Feb 8 8:05 am
Bryan Caplan reports that he has just won a bet with Tyler Cowen over whether unemployment would ever drop below 5 percent. It might be worth remembering the context.
You see, when the Great Recession struck — a demand-side shock if ever there was one — it took no time at all for a strange consensus to develop in elite opinion, to the effect that a large part of the rise in unemployment was “structural,” and could not be reversed simply by a recovery in demand. Workers just didn’t have the right skills, you see. Many of us argued at length that this was foolish. If skills were the problem, where were the occupations with rapidly rising wages? I pointed out that people said the same thing during the Great Depression, only to see it disproved when we finally got a big fiscal stimulus called World War II.
But the doctrine somehow just got stronger and stronger in elite circles, because it sounded serious and judicious, unlike the seemingly flighty proposition that all we needed was more spending. In fact, the notion that our unemployment problem was mainly structural began to be presented as a simple fact rather than as a hypothesis most professional economists rejected.
And here we are.
La stupidaggine strutturale rivisitata
Bryan Caplan riferisce di aver proprio vinto una scommessa con Tyler Cowen sul fatto che la disoccupazione sarebbe mai scesa al di sotto del 5 per cento. É il caso di ricordare il contesto.
Vedete, quando arrivò il colpo della Grande Recessione – uno shock dal lato della domanda, come nessun altro – non ci volle affatto molto tempo perché si sviluppasse uno strano consenso nella opinione delle classi dirigenti, nel senso che una ampia parte della crescita della disoccupazione venne giudicata “strutturale” e non poteva essere invertita semplicemente con una ripresa della domanda. Sapete, i lavoratori semplicemente non avevano le competenze giuste. Molti di noi sostennero esaurientemente che era una sciocchezza. Se il problema erano le competenze professionali, dove erano gli impeghi con salari rapidamente crescenti? Io misi in evidenza che la gente diceva la stessa cosa durante la Grande Depressione, solo per vederla smentita quando alla fine si ebbe un grandi stimolo della finanza pubblica chiamato Seconda Guerra Mondiale.
Na quel concetto divenne proprio in qualche modo sempre più forte nei circoli delle classi dirigenti, perché sembrava serio e giudizioso, diversamente dalla apparentemente inaffidabile proposizione secondo la quale tutto quello di cui avevamo bisogno era maggiore spesa pubblica. Di fatto, l’idea che il nostro problema di disoccupazione fosse principalmente strutturale cominciò ad essere presentato come un semplice fatto, piuttosto che come una ipotesi che la maggioranza degli economisti di professione rigettava.
E adesso ci siamo [1].
[1] Ovvero, come indica la tabella, adesso siamo al punto che il tasso di disoccupazione americano è tornato a collocarsi sotto il 5 per cento, come prima del 2008 (quando, però, si giovava di una notevole bolla nel settore immobiliare e delle costruzioni).
Il tasso di disoccupazione somma le persone che non hanno lavoro, o che lo stanno attivamente cercando, in rapporto alla forza lavoro totale degli Stati Uniti. Viene definita “civilian” perché dal calcolo vengono esclusi i militari o i cosiddetti “institutionalized”, ovvero coloro che sono in galera, in istituti di cura etc.
febbraio 10, 2016
Feb 6 1:58 pm
If you are still on the fence in the Democratic primary, or still persuadable, you should know that Vox interviewed a number of political scientists about the electability of Bernie Sanders, and got responses ranging from warnings about a steep uphill climb to predictions of a McGovern-Nixon style blowout defeat. And all of them dismiss current polls as meaningless.
You are, of course, free to disagree. But you need to carefully explain why you disagree — what evidence do you have suggesting that these scholars’ conclusions, which are based on history and data, not just gut feelings, are wrong?
And there are two really unacceptable answers that I’m sure will pop up again and again in comments. One is to dismiss all such analyses as the product of corruption — they’re all bought and paid for by Wall Street, or looking for a job in a Clinton administration. No, they aren’t. The other is to say that you’re willing to take the chance, because Clinton would be just as bad as a Republican. That’s what Naderites said about Al Gore; how’d that work out?
I have some views of my own, of course, but I’m not a political scientist, man — I just read political scientists and take their work very seriously. What I do bring to this kind of discussion, I hope, is an awareness of two kinds of sin that can corrupt political discussion.
The obvious sin involves actually selling one’s views. And that does happen, of course.
But what happens even more, in my experience, is an intellectual sin whose effects can be just as bad: self-indulgence. By this I mean believing things, and advocating for policies, because you like the story rather than because you have any good evidence that it’s true. I’ve spent a lot of time over the years going after this sort of thing on the right, where things like the claim that Barney Frank somehow caused the financial crisis so often prevail in the teeth of overwhelming evidence. But it can happen on the left, too — which is why, for example, I’m still very cautious about claims that inequality is bad for growth.
On electability, by all means consider the evidence and reach your own conclusions. But do consider the evidence — don’t decide what you want to believe and then make up justifications. The stakes are too high for that, and history will not forgive you.
L’attitudine ad essere eletti
Se siete ancora incerti sulle primarie democratiche, o siete ancora convincibili, dovreste sapere che Vox ha intervistato un certo numero di politologi a proposito della attitudine ad essere eletto di Bernie Sanders, ed ha avuto risposte che vanno dagli ammonimenti su una ripida difficoltosa strada in salita, alle previsioni di una sconfitta con ampio margine, del genere di quella tra McGovern e Nixon.
Naturalmente, siete liberi di non essere d’accordo. Ma avete bisogno di spiegare con scrupolo perché non siete d’accordo – quali prove potete suggerire che queste conclusioni di studiosi, che sono basate sulla storia e sui dati, non solo su sensazioni istintive, siano sbagliate?
E ci sono due risposte davvero inaccettabili che sono sicuro salteranno fuori i continuazione nei commenti. Una è rigettare quelle analisi come frutto della corruzione – sono tutti comprati e pagati da Wall Street, o in cerca di un posto di lavoro nella Amministrazione della Clinton. E non è così. L’altra è dire che volete cogliere l’occasione, perché la Clinton sarebbe proprio un male, come un repubblicano. Che è quello che i sostenitori di Ralph Nader [1] dicevano di Al Gore; come andò a finire?
Naturalmente ho alcune mie opinioni, ma io non sono una scienziato della politica, signori miei – sono solo uno che legge gli scienziati della politica e prende sul serio i loro lavori. Quello che io porto in questa discussione, lo spero, è la consapevolezza di due tipi di peccato che possono guastare il dibattito politico.
Il peccato più ovvio, per la verità, riguarda il modo in cui si cerca di far accettare le proprie opinioni. Ed è una cosa che accade, naturalmente.
Ma quello che accade anche più frequentemente, nella mia esperienza, è un peccato intellettuale i cui effetti possono soltanto essere negativi: l’autoindulgenza. Con questo io intendo il credere in qualcosa, e sostenere alcune politiche, perché è un racconto che ci piace e non perché si abbia alcuna prova della sua verità. Nel corso degli anni ho speso molto tempo ad attaccare una cosa di questa genere a destra, dove cose come la pretesa che Barney Frank [2] in qualche modo avesse provocato la crisi finanziaria prevalgono tanto frequentemente, alla faccia di prove schiaccianti. Ma questo può accadere anche a sinistra – che è la ragione, ad esempio, per la quale io sono ancora molto cauto sulle tesi per le quali l’ineguaglianza è negativa per la crescita.
Sulla attitudine ad essere eletti, in ogni modo, considerate i dati di fatto e arrivate ad una vostra conclusione. Ma considerate i dati di fatto – non decidete quello che volete credere per avanzare dopo le giustificazioni. Per una cosa del genere gli interessi in gioco sono troppo alti, e la storia non vi perdonerà.
[1] Uomo politico americano, scrittore e avvocato. Per cinque volte è stato candidato alla Presidenza, per se stesso, per il Partito Democratico e per il Partito Verde, un formazione ambientalista e di sinistra che si presentò alle elezioni presidenziali del 2000 con Nader e con la Vice Winona LaDuke, ottenendo il 2,7% dei voti popolari. Come è noto, nelle elezioni del 2000 Al Gore perse di misura la sfida con George W. Bush nei collegi elettorali, pur avendo ottenuto un numero di voti popolari superiore. Il modesto ma non indifferente risultato dei verdi evidentemente influì.
