January 31, 2016 4:23 pm
I don’t know what will happen in the caucuses tomorrow. Actually, I know what will happen on the Republican side: someone horrifying will come in first, and someone horrifying will come in second. The names are less clear.
On the Democratic side, well, the last five polls all show Clinton in the lead, and FiveThirtyEight gives her an 80 percent chance of winning, but it’s not a sure thing.
While we wait, however, a few informal, not very analytical thoughts on the Democratic race. I’ve talked to a few friends who are Sanders supporters, some others who are Clinton supporters, and I have some impressions. This is not reporting; just a personal reaction.
The appeal of the Sanders campaign, at least to people I know, is that it brings a sense of possibility. For those who were joyful and uplifted on inauguration day 2009, the years that followed have been a vast letdown: American politics got even uglier, policy progress always fell short of dreams. Now comes Sanders — very different in personal style from Obama 2008, but again someone who seems different and offers the hope of transformation. And some people really want to hear that message, and don’t want to hear that they’re being unrealistic.
But there’s something else, which I keep encountering, and which I’m sure I’m not the only one to notice: even among progressives, the two-decade-plus smear campaign against the Clintons has had its effect. I keep being told about terrible things the Clintons did that never actually happened, but were carefully fomented right-wing legends — except I’m hearing them from people on the left. The sense that where there’s smoke there must be fire — when the reality was nothing but Richard Mellon Scaife with a smoke machine — is very much out there, still.
Unfortunately, that underlying Foxification of perceptions marries all too well with the tendency of some — only some — Sanders supporters to assume that any skepticism about their hero’s proposals or prospects must reflect personal corruption. Something like that was probably inevitable in a campaign whose premise is that everything is rigged by the oligarchy, but it interacts with the vague perception, the product of all those years of right-wing smearing, that there’s a lot of Clinton dirt.
Even among those who don’t believe in the phony scandals, there is, as there was in 2008, a desire for someone new, who they imagine won’t bring out all that ugliness. But of course they’re wrong: if Sanders is the nominee, it will take around 30 seconds before Fox News is nonstop coverage of the terrible things he supposedly did when younger. Don’t say there’s nothing there: a propaganda machine that could turn John Kerry into a coward can turn a nice guy from Brooklyn into a monstrously flawed specimen of humanity in no time at all.
On the other hand, that history is, I think, one factor behind a phenomenon we saw in 2008 and will see again this year: there’s a lot more passionate support for Clinton than either Sanders supporters or the news media imagine. There are a lot of Democrats who see her as someone who has been subjected to character assassination, to vicious attacks, on a scale few women and no men in politics have ever encountered — yet she’s still standing, still capable of remarkable grace under fire. If you didn’t see something heroic about her performance in the Benghazi hearing, you’re missing something essential.
And Clinton’s dogged realism, while it doesn’t inspire the same kind of uplift as Sanders’s promise of change, can be inspiring in its own way.
The truth is that both Democrats have a lot of genuine, solid support. Both had 80 percent approval among Democrats in the DMR poll released yesterday. One item from that poll that seems to have surprised reporters:
There’s no enthusiasm gap — it’s just different forms of enthusiasm.
So here we go. May the best person win.
Note prima dell’Iowa
Non so cosa accadrà nei caucus di domani. Per la verità, io so quello che accadrà dal lato dei repubblicani: qualcuno terrificante arriverà primo e qualcuno terrificante arriverà secondo. I nomi sono meno chiari.
Dal lato dei democratici, ebbene, tutti gli ultimi cinque sondaggi mostrano la Clinton in testa, e FiveThirtyEight le dà un 80 per cento di possibilità di vittoria, ma non è una cosa sicura.
Mentre aspettiamo, tuttavia, alcuni pensieri informali, non molto analitici, sulla competizione tra i democratici. Ho parlato con alcuni amici che sono sostenitori di Sanders e con alcuni altri che sono sostenitori della Clinton, e ne ho avuto alcune impressioni. Questo non è un resoconto; solo una reazione personale.
Ciò che piace nella campagna elettorale di Sanders, almeno alle persone che conosco, è che essa porta una sensazione di cose possibili. Per coloro che gioirono e furono sollevati dal giorno dell’inaugurazione del 2009, gli anni che sono seguiti sono stati un grande disappunto: la politica americana è diventata persino più sgradevole, i progressi nella pratica sono stati sempre deludenti rispetto ai sogni. Ora arriva Sanders – molto differente nello stile personale dall’Obama del 2008, ma ancora una volta qualcuno che sembra diverso ed offre la speranza della trasformazione. E alcuni persone vogliono davvero sentire un messaggio del genere, e non vogliono sentirsi dire che non sono realisti.
Ma c’è qualcos’altro in cui continuo ad imbattermi e che sono sicuro di non esser il solo a notare: anche tra i progressisti, i due decenni di campagne calunniose contro i Clinton hanno prodotto i loro effetti. Continuo a sentir raccontare di cose terribili fatte dai Clinton che non sono mai accadute, ma sono state fomentate con scrupolo dalle leggende della destra – con la differenza che le sento dire da persone di sinistra. La sensazione che dove c’è del fumo ci deve essere anche dell’arrosto – quando la realtà non è stata altro che Richard Mellon Scaife con una macchina del fango [1] – è ancora molto diffusa.
Sfortunatamente, quella implicita foxizzazione si sposa anche troppo bene con le tendenze di alcuni – solo alcuni – sostenitori di Sanders a considerare che ogni scetticismo sulle proposte o sulle prospettive del loro campione debba indicare una personale disonestà. Qualcosa del genere è probabilmente inevitabile in una campagna elettorale la cui premessa è che tutto è manipolato dall’oligarchia, ma essa interagisce con la vaga percezione, conseguenza di questi anni di calunnie da parte della destra, secondo la quale c’è molto di sporco nei Clinton.
Anche tra coloro che non credono negli scandali fasulli, c’è, come c’era nel 2008, un desiderio di qualcosa di nuovo, che si immaginano ci porterebbe fuori da quelle sgradevolezze. Ma ovviamente si sbagliano: se il nominato sarà Sanders, ci vorranno una trentina di secondi prima che Fox News avvii una campagna non-stop sulle cose terribili che si suppone egli abbia fatto quando era più giovane. Non si dica che in ciò non c’è niente: una macchina propagandistica che ha potuto trasformare John Kerry in un codardo, può trasformare un simpatico individuo di Brooklyn in un esemplare di umanità pieno di difetti in men che non si dica.
D’altra parte, quello storia, secondo me, è uno dei fattori che sta dietro quello che abbiamo visto nel 2008 e vedremo ancora quest’anno: c’è un sostegno molto più appassionato per la Clinton di quanto si immaginano sia i sostenitori di Sanders che gli organi di informazione. Ci sono molti democratici che la considerano come una persona che ha subito diffamazioni, attacchi feroci, in una dimensione nella quale poche donne e nessun uomo sono mai state sottoposti – tuttavia è ancora in piedi, è capace di mantenere una considerevole grazia sotto tale virulenza. Se non avete visto qualcosa di eroico nella sua condotta durante l’audizione su Bengasi, vi state perdendo qualcosa di essenziale.
E il realismo ostinato della Clinton, se non ispira lo stesso genere di sollievo delle promesse di cambiamento di Sanders, a modo suo può essere un fattore di ispirazione.
