politicians who are ruining their lives.

In this sense – and in only this sense – what we’re seeing now is a departure from previous Republican practice.

In the past, laws that would take from the poor and working class while giving to the rich came with excuses. Tax cuts, their sponsors declared, would unleash market dynamism and make everyone more prosperous. Deregulation would increase efficiency and lower prices. It was all voodoo; the promises never came true. But at least there was some pretense of working for the common good.

Now we have none of this. This bill does nothing to reduce health care costs. It does nothing to improve the functioning of health insurance markets – in fact, it will send them into death spirals by reducing subsidies and eliminating the individual mandate. There is nothing at all in the bill that will make health care more affordable for those currently having trouble paying for it. And it will gradually squeeze Medicaid, eventually destroying any possibility of insurance for millions.

Who benefits? It’s all about the tax cuts, almost half of which will go to people with incomes over $1 million, the great bulk to people with incomes over 200K.

So, is this bill good for you? Yes, if you meet the following criteria:

1.Your income is more than $200,000 a year
2.You have a job that comes with good health insurance
3.You can’t imagine any circumstances under which you lose that job or income
4.You don’t have any family members or friends who don’t meet those criteria
5.You have zero empathy for anyone else

The set of people who can check all these boxes is not a winning political coalition. But Republican leaders believe that their voters are tribal enough, sufficiently walled off from information, that they’ll ignore the attack on their lives and keep voting R – indeed, that as they lose health care, get hit with crushing out-of-pocket bills, see their friends and neighbors face ruin, they’ll blame it on Democrats.

I wish I were sure that this belief was false.

 

Vera e propria lotta di classe, con disprezzo in aggiunta,

di Paul Krugman

La versione del Senato della riforma della assistenza di Trump – la Legge di Riconciliazione di una Assistenza Migliore – è pubblica. La sostanza è tremenda: se essa verrà approvata decine di milioni di persone faranno i conti con problemi finanziari angoscianti, e decine se non centinaia di migliaia moriranno per decessi prematuri, il tutto nell’interesse di sgravi fiscali per una manciata di ricchi. Quello che è persino più stupefacente è che i repubblicani non stanno facendo quasi nessuno sforzo per giustificare questa massiccia redistribuzione dei redditi verso l’alto. Lo stanno facendo perché hanno il potere di farlo, perché credono che la faziosità dei loro elettori sia forte abbastanza da continuare a sostenere i politici che stanno rovinando le loro esistenze.

In questo senso – e solo in questo senso – quello a cui stiamo adesso assistendo diverge dalla precedente pratica repubblicana.

Nel passato, le leggi che avrebbero tolto ai poveri ed alla classe lavoratrice per favorire i ricchi erano accompagnate da pretesti. Gli sgravi fiscali, dichiaravano i loro sostenitori, avrebbero liberato il dinamismo del mercato ed avrebbero reso tutti più prosperi. La deregolamentazione avrebbe aumentato l’efficienza e abbassato i prezzi. Era tutta economia voodoo; le promesse non si avveravano mai. Ma c’era almeno qualche pretesa di funzionamento per il bene comune.

Ora non abbiamo niente di questo. Questa proposta di legge non fa niente per ridurre i costi della assistenza sanitaria. Non fa niente per migliorare il funzionamento dei mercati delle assicurazioni sanitarie – di fatto, li porterà a spirali fatali riducendo i sussidi ed eliminando l’obbligo alla assicurazione per i singoli utenti. Nella proposta di legge non c’è assolutamente niente che renderà l’assistenza sanitaria più sostenibile per coloro che attualmente hanno problemi a pagarla. E gradualmente schiaccerà Medicaid, alla fine distruggendo ogni possibilità di assicurazione per milioni di persone.

Chi ne trae vantaggi? I vantaggi vanno tutti in sgravi fiscali, quasi la metà dei quali andranno a persone con redditi superiori a 1 milione di dollari, la gran parte degli individui con redditi superiori ai 200 milia dollari.

Dunque, è positiva nel vostro caso questa proposta di legge? Sì, se soddisfate i seguenti criteri:

1 – Il vostro reddito è superiore ai 200.000 dollari all’anno;

2 – Avete un posto di lavoro che fornisce anche una buona assicurazione sanitaria;

3 – Non potete immaginare nessuna circostanza nella quale perdere quel posto di lavoro o quel reddito,

4 – Non avete nessun componente della famiglia o amico che non soddisfa quei criteri;

5 – Avete empatia zero per tutti gli altri.

Il complesso di persone che possono spuntare tutte quelle caselle non costituisce una coalizione politica vincente. Ma i dirigenti repubblicani credono che i loro elettori siano sufficientemente faziosi, sufficientemente impermeabili alle informazioni, da ignorare l’attacco alle loro esistenza e continuare a votare repubblicano – in sostanza, che al momento in cui perderanno l’assistenza sanitaria, prenderanno un colpo con un devastante esborso di tasca propria, vedranno i loro amici e vicini far fronte ad un disastro, essi daranno la colpa ai democratici.

Vorrei esser certo che quel convincimento sia falso.

 

 

 

Il silenzio dei pennivendoli (dal blog di Paul Krugman, 16 giugno 2017)

giugno 20, 2017

 

JUN 16 11:19 AM 

The Silence of the Hacks 

Paul Krugman

The actual text of the Senate version of Trumpcare is still a secret, even from almost all the Senators who are expected to vote for it. But that’s actually a secondary issue: never mind the precise details, what’s the organizing idea? What is the bill supposed to do, and how is it supposed to do it?

The answer — which I’ve been suggesting for a while — is that they have no idea, and more broadly, no ideas in general. Now Vox confirms this, by interviewing a series of Republican senators:

With the bill’s text still not released for public view, Vox asked GOP senators to explain their hopes for it. Who will benefit from the legislation? What problems is this bill trying to solve?

The answers, universally, were “Er. Ah. Um.”

Time was when even the worst legislation came with some kind of justification, when you could count on the hacks at Heritage to explain why eating children will encourage entrepreneurship, or something. On the right, these explanations have descended into ever deeper voodoo; the Kansas experiment was based on obvious nonsense, and has turned out even worse than cynics might have suggested. And you might have thought that this was as bad as it can get.

But now we have legislation that will change the lives of millions, and they haven’t even summoned the usual suspects to explain what a great idea it is. If hypocrisy is the tribute vice pays to virtue, Republicans have decided that even that’s too much; they’re going to try to pass legislation that takes from the poor and gives to the rich without even trying to offer a justification.

And they’ll try to do it by dead of night, of course.

This has nothing to do with Trump, who is, as I’ve been saying, an ignorant bystander — yes, he’s betraying every promise he made, but what else is new? It’s about Congressional Republicans.

Which Congressional Republicans? All of them. Remember, three senators who cared even a bit about substance, legislative process, and just plain honesty with the public, could stop this. So far, it doesn’t look as if there are those three senators.

This is a level of corruption that’s hard to fathom. Yet it’s the reality of one of our two parties.

 

Il silenzio dei pennivendoli,

di Paul Krugman

Il testo attuale nella versione del Senato della riforma della assistenza di Trump è ancora segreto, persino per quasi tutti i senatori che ci si aspetta lo votino. Ma questo è un aspetto effettivamente secondario: non contano i precisi dettagli, qual è l’idea di fondo? Che cosa si suppone che produca la proposta di legge, e come?

La risposta – che vengo suggerendo da un po’ – è che essi non hanno nessuna idea, come non hanno, in senso più generale, nessuna idea su niente. Ora Vox lo conferma, intervistando una serie di Senatori repubblicani:

“Con il testo della proposta di legge ancora non rilasciato alla opinione pubblica, Vox ha chiesto a Senatori del Partito Repubblicano le speranze che nutrono su di esso. Chi trarrà beneficio dalla legislazione? Quali problemi la proposta di legge sta cercando di risolvere?”

Le risposte, all’unanimità, sono state: “Mah, ah, chissà”.

C’era un tempo nel quale persino la peggiore legge era provvista di una giustificazione di qualche genere, quando si poteva contare che i pennivendoli di Heritage spiegassero perché mangiare i bambini avrebbe incoraggiato l’imprenditoria, o cose del genere. Sulla destra, queste spiegazioni sono precipitate in una forma di voodoo che non era mai stato così profondo; l’esperimento del Kansas si era basato su un evidente nonsenso, e si è rivelato persino peggiore di quello che i pessimisti potevano suggerire. Avreste potuto pensare che questo fosse il massimo della negatività che si poteva avere.

Ma adesso abbiamo una legislazione che cambierà la vita a milioni di persone, ed essi non hanno neppure convocato i soliti noti a spiegare di quale grande idea si tratti. Se l’ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù, i repubblicani hanno deciso che persino quello è troppo; stanno cercando di approvare una legge che prende ai poveri per fare un regalo ai ricchi senza neppure cercare di dare una giustificazione.

E ovviamente stanno cercando di farlo nel cuore della notte.

Questo non ha niente a che fare con Trump, che è, come sto ripetendo, uno spettatore inconsapevole – è vero, sta tradendo ogni promessa che aveva fatto, ma che c’è di nuovo? È una faccenda che riguarda i congressisti repubblicani.

Quali congressisti repubblicani? Tutti loro. Si rammenti, tre Senatori che si preoccupassero appena un po’ di sostanza, del processo legislativo, di essere soltanto semplicemente onesti con l’opinione pubblica, potrebbero fermare tutto questo. Sinora, non sembra ci siano quei tre senatori.