[2] Barney Frank è un uomo politico democratico, membro del Congresso. Nel passato è stato molto attivo, tra l’altro, sul tema del diritto delle persone ad avere un alloggio, e dunque del diritto ad avere prestiti per acquistarlo. La qualcosa lo fece diventare il bersaglio preferito delle fantasiose ricostruzioni repubblicane, che attribuirono a lui l’impegno a facilitare i mutui da parte delle agenzie finanziarie pubbliche, dunque, la bolla immobiliare e infine la crisi finanziaria globale. Frank è stato anche, con Dodd, l’artefice della riforma del sistema finanziario dopo la crisi stessa.
febbraio 10, 2016
Feb 5 12:11 pm
So, do you remember this? Romney vows to lower unemployment rate to 6 percent by end of first term.
Ahem:
But everyone makes bad forecasts; Republicans are still going on about the over-optimism of the Romer-Bernstein forecast of early 2009, insisting that it proves that the stimulus was a failure. So is making fun of Mitt Romney anything more than a case of turnabout being fair play?
Actually, yes.
The big problem with Romer-Bernstein was not that they over-estimated the effectiveness of fiscal policy. In fact, their assumed multiplier of 1.5 still looks very good in the light of subsequent research and events. For example, the euro area carried out a sort of natural experiment from 2009 to 2013, in which some but not all countries were forced into drastic austerity policies. If we plot the change in structural budget surpluses as a share of GDP against GDP growth, we get this:
And a regression finds a multiplier of, um, 1.53. Similar numbers come out of a variety of approaches. So the analytics of Romer-Bernstein on policy look quite good; their mistake was to underestimate the damage the financial crisis would do.
Republican predictions of Obamadoom, on the other hand, were all about their claims about policy effects: the 2013 tax hike and the coming of Obamacare would be massive job-killers, they insisted again and again. So good employment performance really does count as a major disproof of their worldview.
Or to take a cheaper but still fair shot: imagine what they would be saying if Romney actually were president, and we had this jobs record.
In ricordo delle previsioni passate
Dunque, vi ricordate di questa? “Romney promette per la fine del primo mandato un tasso di disoccupazione inferiore al 6 per cento”.
Ma guarda! (1)
Eppure ognuno fa cattive previsioni: i repubblicani stanno ancora sproloquiando sull’eccessivo ottimismo della previsione di Romer e Bernstein agli inizi del 2009, ripetendo che essa dimostra che lo stimolo fu un fallimento. Dunque, prendere il giro il qualcosa di più che un casuale dietro-front di Mitt Romney è giocare lealmente?
In effetti, sì.
Il grande problema con Romer-Bernstein non fu che essi sovrastimarono l’efficacia della politica della spesa pubblica. Di fatto, il loro ipotizzato moltiplicatore di 1,5 [2] appare molto buono alla luce delle successive ricerche ed eventi. Ad esempio, l’area euro dal 2009 al 2013 portò avanti una specie di esperimento naturale, nel quale alcuni, ma non tutti, i paesi furono costretti a politiche drastiche di austerità. Se disegnamo il cambiamento negli avanzi strutturali di bilancio come quote del PIL a confronto delle crescite del PIL, otteniamo questo:
E una regressione scopre un moltiplicatore, guarda un po’, dell’1,53. Numeri simili vengono fuori da una varietà di approcci. Dunque l’analitica di Romer-Bernstein sembra abbastanza buona; il loro errore fu di sottostimare il danno che la crisi finanziaria avrebbe fatto.
Le previsioni repubblicane sulla sorte avversa di Obama, d’altro canto, riguardarono tutte le loro pretese sugli effetti della politica: essi ribadirono in continuazione che il rialzo delle tasse del 2013 e la riforma della assistenza sanitaria di Obama avrebbero avuto una massiccio effetto di distruzione di posti di lavoro. Dunque, l’andamento realmente positivo dell’occupazione ha il valore di una importante confutazione della loro concezione del mondo.
Oppure, per fare un esempio più semplice ma pur sempre corretto: immaginatevi cosa starebbe dicendo Romney se fosse stato Presidente, ed avesse avuto questo record di posti di lavoro.
(1) La tabella mostra l’andamento del tasso di disoccupaione negli USA, che nelle stime più recenti ha raggiunto il 4,9 per cento. Dunque assai migliore di quello che prometteva Romney nella competizione elettorale con Obama.
[2] Ovvero, il fattore per il quale deve essere moltiplicata una variazione della spesa pubblica per stimarne gli effetti sulla crescita (che sarà maggiore di quel fattore se si tratta di spesa pubblica aggiuntiva, o minore di quel fattore se si tratta di restrizione della spesa pubblica). Nel caso degli Stati Uniti le misure di sostegno – che pure furono inferiori a quanto molti stimavano necessario e, in particolare, ebbero una durata temporale limitata – provocarono un effetto superiore ad un fattore 1, che i due consulenti allora consiglieri della Casa Bianca stimarono in 1,5. Nel caso dell’Europa, come si vede nel secondo diagramma, i paesi che conobbero maggiore austerità (Portogallo, Spagna, Italia ed Irlanda; la Grecia non figura nella stima), ovvero un maggiore avanzo strutturale di bilancio, sono quelli che hanno avuto un crescita del PIL negativa o attorno allo 0.
febbraio 10, 2016
Feb 3 1:18 pm
A lot of the debate over the Sanders insurgency hinges on whether you see Obama-era reforms as trivial, utterly inadequate to the problems, or as a half loaf that’s a lot better than none. (It also hinges on whether you believe that a Sanders candidacy could mobilize vast untapped wells of progressive sentiment, or whether you believe that he would be hit with a smear campaign like nothing you’ve seen before — except for what has already happened to Hillary Clinton, and is baked into her polling. You can guess what I think.)
On healthcare, people like me and most of the health wonks I know believe that Obamacare represents a huge step forward, while the Sanders wing tends to dismiss it as nothing much. I’ve been making the case that Obama energy policy is going to have a much bigger impact on climate change than many people think. But what about financial reform?
Well, it partly depends on what you consider the problem. I’ve been on record since early days saying that too-big-to-fail is not the key issue, so that the fact that big banks remain big is, um, no big deal. The real question — or so I’d argue — is leverage within the financial sector, and in particular the kind of leverage with no safety net that characterizes shadow banking.
So Matt O’Brien weighs in with evidence that leverage has in fact declined substantially, and continued to decline even as the economy expanded — probably because of Dodd-Frank. This is certainly right; the same decline shows up in other measures, as in the chart above showing financial sector debt securities as a percentage of GDP.
Should we have had a stiffer financial reform? Definitely — required capital ratios should be a lot higher than they are. But Dodd-Frank’s rules — especially, I think, the prospect of being classed as a SIFI, a strategically important institution subject to tighter constraints, have had a real effect in reducing risk.
The reality of the Obama era, for progressives, is a series of half loaves. But after all the defeats over the previous 30 years, aren’t those achievements something to celebrate?
Mezza pagnotta, versione riforma del sistema finanziario
Molto del dibattito sulla ribellione di Sanders dipende dal fatto che si considerino le riforme dell’epoca di Obama come banali, completamente inadeguate ai problemi, oppure si consideri che mezza pagnotta è molto meglio di nessuna (dipende anche dal fatto che si creda che la candidatura di Sanders potrebbe mobilitare ampie inutilizzate sorgenti di sentimento progressista, oppure si creda che egli verrebbe colpito da una campagna diffamatoria come non se ne sono viste in precedenza – ad eccezione di quanto è già accaduto ad Hillary Clinton, ed è consolidato nei suoi sondaggi. Potete immaginare a cosa penso).
Sulla assistenza sanitaria, persone come me e come gran parte degli esperti sanitari che io conosco credono che la riforma di Obama rappresenti un grande passo in avanti, mentre l’ala di Sanders tende a liquidarla come niente di rilevante. Ho esposto l’argomento secondo il quale le politica energetica di Obama sia destinata ad avere un impatto sul cambiamento climatico molto superiore a quello che molti credono. Ma cosa dire della riforma del sistema finanziario?
Ebbene, in parte dipende da quello che si considera il problema. Ho affermato pubblicamente sin dai primi giorni che il tema del troppo-grande-per-fallire non è la questione fondamentale, cosicché il fatto che le grandi banche restino grandi, non è, direi, una grande faccenda. La vera domanda – così almeno io penso – è il rapporto di indebitamento del sistema finanziario, e in particolare quel genere di rapporto di indebitamento senza alcune rete di sicurezza che caratterizza il sistema bancario ombra.
In questo senso, Matt O’Brien interviene con la prova che il rapporto di indebitamento di fatto è sostanzialmente calato, ed ha continuato a calare anche quando l’economia si è espansa – probabilmente a causa della legge Dodd-Frank. Questo è certamente giusto; lo stesso calo è evidente in altre misurazioni, come nella tabella sopra che mostra i titoli sul debito del settore finanziario come percentuale del PIL.