La verità è che entrambi i candidati democratici hanno un sostegno vasto, genuino e solido. Entrambi hanno una approvazione all’80 per cento nei sondaggi DMR resi noti ieri. Un sondaggio dal quale sembra che un tema abbia sorpreso i giornalisti:
Non c’è alcuna differenza di entusiasmo – soltanto forme diverse di entusiasmo.
Dunque, partiamo. Possa vincere la persona migliore.
[1] Richard Mellon Scaife è un miliardario americano e grande contribuente dei conservatori. Con i suoi giornali si impegnò molto a sostenere che Bill Clinton e consorte erano responsabili della morte di un consulente della Casa Bianca, che risultò ad una indagine specifica essersi suicidato.
[2] Per ragioni di grafica che non riesco a risolvere colloco in nota la traduzione della tabella:
[Per favore ci dica, per ciascuno di questi candidati, quanto sarebbe entusiastico il suo sostegno se la persona diventasse il nominato democratico: molto entusiastico, abbastanza entusiastico, sarei soltanto d’accordo con la nomina, oppure soltanto non sarei d’accordo?
Tra i probabili Molto o Semplicemente Molto Abbastanza Sarei Non sarei Incerto
partecipanti discretamente sarei/non sarei entusiasta entusiasta d’accordo d’accordo
alla nomina entusiasta d’accordo
Hillary Clinton 73 26 53 20 14 12 1
Bernie Sanders 69 30 49 20 22 8 2]
febbraio 3, 2016
Jan 26 2:02 pm
As I keep saying, the Republican and Democratic parties, as revealed by their primaries, are not at all symmetric.
On the Democratic side, the argument is about a theory of change: voters really do care about progressive priorities, and are torn between two candidates who broadly have similar ideologies but have different visions of the politically possible.
What we’re seeing on the Republican side, by contrast, is that almost nobody except a handful of pundits and think-tank hired guns cares at all about the official party ideology.
Remember when Bill Kristol predicted that Trump’s support would collapse because he declared that he would protect Social Security and Medicare? Surprise: there are virtually no sincere small-government types out there in the real world. Wealthy donors want tax cuts, and this may indirectly lead them to support cuts in social insurance programs to free up the funds. But people who actually care about the government spending too much in general (as opposed to spending too much on Those People)? No such constituency.
And what about moral values and personal responsibility? Today Jerry Falwell Jr. endorsed the multiply married, philandering, not visibly God-fearing Donald Trump. How is that possible? Greg Sargent says that evangelicals are driven by fear of the collapse of society as they know it. And that’s certainly consistent with what we’re seeing.
But I’d push it a bit further, and harsher. What’s really going on, I’d argue, is (justified) fear over the erosion of white patriarchy. (That’s what the attack on Planned Parenthood is really about too.) That is, it’s about authority, not virtue.
And so Trump’s lifestyle, his personal New York values, don’t matter, as long as he’s seen as someone who will keep Others in their place.
What used to happen was that the conservative movement could basically serve the plutocracy, while mobilizing voters with racial/gender anxiety, all the while maintaining a facade of serious-minded libertarian philosophy. But now it’s broken down, and the real motives are out in the open.
Ideologie Potemkin [1]
Come continuo a dire, i partiti repubblicano e democratico, per come vengono mostrati dalle loro primarie, non sono affatto simmetrici.
Nello schieramento democratico, l’argomento riguarda una teoria del cambiamento: gli elettori si preoccupano davvero delle priorità dei progressisti, e sono combattuti tra due candidature che in generale hanno ideologie simili, ma visioni diverse su ciò che è politicamente possibile.
Dal lato dei repubblicani, quello a cui stiamo assistendo, all’opposto, è che quasi nessuno, ad eccezione di una manciata di commentatori e di ricercatori assoldati, si preoccupa affatto della ideologia ufficiale del partito.
Vi ricordate quando Bill Kristol prevedeva che il sostegno a Trump sarebbe crollato perché egli aveva dichiarato che avrebbe protetto la Previdenza Sociale e Medicare? Sorpresa: nella realtà, non c’è in circolazione nessun soggetto che sinceramente sia a favore di un rimpicciolimento delle funzioni pubbliche. I ricchi contributori vogliono gli sgravi fiscali, e questo può portarli indirettamente a sostenere tagli nei programmi delle assicurazioni sociali per liberare i finanziamenti. Ma le persone che effettivamente si preoccupano in generale della eccessiva spesa pubblica (anziché delle eccessiva spesa pubblica per Quella Gente [2])? Non hanno particolare seguito.
E cosa dire dei valori morali e della responsabilità personale? Oggi Jerry Falwell Jr. [3] ha dato il suo appoggio al multi-maritato, libertineggiante, evidentemente non timoroso di Dio, Donald Trump. Come è possibile? Greg Sargent sostiene che gli evangelici sono mossi dalla paura di un crollo della società che conoscono. E quello è certamente coerente con quello a cui stiamo assistendo.
Ma mi spingerei un po’ oltre, e con maggiore asprezza. Quello che sta accadendo, direi, è la paura (giustificata) per l’erosione del patriarcato dei bianchi (l’attacco a Planned Parenthood [4] riguarda realmente quello). Vale a dire, riguarda l’autorità, non la virtù.
E dunque lo stile di vita di Trump, i suoi personali valori newyorkesi, non contano, sinché è visto come qualcuno che terrà gli Altri [5] al loro posto.
Di solito accadeva che il movimento conservatore poteva fondamentalmente essere utile alla plutocrazia, mobilitando elettori con forme di ansietà di razza o di genere, nel frattempo mantenendo una facciata di seriosa filosofia libertariana [6]. Ma adesso è andato tutto in pezzi, e le motivazioni reali sono uscite all’aperto.
[1] Non saprei dire se il termine “Potemkin” – che era il nome di una corazzata russa, ai tempi di Caterina II, simbolo di orgoglio militare russo, e che successivamente nel 1905 fu sede di una rivolta di marinai (poi immortalata nel film di Ėjzenštejn), poi tornò alla Russia, venne catturata dai tedeschi nel corso della Prima Guerra Mondiale, poi dagli inglesi che la danneggiarono notevolmente, e infine tornò, dopo un breve intermezzo nel quale fu conquistata dalle truppe dei Bianchi durante la guerra civile, ai bolscevichi, che decisero definitivamente di distruggerla – possa in questo contesto significare qualcosa di preciso. Probabilmente indica soltanto un simbolo di fierezza sciovinistica he oggi anima la destra americana.
[2] I più poveri, che hanno forme di assistenza e magari sono anche individui di colore.
[3] Un dirigente della Chiesa Evangelica, figlio di un personaggio forse più famoso, per il suo ruolo di ‘telepredicatore’.
[4] Associazione americana che opera per una “genitorialità consapevole”, presi di mira dai repubblicani per le sue posizioni in materia di aborto, anche con modalità che si sono rivelate truffaldine.
[5] Gli Altri sono gli stessi di Quella gente, ovvero la povera gente.