Questo è un livello di decadenza morale che è difficile immaginare. Eppure è la realtà di uno dei nostri due Partiti.

 

 

 

Un esercizio a spanne sulla iperglobalizzazione (dal blog di Paul Krugman, 14 luglio 2017)

giugno 20, 2017

 

JUNE 14, 2017 8:50 PM 

A Finger Exercise On Hyperglobalization

 Paul Krugman

The days when surging world trade was the big story seem like a long time ago. For one thing, trade has stopped surging, and seems to have plateaued. For another, we have more pressing issues, like the rise of authoritarianism and the attempt to sabotage health care.

But I recently gave a presentation on trade issues, have been playing around with them again, and anyway want to take occasional breaks from the horror of today’s political economy. So I find myself trying to find simple ways to talk about “hyperglobalization,” the surge in trade from around 1990 to the eve of the Great Recession. None of the underlying ideas is new, but maybe some people will find the exposition helpful.

The idea here is to think about the effects of transport costs and other barriers to trade pretty much the same way trade economists have long thought about “effective protection.”

This concept was introduced mainly as a way to understand what was really happening in countries attempting import-substituting industrialization. The idea was something like this: consider what happens if a country places a tariff on car imports, but not on imports of auto parts. What it’s really protecting, then, is the activity of auto assembly, making it profitable even if costs are higher than they are abroad. And the extent to which those costs can be higher can easily be much bigger than the tariff rate.

Suppose, for example, that you put a 20% tariff on cars, but can import parts that account for half the value of an imported car. Then assembling cars becomes worth doing even if it costs 40% more in your country than in the potential exporter: a nominal 20% tariff becomes a 40% effective rate of protection.

Now let’s switch the story around, and talk about a good an emerging market might be able to export to an advanced economy. Let’s say that in the advanced country it costs 100 to produce this good, of which 50 is intermediate inputs and 50 assembly. The emerging market, we’ll assume, can’t produce the inputs, but could do the assembly using imported inputs. There are, however, transport costs – say 10% of the value of any goods shipped.

If we were talking only about trade in final goods, this would mean that the emerging market could export if its costs were 10% less – 91, in this case. But we’ve assumed that it can’t do the whole process. It can do the assembly, and will if its final costs including inputs are less than 91. But the inputs will cost 55 because of transport. And this means that to make exporting work it must have costs less than 91-55=36, compared with 50 in the advanced country.

That is, to overcome 10% transport costs this assembly operation must be 38% cheaper than in the advanced country.

But this in turn means that even a seemingly small decline in transport costs could have a large effect on the location of production, because it drastically reduces the production cost advantage emerging markets need to have. And it leads to an even more disproportionate effect on the volume of trade, because it leads to a sharp increase in shipments of intermediate goods as well as final goods. That is, we get a lot of “value chain” trade.

This, I think, is what happened after 1990, partly because of containerization, partly because of trade liberalization in developing countries. But it’s also looking more and more like a one-time thing.

I now return you to our regularly scheduled Trump coverage.

 

Un esercizio a spanne sulla iperglobalizzazione,

di Paul Krugman

I giorni nei quali la grande storia era la brusca crescita del commercio mondiale sembrano passati da molto. Da una parte, il commercio ha cessato di crescere e sembra essersi stabilizzato. Dall’altra, abbiamo temi più pressanti, come la crescita dell’autoritarismo e il tentativo di sabotaggio della assistenza sanitaria.

Ma di recente ho tenuto un discorso sui temi del commercio, essendo tornato a trafficare nuovamente con essi, e in ogni modo voglio prendermi qualche occasionale pausa dall’orrore della politica economica odierna. Dunque mi ritrovo a cercare di individuare dei modi semplici per parlare della ‘iperglobalizzazione’, la crescita del commercio da circa il 1990 sino al periodo della Grande Recessione. Nessuna delle idee sottostanti è nuova, ma forse alcune persone troveranno utile l’esposizione.

In questo caso l’idea è pensare agli effetti dei costi di trasporto e ad altre barriere al commercio sostanzialmente nello stesso modo in cui gli economisti del commercio hanno a lungo riflettuto sulla “protezione effettiva” [1].

Questo concetto venne introdotto principalmente come un modo per comprendere cosa stava realmente accadendo nei paesi che cercavano l’industrializzazione attraverso una sostituzione delle importazioni. L’idea era grosso modo questa: si consideri quello che accade se un paese mette in atto una tariffa sulla importazione delle automobili, ma non sulla importazione di parti dei veicoli. Quello che esso sta effettivamente proteggendo, in quel caso, è l’attività di assemblamento delle automobili, rendendola profittevole anche se i costi sono più alti che all’estero.  E la misura nella quale quei costi possono essere più alti può essere molto più grande dell’aliquota della tariffa.

Supponiamo per esempio che si stabilisca una tariffa del 20% sulle automobili, ma che si possano importare componenti che valgono la metà del valore di una macchina importata. A quel punto assemblare le automobili diventa conveniente anche se costano il 40% in più nel vostro paese che in quello di un potenziale esportatore: una tariffa nominale del 20% diventa un 40% di quota effettiva di protezione.

Adesso introduciamo un cambiamento nel nostro racconto, e ragioniamo di un bene che un mercato emergente potrebbe essere capace di esportare in una economia avanzata. Diciamo che nell’economia avanzata produrre questo bene ha un costo eguale a 100, 50 dei quali sono i contributi dei beni intermedi e 50 l’assemblaggio. Assumeremo che il mercato emergente non possa produrre quei beni (intermedi), ma potrebbe assemblarli utilizzando beni importati. Ci sono, tuttavia, i costi di trasporto – diciamo pari al 10% del valore di ogni bene spedito.

Se stessimo parlando soltanto del commercio dei beni finali, questo significherebbe che il mercato emergente potrebbe esportare se i suoi costi fossero inferiori al 10% – pari, in questo caso, a 91. Ma noi abbiamo assunto che esso non può realizzare il processo intero. Ma, a causa del trasporto, gli input costeranno 55. E questo significa che per rendere l’esportazione possibile essa dovrà avere costi inferiori a 91-55=36, a confronto dei 50 nel paese avanzato.

Ovvero, per ovviare ai costi di trasporto del 10% questa operazione di assemblaggio deve essere del 38% più economica che nel paese avanzato.

Ma a sua volta questo significa che anche un apparentemente modesto declino nei costi di trasporto potrebbe avere un ampio effetto nella localizzazione della produzione, perché esso ridurrebbe drasticamente il vantaggio nei costi di produzione di cui i mercati emergenti hanno bisogno. E questo porta ad un effetto persino più sproporzionato nel volume del commercio, giacché comporta un brusco incremento nella spedizione dei beni intermedi come dei beni finali. Ovvero, otteniamo molto commercio dalla “catena del valore”.

Questo, penso, sia quello che è successo dopo il 1990, in parte per la containerizzazione, in parte per la liberalizzazione del commercio nei paesi sviluppati.

Ora torno a i nostri regolarmente programmati resoconti su Trump.

 

 

[1] In economia, il “tasso effettivo di protezione” è una misura dell’effetto totale dell’intera struttura delle tariffe sul valore aggiunto per unità di prodotto in ciascun settore industriale, quando sia i beni intermedi che quelli finali sono importati. Questa statistica è utilizzata dagli economisti per misurare la quantità reale di protezione consentita ad un settore industriale dalle imposte sull’importazione, dalle tariffe e da altre restrizioni commerciali.

 

 

 

 

 

La loro personale Pyongyang (dal blog di Paul Krugman, 13 giugno 2017)

giugno 19, 2017

 

JUN 13 1:13 PM

Their Own Private Pyongyang

Paul Krugman

It was a weird scene: Trump cabinet members speaking up, one by one, to offer effusive, groveling praise to their boss. Even if the praise had been justified (in fact, Trump has achieved amazingly little), it was deeply un-American — the kind of thing you would expect to see in an authoritarian regime, not a republic where leaders are supposed to pretend to be humble servants of the people.

But it was of a piece with everything else we’ve been seeing, not just from Trump — who doesn’t have a democratic bone in his body — but from Republicans, who have so far showed themselves willing to accept any and all abuses of power, including almost comical levels of financial self-dealing. So this isn’t just a Trump story; it’s about what happened to the GOP.

I don’t have a full explanation. But surely a starting point is the realization that while America as a whole isn’t an authoritarian regime — yet — the modern Republican party in many ways is. That is, once you’ve made the decision to become Republican, you find yourself living in your own private Pyongyang.

I mean this in a couple of senses. One is that for the great majority of Congressional Republicans, loyalty to party is all that matters for their political futures. As this chart from Nate Silver shows, there are now very few swing districts, in which a Republican can lose short of a political earthquake;

zz 409

 

 

 

 

 

 

 

 

This is true of Democrats too, but the Democratic party is a field of contending interest groups, while the GOP is monolithic. So if you’re a Republican politician, you care about following the party line — full stop.

But mightn’t even Republican voters turn on you if you seem too slavish to an obviously corrupt leadership? Well, where would those voters get such an idea? For all practical purposes, Republican primary voters get their news from wholly partisan media, which quite simply present a picture of the world that bears no resemblance to what independent sources are saying. Even though most Republicans in DC probably know better, their self-interest says to pretend to believe the official line.

So if you’re Representative Bomfog from a red state, your entire career depends on being an apparatchik willing to do and say anything the regime demands. Suggestions that the president’s men, and maybe the man himself, is in collusion with a foreign power? Fake news! Firing the FBI director in an obvious obstruction of justice? Let’s make excuses! Analyses suggesting that your bill will cause mass suffering? Never mind. Party loyalty is all — even if it demands humiliating displays of obsequious deference.