Dovremmo aver avuto una riforma del sistema finanziario più rigida? Senza dubbio – le quote di capitale richieste dovrebbero essere un bel po’ più elevate di quello che sono. Ma le regole della Dodd-Frank – in particolare, penso, la prospettiva di essere classificati come ‘Istituto finanziario strategicamente importante’ (SIFI), soggetto a limitazioni più restrittive, ha avuto un effetto reale nella riduzione del rischio.
La realtà dell’epoca di Obama, dal punto di vista dei progressisti, è una serie di mezze pagnotte. Ma dopo tutte le sconfitte dei precedenti trent’anni, quelle realizzazioni non sono qualcosa da celebrare?
febbraio 9, 2016
Feb 2 1:38 pm
The outsized role the Iowa caucuses play in the nomination process is, as almost everyone acknowledges, sort of stupid. But where does it come from? The immediate answer is that it’s about the news media, which seize on the Iowa results and use them to tell narratives that can, in turn, have a huge impact on fundraising and later voting.
But why is this small, peculiar contest so influential in setting narratives? The answer, I’d say, is that Iowa acts as a Schelling focal point.
Schelling’s original examples involved something like two people told to find each other in New York. You might think this would be impossible, but people often succeed by choosing a psychologically salient time and place — say, the Empire State Building at noon. What’s interesting about this is that they may not even perceive this meeting point as a choice: person A has to do it because he or she thinks person B will do it, and vice versa.
How does this apply to news coverage and punditry? Well, it’s obvious that the media have strong herding instincts; almost everyone wants to be somewhere close to the middle of the pack, telling the prevailing narrative. But there are many narratives that could, in fact, prevail. Partly that’s because such narratives can be self-fulfilling, and partly it’s because actually being, you know, right isn’t that important compared with being on top of the trend. So anything that gives special salience to a particular narrative can produce convergence on that narrative, even if everyone realizes that what’s going on is basically stupid.
Thus, should Rubio’s third-place finish in a small state really have caused him to shoot up so dramatically in market estimates of his probability of winning the GOP nomination? No, yet that’s what happened.
Meanwhile, on the Democratic side, the results were in all important respects a tie — but Clinton was a whisker ahead. Did that whisker matter? I’m pretty sure it did, a lot. If Sanders had come in even slightly ahead, the news would have been full of Clinton-is-doomed reports. Instead, the coverage has, as best I can tell, been rather subdued. Everyone knows that a fraction of a point in the vote makes no objective difference; but everyone also knows that “Iowa almost tied!” isn’t the same kind of focal point for Clinton doom stories as “Clinton defeated!” And so the coverage is radically different — and the betting markets have treated Iowa on the Democratic side as a non-event.
Intellectually, I find this fascinating. But it’s one heck of a way to choose the future of the world’s greatest nation.
Lo Iowa come il punto focale dei media
Il ruolo sproporzionato che giocano i caucus dello Iowa nel processo di nomina è, come quasi tutti riconoscono, una cosa abbastanza stupida. Ma da dove deriva? La risposta immediata è che riguarda gli organi di informazione, che utilizzano i risultati dello Iowa e li usano per raccontare storie che, a loro volta, possono avere un ampio impatto nella raccolta dei fondi e successivamente nel voto.
Ma perché questo piccolo, peculiare contesto è così influente nel fare da sfondo a tali racconti? La risposta, direi, è che lo Iowa funziona come un ‘punto focale di Schelling’ [1].
Gli esempi originari di Schelling riguardavano qualcosa come due persone alle quale veniva detto di cercarsi reciprocamente in New York. Potreste ritenere che questo sarebbe impossibile, ma le persone spesso ci riescono scegliendo un tempo ed un luogo psicologicamente di particolare rilevanza – ad esempio, l’Empire State Building a mezzogiorno. Quello che è interessante è che essi possono persino non percepire questo punto di incontro come una scelta: la persona A deve farlo perché egli o ella pensano che la persona B lo farà, e viceversa.
Come si applica questo ai resoconti ed ai commenti giornalistici? Ebbene, è evidente che i media posseggono forti istinti gregari; quasi tutti vogliono essere in qualche luogo vicino al centro del branco, raccontando la narrativa prevalente. Ma ci sono molte narrative che. di fatto, potrebbero prevalere. In parte è così perché tali narrative possono auto avverarsi, e in parte perché, per la verità, come si sa, essere nel giusto non è così importante come essere nel punto dominante della tendenza. Dunque, ogni cosa che offra una speciale rilevanza ad una particolare narrativa può produrre convergenza sulla narrativa, persino se ciascuno comprende che si tratta di una cosa fondamentalmente stupida.
Quindi, il terzo posto di Rubio al traguardo di un piccolo Stato dovrebbe per davvero avergli consentito un balzo così spettacolare nelle stime di mercato [2], sulla sua probabilità di ottenere la nomina del Partito Repubblicano? No, tuttavia è quello che è successo.
Nel frattempo, sul versante dei democratici, i risultati sono stati sotto tutti gli aspetti importanti, un pareggio – ma la Clinton si è piazzata un soffio più avanti. É stato importante questo soffio? Io sono abbastanza sicuro che lo sia stato, e molto. Se Sanders fosse arrivato persino leggermente più avanti, i giornali sarebbero stati pieni di resoconti del genere ‘la Clinton è condannata’. Invece i resoconti sono stati, per quanto posso dire, abbastanza smorzati. Tutti sanno che una frazione di un punto nel voto non fa alcuna differenza obbiettiva; ma tutti sanno anche che il “quasi pareggio nell’Iowa” non è lo stesso genere di punto focale per i racconti di sventura sulla Clinton del “la Clinton sconfitta!” E così i resoconti sono completamente diversi – ed i mercati delle scommesse, sul versante dei democratici, hanno trattato lo Iowa come un non-evento.
Dal punto di vista intellettuale, lo trovo affascinante. Ma che diamine di modo, per scegliere il futuro della nazione più grande del mondo.
[1] Nella Teoria dei giochi un ‘punto focale’ (anche chiamato ‘punto di Schelling’) è un soluzione che le persone tenderanno ad usare in assenza di comunicazione, perché sembra loro naturale, speciale o rilevante. Il concetto fu introdotto dall’economista americano Premio Nobel Thomas Schelling ne suo libro “La strategia del conflitto” (1960). In questo libro Schelling descrive “il punto focale per l’aspettativa di ciascuna persona [come] quello che l’altro si aspetta che lui si aspetti che ci si aspetti che lui faccia”. Egli spiega che tali ‘punti’ sono assai utili nei negoziati, giacché non possiamo credere completamente alle parole di colui con il quale negoziamo. (Wikipedia, inglese)
[2] Come abbiamo visto altre volte, le stime di mercato sono effettivamente quelle che provengono da una attività affaristica connessa con le scommesse, sulle cose più varie, inclusa la nomination repubblicana. E dopo l’Iowa, Rubio era salito nelle scommesse al 60% (poi al 45%), mentre a metà gennaio era attorno al 30%.
febbraio 4, 2016
Feb 2 8:33 am
Well, in my pre-Iowa notes I called the Republican primary right:
I know what will happen on the Republican side: someone horrifying will come in first, and someone horrifying will come in second.
Let me add that someone horrifying also came in third. Marco Rubio may seem less radical than Cruz or Trump, but his substantive policy positions are for incredibly hawkish foreign policy, wildly regressive tax policy, kicking tens of millions of people off health insurance, and destroying the environment. Other than that, he’s a moderate.
On the Democratic side, I was glad to see Nate Cohn, who’s a professional here, reach the same conclusions I got in my amateur analysis: this still looks like Hillary Clinton for the Democratic nomination.
The point is not just that she eked out a very narrow win in Iowa, which is important mainly for limiting the doomsaying spin the media were so eager to deliver. It is that this situation doesn’t look at all like 2008.
People tend to forget that the 2008 primary was quite close all the way through; Clinton actually got more votes than Obama, but lost the delegate count through careless organization that won’t be repeated. And the crucial role of Iowa there was that it persuaded African-American voters to switch en masse. It’s hard to see that happening this time.
That said, Sanders is tapping into something that moves a lot of Democrats, and which Clinton needs to try for as well. Can she?
Certainly taking a harder line on the corruption of our politics by big money is important — and no, giving some paid speeches doesn’t disqualify her from making that case. (Cue furious attack from the Bernie bros.) Substantively, her financial reform ideas are as tough as his, just different in focus. What is true, though, is that simply by having been in the world of movers and shakers for so long, Clinton can’t project the kind of purity that someone who has been an outsider (even while sitting in the Senate) can manage.