[6] Per il senso della filosofia libertariana, vedi le note della traduzione alla voce “Ayn Rand”.
febbraio 3, 2016
Jan 26 11:04 am
US growth seems to have slowed sharply. Fed Kremlinologists are already wondering how the FOMC will word its next statement, so as to acknowledge the reality without sounding too panicky. But panic may be warranted; given the combination of slowing growth and a big deterioration of financial conditions, there’s growing talk that the Fed made an error in hiking rates.
Oh, and market compensation for future inflation, which may not be a good indicator of expectations but surely contains some information, has plunged.
It might still turn out OK. But it might not, and surely everyone would be feeling more comfortable if the Fed had waited, and probably decided not to hike for a while.
Still, who could have seen this coming? Um, Larry Summers; me; Brad DeLong; basically everyone who thought about the asymmetry of risks. We didn’t know that the data would come in weaker than expected, but we knew that they might, and that it would be much harder to respond to a downside shock than positive news.
So why didn’t the Fed see it that way? I have never gotten a clear answer, and I do talk to Fed officials now and then. It really seems as if management somehow got set on the notion that it was time to raise rates — I think because, consciously or not, they wanted to throw Wall Street and the GOP a bone — and got into a loop of incestuous amplification in which the clear precautionary case against a hike got excluded from the room.
L’andare a tentoni della Fed
La crescita degli Stati Uniti sembra aver rallentato bruscamente. I “cremlinologi” stanno già chiedendosi in che modo la Commissione Federale a Mercato Aperto si esprimerà nel suo prossimo pronunciamento, in modo da riconoscere la realtà senza provocare troppo allarme. Ma il panico si può considerare garantito; data la combinazione tra un rallentamento della crescita ed un grande deterioramento delle condizioni finanziarie, c’è una discussione che monta sul fatto che la Fed abbia fatto un errore innalzando i tassi.
Inoltre, il dato relativo alla compensazione da parte del mercato alla inflazione futura, che può non essere un buon indicatore delle aspettative ma certamente contiene qualche informazione, è precipitato.
Potrebbe ancora andare a finire bene. Ma potrebbe anche non andare così, e certamente chiunque si sentirebbe più confortato se la Fed avesse atteso, e magari, per un po’, avesse deciso di non alzare i tassi.
Eppure, chi poteva prevederlo? Ehm, Larry Summers, il sottoscritto, Brad DeLong, fondamentalmente tutti coloro che riflettevano sulla asimmetria dei rischi. Non sapevamo che sarebbero arrivati dati più deboli di quello che ci si aspettava, ma sapevamo che era possibile, e che sarebbe stato molto più difficile rispondere a dei peggioramenti rispetto a notizie positive.
Perché, dunque, la Fed non ha ragionato in questo modo? Non ho mai ricevuto una risposta chiara, e in effetti ogni tanto parlo con i dirigenti della Fed. In realtà, sembra che in qualche modo fossero preparati all’idea che era tempo di alzare i tassi – io penso perché, coscientemente o no, volevano lanciare un osso a Wall Street e al Partito Repubblicano – e siano entrati in un circuito di ‘amplificazione incestuosa’ [1] nel quale al chiaro argomento precauzionale contro un rialzo non è rimasto alcuno spazio.
[1] Espressione strana, che sta a significare la tendenza ad adottare punti di vista e ad immaginare sviluppi o eventi che confortano il proprio ruolo. Pare che sia stata inventata in ambienti militari, a proposito delle tendenza a descrivere le situazioni sul campo con eccessivo ottimismo. L’aggettivo ‘incestuoso’ indica, in modo assai cervellotico e in realtà anche un po’ stupido, che la tendenza ad avere eccessivo ottimismo si esprime su terreni e interessi ‘propri’, familiari.
febbraio 3, 2016
Jan 25 10:11 am
Well, I guess if David Warsh writes a piece titled “Against Krugman” I have to respond.
David is defending his prediction some time back that Jeb Bush might well make it to the White House. Obviously that’s now a very long shot, which he attributes to “Bush-Clinton fatigue.”
But is that really the story? I would have said that Jeb’s amazing lack of success comes from a fatal lack of charisma that somehow wasn’t visible before. But look, polling averages show all of the mainstream Republican candidates combined with less than 25 percent support; this isn’t about dynastic disdain. Meanwhile, Hillary Clinton, while facing a much stiffer challenge than expected, still has the support of a majority of primary voters.
So the two parties are, as usual, not at all symmetric, much as some commentators would like them to be. And an establishment GOP candidate would have to do a lot more than consolidate the divided support for such candidates to win; he’d have to win over large numbers of voters currently supporting Trump or Cruz.
Beyond the politics, however, what about substance? David insists that there are real moderates on the Republican side. Since he’s calling for a Jeb/Kasich switch, I assume that he includes Jeb in that category. But as the chart above shows, Jeb is calling for bigger, more regressive tax cuts than anything his brother ever passed. He wants to privatize Medicare. He’s turning to the architects of the Iraq War (Paul Wolfowitz!) for foreign policy advice. This is moderation?
Maybe there is a route by which someone like Kasich could still become the GOP nominee. But it would require a near-miracle — and even then, you would get someone who only seems remotely moderate because you’ve defined moderation way, way down.
Illusioni di moderazione
Bene, suppongo che se David Warsh scrive un pezzo intitolato “Contro Krugman”, io debba rispondere.
David sta difendendo la sua posizione di un po’ di tempo fa secondo la quale Jeb Bush potrebbe ben fare la sua funzione alla Casa Bianca. Ovviamente, quella è adesso una cosa molto improbabile, la qualcosa lui la attribuisce allo “sfinimento di Bush e Clinton [1]”.
Ma è proprio quella la spiegazione? Io avrei detto che l’impressionante mancanza di successo da parte di Jeb provenga da una fatale mancanza di carisma che in qualche modo non era visibile in precedenza. Ma si veda, le medie dei sondaggi mostrano che tutti i candidati più convenzionali dei repubblicani hanno messo assieme meno del sostegno del 25 per cento; questo non riguarda il disprezzo per le dinastie. Nel contempo, Hillary Clinton, se affronta una sfida più agguerrita di quello che ci si aspettava, ha ancora il sostegno di una maggioranza degli elettori delle primarie.
Dunque, i due partiti non sono così simmetrici come piacerebbe a qualche commentatore. E un candidato del gruppo dirigente del Partito Repubblicano, per vincere, dovrebbe fare molto di più che accorpare le distinte adesioni a tali candidature [2]; egli dovrebbe averla vinta sull’ampio numero degli elettori che attualmente sostengono Trump o Cruz.
Aldilà della politica, tuttavia, qual è la sostanza? David insiste che nello schieramento repubblicano ci sono moderati veri. Dal momento che egli si pronuncia per uno scambio tra Jeb e Kasich [3], considero che egli includa Jeb in quella categoria. Ma come la tabella sopra mostra, Jeb è a favore di sgravi fiscali molto più ampi e molto più regressivi di quelli mai approvati da suo fratello [4]. Vuole privatizzare Medicare. Si rivolge agli architetti della guerra in Iraq (Paul Wolfowitz!) per la consulenza in politica estera. É questa la moderazione?
Forse c’è una strada per la quale qualcuno come Kasich potrebbe ancora diventare il nominato del Partito Repubblicano. Ma richiederebbe quasi un miracolo – ed anche in quel caso, si avrebbe qualcuno che sembra molto remotamente un moderato, giacché il concetto di moderazione è stato molto abbassato.