This is why I don’t trust claims that firing Mueller would cross some kind of red line. All indications are that there is no line.

The one thing that might cause Rs to turn on Trump would be the more or less certain prospect of a wave election so massive that even very safe seats get lost. And at the rate things are going, that could happen. But if it does, it will be nothing like a normal political process; it will be more like a revolution within the GOP, a regime change that would shatter the party establishment.

Here’s hoping.

 

La loro personale Pyongyang,

di Paul Krugman

È stata una scena sconcertante: i membri del Gabinetto di Trump che intervengono, uno dopo l’altro, per offrire calorosi, servili elogi al loro capo. Persino se gli elogi fossero giustificati (di fatto, Trump ha realizzato incredibilmente poco), è una situazione molto estranea all’America – il genere di cosa che vi aspettereste di vedere in un regime autoritario, non in una repubblica nelle quale gli uomini pubblici si suppone fingano di essere umili servitori del popolo.

Ma era un aspetto di tutto il resto cui stiamo assistendo, non solo da parte di Trump – che nel suo organismo non ha niente di democratico – ma da parte dei repubblicani, che sino a questo punto i sono dimostrati disponibili ad accettare ognuno e tutti gli abusi di potere, incluso il farsi i propri interessi finanziari a livelli quasi comici. Dunque, non si tratta solo della storia di Trump; riguarda quello che è accaduto al Partito Repubblicano.

Non ho una spiegazione completa. Ma certamente il punto di partenza è la comprensione che mentre l’America nel suo complesso non è un regime autoritario – tuttavia, il Partito Repubblicano odierno lo è in molti sensi.  Vale a dire che, una volta che avete preso la decisione di diventare repubblicani, vi ritrovate a vivere in una vostra personale Pyongyang.

Intendo questo in un paio di sensi. Uno è che per la grande maggioranza dei repubblicani del Congresso, la fedeltà al Partito è tutto quello che conta per il loro futuro politico. Come mostra questo grafico di Nate Silver, adesso ci sono molto pochi distretti elettorali oscillanti, nei quali un repubblicano può perdere di misura a seguito di un sommovimento politico:

zz 409

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]

Questo è vero anche per i democratici, ma il Partito Democratico è un campo di contesa per gruppi di interesse, mentre il Partito Repubblicano è un monolite. Se siete dunque un politico repubblicano, la vostra preoccupazione è quella di andare dietro la linea del Partito e nient’altro.

Ma non potrebbero anche gli elettori repubblicani cambiare direzione, se il loro candidato appare troppo servile nei confronti di una leadership evidentemente corrotta? Ebbene, dove quegli elettori prenderebbero un’idea del genere? Da un punto di vista pratico, gli elettori repubblicani derivano le loro notizie da media interamente di parte, che molto semplicemente presentano una rappresentazione del mondo che non ha alcuna somiglianza con quello che sostengono le fonti indipendenti.  Anche se la maggioranza dei repubblicani a Washington probabilmente non sono così ingenui, il loro interesse personale gli dice di fingere di credere alla linea ufficiale del Partito.

Dunque, se siete il “congressista Bomfog[2]” e venite da uno Stato repubblicano, la vostra intera carriera dipende dall’essere un uomo di apparato disponibile a fare e a dire tutto quello che il regime vi impone. Le indicazioni secondo le quali gli uomini del Presidente, e forse lui stesso, sono in collusione con una potenza straniera? False notizie! Il licenziamento del direttore dell’FBI nell’ambito di un evidente tentativo di ostacolare la giustizia? Facciamogli le nostre scuse! Le analisi secondo le quali la vostra proposta di legge provocherà grandi sofferenze? Non hanno importanza. La fedeltà al Partito è tutto – anche se richiede un umiliante sfoggio di ossequiosa deferenza.

Ecco perché non credo agli argomenti secondo i quali il licenziamento di Mueller supererebbe una linea rossa di qualche genere. Tutte le indicazioni dicono che non c’è nessuna linea.

L’unica cosa che potrebbe provocare i Repubblicani a rivoltarsi contro Trump sarebbe la prospettiva più o meno certa di un’ondata elettorale così massiccia da far perdere persino i seggi molto sicuri. E al ritmo al quale le cose stanno procedendo, potrebbe accadere. Ma se accadesse, non sarebbe niente di simile ad un normale processo politico; sarebbe più una rivoluzione all’interno del Partito Repubblicano, un cambiamento di regime che manderebbe in pezzi il gruppo dirigente.

È quello che stiamo sperando.

 

 

[1] Il grafico mostra la situazione elettorale dei due Partiti. Le diverse tonalità di celeste/blu e di rosa/rosso/marrone rispettivamente per i democratici e per i repubblicani, indicano i distretti con risultati schiaccianti (blu e marrone), quelli con forti prevalenze (celeste e rosso) e quelli con inclinazioni più modeste (celeste chiaro e rosa). Il color giallo indica invece le situazioni oscillanti (Swing districts). Nelle elezioni del 1992 e 1996 i distretti oscillanti erano assai più numerosi, mentre quelli a maggioranze schiaccianti erano assai minori per entrambi i partiti.

[2] Il Senatore BOMFOG significa un uomo politico che ripete frasi trite, dette e ridette. L’origine della espressione è questa: BOMFOG è l’acronimo della frase “the brotherhood of man, under the fatherhood of God” (che significa “spirito fraterno dell’uomo, avendo Dio come Padre”). Era un’espressione che il Governatore di New York Nelson Rockfeller usava infilare in tutti i suoi discorsi, al punto tale che i giornalisti avevano preso a riferirla con l’acronimo. Dopodiché è diventata sinonimo di un “Quaquaraquà”, come più o meno diremmo noi, ovvero di qualcuno che chiacchiera a vuoto.

 

 

 

 

 

 

La macroeconomia semplice e quella elaborata (dal blog di Paul Krugman, 12 giugno 2017)

giugno 17, 2017

 

JUN 12 3:53 PM

 

Macroeconomics: The Simple and the Fancy

Paul Krugman

Noah Smith has a nice summation of his critique of macroeconomics, which mainly comes down, as I read it, as an appeal for researchers to stay close to the ground. That’s definitely good advice for young researchers.

But what about economists trying to provide useful advice, directly or indirectly, to policy makers, who need to make decisions based on educated guesses about the whole system? Smith says, “go slow, allow central bankers to use judgment and simple models in the meantime.” That would be better than a lot of what academic macroeconomists do in practice, which is to castigate central bankers and other policymakers for not using elaborate models that don’t work. But is there really no role for smart academics to help out in this process? And if so, what does this say about the utility of what the profession does?

The thing is, those simple models have done pretty darn well since 2008 — and central bankers who used them, like Bernanke, did a lot better than central bankers like Trichet who based their judgements on something else. So surely at least part of the training of macroeconomists should prepare them to be helpful in applying simple models, maybe even in making those simple models better.

Reading Smith, I found myself remembering an old line from Robert Solow in defense of “fancy” economic theorizing:

In economics I like a man to have mastered the fancy theory before I trust him with simple theory … because high-powered economics seems to be such an excellent school for the skillful use of low-powered economics.

OK, can anyone make that case about modern macroeconomics? With a straight face? In practice, it has often seemed that expertise in high-powered macroeconomics — mainly meaning DSGE — positively incapacitates its possessors from the use of low-powered macroeconomics, largely IS-LM and its derivatives.

I don’t want to make a crude functional argument here: research that advances knowledge doesn’t have to provide an immediate practical payoff. But the experience since 2008 has strongly suggested that the research program that dominated macro for the previous generation actually impaired the ability of economists to provide useful advice in the moment. Mastering the fancy stuff made economists useless at the simple stuff.

A more modest program would, in part, help diminish this harm. But it would also be really helpful if macroeconomists relearned the idea that simple aggregate models can, in fact, be useful.

 

La macroeconomia semplice e quella elaborata,

di Paul Krugman

Noah Smith ha scritto una bella sintesi delle sue critiche della macroeconomia, che principalmente si risolve, per come l’ho compresa, in un appello ai ricercatori a stare con i piedi per terra. Il che, per i giovani ricercatori, è certamente un buon consiglio.

Ma che dire degli economisti che cercano di fornire, direttamente o indirettamente, consigli utili agli operatori politici, che hanno bisogno di prendere decisioni basandosi su valutazioni ragionate sul sistema nel suo complesso? Smith dice, “andateci piano, consentite ai banchieri centrali allo stesso tempo di usare il giudizio e modelli semplici”. Ciò sarebbe meglio rispetto alla gran parte di quello che i macroeconomisti accademici fanno in pratica, che consiste nel rimproverare i banchieri centrali e le altre autorità politiche per non utilizzare modelli complessi che non funzionano. Ma non c’è davvero nessun ruolo perché gli accademici intelligenti siano di aiuto in questo processo? E se così fosse, cosa ci direbbe questo dell’utilità di ciò che fa questa disciplina?

Il punto è che quei semplici modelli hanno funzionato dannatamente bene dal 2008 – e i banchieri centrali che li utilizzavano, come Bernanke, si comportarono molto meglio dei banchieri centrali come Trichet, che basava i suoi giudizi su qualcos’altro. Dunque, certamente almeno una parte della formazione dei macroeconomisti dovrebbe prepararli ad essere utili nella applicazione di modelli semplici, forse persino rendendo migliori quei modelli semplici.