The bigger problem, though, to my mind at least, is the ability to deliver a message of dramatic uplift, the promise that electing your favorite candidate will cause a dramatic change in the world. How do you do that if your reality sense tells you that only incremental progress is possible, at least for now? You probably can’t. (I’m pretty bad at the uplift thing myself). To be blunt, I think Sanders is selling an illusion, but it’s an illusion many people want to believe in, and there’s no easy way to counter that.
In the end, again, Clinton’s tell-it-like-it-is approach will probably be enough to clinch the nomination. And then she’ll be in a very different position, running as the champion of real if limited progress against, well, look at those top three on the other side.
Note dopo l’Iowa
Ebbene, nelle mie “Note prima dell’Iowa” avevo definito nel modo giusto le primarie repubblicane:
“io so quello che accadrà dal lato dei repubblicani: qualcuno terrificante arriverà primo e qualcuno terrificante arriverà secondo”.
Fatemi aggiungere che è arrivato qualcuno terrificante anche come terzo. Marco Rubio può sembrare meno radicale di Trump o Cruz, ma le sue sostanziali posizioni politiche sono per una politica estera incredibilmente aggressiva, per un politica fiscale selvaggiamente regressiva, per escludere milioni di persone dalla assicurazione sanitaria e per distruggere l’ambiente. A parte quello, è un moderato.
Sul versante dei democratici, sono stato contento di notare che Nate Cohn [1], che in questo campo è un professionista, giunge alle stesse conclusioni alle quali ero arrivato io nella mia analisi da dilettante: questo risultato dà ancora l’impressione che Hillary Clinton sia favorita per la nomination.
Il punto non è soltanto che ella ha centellinato una vittoria di stretta misura in Iowa, il che è importante principalmente per limitare le interpretazioni catastrofiste che i media erano così ansiosi di esprimere. Il punto è che questa situazione non somiglia affatto a quella del 2008.
La gente tende a dimenticare che (i risultati del) le primarie del 2008 furono sin dall’inizio abbastanza ravvicinati; per la verità la Clinton ottenne più voti di Obama, ma perse nel conteggio dei delegati per effetto di una organizzazione negligente che non si ripeterà. E il ruolo cruciale dello Iowa fu che esso persuase gli elettori afro-americani a cambiare in massa. É difficile ritenere che si stia ripetendo una cosa del genere.
Ciò detto, Sanders sta attingendo a qualcosa che ispira un gran numero di democratici, che anche la Clinton deve cercare di far proprio. Può riuscirci?
Certamente, assumere un orientamento più duro sulla corruzione della nostra politica da parte delle grandi ricchezze è importante – mentre no, farsi pagare alcuni discorsi non la disabilita a sostenere tali argomenti (prendo spunto dal furioso attacco di Bernie Bros [2]).
Sostanzialmente le posizioni sulla riforma finanziaria della Clinton sono dure come quelle di Sanders, soltanto concentrandosi su aspetti diversi. Quello che però è vero è che semplicemente per essere stata nel mondo delle persone attive ed influenti per così tanto, la Clinton non può suscitare quel genere di purezza che qualcuno che è stato un non addetto ai lavori (anche se standosene seduto al Senato) può riuscire a proiettare.
Il problema più grande, però, almeno secondo me, è la capacità di far arrivare un messaggio incredibilmente confortante: la promessa che eleggere il vostro candidato favorito provocherà uno spettacolare cambiamento nel mondo. Come lo fai se il tuo senso di realtà ti dice che è possibile soltanto un progresso graduale, almeno per adesso? Probabilmente non puoi farlo (quanto alla faccenda del confortarsi io sono abbastanza maldestro). Per essere franco, io penso che Sanders stia vendendo una illusione, ma è una illusione alla quale molte persone vogliono credere, e non è facile contrastarla.
Alla fine, lo ripeto, l’approccio della Clinton del dire-le-cose-come-stanno, probabilmente sarà sufficiente per afferrare la nomina. E a quel punto ella sarà in una posizione molto diversa, sarà in gara come la migliore interprete di un progresso reale ancorché limitato, contro, ebbene, guardate quei primi tre dell’altro schieramento.
[1] Giornalista che scrive sul NYT come Krugman e che sul tema dei risultati democratici in Iowa ha scritto un post sul suo blog dal titolo “Perché un ‘pareggio virtuale’ in Iowa è più a favore della Clinton che di Sanders”.
[2] Non ho capito bene, ma sembra che Bernie Bros (‘i fratelli di Bernie’) sia un fenomeno che deriva da un social network – ripreso dal giornale Atlantic – e consista in alcuni commenti e spunti sul dibattito elettorale tra i democratici. Forse quei commenti contengono posizioni piuttosto dozzinali sulla Clinton.
febbraio 4, 2016
Feb 1 9:10 am
I’ve learned a lot of what I know about energy economics from Joe Romm, and he has a post this morning that is, in effect, a primer on the background to today’s column. As I tried to convey, the news is amazingly good — we now have the technology to shift dramatically away from fossil fuels, at relatively low cost.
The bottom line, literally:
As the world gets increasingly serious about replacing fossil fuels with low carbon energy, it seems increasingly clear that a combination of the technologies and strategies discussed above will be able to incorporate very large amounts of renewable electricity into the electric grid cost-effectively. The “intermittency” problem is essentially solved. The will-power problem, however, isn’t.
Ancora sulle energie rinnovabili
Ho imparato molto di quello che so sulla economia energetica da Joe Romm, e questa mattina egli pubblica un post che è, in effetti, una introduzione obbligatoria sullo sfondo del mio articolo di oggi [1]. Come ho provato a illustrare, le novità sono sorprendentemente positive – abbiamo adesso la tecnologia per allontanarci in modo spettacolare dai combustibili fossili, a costi relativamente bassi.
In conclusione, parola per parola:
“Nel mentre il mondo diventa sempre più serio nel sostituire i combustibili fossili con energia a basso contenuto di carbone, è sempre più chiaro che una combinazione delle tecnologie e della strategie sopra discusse consentirà di incorporare quantità molto ampie di elettricità rinnovabile nella rete elettrica in modo efficace dal punto di vista dei costi. Il problema della “intermittenza” [2] è sostanzialmente risolto. Il problema della forza di volontà, tuttavia, non lo è”.
[1] L’articolo è “Vento, sole e fuoco” del 1 febbraio 2016, qua tradotto.
[2] Ovvero, il problema connesso con la inevitabile non continuità delle fonti energetiche di vento e di sole che alimentano i singoli impianti, e dunque delle necessarie tecnologie di immagazzinamento di quelle quantità di elettricità prodotte. Sembra che di recente ci siano stati progressi rilevanti in tali tecnologie, che permettono di accumulare i picchi di risorse naturali e di produzione elettrica e di utilizzarli in modo pianificato.
febbraio 3, 2016
January 31, 2016 4:23 pm
I don’t know what will happen in the caucuses tomorrow. Actually, I know what will happen on the Republican side: someone horrifying will come in first, and someone horrifying will come in second. The names are less clear.
On the Democratic side, well, the last five polls all show Clinton in the lead, and FiveThirtyEight gives her an 80 percent chance of winning, but it’s not a sure thing.
While we wait, however, a few informal, not very analytical thoughts on the Democratic race. I’ve talked to a few friends who are Sanders supporters, some others who are Clinton supporters, and I have some impressions. This is not reporting; just a personal reaction.
The appeal of the Sanders campaign, at least to people I know, is that it brings a sense of possibility. For those who were joyful and uplifted on inauguration day 2009, the years that followed have been a vast letdown: American politics got even uglier, policy progress always fell short of dreams. Now comes Sanders — very different in personal style from Obama 2008, but again someone who seems different and offers the hope of transformation. And some people really want to hear that message, and don’t want to hear that they’re being unrealistic.
But there’s something else, which I keep encountering, and which I’m sure I’m not the only one to notice: even among progressives, the two-decade-plus smear campaign against the Clintons has had its effect. I keep being told about terrible things the Clintons did that never actually happened, but were carefully fomented right-wing legends — except I’m hearing them from people on the left. The sense that where there’s smoke there must be fire — when the reality was nothing but Richard Mellon Scaife with a smoke machine — is very much out there, still.
Unfortunately, that underlying Foxification of perceptions marries all too well with the tendency of some — only some — Sanders supporters to assume that any skepticism about their hero’s proposals or prospects must reflect personal corruption. Something like that was probably inevitable in a campaign whose premise is that everything is rigged by the oligarchy, but it interacts with the vague perception, the product of all those years of right-wing smearing, that there’s a lot of Clinton dirt.