[1] Forse nel senso dello sfinimento per la presenza nella vita politica americana delle famiglie Bush e Clinton.
[2] Ovvero, mi pare alle candidature che, come Bush, sono di gradimento del gruppo dirigente repubblicano (come Rubio, ad esempio).
[3] Kasich è un altro candidato delle primarie; è stato membro del Congresso per molti anni e per due legislature Governatore dell’Ohio. In effetti pare caratterizzarsi per posizioni più moderate della generalità degli altri candidati; ad esempio ritiene che il cambiamento dei clima sia un problema reale, anche se vorrebbe che fosse affrontato dalle imprese e non dal Governo centrale.
[4] La tabella mostra quale sarebbe l’effetto del cambiamento del sistema fiscale sui redditi dopo la tassazione, comparando le posizioni di Jeb Bush (arancione) e di Trump (verde), ed i risultati del governo di suo fratello, George W. Bush (celeste). I dati si riferiscono ai cambiamenti (crescita in percentuale) nelle fasce medie, nell’1 per cento e nei ricchissimi dello 0,1 per cento.
febbraio 3, 2016
Jan 25 10:07 am
Greg Sargent notes that President Obama, in his interview with Glenn Thrush of Politico, essentially supports the Hillary Clinton theory of change over the Bernie Sanders theory:
I think that what Hillary presents is a recognition that translating values into governance and delivering the goods is ultimately the job of politics, making a real-life difference to people in their day-to-day lives. I don’t want to exaggerate those differences, though, because Hillary is really idealistic and progressive. You’d have to be to be in, you know, the position she’s in now, having fought all the battles she’s fought and, you know, taken so many, you know, slings and arrows from the other side.
He could be wrong, of course. But if you’re a progressive who not only supports Sanders but is furious with anyone skeptical about his insurgency, someone who considers Mike Konczal a minion and me a corrupt crook, you might want to ask why Barack Obama is saying essentially the same things as the progressive Bernie skeptics. And you might want to think hard about why you’re not just sure that you’re right, but sure that anyone who disagrees must be evil.
Bernie, Hillary, Barack e il cambiamento
Greg Sargent osserva che il Presidente Obama, nella sua intervista con Glenn Thrush di Politico, in sostanza sostiene la teoria del cambiamento di Hillary Clinton contro quella di Bernie Sanders:
“Io penso che quello che Hillary presenta è un riconoscimento che il tradurre i valori in governo e portare a termine le cose positive sia in ultima analisi il lavoro della politica, fare una differenza di vita reale per le persone nella loro esistenza quotidiana. Però io non voglio esagerare quelle differenze, perché Hillary è davvero ispirata a grandi ideali e progressista. Sai, ci si deve mettere nella posizione nella quale ella adesso si trova, dopo aver combattuto tutte le battaglie che ha combattuto e aver preso, come si sa, tante sassate e frecciate dall’altro schieramento”.
Ovviamente, potrebbe aver torto. Ma se sei un progressista che non solo sostiene Sanders ma sei furioso contro chiunque sia scettico sulla sua linea di rottura, che considera Mike Konczal un galoppino e il sottoscritto un truffatore corrotto, potresti volerti chiedere perché Barack Obama stia dicendo essenzialmente le stesse cose di coloro che sono scettici sul progressista Bernie. E potresti voler riflettere a fondo sulla ragione per la quale non sei proprio sicuro di aver ragione, ma sei sicuro che tutti coloro che non sono d’accordo con te siano il male.
gennaio 28, 2016
Jan 23 1:04 pm
I’ve been unhappily surprised by a lot of what has gone on within the economics profession since the 2008 crisis. But one of the most depressing things, in a way, has been the extent to which well-known economists seem confused about the difference between levels and rates of change. Unfortunately, you see this all the time — for example, in the constant assertions that because some country posted a year of pretty good growth after several years of austerity, this proves that austerity doesn’t actually depress the economy.
Now Lars Svensson points us to an evaluation of Swedish monetary policy by Marvin Goodfriend and Mervyn King (!) which argues that the Riksbank had some justification for raising rates in a still-depressed economy because GDP was growing moderately fast.
So, do we think the Fed should have been tightening policy in 1934? I mean, the economy was growing at a blistering pace:
But it was growing at that pace after a catastrophic slump, and unemployment was still immense.
I thought everyone understood this point, which is after all very easy. But nooooo …
I livelli, i tassi e la Svezia
Sono stato spiacevolmente sorpreso da una gran quantità delle cose che sono andate avanti nella disciplina economica a partire dalla crisi del 2008. Ma una delle cose più deprimenti è stata la misura nella quale economisti ben noto sono apparsi confusi a proposito della differenza tra livelli e tassi di cambiamento. Sfortunatamente, si tratta di qualcosa che si vede in continuazione – ad esempio, nei giudizi costanti secondo i quali poiché un qualche paese ha messo a segno un anno di crescita abbastanza buona dopo svariati anni di austerità, questo dimostra che effettivamente l’austerità non deprime l’economia.
Adesso Lars Svensson ci indirizza ad una valutazione sulla politica monetaria svedese a cura di Marvin Goodfriend e Mervyn King (!), secondo la quale la Riksbank ha avuto qualche giustificazione ad elevare i tassi in una economia ancora depressa, perché il PIL stava crescendo ad una velocità moderata.
Dunque, pensiamo che la Fed avrebbe dovuto restringere la sua politica nel 1934? Voglio dire, l’economia stava crescendo ad un ritmo molto rapido:
Ma stava crescendo a quel ritmo dopo un crollo catastrofico, e la disoccupazione era ancora enorme.
Pensavo che questo punto lo capissero tutti, dopo tutto è semplicissimo. Ma nooooooo ….
gennaio 28, 2016
Jan 23 1:03 pm
Step 1: Democrats nominate Bernie Sanders. I don’t think Sanders is unelectable, but when you look at polling, remember that Hillary Clinton’s numbers reflect her standing after more than two decades of constant character assassination, whereas Republicans haven’t even begun to go after him.
Step 2: Michael Bloomberg decides to save the country by entering the race as a supposed alternative to the two extremes (hey, centrist pundits have been urging him to do that forever, even when Barack Obama was in reality pursuing all the policies they wanted).
Step 3: Some Democrats defect to Bloomberg, because they actually listen to those centrist pundits. Hardly any Republicans do — remember, two-thirds of them currently support Trump, Cruz, or Carson, and anyway they’ve never heard of Bloomberg. Also, New York values.
Step 4: Trump wins a yuuuuge victory.
Come far diventare Donald Trump Presidente
Passo n. 1: i democratici nominano Bernie Sanders. Io non penso che Sanders non possa essere nominato, ma quando guardate i sondaggi, ricordatevi che i numeri di Hillary Clinton riflettono la sua reputazione dopo più di due decenni di costante tentativo di demolizione della sua figura, mentre i repubblicani non hanno neanche cominciato a scagliarsi contro Sanders.
Passo n. 2: Michael Bloomberg decide di salvare il paese entrando in competizione come presunta alternativa alle due estreme (ehi, i commentatori centristi stanno da sempre spingendo perché lo faccia, persino quando Barack Obama stava in sostanza perseguendo tutte le politiche volute da loro).