Leggendo Smith mi sono ritrovato a ricordare una vecchia frase di Robert Solow in difesa delle “elaborate” teorizzazioni economiche:

“In economia mi piacciono le persone che hanno padronanza delle teorie elaborate, prima che io mi fidi di loro con le teorie semplici … giacché le teorie economiche di elaborata potenza sembrano essere una scuola così eccellente per l’utilizzo sapiente delle teorie economiche di minore potenza applicativa”.

Ebbene, c’è qualcuno che possa portare avanti questa tesi a proposito della macroeconomia moderna? Seriamente? In pratica, è spesso sembrato che l’esperienza nella macroeconomia di elevata potenza – che principalmente consiste nel DSGE [1] – non renda assolutamente capaci chi la possiede ad usare una macroeconomia di più limitata potenza applicativa, ovvero in gran parte il modello IS-LM e i suoi derivati.

Non voglio avanzare in questo caso un rozzo argomento funzionale: la ricerca che promuove la conoscenza non deve fornire un immediato vantaggio pratico. Ma l’esperienza a partire dal 2008 ha mostrato con forza che il programma di ricerca che ha dominato la macroeconomia nelle precedenti generazioni ha sostanzialmente pregiudicato la capacità degli economisti di fornire consigli utili sul momento. La padronanza delle tecniche elaborate ha reso gli economisti incapaci ad operare con le tecniche semplici.

Un programma più modesto contribuirebbe, in parte, a ridurre questo danno. Ma sarebbe anche davvero utile se i macroeconomisti reimparassero l’idea che i semplici modelli aggregati possono, in sostanza, essere utili.  

 

 

[1] Che significa “Equilibrio Generale dinamico stocastico”, ovvero un “settore della Teoria dell’equilibrio generale che tenta di spiegare i fenomeni economici aggregati, come la crescita economica, i cicli dell’economia e gli effetti delle politiche monetarie e della finanza pubblica, sulla base di modelli macroeconomici derivati da principi microeconomici” (Wikipedia).

 

 

 

 

 

Non siamo più nemmeno nel Kansas, di Paul Krugman (dal blog di Paul Krugman, 12 giugno 2017)

giugno 16, 2017

 

JUNE 12, 2017 3:23 PM 

We’re Not Even In Kansas Anymore

Paul Krugman

Will the end of the Kansas tax-cut experiment — hey, that’s what Brownback himself called it, although he refused to accept the crystal-clear results of that experiment — mark a turning point in U.S. politics? Michael Tomasky thinks it might: not because it refuted supply-side fantasies, which have been refuted by experience and events again and again, but because Republicans themselves (sans Brownback) decided that enough was enough, and returned to fiscal sanity.

But I have my doubts. When I look at events in Washington, it seems to be that Republicans have moved on in ways that may eventually cause us to think about the Kansas experience almost fondly, as a relic of a better time when conservatives at least pretended to have intellectual justifications for their policies and proved, in practice, to care at least a bit about results.

For there was an idea, a theory, behind the Kansas tax cuts: the claim that cutting taxes on the wealthy would produce explosive economic growth. It was a foolish theory, belied by decades of experience: remember the economic collapse that was supposed to follow the Clinton tax hikes, or the boom that was supposed to follow the Bush tax cuts? And it was a theory that always survived mainly because of the Upton Sinclair principle that it’s difficult to get a man to understand something when his salary depends on his not understanding it.

But still, it was a theory, and eventually the theory’s failure was too much even for Republican legislators.

Now consider the AHCA, aka Trumpcare. What’s the theory of the case behind this legislation?

When Obamacare was enacted, Republicans had some claims, almost a theory, about why it was a terrible idea. It would, they claimed, fail to improve coverage. It would be a massive “job-killer”. It would cost far more than predicted, and blow up the budget deficit.

In reality, the percentage of Americans under 65 without insurance fell from 18 percent in 2010, the year Obamacare was enacted, to 10 percent in 2016 (and less than 8 percent in Medicaid expansion states). Unemployment was 9.9 percent when the ACA was passed, 6.6 when it went into full effect, 4.8 by January 2017. Costs have come in well below expectations.

There have been some disappointments: fewer people than expected signing up for the exchanges, although this has been offset by the surprising durability of employment-based coverage and stronger than expected Medicaid. But the point is that none of the things Republicans cited as their reason for opposing the bill have come true.

So what’s the theory behind their proposed replacement? Where’s their analysis showing that it will be better? There’s no hint of anything on either topic. You might have expected some kind of appeal to the magic of the market, some claim that radical deregulation will produce wonderful results. It would have been silly, but at least would have shown some respect for the basic idea of analyzing policies and evaluating them by results.

But what we’re getting instead is a raw exercise of political power: the GOP is trying to take away health care from millions and hand the savings to the wealthy simply because it can, without even a fig leaf of intellectual justification.

The point is that what we’re seeing now is so bad, so cynical, that it makes the Kansas experiment looks like a model of idealism and honesty by comparison.

I don’t think we’re in Kansas anymore. We’re now in someplace much, much worse.

 

Non siamo più nemmeno nel Kansas,

di Paul Krugman

La fine dell’esperimento degli sgravi fiscali del Kansas (si badi, questo è il termine con il quale fu definito dallo stesso Brownback [1], sebbene abbia rifiutato di accettare i risultati chiari come il cristallo di quell’esperimento) segna un punto di svolta nella politica degli Stati Uniti? Michael Tomasky lo giudica possibile: non perché esso confuti le fantasie dell’economia dal lato dell’offerta, che erano state confutate da prove e fatti più di una volta, ma perché i repubblicani stessi (ad eccezione di Brownback) hanno stabilito che il troppo è troppo, e sono tornati ad una politica della finanza pubblica non pazzesca.

Ma io ho i miei dubbi. Quando osservo gli eventi di Washington, sembra che i repubblicani siano andati oltre in modi che alla fine possono indurci a pensare all’esperimento del Kansas quasi con affetto, come un reperto storico di un tempo migliore, quando i conservatori almeno fingevano di avere giustificazioni intellettuali per le loro politiche e provavano, in pratica, a curarsi almeno un po’ dei risultati.

Perché dietro gli sgravi fiscali del Kansas c’era un’idea, una teoria: la tesi che tagliare le tasse sui ricchi avrebbe provocato una crescita economica esplosiva. Era una teoria sciocca, smentita da decine di esperienze: ci si ricorda del collasso economico che si riteneva avrebbe fatto seguito agli aumenti fiscali di Clinton, o del boom che si pensava seguisse gli sgravi di Bush? Ed era una teoria che restava sempre in vita principalmente per il principio di Upton Sinclair, secondo il quale è difficile che una persona capisca qualcosa quando il suo salario dipende dal fatto che non lo capisca.

Eppure era pur sempre una teoria, e alla fine il fallimento della teoria è stato troppo grave persino per i legislatori repubblicani.

Ora si consideri la Legge sulla Assistenza Sanitaria Americana, anche detta Trumpcare. Qual è la teoria che in quel caso sta dietro quella legislazione?

Quando la riforma di Obama venne approvata, i repubblicani avevano qualche argomento, quasi una teoria, sui motivi per i quali pensavano fosse un’idea terribile. Sostenevano che non sarebbe stata capace di migliorare la copertura assistenziale. Sarebbe stata una massiccia “ecatombe di posti di lavoro”. Sarebbe costata assai di più del previsto, ad avrebbe fatto esplodere il deficit del bilancio.

In realtà, la percentuale degli americani senza assicurazione al di sotto dei 65 anni è caduta dal 18 per cento nel 2010, l’anno in cui la riforma di Obama è stata approvata, al 10 per cento nel 2016 (e a meno dell’8 per cento negli Stati con Medicaid in espansione [2]). La disoccupazione era al 9,9 per cento quando la riforma di Obama è stata approvata, il 6,6 per cento quando è pienamente entrata in funzione, il 4,8 per cento a gennaio del 2017. I costi sono stati molto al di sotto delle aspettative.

Ci sono stati alcuni aspetti deludenti: un numero minore di persone di quello che ci si aspettava si sono iscritti alle “borse sanitarie” [3], sebbene questo sia stato compensato dalla sorprendente resistenza della copertura assicurativa basata sui luoghi di occupazione [4] e dal programma di Medicaid, più forte del previsto. Ma il punto è che nessuna delle circostanze che i repubblicani indicavano come le loro ragioni per opporsi alla proposta di legge si è avverata.

Qual è dunque la teoria che sta dietro la sostituzione che loro propongono? Dov’è la loro analisi che dimostra che si andrà ad una soluzione migliore? Non c’è alcun cenno su entrambi gli aspetti. Potevate aspettarvi che in qualche modo ci si appellasse alla magia del mercato, la pretesa secondo la quale una radicale deregolamentazione produrrà risultati meravigliosi. Sarebbe stato sciocco, ma almeno avrebbe mostrato una qualche considerazione dell’idea fondamentale di analizzare le politiche e di apprezzarle sulla base dei risultati.

Ma quello a cui stiamo invece assistendo è un brutale esercizio del potere politico: il Partito Repubblicano sta cercando di togliere l’assistenza sanitaria a milioni di persone e di consegnare i risparmi ai più ricchi semplicemente perché ha il potere di farlo, senza neppure una foglia di fico di giustificazione intellettuale.

Il punto è che adesso stiamo in presenza di qualcosa di così malvagio, di così cinico, che al confronto l’esperimento del Kansas appare come un modello di idealismo e di onestà.