Even among those who don’t believe in the phony scandals, there is, as there was in 2008, a desire for someone new, who they imagine won’t bring out all that ugliness. But of course they’re wrong: if Sanders is the nominee, it will take around 30 seconds before Fox News is nonstop coverage of the terrible things he supposedly did when younger. Don’t say there’s nothing there: a propaganda machine that could turn John Kerry into a coward can turn a nice guy from Brooklyn into a monstrously flawed specimen of humanity in no time at all.
On the other hand, that history is, I think, one factor behind a phenomenon we saw in 2008 and will see again this year: there’s a lot more passionate support for Clinton than either Sanders supporters or the news media imagine. There are a lot of Democrats who see her as someone who has been subjected to character assassination, to vicious attacks, on a scale few women and no men in politics have ever encountered — yet she’s still standing, still capable of remarkable grace under fire. If you didn’t see something heroic about her performance in the Benghazi hearing, you’re missing something essential.
And Clinton’s dogged realism, while it doesn’t inspire the same kind of uplift as Sanders’s promise of change, can be inspiring in its own way.
The truth is that both Democrats have a lot of genuine, solid support. Both had 80 percent approval among Democrats in the DMR poll released yesterday. One item from that poll that seems to have surprised reporters:
There’s no enthusiasm gap — it’s just different forms of enthusiasm.
So here we go. May the best person win.
Note prima dell’Iowa
Non so cosa accadrà nei caucus di domani. Per la verità, io so quello che accadrà dal lato dei repubblicani: qualcuno terrificante arriverà primo e qualcuno terrificante arriverà secondo. I nomi sono meno chiari.
Dal lato dei democratici, ebbene, tutti gli ultimi cinque sondaggi mostrano la Clinton in testa, e FiveThirtyEight le dà un 80 per cento di possibilità di vittoria, ma non è una cosa sicura.
Mentre aspettiamo, tuttavia, alcuni pensieri informali, non molto analitici, sulla competizione tra i democratici. Ho parlato con alcuni amici che sono sostenitori di Sanders e con alcuni altri che sono sostenitori della Clinton, e ne ho avuto alcune impressioni. Questo non è un resoconto; solo una reazione personale.
Ciò che piace nella campagna elettorale di Sanders, almeno alle persone che conosco, è che essa porta una sensazione di cose possibili. Per coloro che gioirono e furono sollevati dal giorno dell’inaugurazione del 2009, gli anni che sono seguiti sono stati un grande disappunto: la politica americana è diventata persino più sgradevole, i progressi nella pratica sono stati sempre deludenti rispetto ai sogni. Ora arriva Sanders – molto differente nello stile personale dall’Obama del 2008, ma ancora una volta qualcuno che sembra diverso ed offre la speranza della trasformazione. E alcuni persone vogliono davvero sentire un messaggio del genere, e non vogliono sentirsi dire che non sono realisti.
Ma c’è qualcos’altro in cui continuo ad imbattermi e che sono sicuro di non esser il solo a notare: anche tra i progressisti, i due decenni di campagne calunniose contro i Clinton hanno prodotto i loro effetti. Continuo a sentir raccontare di cose terribili fatte dai Clinton che non sono mai accadute, ma sono state fomentate con scrupolo dalle leggende della destra – con la differenza che le sento dire da persone di sinistra. La sensazione che dove c’è del fumo ci deve essere anche dell’arrosto – quando la realtà non è stata altro che Richard Mellon Scaife con una macchina del fango [1] – è ancora molto diffusa.
Sfortunatamente, quella implicita foxizzazione si sposa anche troppo bene con le tendenze di alcuni – solo alcuni – sostenitori di Sanders a considerare che ogni scetticismo sulle proposte o sulle prospettive del loro campione debba indicare una personale disonestà. Qualcosa del genere è probabilmente inevitabile in una campagna elettorale la cui premessa è che tutto è manipolato dall’oligarchia, ma essa interagisce con la vaga percezione, conseguenza di questi anni di calunnie da parte della destra, secondo la quale c’è molto di sporco nei Clinton.
Anche tra coloro che non credono negli scandali fasulli, c’è, come c’era nel 2008, un desiderio di qualcosa di nuovo, che si immaginano ci porterebbe fuori da quelle sgradevolezze. Ma ovviamente si sbagliano: se il nominato sarà Sanders, ci vorranno una trentina di secondi prima che Fox News avvii una campagna non-stop sulle cose terribili che si suppone egli abbia fatto quando era più giovane. Non si dica che in ciò non c’è niente: una macchina propagandistica che ha potuto trasformare John Kerry in un codardo, può trasformare un simpatico individuo di Brooklyn in un esemplare di umanità pieno di difetti in men che non si dica.
D’altra parte, quello storia, secondo me, è uno dei fattori che sta dietro quello che abbiamo visto nel 2008 e vedremo ancora quest’anno: c’è un sostegno molto più appassionato per la Clinton di quanto si immaginano sia i sostenitori di Sanders che gli organi di informazione. Ci sono molti democratici che la considerano come una persona che ha subito diffamazioni, attacchi feroci, in una dimensione nella quale poche donne e nessun uomo sono mai state sottoposti – tuttavia è ancora in piedi, è capace di mantenere una considerevole grazia sotto tale virulenza. Se non avete visto qualcosa di eroico nella sua condotta durante l’audizione su Bengasi, vi state perdendo qualcosa di essenziale.
E il realismo ostinato della Clinton, se non ispira lo stesso genere di sollievo delle promesse di cambiamento di Sanders, a modo suo può essere un fattore di ispirazione.
La verità è che entrambi i candidati democratici hanno un sostegno vasto, genuino e solido. Entrambi hanno una approvazione all’80 per cento nei sondaggi DMR resi noti ieri. Un sondaggio dal quale sembra che un tema abbia sorpreso i giornalisti:
Non c’è alcuna differenza di entusiasmo – soltanto forme diverse di entusiasmo.
Dunque, partiamo. Possa vincere la persona migliore.
[1] Richard Mellon Scaife è un miliardario americano e grande contribuente dei conservatori. Con i suoi giornali si impegnò molto a sostenere che Bill Clinton e consorte erano responsabili della morte di un consulente della Casa Bianca, che risultò ad una indagine specifica essersi suicidato.
[2] Per ragioni di grafica che non riesco a risolvere colloco in nota la traduzione della tabella:
[Per favore ci dica, per ciascuno di questi candidati, quanto sarebbe entusiastico il suo sostegno se la persona diventasse il nominato democratico: molto entusiastico, abbastanza entusiastico, sarei soltanto d’accordo con la nomina, oppure soltanto non sarei d’accordo?
Tra i probabili Molto o Semplicemente Molto Abbastanza Sarei Non sarei Incerto
partecipanti discretamente sarei/non sarei entusiasta entusiasta d’accordo d’accordo
alla nomina entusiasta d’accordo
Hillary Clinton 73 26 53 20 14 12 1
Bernie Sanders 69 30 49 20 22 8 2]
febbraio 3, 2016
Jan 26 2:02 pm
As I keep saying, the Republican and Democratic parties, as revealed by their primaries, are not at all symmetric.
On the Democratic side, the argument is about a theory of change: voters really do care about progressive priorities, and are torn between two candidates who broadly have similar ideologies but have different visions of the politically possible.
What we’re seeing on the Republican side, by contrast, is that almost nobody except a handful of pundits and think-tank hired guns cares at all about the official party ideology.
Remember when Bill Kristol predicted that Trump’s support would collapse because he declared that he would protect Social Security and Medicare? Surprise: there are virtually no sincere small-government types out there in the real world. Wealthy donors want tax cuts, and this may indirectly lead them to support cuts in social insurance programs to free up the funds. But people who actually care about the government spending too much in general (as opposed to spending too much on Those People)? No such constituency.
And what about moral values and personal responsibility? Today Jerry Falwell Jr. endorsed the multiply married, philandering, not visibly God-fearing Donald Trump. How is that possible? Greg Sargent says that evangelicals are driven by fear of the collapse of society as they know it. And that’s certainly consistent with what we’re seeing.
But I’d push it a bit further, and harsher. What’s really going on, I’d argue, is (justified) fear over the erosion of white patriarchy. (That’s what the attack on Planned Parenthood is really about too.) That is, it’s about authority, not virtue.
And so Trump’s lifestyle, his personal New York values, don’t matter, as long as he’s seen as someone who will keep Others in their place.
What used to happen was that the conservative movement could basically serve the plutocracy, while mobilizing voters with racial/gender anxiety, all the while maintaining a facade of serious-minded libertarian philosophy. But now it’s broken down, and the real motives are out in the open.