Passo n. 3: alcuni democratici defezionano a favore di Bloomberg, giacché essi sono effettivamente sensibili ai commentatori centristi. Difficilmente lo farà nessun repubblicano – si ricordi, due terzi di loro attualmente sostengono Trump, Cruz o Carson, e in ogni modo essi non hanno mai sentito parlare di Bloomberg. Inoltre, New York è importante.
Passo n. 4: Trump vince alla grande.
gennaio 28, 2016
Jan 23 9:01 am
One of the differences between right and left in America is that the progressive infrastructure includes a contingent of genuine wonks — commentators on policy who really do make models and crunch numbers, and sometimes come up with answers that aren’t fully predictable from their politics. The list includes Ezra Klein, Jonathan Cohn, Jonathan Chait, Mike Konczal, myself some of the time, and others. Right now the wonk brigade has been weighing in on Bernie Sanders, and is in general not too impressed on either financial reform or health care.
And the response of some — only some — Sanders supporters is disappointing, although I guess predictable given that somewhat similar things happened during the 2008 primary. There will, I guess, always be some people who, having made an emotional commitment to a candidate, can’t accept the proposition that someone might share their values but honestly disagree with the candidate’s approach.
Right now I’m getting the kind of correspondence I usually get from Rush Limbaugh listeners, although this time it’s from the left — I’m a crook, I’m a Hillary crony, etc., etc.. OK, been there before — back in 2008 I was even the subject of tales about my son working for the Clintons, which was surprising because I don’t have a son.
But I’m used to this stuff. It’s a bit more shocking to see Mike Konczal — one of our most powerful advocates of financial reform, heroic critic of austerity, and a huge resource for progressives — attacked as one of Hillary’s minions and an ally of the financial industry.
What’s really funny is that neither Mike nor I, nor, I think, any of the other wonks-turned-evil-minions have changed positions. Most of us argued long before there was a Sanders candidacy that the focus on Glass-Steagall and too-big-to-fail was misguided. In fact, I argued that position very early in the Obama years, at the same time I was arguing for temporary nationalization of a couple of big banks. I argued for an Obamacare-like strategy on health care, with perhaps a very gradual transition to single-payer via the public option, in my book The Conscience of a Liberal; and most of the progressive health care experts I can think of adopted pretty much the same position. So nobody should be surprised that a candidate who appears to be disregarding the analysis that led to these positions is coming in for some criticism.
Anyway, I’m not going to obsess over this — this too shall pass, just like the 2008 primary season when I was history’s greatest monster because I was skeptical about the Obama promise of transformation.
Gente che studia e galoppini
Una delle differenze tra destra e sinistra in America è che la compagine progressista include un certo numero di persone molto esperte – commentatori di politiche che sul serio usano modelli e masticano numeri, e talvolta se ne vengono fuori con risposte che non sono pienamente prevedibili a partire dalla loro tendenza politica. La lista comprende Ezra Klein, Jonathan Cohn, Jonathan Chait, Mike Konczal, talvolta me medesimo, ed altri. In questo momento la brigata delle persone che approfondiscono sta intervenendo su Bernie Sanders, e non è in generale particolarmente bene impressionata sia sul tema della riforma del sistema finanziario che su quello della assistenza sanitaria.
E la risposta di alcuni – solo alcuni – sostenitori di Sanders è deludente, sebbene io lo consideravo prevedibile, dato che qualcosa di simile era accaduto durante le primarie del 2008. Ci sarà sempre, suppongo, qualche persona che, essendosi emotivamente impegnata con un candidato, non può accettare l’idea che qualcuno possa condividere i loro valori ma onestamente possa non essere d’accordo con l’approccio del candidato.
In questo momento sto ricevendo il genere di corrispondenza che di solito ricevo dagli ascoltatori di Rush Limbaugh [1], sebbene in questo vaso provenga da sinistra – sono un furfante, sono un compare di Hillary etc. etc. Va bene, l’abbiamo già visto – nel passato 2008 fui persino fatto oggetto di racconti su mio figlio che lavorava per i Clinton, la qualcosa era sorprendente perché non ho un figlio.
Ma io sono abituato a cose del genere. É un po’ più sorprendente vedere Mike Konczal – uno dei più attrezzati sostenitori della riforma finanziaria, un critico imperterrito dell’austerità ed una grande risorsa per i progressisti – attaccato come un galoppino di Hillary e come alleato del settore finanziario.
Quello che è davvero divertente è che né Mike né io, né, penso, nessuno degli altri esperti-trasformati-in-leccapiedi-malefici, abbiamo cambiato le nostre posizioni. La maggioranza di noi sosteneva, molto prima che ci fosse una candidatura Sanders, che concentrarsi sulla legge Glass-Steagall e sulla tesi del ‘troppo-grande-per-fallire’, era fuorviante. Di fatto, io sostenni quella posizione proprio agli inizi degli anni di Obama, e nello stesso tempo mi pronunciai per la nazionalizzazione di un paio di grandi banche. Mi pronunciai a favore di una strategia simile a quella di Obama sulla assistenza sanitaria, eventualmente con una transizione molto graduale verso un sistema con un unico centro di pagamento tramite l’opzione pubblica [2], nel mio libro “Coscienza di un Liberal”: e gran parte degli esperti progressisti di assistenza sanitaria che mi vengono in mente, hanno adottato in pratica la stessa posizione. Dunque, nessuno dovrebbe essere sorpreso che un candidato che sembra non avere alcuna considerazione per l’analisi che ha portato a queste posizioni, sia fatto oggetto di qualche critica.
In ogni modo, non ho intenzione di farmi ossessionare da cose del genere – anche passeranno, proprio come la stagione delle primarie del 2008, quando fui il peggior mostro della storia per il mio scetticismo sulla promessa di trasformazione da parte di Obama.
[1] Ovvero, uno dei principali conduttori televisivi della destra.
[2] La ‘pubblic option’ sarebbe la possibilità di scegliere un sistema pubblico del tipo Medicare, anche per i cittadini sotto i 65 anni, in uno schema secondo il quale tale opzione resterebbe in competizione con le assicurazioni private. Il sistema con un unico centro di pagamento, sarebbe invece un sistema sostanzialmente pubblico, nel quale il ruolo delle assicurazioni private in pratica cesserebbe. Come si può intuire, il sistema della ‘opzione pubblica’ porrebbe un problema complesso di effettiva competizione tra pubblico e privato, competizione che sarebbe possibile alla condizione che la opzione pubblica non fosse troppo conveniente rispetto a quella privata.
In pratica Krugman ricorda che le sue prese di posizione all’epoca della approvazione della Obamacare non erano favorevoli alla centralizzazione del sistema sanitario, ma chiedevano almeno che si configurasse la possibilità di una opzione pubblica, che alla fine venne invece sacrificata, anche perché si stavano modificando i numeri che avevano consentito ai democratici di avere la maggioranza per un breve periodo nei due rami del Congresso. In realtà, Krugman finì con l’aderire alla soluzione finale con un certo sacrificio, considerando però realistico che il Congresso approvasse comunque una riforma che consentiva un cambiamento sostanziale.