Non credo che siamo più nel Kansas. Adesso siamo in un qualche luogo molto, molto peggiore.

 

 

[1] Il Governatore repubblicano del Kansas.

[2] L’espansione di Medicaid altro non è se non una conseguenza di regole che hanno elevato le condizioni di reddito per la applicazione del programma federale sanitario sui più poveri, aumentandone così l’area di applicazione. Sono stati protetti anche i poveri un po’ meno poveri. Ma, seppure quelle nuove regole venivano quasi per intero coperte dai finanziamenti federali, molti Stati a guida repubblicana non hanno incredibilmente accettato quel contributo del Governo. In questo modo, gli Stati che l’hanno accettato hanno conosciuto una riduzione del numero dei non-assicurati assai maggiore di quella degli Stati repubblicani che l’hanno respinto.

[3] Le “borse sanitarie” sono in sostanza dei siti informatici nei quali i cittadini hanno avuto accesso alle informazioni sui loro diritti, hanno potuto valutare le offerte da parte delle assicurazioni private e comprendere i sussidi ai quali avrebbero avuto diritto. Quei siti sono dunque anche i veicoli delle iscrizioni ai nuovi programmi sanitari.

[4] Ovvero, la quota di assistenza sanitaria che viene pagata dai datori di lavoro, in genere nelle aziende più grandi e sindacalizzate e per i posti di lavoro meglio retribuiti. Poiché tale quota dipende dalle decisioni di quegli imprenditori, o dagli accordi sindacali in quelle aziende, la percentuale complessiva di questi casi non era nota in anticipo. Nei fatti è stata superiore del previsto, ovvero è stata superiore del previsto la percentuale di spesa sanitaria a carico direttamente dei datori di lavoro, la qual cosa ha bilanciato l’andamento più deludente delle cosiddette “assicurazioni individuali”.

 

 

 

 

 

 

 

Loro non hanno bisogno di alcuna informazione (dal blog di Paul Krugman, 11 giugno 2017)

giugno 16, 2017

 

JUN 11 1:47 PM 

 

They Don’t Need No Information

Paul Krugman

I’m as riveted by Trump/Russia as everyone else. But meanwhile Trumpcare — which really has very little to do with Trump, except that he’ll sign it — appears to be marching on despite the terrible CBO score on the House version and the near-certainty that if the Senate passes anything it will be barely if at all better.

This tells you a lot about the values of the modern GOP, which will happily trade off health care for ~20 million people for tax cuts that deliver almost half their benefits to people with incomes over $1 million — fewer than 800,000 tax units.

But aside from the priorities, think about the process. The AHCA was deliberately rushed through before CBO could weigh in; the Senate GOP is working completely in secret, with no hearings, and anything it passes will surely also try to preempt the CBO.

You might think that this in part reflects conservative analyses that reach a different conclusion. But there aren’t any such analyses. Remember, OMB works for Trump; it has offered nothing. Even the Heritage Foundation, which used to be the go-to source for conservative creative accounting, hasn’t produced some implausible account of how the magic of markets will make it all work.

This is new. You might say that just as the GOP has decided to shrug off conventional concerns about ethics, it has also decided to shrug off conventional concerns about whether policies actually, you know, work.

To be sure, Republicans gave up evidence-based policymaking a long time ago. Back when Paul Ryan was pretending to be a serious policy wonk, he always started from the answer, then invented some assumptions and magic asterisks to justify that answer. Heritage has been a hack operation for many years.

But they used to at least pretend; people like Ryan weren’t actual policy experts, but they played them on TV, and gullible centrists were happy to help them maintain that pretense. Now they’re not even bothering to fake it.

And it’s hard to say with any assurance that they’ll pay a political price. After all, Obamacare was in fact the product of hard thinking — and it did a tremendous amount of good in places like, say, West Virginia, where Medicaid expansion (mainly) cut the number of uninsured by half. And in reward for this achievement, the good people of WV went Trump by 40 points.

Maybe massive losses in the midterms will convince Republicans that thinking about policy consequences is a good idea. Or maybe there will be more Kansas-type situations where even Republicans are so horrified by policy disaster that they change course. But even if these things happen eventually, what we’re seeing now is horrifying.

 

Loro non hanno bisogno di alcuna informazione

Paul Krugman

Sono inchiodato come tutti sulla faccenda Trump/Russia. Ma nel frattempo la proposta di Trump per la sanità – che in realtà ha molto poco a che fare con Trump, a parte il fatto che sarà lui a firmarla – sembra stia procedendo nonostante il terribile giudizio dell’Ufficio Congressuale del Bilancio sulla versione della Camera dei Rappresentanti e la quasi certezza che, se il Senato approverà qualcosa, sarà nel migliore dei casi poco migliore.

Questo ci dice molto sui valori dell’attuale Partito Repubblicano, che scambierà allegramente l’assistenza sanitaria per circa 20 milioni di persone con sgravi fiscali che consegneranno quasi la metà dei loro sussidi a persone con redditi superiori a 1 milione di dollari – meno di 800.000 situazioni fiscali.

Ma, a parte le priorità, si pensi alla procedura. La Legge sulla Assistenza sanitaria Americana è stata intenzionalmente accelerata prima che il CBO potesse intervenire; il Partito Repubblicano al Senato sta lavorando nella più totale segretezza, senza audizioni, e se approverà qualcosa certamente cercherà anche di precedere il giudizio dell’Ufficio del Bilancio.

Potreste pensare che questo in parte rifletta le analisi dei conservatori, che pervengono a conclusioni diverse. Ma non c’è alcuna analisi. Si ricordi, l’Ufficio del Management e del Bilancio (OMB) lavora per Trump, e non ha presentato niente. Persino la Fondazione Heritage, che è solita essere il punto di riferimento per i calcoli creativi dei conservatori, non ha prodotto nessuna stima plausibile di come la magia dei mercati farà funzionare il tutto.

Questa è una novità. Si potrebbe dire che dal momento in cui il Partito Repubblicano ha deciso di scrollarsi di dosso le preoccupazioni convenzionali di natura morale, ha anche deciso di scrollarsi di dosso le preoccupazioni convenzionali sul fatto che le politiche, effettivamente, diciamo così, funzionino.

Per la verità, i repubblicani avevano smesso molto tempo fa di prendere decisioni politiche sulla base di prove. Quando nel passato Paul Ryan fingeva di essere un serio esperto di politica, egli partiva sempre dalle risposte, poi inventava qualche assunto e magici asterischi in fondo pagina che giustificassero quelle risposte. L’Heritage è stata per molti anni al servizio di operazioni truffaldine di quel genere.

Ma erano abituati almeno a far finta; persone come Ryan non sono mai stati effettivi esperti di politica, ma giocavano ad apparire tali sulle televisioni, e i centristi creduloni erano felici di aiutarli a sostenere quella pretesa. Ora non si stanno nemmeno preoccupando di far finta.

Ed è difficile dire con qualche certezza che pagheranno un prezzo politico. Dopo tutto, la riforma di Obama era davvero il prodotto di un pensiero profondo – ed ha fatto un gran bene in luoghi come, ad esempio, il West Virginia, dove l’espansione di Medicaid (principalmente) ha tagliato della metà il numero dei non assicurati. E per ricompensa di questo risultato, la brava gente del West Virginia è passata a Trump per 40 punti.

Forse perdite massicce nelle elezioni di medio termine convinceranno i repubblicani che riflettere sulle conseguenze di una politica è una buona idea. O forse ci saranno ancora situazioni del genere del Kansas, dove persino i repubblicani sono così sgomenti dal disastro delle loro politiche che cambiano indirizzo. Ma persino se alla fine accadranno cose del genere, ciò che adesso stiamo constatando è terrificante.

 

 

 

 

Sugli squilibri tra Stati Uniti e Germania, (dal blog di Paul Krugman, 31 maggio 2017)

giugno 1, 2017

MAY 31, 2017 1:27

On The US-Germany Imbalance

 Paul Krugman

Trump’s tweet on German-US trade was, it goes without saying, deeply stupid and destructive. He obviously doesn’t get how the EU works – it’s a customs union, so there is no such thing as bilateral trade policy. He also thinks that bilateral trade balances are the test of fairness, which is all wrong. Somewhat annoyingly, there is a real issue lurking behind all of this: Germany’s excessive overall surplus, the consequence of inadequate spending and reflation in the aftermath of the euro crisis. But insulting a key ally on obviously fallacious grounds is no way to help with that issue.

But never mind all that. I found myself wondering about the causes of the underlying fact: Germany does indeed have a huge bilateral surplus with the US, exporting about 2.5 times as much to us as we sell in return. Why?

Somewhat surprisingly, there’s not a lot of economic literature on the causes of bilateral trade imbalances. Davis and Weinstein (DW) had a nice empirical examination, which concluded that the standard explanations didn’t explain much, that overall there was a lot more imbalance in the world than there “should” be. Still, I think it’s interesting (although maybe not important) to ask what we can say about the reasons for this particular imbalance.

As DW say, one theory of imbalances is macroeconomic: countries that save more than they invest will run surpluses, countries that invest more than they save will run deficits, so when a big saver trades with a big spender, big imbalances are to be expected. And that’s certainly part of the story.

But not all. Overall, Germany exports about 25 percent more than it imports, America imports about 50 percent more than it exports. The bilateral imbalance is a lot bigger than either of these.