Ideologie Potemkin [1]
Come continuo a dire, i partiti repubblicano e democratico, per come vengono mostrati dalle loro primarie, non sono affatto simmetrici.
Nello schieramento democratico, l’argomento riguarda una teoria del cambiamento: gli elettori si preoccupano davvero delle priorità dei progressisti, e sono combattuti tra due candidature che in generale hanno ideologie simili, ma visioni diverse su ciò che è politicamente possibile.
Dal lato dei repubblicani, quello a cui stiamo assistendo, all’opposto, è che quasi nessuno, ad eccezione di una manciata di commentatori e di ricercatori assoldati, si preoccupa affatto della ideologia ufficiale del partito.
Vi ricordate quando Bill Kristol prevedeva che il sostegno a Trump sarebbe crollato perché egli aveva dichiarato che avrebbe protetto la Previdenza Sociale e Medicare? Sorpresa: nella realtà, non c’è in circolazione nessun soggetto che sinceramente sia a favore di un rimpicciolimento delle funzioni pubbliche. I ricchi contributori vogliono gli sgravi fiscali, e questo può portarli indirettamente a sostenere tagli nei programmi delle assicurazioni sociali per liberare i finanziamenti. Ma le persone che effettivamente si preoccupano in generale della eccessiva spesa pubblica (anziché delle eccessiva spesa pubblica per Quella Gente [2])? Non hanno particolare seguito.
E cosa dire dei valori morali e della responsabilità personale? Oggi Jerry Falwell Jr. [3] ha dato il suo appoggio al multi-maritato, libertineggiante, evidentemente non timoroso di Dio, Donald Trump. Come è possibile? Greg Sargent sostiene che gli evangelici sono mossi dalla paura di un crollo della società che conoscono. E quello è certamente coerente con quello a cui stiamo assistendo.
Ma mi spingerei un po’ oltre, e con maggiore asprezza. Quello che sta accadendo, direi, è la paura (giustificata) per l’erosione del patriarcato dei bianchi (l’attacco a Planned Parenthood [4] riguarda realmente quello). Vale a dire, riguarda l’autorità, non la virtù.
E dunque lo stile di vita di Trump, i suoi personali valori newyorkesi, non contano, sinché è visto come qualcuno che terrà gli Altri [5] al loro posto.
Di solito accadeva che il movimento conservatore poteva fondamentalmente essere utile alla plutocrazia, mobilitando elettori con forme di ansietà di razza o di genere, nel frattempo mantenendo una facciata di seriosa filosofia libertariana [6]. Ma adesso è andato tutto in pezzi, e le motivazioni reali sono uscite all’aperto.
[1] Non saprei dire se il termine “Potemkin” – che era il nome di una corazzata russa, ai tempi di Caterina II, simbolo di orgoglio militare russo, e che successivamente nel 1905 fu sede di una rivolta di marinai (poi immortalata nel film di Ėjzenštejn), poi tornò alla Russia, venne catturata dai tedeschi nel corso della Prima Guerra Mondiale, poi dagli inglesi che la danneggiarono notevolmente, e infine tornò, dopo un breve intermezzo nel quale fu conquistata dalle truppe dei Bianchi durante la guerra civile, ai bolscevichi, che decisero definitivamente di distruggerla – possa in questo contesto significare qualcosa di preciso. Probabilmente indica soltanto un simbolo di fierezza sciovinistica he oggi anima la destra americana.
[2] I più poveri, che hanno forme di assistenza e magari sono anche individui di colore.
[3] Un dirigente della Chiesa Evangelica, figlio di un personaggio forse più famoso, per il suo ruolo di ‘telepredicatore’.
[4] Associazione americana che opera per una “genitorialità consapevole”, presi di mira dai repubblicani per le sue posizioni in materia di aborto, anche con modalità che si sono rivelate truffaldine.
[5] Gli Altri sono gli stessi di Quella gente, ovvero la povera gente.
[6] Per il senso della filosofia libertariana, vedi le note della traduzione alla voce “Ayn Rand”.
febbraio 3, 2016
Jan 26 11:04 am
US growth seems to have slowed sharply. Fed Kremlinologists are already wondering how the FOMC will word its next statement, so as to acknowledge the reality without sounding too panicky. But panic may be warranted; given the combination of slowing growth and a big deterioration of financial conditions, there’s growing talk that the Fed made an error in hiking rates.
Oh, and market compensation for future inflation, which may not be a good indicator of expectations but surely contains some information, has plunged.
It might still turn out OK. But it might not, and surely everyone would be feeling more comfortable if the Fed had waited, and probably decided not to hike for a while.
Still, who could have seen this coming? Um, Larry Summers; me; Brad DeLong; basically everyone who thought about the asymmetry of risks. We didn’t know that the data would come in weaker than expected, but we knew that they might, and that it would be much harder to respond to a downside shock than positive news.
So why didn’t the Fed see it that way? I have never gotten a clear answer, and I do talk to Fed officials now and then. It really seems as if management somehow got set on the notion that it was time to raise rates — I think because, consciously or not, they wanted to throw Wall Street and the GOP a bone — and got into a loop of incestuous amplification in which the clear precautionary case against a hike got excluded from the room.
L’andare a tentoni della Fed
La crescita degli Stati Uniti sembra aver rallentato bruscamente. I “cremlinologi” stanno già chiedendosi in che modo la Commissione Federale a Mercato Aperto si esprimerà nel suo prossimo pronunciamento, in modo da riconoscere la realtà senza provocare troppo allarme. Ma il panico si può considerare garantito; data la combinazione tra un rallentamento della crescita ed un grande deterioramento delle condizioni finanziarie, c’è una discussione che monta sul fatto che la Fed abbia fatto un errore innalzando i tassi.
Inoltre, il dato relativo alla compensazione da parte del mercato alla inflazione futura, che può non essere un buon indicatore delle aspettative ma certamente contiene qualche informazione, è precipitato.
Potrebbe ancora andare a finire bene. Ma potrebbe anche non andare così, e certamente chiunque si sentirebbe più confortato se la Fed avesse atteso, e magari, per un po’, avesse deciso di non alzare i tassi.
Eppure, chi poteva prevederlo? Ehm, Larry Summers, il sottoscritto, Brad DeLong, fondamentalmente tutti coloro che riflettevano sulla asimmetria dei rischi. Non sapevamo che sarebbero arrivati dati più deboli di quello che ci si aspettava, ma sapevamo che era possibile, e che sarebbe stato molto più difficile rispondere a dei peggioramenti rispetto a notizie positive.
Perché, dunque, la Fed non ha ragionato in questo modo? Non ho mai ricevuto una risposta chiara, e in effetti ogni tanto parlo con i dirigenti della Fed. In realtà, sembra che in qualche modo fossero preparati all’idea che era tempo di alzare i tassi – io penso perché, coscientemente o no, volevano lanciare un osso a Wall Street e al Partito Repubblicano – e siano entrati in un circuito di ‘amplificazione incestuosa’ [1] nel quale al chiaro argomento precauzionale contro un rialzo non è rimasto alcuno spazio.
[1] Espressione strana, che sta a significare la tendenza ad adottare punti di vista e ad immaginare sviluppi o eventi che confortano il proprio ruolo. Pare che sia stata inventata in ambienti militari, a proposito delle tendenza a descrivere le situazioni sul campo con eccessivo ottimismo. L’aggettivo ‘incestuoso’ indica, in modo assai cervellotico e in realtà anche un po’ stupido, che la tendenza ad avere eccessivo ottimismo si esprime su terreni e interessi ‘propri’, familiari.
febbraio 3, 2016
Jan 25 10:11 am
Well, I guess if David Warsh writes a piece titled “Against Krugman” I have to respond.
David is defending his prediction some time back that Jeb Bush might well make it to the White House. Obviously that’s now a very long shot, which he attributes to “Bush-Clinton fatigue.”
But is that really the story? I would have said that Jeb’s amazing lack of success comes from a fatal lack of charisma that somehow wasn’t visible before. But look, polling averages show all of the mainstream Republican candidates combined with less than 25 percent support; this isn’t about dynastic disdain. Meanwhile, Hillary Clinton, while facing a much stiffer challenge than expected, still has the support of a majority of primary voters.
So the two parties are, as usual, not at all symmetric, much as some commentators would like them to be. And an establishment GOP candidate would have to do a lot more than consolidate the divided support for such candidates to win; he’d have to win over large numbers of voters currently supporting Trump or Cruz.