Le considerazioni finali di Krugman si trovano nell’articolo che egli scrisse per il NYT del 21 gennaio 2010 (“Fate la cose giusta”), che è tradotto in questo blog nel file degli articoli dal 3 gennaio al 17 giugno 2010.
gennaio 28, 2016
Jan 20 1:33 pm
Sarah Kliff has a very helpful account of Vermont’s attempt to create a state-level single-payer health care system, and why it failed. It’s a bit like the old joke about the farmer, asked for directions, who says “Well, I wouldn’t start from here.”
The point is not that single-payer is a bad idea. It is that given where the U.S. is now, achieving the kind of low costs we see in other countries would involve imposing large losses on many stakeholders, including people with generous policies, health care providers, and more — which is the point I’ve been making. The gains would almost surely be bigger than the losses, but that’s not going to make the very hard politics go away.
And just assuming, as Bernie Sanders does, that you can achieve dramatic cost savings without considering how you’re going to deal with the stakeholders — and therefore lowballing the actual cost of the plan — isn’t helpful, and amounts to not really leveling with your supporters.
I’m getting a fair bit of criticism along the lines of “Hey, you try a bronze plan and see how you like it.” Not much, I’m sure — but it’s a whole lot better than no insurance at all, which was how things were for millions of people who now have some kind of coverage (often Medicaid, by the way, which is single-payer) just three years ago. Being realistic about political possibilities doesn’t make you a bad guy.
Remember, Social Security originally only covered half the work force, and more or less systematically avoided covering types of employment — agriculture, services — that employed African-Americans. So should we condemn FDR for his cynicism, or say that idealism with no possibility of results isn’t helpful?
Lezioni dal Vermont
Sarah Kliff pubblica un resoconto molto utile del tentativo del Vermont di creare un sistema sanitario al livello dello Stato con un sistema di pagamenti centralizzato, e del perché è fallito. É un po’ come il vecchio gioco di quel contadino al quale veniva chiesta una direzione, che rispondeva: “Ebbene, io non partirei da qua”.
Il punto non è che un sistema con un unico pagatore sia una cattiva idea. É che considerato il punto in cui si trovano adesso gli Stati Uniti, realizzare in tipo di bassi costi che vediamo in altri paesi comporterebbe di imporre larghe perdite per molti soggetti, comprese persone con polizze generose, fornitori di assistenza sanitaria ed altri ancora – che è l’argomento che sto proponendo. I guadagni sarebbero quasi sicuramente più grandi delle perdite, ma non è quello il modo in cui una politica assai difficile può decollare.
E il solo assumere, come fa Bernie Sanders, che si possano realizzare spettacolari risparmi nei costi, senza considerare come si fanno i conti con quei soggetti – e di conseguenza sottostimando il costo effettivo del piano – non aiuta, e davvero non equivale a mettersi sullo stesso livello dei propri sostenitori.
Sto ottenendo un certo numero di critiche del tipo: “Ehi, prova con un programma di terza categoria [1] e vedi se ti piace”. Non molto, ne sono sicuro – ma parecchio di più che nessuna assicurazione affatto, che era il punto in cui si trovavano solo tre anni fa milioni di persone che adesso hanno un qualche tipo di copertura (spesso nella forma di Medicaid, per inciso, che è un sistema con un pagamento centralizzato). Essere realistici sulle possibilità della politica non fa di voi cattivi soggetti.
Si ricordi, la Previdenza Sociale agli inizi copriva soltanto metà della forza lavoro, e in modo più o meno sistematico si evitava di assistere settori occupazionali – l’agricoltura, i servizi – che occupavano afroamericani. Dovremmo dunque condannare Roosevelt per il suo cinismo, oppure dire che l’idealismo senza possibilità di risultati non aiuta?
[1] Non saprei dire cosa può significare “programma di bronzo”, a meno che non si intenda, appunto, una ‘soluzione di terza scelta’.
gennaio 28, 2016
Jan 19 1:33 pm
My colleague David Brooks issues an anguished plea for the Republican establishment to get its act together. I feel his pain. But I really wonder when he says this:
There’s a silent majority of hopeful, practical, programmatic Republicans.
Not according to the polls: the average of recent polls shows Trump, Cruz, and Carson with the support of roughly two-thirds of likely Republican primary voters, while all the establishment candidates combined draw barely 20 percent. And do we really imagine that any significant fraction of the overwhelmingly dominant blowhard bloc consists of moderate voters who just don’t realize what they would be getting from Trump or Cruz?
Also worth bearing in mind are the kinds of things even establishment candidates say these days. Not one has anything positive to say about what looks increasingly like highly successful diplomacy in the Persian Gulf. And Marco Rubio, the establishment’s last best hope, says he bought a gun to defend his family from ISIS.
The point is that this primary doesn’t look like an aberration, in which the GOP majority is losing its way; it looks like an outbreak of honesty, with the GOP majority finally going for candidates saying what it always believed.
Una piccola minoranza silenziosa
Il mio collega David Brooks pubblica una supplica addolorata al gruppo dirigente repubblicano perché agisca in modo unitario. Condivido il suo dolore. Ma resto davvero meravigliato quando afferma che:
“C’è una maggioranza silenziosa di repubblicani fiduciosi, pratici, programmatici”.
Non secondo i sondaggi: la media dei recenti sondaggi mostra che Trump, Cruz e Carson hanno il sostegno di circa due terzi dei probabili elettori alle primarie repubblicane, mentre tutti i candidati assieme del gruppo dirigente prendono appena un 20 per cento. E dobbiamo sul serio immaginarci che una qualche frazione del blocco dei palloni gonfiati che domina in modo schiacciante, sia composta di elettori moderati che non hanno proprio capito quello che otterrebbero da Trump o da Cruz?
Merita anche di tenere a mente il genere di cose che persino i candidati del gruppo dirigente dicono in questi giorni. Nessuno di loro ha niente di positivo da dire su quella che appare sempre di più come una diplomazia di grande successo nel Golfo Persico. E Marco Rubio, l’ultima migliore speranza del gruppo dirigente, dice di aver acquistato un fucile per difendere la sua famiglia dall’ISIS.
Il punto è che queste primarie non sembrano una aberrazione, nella quale la maggioranza del Partito Repubblicano sta perdendo la sua strada; sembra un sussulto di onestà, con la maggioranza del Partito Repubblicano che si indirizza verso candidati che dicono quello in cui essa ha sempre creduto.
gennaio 27, 2016
January 19, 2016 9:39 am
With the release of Bernie Sanders’ health plan — or actually, health “plan” — the Democratic primary is coming into much better focus. Sanders is still a long shot for the nomination, but is a serious enough contender that he deserves some real scrutiny. And it’s important to be aware that there are bigger problems with his candidacy than lack of political realism.
Just to be clear: Hillary Clinton is no paragon of political virtue, although she’s nothing like the monster everyone on the right and some people on the left like to portray. Actually, on policy she has generally been pretty good (Iraq aside, but that was a special and awful time). Health reform, in fact, as actually enacted is much more like her proposal in 2008 than Obama’s — during that campaign Obama ran some quite ugly Harry-and-Louise type ads attacking the individual mandate, which she correctly insisted was essential. Her biggest vice, from my point of view, is listening too much to consultants who want to make cheap shots, like the claim that the Sanders plan would kill Medicaid, when her real strength comes when she lets her inner wonk and fundamental toughness shine through.