The other story DW tell is about “triangular trade.” Here’s my version: think of a world containing three countries, Spendthriftia, Austeria, and Petrostan. The first two mainly sell manufactured goods, which are differentiated products so there’s a lot of two-way trade. The third sells raw materials, which it trades for manufactures. However, Spendthriftia also produces a lot of raw materials, e.g. by fracking, which makes it relatively less reliant on imports.

What we would expect to see here, even if each country’s overall trade was balanced, would be a pattern of bilateral imbalances: Austeria running a deficit with Petrostan, Spendthriftia a surplus with Petrostan, but Austeria running a surplus with Spendthriftia. Now think of this effect overlaid on the macroeconomic imbalances, and you get something that looks more like the actual US-German bilateral story.

But wait, there’s more. I suspect that part of the US-Germany bilateral imbalance is an optical illusion, brought on by transshipment. If you look a bit more at US trade data, you find that we do an awful lot of trade with the Netherlands, and we run a huge surplus in that trade. A big surplus with Belgium, too. Surely this represents US exports unloaded at Rotterdam or Antwerp and then shipped on to other EU destinations, including Germany. I’m not sure why German exports to the US don’t go the same route; insights from people who know are welcome.

[A correspondent notes two factors: a technical issue involving the timing of VAT collection, and the advantage of shipping some US containers to a single European destination, typically Rotterdam, then breaking up for different Euro locations; a corresponding shipment to the US wouldn’t raise the same statistical issues.]

Again, the policy relevance is basically nil. But it might be a good idea to have more research on bilateral trade imbalances, if only to make dissing Trump tweets even easier.

 

Sugli squilibri tra Stati Uniti e Germania,

di Paul Krugman

 

Il tweet di Trump sul commercio tra Germania e Stati Uniti, non è il caso di dirlo, è stato profondamente stupido e dannoso. Naturalmente lui non capisce come funziona l’eurozona – è un’unione doganale, dunque non ci sono cose come la politica bilaterale del commercio. Lui pensa anche che gli equilibri commerciali bilaterali siano una questione di giustizia, il che è completamente fuori luogo. In modo alquanto irritante, dietro tutto questo si annida un tema reale: l’eccessivo surplus complessivo della Germania, conseguenza di una spesa inadeguata e della reflazione all’indomani della crisi dell’euro. Ma insultare un alleato fondamentale su basi evidentemente infondate non è un modo per contribuire a sviluppare tale tema.

Ma tutto questo non è importante. Mi sono ritrovato a riflettere sulle cause del fatto che sta dietro tale situazione: la Germania ha in effetti un ampio surplus bilaterale con gli Stati Uniti, esportando da noi circa due volte e mezzo quello che noi vendiamo in cambio. Perché?

In modo piuttosto sorprendente, non c’è molta letteratura economica sulle cause degli squilibri commerciali bilaterali. Davis e Weinstein (DW) hanno sviluppato una bella analisi empirica, che è giunta alla conclusione che le spiegazioni normali non hanno chiarito granché e che nel complesso c’è stato molto più squilibrio nel mondo di quello che ‘avrebbe dovuto’ esserci. Eppure, penso sia interessante (sebbene forse non importante) chiederci le ragioni di questo particolare squilibrio.

Come dicono DW, una teoria degli squilibri è macroeconomica: i paesi che risparmiano di più di quello che investono gestiranno surplus, i paesi che investono di più di quello che risparmiano gestiranno deficit, dunque quando un grande risparmiatore commercia con un grande spenditore, ci si devono aspettare grandi squilibri. E questa è certamente buona parte della storia.

Ma non tutta la storia. Nel complesso, la Germania esporta circa il 25 per cento di più di quello che importa, l’America importa circa il 50 per cento di più di quello che esporta. Lo squilibrio bilaterale è molto più grande di entrambe queste cose.

L’altra storia che DW ci raccontano riguarda il “commercio triangolare”. Si pensi ad un mondo con tre paesi, uno lo chiameremo Spendilrisparmio, l’altro Tiralacorda, il terzo Regimedelpetrolio. I primi due principalmente vendono prodotti manifatturieri, che sono prodotti differenziati in modo tale che ci sia molto commercio in entrambe le direzioni. Tuttavia, Spendilrisparmio produce anche una grande quantità di materie prime, ad esempio prodotti energetici attraverso la fratturazione degli scisti, il che lo rende relativamente meno dipendente dalle importazioni.

Quello che in questo caso ci aspetteremmo di vedere, anche se il commercio complessivo di ogni paese fosse equilibrato, sarebbe uno schema di squilibri bilaterali: Tiralacorda gestirebbe un deficit con Regimedelpetrolio, Spendilrisparmio gestirebbe un surplus con Regimedelpetrolio, ma Tiralacorda gestirebbe un surplus con Spendilrisparmio. Ora si pensi di sovrapporre questo effetto agli squilibri macroeconomici, e si otterrà qualcosa che assomiglia maggiormente al racconto attuale del rapporto bilaterale tra Stati Uniti e Germania.

Ma aspettate, c’è di più. Io sospetto che una parte dello squilibrio bilaterale tra Stati Uniti e Germania sia una illusione ottica, provocata dal trasbordo. Se osserviamo un po’ meglio i dati commerciali degli Stati Uniti, si scopre che noi abbiamo una impressionante quantità di commercio con l’Olanda, e che in quel commercio realizziamo un grande surplus. Un grande surplus l’abbiamo anche con il Belgio. Certamente questo rappresenta esportazioni statunitensi scaricate a Rotterdam o a Antwerp, e poi spedite vie nave ad altre destinazioni dell’Unione Europea, inclusa la Germania. Non sono sicuro della ragione per la quale le esportazioni tedesche non seguano la stessa rotta; sarebbero benvenute le intuizioni da parte di coloro che lo sanno.

[Un corrispondente osserva due fattori: un aspetto tecnico che riguarda la tempistica della raccolta dell’IVA, e il vantaggio dello spedire via nave alcuni container statunitensi verso un’unica destinazione europea, tipicamente Rotterdam, per poi suddividerle in diverse localizzazioni euro; un corrispondente invio via nave verso gli Stati Uniti non raccoglierebbe la stessa distribuzione statistica].

Lo ripeto, la rilevanza politica è fondamentalmente nulla. Ma potrebbe essere una buona idea avere più ricerche sugli squilibri bilaterali del commercio, se non altro per rendere il parlar male dei tweet di Trump persino più facile.    

 

 

 

Il vero peccato della Germania, di Paul Krugman (dal blog di Krugman, 27 maggio 2017)

maggio 28, 2017

 

MAY 27 10:52 AM 

Germany’s Real Sin

 

Paul Krugman

As many people have pointed out, Trump picked the worst possible example when he decided to describe Germany as “bad, very bad”. Yes, they sell a lot of cars in America; but (a) many of those cars are produced here and (b) Germany has a reputation for producing good cars. Why shouldn’t a country export goods in which it has a comparative advantage?

So this was the stupidest possible critique, and plays right into German self-righteousness. Yet Germany’s huge trade surpluses are a problem — which has nothing to do with trade policy. It’s the macroeconomics, stupid.

The basic story is illustrated by the following chart, of unit labor costs since the creation of the euro:

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OECD

Here’s what happened: during the era of europhoria, when capital rushed into supposedly safe southern European economies, those economies experienced moderate inflation, allowing Germany to gain a big competitive advantage without actually having to deflate. Then confidence and capital flows collapsed, and what was needed was strong German reflation that would in effect return the favor — let southern Europe regain competitiveness without grinding deflation and the debt problems that go along with such a strategy.

But Germany hasn’t. It has practiced its own austerity, unforced — in the face of negative interest rates! — and harassed the ECB as it attempts to boost overall EZ inflation. The result is that the competitive gap that opened up after 1999 has barely closed, producing both huge German surpluses and a deadly drag on the rest of the euro area.

This has only minor spillovers to the United States — maybe Germany’s unhelpful role has contributed a bit to our trade deficit, but this is basically an intra-Europe issue. And it’s hard to think of a less helpful way for America to weigh in than what just happened.

 

27 maggio 2017

Il vero peccato della Germania,

di Paul Krugman

Come in molti hanno messo in evidenza, Trump ha scelto il peggiore esempio possibile quando ha deciso di definire la Germania come “cattiva, molto cattiva”. È vero, vende una gran quantità di automobili in America, ma (a) molte di quelle automobile sono prodotte qua e (b) la Germania ha la reputazione di produrre buone automobili. Perché un paese non dovrebbe esportare prodotti nei quali ha un vantaggio comparativo?

Dunque è stata la critica più stupida possibile, e gioca esattamente a favore della boria tedesca. Tuttavia, gli ampi surplus della Germania sono un problema – che non ha niente a che fare con la politica del commercio. È la macroeconomia, stupidi [1].

La storia fondamentale è illustrata dal seguente diagramma sui costi per unità lavorativa dal momento della creazione dell’euro:

zz 407

 

 

 

 

 

 

 

 

OCSE

Ecco quello che accadde: durante il periodo dell’euforia per l’euro, quando i capitali accorrevano nelle presunte economie sicure dell’Europa meridionale, quelle economie conoscevano una moderata inflazione, consentendo alla Germania di guadagnare un grande vantaggio competitivo senza aver bisogno in verità di deflazionare. Poi la fiducia e i flussi dei capitali collassarono, e quello che divenne necessario sarebbe stato una forte reflazione tedesca che in effetti avrebbe ricambiato il favore – consentendo all’Europa meridionale di riguadagnare competitività senza una pesante deflazione e senza i problemi del debito che procedono con una strategia del genere.