Beyond the politics, however, what about substance? David insists that there are real moderates on the Republican side. Since he’s calling for a Jeb/Kasich switch, I assume that he includes Jeb in that category. But as the chart above shows, Jeb is calling for bigger, more regressive tax cuts than anything his brother ever passed. He wants to privatize Medicare. He’s turning to the architects of the Iraq War (Paul Wolfowitz!) for foreign policy advice. This is moderation?
Maybe there is a route by which someone like Kasich could still become the GOP nominee. But it would require a near-miracle — and even then, you would get someone who only seems remotely moderate because you’ve defined moderation way, way down.
Illusioni di moderazione
Bene, suppongo che se David Warsh scrive un pezzo intitolato “Contro Krugman”, io debba rispondere.
David sta difendendo la sua posizione di un po’ di tempo fa secondo la quale Jeb Bush potrebbe ben fare la sua funzione alla Casa Bianca. Ovviamente, quella è adesso una cosa molto improbabile, la qualcosa lui la attribuisce allo “sfinimento di Bush e Clinton [1]”.
Ma è proprio quella la spiegazione? Io avrei detto che l’impressionante mancanza di successo da parte di Jeb provenga da una fatale mancanza di carisma che in qualche modo non era visibile in precedenza. Ma si veda, le medie dei sondaggi mostrano che tutti i candidati più convenzionali dei repubblicani hanno messo assieme meno del sostegno del 25 per cento; questo non riguarda il disprezzo per le dinastie. Nel contempo, Hillary Clinton, se affronta una sfida più agguerrita di quello che ci si aspettava, ha ancora il sostegno di una maggioranza degli elettori delle primarie.
Dunque, i due partiti non sono così simmetrici come piacerebbe a qualche commentatore. E un candidato del gruppo dirigente del Partito Repubblicano, per vincere, dovrebbe fare molto di più che accorpare le distinte adesioni a tali candidature [2]; egli dovrebbe averla vinta sull’ampio numero degli elettori che attualmente sostengono Trump o Cruz.
Aldilà della politica, tuttavia, qual è la sostanza? David insiste che nello schieramento repubblicano ci sono moderati veri. Dal momento che egli si pronuncia per uno scambio tra Jeb e Kasich [3], considero che egli includa Jeb in quella categoria. Ma come la tabella sopra mostra, Jeb è a favore di sgravi fiscali molto più ampi e molto più regressivi di quelli mai approvati da suo fratello [4]. Vuole privatizzare Medicare. Si rivolge agli architetti della guerra in Iraq (Paul Wolfowitz!) per la consulenza in politica estera. É questa la moderazione?
Forse c’è una strada per la quale qualcuno come Kasich potrebbe ancora diventare il nominato del Partito Repubblicano. Ma richiederebbe quasi un miracolo – ed anche in quel caso, si avrebbe qualcuno che sembra molto remotamente un moderato, giacché il concetto di moderazione è stato molto abbassato.
[1] Forse nel senso dello sfinimento per la presenza nella vita politica americana delle famiglie Bush e Clinton.
[2] Ovvero, mi pare alle candidature che, come Bush, sono di gradimento del gruppo dirigente repubblicano (come Rubio, ad esempio).
[3] Kasich è un altro candidato delle primarie; è stato membro del Congresso per molti anni e per due legislature Governatore dell’Ohio. In effetti pare caratterizzarsi per posizioni più moderate della generalità degli altri candidati; ad esempio ritiene che il cambiamento dei clima sia un problema reale, anche se vorrebbe che fosse affrontato dalle imprese e non dal Governo centrale.
[4] La tabella mostra quale sarebbe l’effetto del cambiamento del sistema fiscale sui redditi dopo la tassazione, comparando le posizioni di Jeb Bush (arancione) e di Trump (verde), ed i risultati del governo di suo fratello, George W. Bush (celeste). I dati si riferiscono ai cambiamenti (crescita in percentuale) nelle fasce medie, nell’1 per cento e nei ricchissimi dello 0,1 per cento.
febbraio 3, 2016
Jan 25 10:07 am
Greg Sargent notes that President Obama, in his interview with Glenn Thrush of Politico, essentially supports the Hillary Clinton theory of change over the Bernie Sanders theory:
I think that what Hillary presents is a recognition that translating values into governance and delivering the goods is ultimately the job of politics, making a real-life difference to people in their day-to-day lives. I don’t want to exaggerate those differences, though, because Hillary is really idealistic and progressive. You’d have to be to be in, you know, the position she’s in now, having fought all the battles she’s fought and, you know, taken so many, you know, slings and arrows from the other side.
He could be wrong, of course. But if you’re a progressive who not only supports Sanders but is furious with anyone skeptical about his insurgency, someone who considers Mike Konczal a minion and me a corrupt crook, you might want to ask why Barack Obama is saying essentially the same things as the progressive Bernie skeptics. And you might want to think hard about why you’re not just sure that you’re right, but sure that anyone who disagrees must be evil.
Bernie, Hillary, Barack e il cambiamento
Greg Sargent osserva che il Presidente Obama, nella sua intervista con Glenn Thrush di Politico, in sostanza sostiene la teoria del cambiamento di Hillary Clinton contro quella di Bernie Sanders:
“Io penso che quello che Hillary presenta è un riconoscimento che il tradurre i valori in governo e portare a termine le cose positive sia in ultima analisi il lavoro della politica, fare una differenza di vita reale per le persone nella loro esistenza quotidiana. Però io non voglio esagerare quelle differenze, perché Hillary è davvero ispirata a grandi ideali e progressista. Sai, ci si deve mettere nella posizione nella quale ella adesso si trova, dopo aver combattuto tutte le battaglie che ha combattuto e aver preso, come si sa, tante sassate e frecciate dall’altro schieramento”.
Ovviamente, potrebbe aver torto. Ma se sei un progressista che non solo sostiene Sanders ma sei furioso contro chiunque sia scettico sulla sua linea di rottura, che considera Mike Konczal un galoppino e il sottoscritto un truffatore corrotto, potresti volerti chiedere perché Barack Obama stia dicendo essenzialmente le stesse cose di coloro che sono scettici sul progressista Bernie. E potresti voler riflettere a fondo sulla ragione per la quale non sei proprio sicuro di aver ragione, ma sei sicuro che tutti coloro che non sono d’accordo con te siano il male.
gennaio 28, 2016
Jan 23 1:04 pm
I’ve been unhappily surprised by a lot of what has gone on within the economics profession since the 2008 crisis. But one of the most depressing things, in a way, has been the extent to which well-known economists seem confused about the difference between levels and rates of change. Unfortunately, you see this all the time — for example, in the constant assertions that because some country posted a year of pretty good growth after several years of austerity, this proves that austerity doesn’t actually depress the economy.
Now Lars Svensson points us to an evaluation of Swedish monetary policy by Marvin Goodfriend and Mervyn King (!) which argues that the Riksbank had some justification for raising rates in a still-depressed economy because GDP was growing moderately fast.
So, do we think the Fed should have been tightening policy in 1934? I mean, the economy was growing at a blistering pace:
But it was growing at that pace after a catastrophic slump, and unemployment was still immense.
I thought everyone understood this point, which is after all very easy. But nooooo …
I livelli, i tassi e la Svezia
Sono stato spiacevolmente sorpreso da una gran quantità delle cose che sono andate avanti nella disciplina economica a partire dalla crisi del 2008. Ma una delle cose più deprimenti è stata la misura nella quale economisti ben noto sono apparsi confusi a proposito della differenza tra livelli e tassi di cambiamento. Sfortunatamente, si tratta di qualcosa che si vede in continuazione – ad esempio, nei giudizi costanti secondo i quali poiché un qualche paese ha messo a segno un anno di crescita abbastanza buona dopo svariati anni di austerità, questo dimostra che effettivamente l’austerità non deprime l’economia.
Adesso Lars Svensson ci indirizza ad una valutazione sulla politica monetaria svedese a cura di Marvin Goodfriend e Mervyn King (!), secondo la quale la Riksbank ha avuto qualche giustificazione ad elevare i tassi in una economia ancora depressa, perché il PIL stava crescendo ad una velocità moderata.
Dunque, pensiamo che la Fed avrebbe dovuto restringere la sua politica nel 1934? Voglio dire, l’economia stava crescendo ad un ritmo molto rapido:
Ma stava crescendo a quel ritmo dopo un crollo catastrofico, e la disoccupazione era ancora enorme.
Pensavo che questo punto lo capissero tutti, dopo tutto è semplicissimo. Ma nooooooo ….
gennaio 28, 2016
Jan 23 1:03 pm
Step 1: Democrats nominate Bernie Sanders. I don’t think Sanders is unelectable, but when you look at polling, remember that Hillary Clinton’s numbers reflect her standing after more than two decades of constant character assassination, whereas Republicans haven’t even begun to go after him.