But here’s the thing: we now have a clear view of Sanders’ positions on two crucial issues, financial reform and health care. And in both cases his positioning is disturbing — not just because it’s politically unrealistic to imagine that we can get the kind of radical overhaul he’s proposing, but also because he takes his own version of cheap shots. Not at people — he really is a fundamentally decent guy — but by going for easy slogans and punting when the going gets tough.
On finance: Sanders has made restoring Glass-Steagal and breaking up the big banks the be-all and end-all of his program. That sounds good, but it’s nowhere near solving the real problems. The core of what went wrong in 2008 was the rise of shadow banking; too big to fail was at best marginal, and as Mike Konczal notes, pushing the big banks out of shadow banking, on its own, could make the problem worse by causing the risky stuff to “migrate elsewhere, often to places where there is less regulatory infrastructure.”
On health care: leave on one side the virtual impossibility of achieving single-payer. Beyond the politics, the Sanders “plan” isn’t just lacking in detail; as Ezra Klein notes, it both promises more comprehensive coverage than Medicare or for that matter single-payer systems in other countries, and assumes huge cost savings that are at best unlikely given that kind of generosity. This lets Sanders claim that he could make it work with much lower middle-class taxes than would probably be needed in practice.
To be harsh but accurate: the Sanders health plan looks a little bit like a standard Republican tax-cut plan, which relies on fantasies about huge supply-side effects to make the numbers supposedly add up. Only a little bit: after all, this is a plan seeking to provide health care, not lavish windfalls on the rich — and single-payer really does save money, whereas there’s no evidence that tax cuts deliver growth. Still, it’s not the kind of brave truth-telling the Sanders campaign pitch might have led you to expect.
And look: if the political theory behind supporting Sanders is that the American people will vote for radical change if you’re honest about what’s involved, the campaign’s evident unwillingness to fully confront the issues, its reliance on magic asterisks, very much weakens that claim.
Danneggiato da Bernie [1]
Con la presentazione del piano sanitario di Bernie Sanders – o effettivamente, del piano sanitario tra virgolette – le primarie democratiche giungono ad un maggiore approfondimento. La nomina di Sanders è ancora assai improbabile, tuttavia egli è un competitore abbastanza serio da meritare una qualche approfondimento vero. Ed è importante essere consapevoli che si sono problemi più grandi nella sua candidatura, che non quello di un difetto di realismo politico.
Solo per chiarezza: Hillary Clinton non ha paragoni come valore politico, sebbene ella non sia quel mostro che tutti a destra e qualcuno a sinistra amano descrivere. Per la verità, in politica essa si è in generale comportata in modo abbastanza positivo (a parte l’Iraq, ma quello fu un periodo speciale e terribile). Di fatto, la riforma sanitaria come effettivamente è stata legiferata è molto più simile alla sua proposta nel 2008 che a quella di Obama – durante quella campagna elettorale Obama utilizzò alcuni pezzi di propaganda del tipo Harry-e-Louise [2] che attaccavano il mandato individuale [3], che la Clinton correttamente insisteva fosse essenziale. La sua maggiore cattiva abitudine, secondo la mia opinione, è ascoltare troppo i consiglieri che vogliono portare colpi bassi, come l’argomento secondo il quale il piano di Sanders liquiderebbe Medicaid, mentre la sua forza reale si manifesta quando ella lascia trasparire la sua intima competenza e la sua fondamentale determinazione.
Ma qua è il punto: adesso noi abbiamo un punto di vista chiaro delle posizioni di Sanders su due temi cruciali, la riforma del sistema finanziario e la riforma sanitaria. E in entrambi i casi egli si posiziona in un modo che infastidisce – non solo perché è politicamente irrealistico immaginare che si possa avere il tipo di ribaltamento che egli sta proponendo, ma anche perché egli non rinuncia alla sua personale versione dei colpi bassi. Non presso la gente – egli è fondamentalmente una persona per bene – ma procedendo per slogan semplicistici e facendo scommesse quando il gioco si fa duro.
Sulla finanza: Sanders ha reso il ripristino della Legge Glass-Steagal [4] e la rottura della grandi banche come il migliore programma possibile. Questo sembra positivo, ma non ci avvicina in alcun modo alla soluzione dei problemi reali. Il punto centrale di quello che andò storto nel 2008 fu l’ascesa delle banche-ombra; il tema del ‘troppo-grandi-per-fallire’ fu nel migliore dei casi marginale, e come nota Mike Konczal, spingere le grandi banche fuori dal sistema bancario ombra, di per sé, renderebbe il problema peggiore, provocando la rischiosa faccenda del “farle emigrare altrove, spesso in luoghi nei quali ci sono sistemi di regolazione meno efficaci”.
Sulla riforma sanitaria: mettiamo da parte la sostanziale impossibilità di realizzare un sistema centralizzato dei pagamenti. Oltre gli aspetti politici, il “piano” di Sanders non è soltanto difettoso nei dettagli; come Ezra Klein nota, esso promette una copertura più completa di Medicare ed anche dei sistemi centralizzati, e al tempo stesso assume grandi risparmi nei costi che nel migliore dei casi sono improbabili, dato quel genere di generosità. Questo consente a Sanders di sostenere che potrebbe farlo funzionare con tasse molto più basse per la classe media, di quelle che in pratica sarebbero probabilmente necessarie.
Per essere severi ma precisi: il piano sanitario di Sanders assomiglia un po’ ad un normale piano di sgravi fiscali dei repubblicani, che si basa sulle fantasie sui grandi effetti dal lato dell’offerta, per fare in modo che i numeri apparentemente tornino. Solo un pochino: dopo tutto, questo è un piano che cerca di fornire assistenza sanitaria, non generosa manna dal cielo sui ricchi – ed il sistema centralizzato per davvero comporta risparmi, mentre non c’è alcuna prova che gli sgravi fiscali generino crescita. Eppure, non è il genere del coraggioso dire la verità che la promozione elettorale di Sanders potrebbe avervi indotto ad aspettare.
E si badi: se la teoria politica che sta dietro i sostenitori di Sanders è che il popolo americano voterà per un cambiamento radicale se si è onesti nel descrivere la posta in gioco, la evidente indisponibilità a confrontarsi pienamente sui temi, il basarsi sul metodo dei magici asterischi [5], indebolisce di molto quella tesi.
[1] Forse sbaglio, ma il titolo del post potrebbe basarsi su una ironica imitazione del titolo di un film-commedia americano del 1989 “Weekend at Bernie’s” (ovvero, ‘un fine settimana da Bernie’, ma in Italia apparve come “Weekend con il morto”). Nel qual caso, tra ‘weekend’ e ‘weakened’ (‘indebolito, danneggiato’) non si sarebbe altra ironia che la somiglianza nella pronuncia. E il senso sarebbe che Bernie Sanders – fornendo maggiori dettagli dei suoi programmi – si sta danneggiando da solo.
[2] Erano pezzi di propaganda ostili ad una riforma sanitaria utilizzati dalla principale lobby sanitaria americana in una occasione precedente, all’epoca di una proposta di riforma avanzata da Bill Clinton (1993-4). La riforma di Clinton, in effetti, non venne approvata.
[3] Ovvero, la delega a tutti i cittadini a dotarsi di una assicurazione sanitaria (ovvero, l’obbligo di assicurarsi).