Ma la Germania non ricambiò il favore. Essa mise in pratica una sua propria volontaria austerità – a fronte di tassi di interesse negativi! –  e attaccò la BCE quando cercò di incoraggiare l’inflazione complessiva dell’eurozona. Il risultato è che il divario competitivo che si aprì dopo il 1999 è stato scarsamente richiuso, producendo sia ampi surplus tedeschi che un fatale trascinamento sulla restante area euro.

Questo ha ripercussioni solo secondarie sugli Stati Uniti – forse il ruolo non collaborativo della Germania ha contribuito un po’ al nostro deficit commerciale, ma fondamentalmente è una questione all’interno dell’Europa. Ed è difficile pensare ad un modo più inutile per l’America di intervenire rispetto a quello che si è appena manifestato.

 

 

 

[1] La frase (“È l’economia, stupido”) divenne negli USA famosa dopo essere stata usata una prima volta da Bill Clinton nel corso di un dibattito pubblico.

 

 

 

 

 

 

 

Gli autotrasporti e le pene dei colletti blu, (dal blog di Paul Krugman, 23 maggio 2017)

maggio 24, 2017

 

MAY 23 5:11 PM 

Trucking And Blue-Collar Woes

Paul Krugman

What with everything else going on, this Trip Gabriel essay on truckers hasn’t gotten as much attention as it should. But it’s awesome — and says a lot about what is and isn’t behind the decline of blue-collar wages.

Trucking used to be a well-paying occupation. Here are wages of transportation and warehousing workers in today’s dollars, which have fallen by a third since the early 1970s:

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Why? This is neither a trade nor a technology story. We’re not importing Chinese trucking services; robot truck drivers are a possible future, but not here yet. The article mentions workers displaced from manufacturing, but that’s a pretty thin reed. What it doesn’t mention is the obvious thing: unions.

Unfortunately the occupational categories covered by the BLS have changed a bit, so it will take someone with more time than I have right now to do this right. But using the data at unionstats we can see that a drastic fall in trucker unionization took place during the 1980s: 38 percent of “heavy truck” drivers covered by unions in 1983, already down to 25 percent by 1991. It’s not quite comparable, but only 13 percent of “drivers/sales workers and truck drivers” were covered last year.

In short, this looks very much like a non tradable industry where workers used to have a lot of bargaining power through collective action, and lost it in the great union-busting that took place under Reagan and after.

And the great majority of the people whose chance at a middle-class life was destroyed by those political changes probably voted for Trump. Oh well.

 

23 maggio 2017

Gli autotrasporti e le pene dei colletti blu,

di Paul Krugman

Con tutto quello che sta succedendo, questo saggio di Trip Gabriel sui camionisti non ha ricevuto l’attenzione che avrebbe meritato. Ma è splendido – e ci dice molto di quello che sta dietro il declino dei salari dei colletti blu.

L’autotrasporto un tempo era un lavoro ben pagato. Ecco i salari dei lavoratori dei trasporti e degli immagazzinamenti in dollari attuali, che sono caduti di un terzo dai primi anni ’70:

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[1]

Perché? Questa non è né una storia di commercio né una storia di tecnologie. Non stiamo importando servizi di autotrasporti cinesi; i robot alla guida di camion saranno possibili in futuro, ma non ancora. L’articolo ricorda i lavoratori espulsi dal settore manifatturiero, ma questa è una sottigliezza. Quello che non ricorda è una cosa evidente: i sindacati.

Sfortunatamente le categorie occupazionali coperte dall’Ufficio delle Statistiche del Lavoro sono un po’ cambiate, dunque mi ci vorrà molto più tempo di quello che ho in questo momento per fare la cosa in modo appropriato. Ma utilizzando i dati di fonte sindacale possiamo osservare che una drastica caduta nella sindacalizzazione dei camionisti ebbe luogo durante gli anni ’80: il 38 per cento dei guidatori di ‘camion pesanti’ erano rappresentati da sindacati nel 1983, ed erano già scesi al 25 per cento nel 1991. Non è del tutto confrontabile, ma soltanto il 13 per cento dei “lavoratori che conducono automezzi per vendite e dei conducenti di camion” erano rappresentati da sindacati nell’anno passato.

In breve, questo sembra assomigli molto ad un settore non commerciabile su scala internazionale, dove i lavoratori erano soliti avere molto potere contrattuale attraverso l’iniziativa collettiva, andato perduto nella grande offensiva contro i sindacati che ebbe luogo con Reagan e successivamente.

E la grande maggioranza delle persone le cui possibilità di una vita da classe media andarono distrutte per quei cambiamenti politici probabilmente hanno votato per Trump. Ma questo si sa.

 

 

 

[1] Guadagni medi orari degli occupati nella produzione e senza funzioni di controllo: trasporti e magazzinaggio, in rapporto all’indice dei prezzi al consumo per tutti i lavoratori urbani: tutti gli articoli.

 

 

 

 

 

 

Cinture, strade e politica strategica del commercio (dal blog di Paul Krugman, 20 maggio 2017)

maggio 22, 2017

 

MAY 20 10:59 AM

 

Belts, Roads, and Strategic Trade Policy

Paul Krugman

 

Look, I’m as obsessed with the Trump disaster as anyone else. But I’m trying to think about other things. And there does appear to be some big stuff happening, or potentially happening, on the global trade front, via China’s “belts and roads” transportation initiative. This is obviously an attempt to expand China’s political influence, and help find markets for Chinese exports. The magnitude of the effects is going to take some work to estimate. But is there anything else that’s interesting on an analytical level?

Well, I find myself thinking about some of my old work on economic geography, inspired in part by William Cronon’s wonderful Nature’s Metropolis, about the rise of Chicago.

What I took from Cronon was the importance of being a transportation hub. Thanks to the network of railroads spreading out from Chicago (partly dictated by the Great Lakes), virtually any two places in the “Great West” were effectively closer to Chicago than they were to each other.

Think of any economic activity characterized by strong economies of scale. There is a clear incentive to centralize this activity, and serve multiple markets from one location. But which location? In Figure 1 I show three locations with basically comparable transport links, shown by the dotted lines; in this case no one location has an obvious advantage, unless there are big differences in either costs or local market size.

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But suppose that two of those transport links are greatly improved, as shown by the solid lines in Figure 2. Then location C gets a leg up: other things equal, you will want to locate stuff in C to serve markets in A and B as well.

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Right now, China looks more like A or B than C: stuff goes mainly by ship, whether to Europe, America, or various developing countries. Good highways across central Asia and down to South Asia could change that, giving China a new centrality in the world’s economic geography; you might almost call it the Middle Kingdom.

How big a deal would this be? I have no idea. But you can definitely see Belts and Roads as a bit of a strategic trade policy as well as being a strategic, well, strategic policy.

 

20 maggio 2017

Cinture, strade e politica strategica del commercio

Paul Krugman

Vedete, io sono ossessionato come chiunque altro del disastro di Trump. Ma sto cercando di pensare ad altro. E pare che stiano accadendo, o potenzialmente accadendo, grandi cose sul fronte del commercio globale, attraverso l’iniziativa cinese delle “Cinture e Strade”. Si tratta evidentemente di un tentativo di espandere l’influenza politica della Cina, e di contribuire a trovare mercati per le esportazioni cinesi. La grandezza degli effetti è destinata a prendere un po’ di lavoro di stima. Ma c’è qualcos’altro che è interessante ad un livello analitico?

Ebbene, mi sono ritrovato a riflettere su alcuni miei vecchi studi di geografia economica, in parte ispirati dal meraviglioso lavoro di William Cronon sulla ascesa di Chicago, La metropoli della natura.

Quello che presi da Cronon riguardava l’importanza di collocarsi al centro di un nodo di trasporti. Grazie alla rete di ferrovie che si diramavano da Chicago (che in parte dipendevano dai Grandi Laghi), in sostanza ogni due luoghi nel “Grande West” erano effettivamente più vicini a Chicago di quanto non lo fossero l’uno con l’altro.

Si pensi ad una qualsiasi attività economica caratterizzata da forti economie di scala. Ci sono chiari incentivi a centralizzare questa attività, e a servire da una localizzazione una molteplicità di mercati. Ma quale localizzazione? Nella Figura 1 mostro tre localizzazioni con connessioni di trasporto fondamentalmente paragonabili, indicate da linee tratteggiate; in questo caso nessuna localizzazione ha un vantaggio evidente, a meno che non ci siano grandi differenze sia nei costi che nelle dimensioni del mercato locale.

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Ma supponiamo che due di questi collegamenti di trasporto vengano grandemente migliorati, come mostrato dalle linee continue nella Figura 2. In quel caso la localizzazione C ottiene una marcia in più: a parità delle altre condizioni vorrete collocare i prodotti in C, anche per servire i mercati A e B.

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In questo momento la Cina assomiglia di più ad A e a B che non a C: i prodotti viaggiano principalmente attraverso navi, indipendentemente che si vada in Europa, in America o in vari paesi in via di sviluppo. Buone autostrade nell’Asia Centrale e verso l’Asia del Sud potrebbero cambiare la situazione, dando alla Cina una nuova centralità nella geografia economica mondiale; potreste quasi definirlo il Regno di Mezzo.

Quanto sarebbe grande questa faccenda? Non ne ho idea. Ma potete di sicuro definire le “Cinture e le Strade” come un pezzo di una politica commerciale strategica, al pari di una politica, proprio così, strategica.