Step 2: Michael Bloomberg decides to save the country by entering the race as a supposed alternative to the two extremes (hey, centrist pundits have been urging him to do that forever, even when Barack Obama was in reality pursuing all the policies they wanted).
Step 3: Some Democrats defect to Bloomberg, because they actually listen to those centrist pundits. Hardly any Republicans do — remember, two-thirds of them currently support Trump, Cruz, or Carson, and anyway they’ve never heard of Bloomberg. Also, New York values.
Step 4: Trump wins a yuuuuge victory.
Come far diventare Donald Trump Presidente
Passo n. 1: i democratici nominano Bernie Sanders. Io non penso che Sanders non possa essere nominato, ma quando guardate i sondaggi, ricordatevi che i numeri di Hillary Clinton riflettono la sua reputazione dopo più di due decenni di costante tentativo di demolizione della sua figura, mentre i repubblicani non hanno neanche cominciato a scagliarsi contro Sanders.
Passo n. 2: Michael Bloomberg decide di salvare il paese entrando in competizione come presunta alternativa alle due estreme (ehi, i commentatori centristi stanno da sempre spingendo perché lo faccia, persino quando Barack Obama stava in sostanza perseguendo tutte le politiche volute da loro).
Passo n. 3: alcuni democratici defezionano a favore di Bloomberg, giacché essi sono effettivamente sensibili ai commentatori centristi. Difficilmente lo farà nessun repubblicano – si ricordi, due terzi di loro attualmente sostengono Trump, Cruz o Carson, e in ogni modo essi non hanno mai sentito parlare di Bloomberg. Inoltre, New York è importante.
Passo n. 4: Trump vince alla grande.
gennaio 28, 2016
Jan 23 9:01 am
One of the differences between right and left in America is that the progressive infrastructure includes a contingent of genuine wonks — commentators on policy who really do make models and crunch numbers, and sometimes come up with answers that aren’t fully predictable from their politics. The list includes Ezra Klein, Jonathan Cohn, Jonathan Chait, Mike Konczal, myself some of the time, and others. Right now the wonk brigade has been weighing in on Bernie Sanders, and is in general not too impressed on either financial reform or health care.
And the response of some — only some — Sanders supporters is disappointing, although I guess predictable given that somewhat similar things happened during the 2008 primary. There will, I guess, always be some people who, having made an emotional commitment to a candidate, can’t accept the proposition that someone might share their values but honestly disagree with the candidate’s approach.
Right now I’m getting the kind of correspondence I usually get from Rush Limbaugh listeners, although this time it’s from the left — I’m a crook, I’m a Hillary crony, etc., etc.. OK, been there before — back in 2008 I was even the subject of tales about my son working for the Clintons, which was surprising because I don’t have a son.
But I’m used to this stuff. It’s a bit more shocking to see Mike Konczal — one of our most powerful advocates of financial reform, heroic critic of austerity, and a huge resource for progressives — attacked as one of Hillary’s minions and an ally of the financial industry.
What’s really funny is that neither Mike nor I, nor, I think, any of the other wonks-turned-evil-minions have changed positions. Most of us argued long before there was a Sanders candidacy that the focus on Glass-Steagall and too-big-to-fail was misguided. In fact, I argued that position very early in the Obama years, at the same time I was arguing for temporary nationalization of a couple of big banks. I argued for an Obamacare-like strategy on health care, with perhaps a very gradual transition to single-payer via the public option, in my book The Conscience of a Liberal; and most of the progressive health care experts I can think of adopted pretty much the same position. So nobody should be surprised that a candidate who appears to be disregarding the analysis that led to these positions is coming in for some criticism.
Anyway, I’m not going to obsess over this — this too shall pass, just like the 2008 primary season when I was history’s greatest monster because I was skeptical about the Obama promise of transformation.
Gente che studia e galoppini
Una delle differenze tra destra e sinistra in America è che la compagine progressista include un certo numero di persone molto esperte – commentatori di politiche che sul serio usano modelli e masticano numeri, e talvolta se ne vengono fuori con risposte che non sono pienamente prevedibili a partire dalla loro tendenza politica. La lista comprende Ezra Klein, Jonathan Cohn, Jonathan Chait, Mike Konczal, talvolta me medesimo, ed altri. In questo momento la brigata delle persone che approfondiscono sta intervenendo su Bernie Sanders, e non è in generale particolarmente bene impressionata sia sul tema della riforma del sistema finanziario che su quello della assistenza sanitaria.
E la risposta di alcuni – solo alcuni – sostenitori di Sanders è deludente, sebbene io lo consideravo prevedibile, dato che qualcosa di simile era accaduto durante le primarie del 2008. Ci sarà sempre, suppongo, qualche persona che, essendosi emotivamente impegnata con un candidato, non può accettare l’idea che qualcuno possa condividere i loro valori ma onestamente possa non essere d’accordo con l’approccio del candidato.
In questo momento sto ricevendo il genere di corrispondenza che di solito ricevo dagli ascoltatori di Rush Limbaugh [1], sebbene in questo vaso provenga da sinistra – sono un furfante, sono un compare di Hillary etc. etc. Va bene, l’abbiamo già visto – nel passato 2008 fui persino fatto oggetto di racconti su mio figlio che lavorava per i Clinton, la qualcosa era sorprendente perché non ho un figlio.
Ma io sono abituato a cose del genere. É un po’ più sorprendente vedere Mike Konczal – uno dei più attrezzati sostenitori della riforma finanziaria, un critico imperterrito dell’austerità ed una grande risorsa per i progressisti – attaccato come un galoppino di Hillary e come alleato del settore finanziario.
Quello che è davvero divertente è che né Mike né io, né, penso, nessuno degli altri esperti-trasformati-in-leccapiedi-malefici, abbiamo cambiato le nostre posizioni. La maggioranza di noi sosteneva, molto prima che ci fosse una candidatura Sanders, che concentrarsi sulla legge Glass-Steagall e sulla tesi del ‘troppo-grande-per-fallire’, era fuorviante. Di fatto, io sostenni quella posizione proprio agli inizi degli anni di Obama, e nello stesso tempo mi pronunciai per la nazionalizzazione di un paio di grandi banche. Mi pronunciai a favore di una strategia simile a quella di Obama sulla assistenza sanitaria, eventualmente con una transizione molto graduale verso un sistema con un unico centro di pagamento tramite l’opzione pubblica [2], nel mio libro “Coscienza di un Liberal”: e gran parte degli esperti progressisti di assistenza sanitaria che mi vengono in mente, hanno adottato in pratica la stessa posizione. Dunque, nessuno dovrebbe essere sorpreso che un candidato che sembra non avere alcuna considerazione per l’analisi che ha portato a queste posizioni, sia fatto oggetto di qualche critica.
In ogni modo, non ho intenzione di farmi ossessionare da cose del genere – anche passeranno, proprio come la stagione delle primarie del 2008, quando fui il peggior mostro della storia per il mio scetticismo sulla promessa di trasformazione da parte di Obama.
[1] Ovvero, uno dei principali conduttori televisivi della destra.
[2] La ‘pubblic option’ sarebbe la possibilità di scegliere un sistema pubblico del tipo Medicare, anche per i cittadini sotto i 65 anni, in uno schema secondo il quale tale opzione resterebbe in competizione con le assicurazioni private. Il sistema con un unico centro di pagamento, sarebbe invece un sistema sostanzialmente pubblico, nel quale il ruolo delle assicurazioni private in pratica cesserebbe. Come si può intuire, il sistema della ‘opzione pubblica’ porrebbe un problema complesso di effettiva competizione tra pubblico e privato, competizione che sarebbe possibile alla condizione che la opzione pubblica non fosse troppo conveniente rispetto a quella privata.
In pratica Krugman ricorda che le sue prese di posizione all’epoca della approvazione della Obamacare non erano favorevoli alla centralizzazione del sistema sanitario, ma chiedevano almeno che si configurasse la possibilità di una opzione pubblica, che alla fine venne invece sacrificata, anche perché si stavano modificando i numeri che avevano consentito ai democratici di avere la maggioranza per un breve periodo nei due rami del Congresso. In realtà, Krugman finì con l’aderire alla soluzione finale con un certo sacrificio, considerando però realistico che il Congresso approvasse comunque una riforma che consentiva un cambiamento sostanziale.
Le considerazioni finali di Krugman si trovano nell’articolo che egli scrisse per il NYT del 21 gennaio 2010 (“Fate la cose giusta”), che è tradotto in questo blog nel file degli articoli dal 3 gennaio al 17 giugno 2010.
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