 

Appellandosi alla letteratura dai vasti abissi, (dal blog di Paul Krugman, 17 maggio 2017)

maggio 22, 2017

MAY 17 1:33 PM

 

Calling Literatures From The Vasty Deep

Paul Krugman

Noah Smith has a very nice essay on how to deal with people who try to ward off serious criticism of their ideas by appealing to a “vast literature” you don’t know. As he says, sometimes there are vast literatures of nonsense, or at any rate of dubious quality, that mainly serve to protect vested intellectual interests.

Yet of course there are also cases in which you really should know something about existing research before opining, and Noah has a clever device: the Two Paper Rule. Give me two papers in this vast literature that are “exemplars and paragons” of the literature. If you can’t, the whole literature is probably a waste of time.

Which of course sets some of us to work trying to think of the two papers we’d recommend in particular areas of interest. So, some of my examples.

Noah is generally very down on macroeconomics, but I believe that we’ve learned a lot in macro since the 2008 crisis. Take fiscal policy: before the crisis there was strikingly little solid evidence about its effects, largely because history gave us so few natural experiments (causation generally ran from business cycles to budgets rather than the other way around). But the crisis gave us both some experiments via austerity and a renewed search for historical cases. I’d point to Blanchard and Leigh, using austerity as an experiment, and Nakamura-Steinsson, exploiting regional shocks from defense spending. Not saying these are the only fine papers, but they’re enough to show that there’s a real there there.

I think we’ve also had some dramatic confirmation of what some of us thought we knew about monetary policy at the zero lower bound. I can think, for example, of a 1998 paper that has held up really well; but I’ll leave that as an exercise for readers.

What about trade? Autor/Dorn/Hanson on the China shock may not be the last word, but surely a revelatory approach. In a strange way, I’d put Subramanian and Kessler in the same category: realizing that this globalization is different from anything that came before is a big deal.

I guess that in a way I’m pushing back against Noah’s nihilism (noahlism?) even while endorsing his method. I think there has been a lot of good economics done, even if there are also vast literatures not worth your time.

 

17 maggio 2017

Appellandosi alla letteratura dai vasti abissi,

Paul Krugman

Noah Smith ha un saggio molto bello su come trattare con le persone che cercano di prevenire serie critiche alle loro idee appellandosi a una “vasta letteratura” che voi non conoscete. Come egli dice, talvolta ci sono vaste letterature di sciocchezze, o in ogni caso di dubbia qualità, che principalmente servono a proteggere particolari interessi intellettuali.

Tuttavia naturalmente ci sono anche casi nei quali dovreste realmente conoscere qualcosa prima di esprimere opinioni, e Noah ha un espediente intelligente: la ‘regola dei due articoli accademici”. Datemi in questa vasta letteratura due articoli che siano “modelli e punti di riferimento” di quella letteratura. Se non potete farlo, probabilmente l’intera letteratura sarà una perdita di tempo.

Il che naturalmente ci spinge a lavorare per cercar di pensare ai due articoli che noi raccomanderemmo in particolari aree di interesse. Ecco, dunque, alcuni miei esempi.

In generale Noah non è benevolo con la macroeconomia, ma io credo che abbiamo imparato molto in quel settore dalla crisi del 2008. Si prenda la politica della finanza pubblica: prima della crisi c’erano prove considerevolmente poco solide sui suoi effetti, in gran parte perché la storia ci forniva esperimenti naturali assai scarsi (in generale, il principio di causa si muoveva dai cicli economici ai bilanci pubblici, piuttosto che all’inverso). Ma la crisi ci ha offerto sia alcuni esperimenti sul lato dell’austerità, sia una rinnovata ricerca sui casi storici. Indicherei Blanchard e Leigh, utilizzando l’austerità come esperimento, e Nakamura-Steinsson, sfruttando gli shock regionali dalle spese per la difesa. Non per dire che questi sono gli unici buoni articoli, ma che sono sufficienti a dimostrare che in fin dei conti c’è qualcosa di sostanziale.

Penso che abbiamo anche avuto alcune conferme spettacolari su quello che alcuni di noi pensavano di conoscere sulla politica monetaria al limite inferiore dello zero (dei tassi di interesse). Posso pensare, ad esempio, ad uno studio del 1998 che ha retto molto bene; ma lo lascerò come un esercizio per i lettori [1].

Cosa dire del commercio? Può darsi che il contributo di Autor/Dorn/Hanson sullo shock cinese non sia l’ultima parola, ma è un approccio chiarificatore. In modo strano, metterei Subramanian e Kessler nella stessa categoria: comprendere che questa globalizzazione è diversa da ogni altra cosa accaduta in precedenza è una gran cosa.

Suppongo che in un certo senso sto respingendo il nihilismo di Noah (nohalismo?) anche se appoggio il suo metodo. Io penso che sia stata fatta molta buona economia, anche se c’è stata anche una vasta letteratura che non merita il vostro tempo.

 

 

 

[1] Lascerà come esercizio l’individuarlo. Espressione ironica, perché quel saggio è un suo saggio sulla crisi del Giappone, abbastanza noto e qua tradotto.

 

 

 

 

 

 

 

Scambiando quattro chiacchiere con i nababbi del NAFTA (dal blog di Krugman, 15 maggio 2017)

maggio 21, 2017

 

MAY 15 4:15 PM 

Nattering Nabobs of NAFTA

Paul Krugman

This discussion with David Rennie of The Economist on Trump is pretty scary. To paraphrase an old Brad DeLong line, Trump is more ignorant and impulsive than you can imagine, even taking into account that he’s more ignorant and impulsive than you can imagine. How close we came to leaving NAFTA:

People inside the White House also called the new Agriculture Secretary Sonny Perdue. Perdue had only been confirmed, like, a day or two earlier. And they called him in, [saying], “You need to come over here now! You need to! He’s about to withdraw from NAFTA.”

So Sonny Perdue literally asked his staff to draw up a map of the bits of America that had voted for Donald Trump and the bits of America that do well from exporting grain and corn through NAFTA. [The map] showed how these two areas often overlap. So he went in, said to Donald Trump, “Actually, Trump America, your voters, they do pretty well out of NAFTA.” And the president said, “Oh. Then maybe I won’t withdraw from NAFTA.”

Which put me to work wasting some time. Who actually exports a lot to Mexico? The top 10, as % of state GDP in 2014:

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Trump states indeed. But I was more interested in the economic geography. What we see here mainly is the gravity equation: trade falls off with distance, with border and near-border states doing a lot of Mexico trade. The outliers are Michigan and to a lesser extent Indiana and Tennessee, which presumably reflects the especially close NAFTA integration of the auto industry.

Interesting stuff, at least for me. Also the kind of thing that should be taken into account in future trade negotiations, as the president takes expert advice into account and [hysterical laughing fit]

 

15 maggio 2017

Scambiando quattro chiacchiere con i nababbi del NAFTA

Paul Krugman

Questa discussione con David Rennie di The Times è piuttosto allarmante. Per parafrasare una vecchia frase di Brad DeLong, Trump è più ignorante ed impulsivo di quello che possiate immaginare, anche mettendo nel conto che egli è più ignorante e impulsivo di quello che potete immaginare. A proposito di quanto siamo vicini a lasciare il NAFTA:

“La gente all’interno della Casa Bianca ha anche chiamato il nuovo Segretario all’Agricoltura Sonny Perdue. Perdue doveva essere stato confermato soltanto, più o meno, un giorno o due prima. E l’hanno chiamato (dicendogli): ‘Devi passare di qua subito! È necessario! Si tratta di ritirarci dal NAFTA’.

Dunque Sonny Perdue ha semplicemente chiesto ai suoi collaboratori di disegnare una mappa delle zone dell’America che hanno votato per Donald Trump e di quelle che beneficiano delle esportazioni di cereali e granturco attraverso il NAFTA. [La mappa] mostrava come queste due aree spesso coincidono. Allora lui c’è andato ed ha detto a Donald Trump: ‘In effetti, l’America di Trump, i tuoi elettori, se la cavano abbastanza bene col NAFTA’. E il Presidente ha detto: ‘Ah. Allora forse non mi ritirerò dal NAFTA’.

Il che mi ha spinto a lavorare perdendoci un po’ di tempo. In realtà, chi esporta molto nel Messico? Ecco i primi dieci, in percentuale del PIL degli Stati americani nel 2014:

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Stati che hanno votato per Trump, in effetti. Ma io ero più interessato alla geografia economica. Quello che in questo caso osserviamo è l’equazione della forza di gravità [1]: il commercio diminuisce con la distanza, con gli Stati al confine o vicini al confine che realizzano gran parte del commercio col Messico. Le eccezioni sono il Michigan e in minore misura l’Indiana e il Tennessee, che presumibilmente riflettono l’integrazione particolarmente stretta a livello del NAFTA dell’industria automobilistica.

Cose interessanti, almeno per me. Sono anche il tipo di cose che dovrebbero essere messe nel conto nei futuri negoziati commerciali, nella misura in cui il Presidente metterà nel conto i consigli degli esperti e …. convulsione da risata isterica.

 

 

 

[1] Il ‘modello gravitazionale nel commercio internazionale … similmente ad altri modelli gravitazionali nelle scienze sociali, prevede i flussi commerciali basandosi sulle dimensioni economiche (spesso basandosi sulle misurazioni dei PIL) e sulla distanza tra i due punti di riferimento. Il modello fu usato per la prima volta da Jan Tinbergen nel 1962. (Wikipedia)

 

 

 

 

 

 

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