[4] La denominazione della riforma finanziaria degli anni ’30, dai nomi dei suoi due proponenti, che istituì una assicurazione federale sui depositi e norme contro la speculazione.
[5] Ovvero, su proposte che rimandano a spiegazioni successive che non vengono mai, quanto alla loro copertura finanziaria.
gennaio 27, 2016
Jan 18 7:46 am
My column and Bernie Sanders’ plan crossed in the mail. But the Sanders plan in a way reinforces my point that calls for single-payer in America at this point are basically a distraction. Again, I say this as someone who favors single-payer — but it’s just not going to happen anytime soon.
Put it this way: for all the talk about being honest and upfront, even Sanders ended up delivering mostly smoke and mirrors — or as Ezra Klein says, puppies and rainbows. Despite imposing large middle-class taxes, his “gesture toward a future plan”, as Ezra puts it, relies on the assumption of huge cost savings. If you like, it involves a huge magic asterisk.
Now, it’s true that single-payer systems in other advanced countries are much cheaper than our health care system. And some of that could be replicated via lower administrative costs and the generally lower prices Medicare pays. But to get costs down to, say, Canadian levels, we’d need to do what they do: say no to patients, telling them that they can’t always have the treatment they want.
Saying no has two cost-saving effects: it saves money directly, and it also greatly enhances the government’s bargaining power, because it can say, for example, to drug producers that if they charge too much they won’t be in the formulary.
But it’s not something most Americans want to hear about; foreign single-payer systems are actually more like Medicaid than they are like Medicare.
And Sanders isn’t coming clean on that — he’s promising Medicaid-like costs while also promising no rationing. The reason, of course, is that being realistic either about the costs or about what the system would really be like would make it a political loser. But that’s the point: single-payer just isn’t a political possibility starting from here. It’s just a distraction from the real issues.
La riforma sanitaria è difficile
Il mio articolo e il piano di Bernie Sanders si sono incrociati nelle mail. Ma il piano di Sanders in un certo senso rafforza il mio punto di vista, secondo il quale le prese di posizione a favore di un sistema centralizzato di pagamenti [1] in America è, a questo punto, fondamentalmente un diversivo. Lo ripeto, io lo dico come una persona che è a favore di un sistema centralizzato – ma che considera che non sia destinato ad accadere in breve tempo.
Mettiamola in questo modo: dopo tutto il gran parlare sull’essere onesti e sinceri, persino Sanders finisce con l’esprimersi soprattutto con fumisterie e specchietti – o, come dice Ezra Klein, con ‘cuccioli e arcobaleni’ [2]. Nonostante che esso comporti una ampia tassazione delle classi medie, il suo “gesto verso un piano futuro”, come Ezra lo definisce, si basa sull’assunto di larghi risparmi nei costi. Se preferite, riguarda un grande asterisco magico [3].
Ora, è vero che i sistemi a pagamento centralizzato in altri paesi avanzati sono molto più economici del nostro sistema di assistenza sanitaria. Ed alcuni di essi potrebbero essere replicati attraverso costi amministrativi più bassi e in generale attraverso i prezzi più bassi che Medicare paga. Ma per ottenere di abbassare i costi, diciamo a livelli canadesi, avremmo bisogno di fare quello che fanno loro: dire dei no ai pazienti, spiegando loro che non possono sempre avere i trattamenti che vogliono.
Dire dei no ha due effetti di risparmio sui costi: fa risparmiare direttamente soldi, ed inoltre aumenta grandemente il potere contrattuale del Governo, perché esso può dire, ad esempio, ai produttori di farmaci che se essi caricano troppo sul prezzo non finiranno nel formulario.
Ma questo è qualcosa di cui gli americani non vogliono sentir parlare: i sistemi di pagamento centralizzati all’estero sono in effetti più simili a Medicaid che non a Medicare [4].
E Sanders non la dice tutta su questo punto – egli sta promettendo costi come quelli di Medicaid nel mentre promette pure che non ci siano razionamenti. La ragione, ovviamente, è che essere realistici sia sui costi che su ciò a cui il sistema assomiglia, renderebbe perdenti dal punto di vista politico. Ma il punto è lì: il sistema di pagamenti centralizzato semplicemente non è una possibilità, partendo da dove ci troviamo. É solo un diversivo dai temi reali.
[1] Questa traduzione la utilizzo normalmente, perché in fondo è letterale. Ma non si dimentichi che, in sostanza, ciò che caratterizza il dibattito su questo aspetto non è tanto la tecnicistica ‘centralizzazione’ dei pagamenti sulle prestazioni sanitarie, ma l’esclusione dal sistema delle assicurazioni private e la limitazione del sistema sanitario al rapporto tra cittadini e Stato.
[2] La curiosa espressione di Klein – che era riferita ai programmi del candidato repubblicano Rubio – viene spiegata alla nota 3) dell’articolo di Krugman sul NYT del 12 ottobre 2015, dal titolo “I matti e l’imbroglione’. Adesso Klein ha utilizzato la stessa espressione a proposito del piano sanitario di Sanders, in un post sul blog “Vox policy&politics” del 17 gennaio. In sostanza, significa “chiacchiere senza un reale fondamento”.
[3] Ovvero, non è dissimile dai programma di coloro, come Paul Ryan, che promettevano grandi sgravi fiscali rinviando la spiegazione sulla copertura dei bilanci ad ‘asterischi’ che, sul fondo pagina, non spiegavano mai niente.
[4] Medicaid è il programma federale verso i più poveri, Medicare è quello per gli anziani in generale. Sembrerebbe dunque, come del resto è intuibile, che il programma per tutti gli anziani – che gli americani amano – abbia molte meno limitazioni di quello per la popolazione più povera.
gennaio 20, 2016
Jan 16 12:43 pm
Lucy just snatched the football away, again. Republicans assured us that this year they really would, seriously, roll out their alternative to Obamacare. Or, maybe, not.
But I have the sense that some political analysts still don’t understand why the GOP keeps sheering away from proposing an alternative. It’s not because Republican leaders are cowards. It’s not because there are sharp divisions within the party about the shape of their plan. The reason Republicans haven’t offered an alternative is because there is no alternative.
Specifically, if you want to propose some other, less-intrusive system that won’t cause 10 or 15 or 20 million people to lose health insurance, it can’t be done. The Affordable Care Act looks the way it does because it has to.
My sense is that even reformocons, who imagine themselves more open-minded than the party’s base, still don’t get that. But the logic has been clear from the beginning.
Start with a goal almost everyone at least pretends to support: making coverage available to people with preexisting conditions. How can you do that? Well, unless you simply want to provide government insurance, you have to prohibit discrimination based on medical history by private insurers: guaranteed issue and community rating.
But just doing that isn’t enough, because community rating on its own means that people don’t sign up until they get sick, and you have a very poor risk pool. So you have to include an individual mandate, requiring that everyone get coverage. Note, by the way, that the individual mandate is essential in a way the employer mandate isn’t.
Yet you can’t have an individual mandate without some way of making insurance affordable for lower-income families. So the mandate has to be backed by means-tested subsidies.
And there you are: community rating, individual mandate, subsidies — ObamaRomneycare! Everything else is details.
True, single-payer would be an alternative, and I’d be for it if I thought it had any chance of happening. But that’s an alternative to the left; there is no alternative to the right.
That’s why Obamacare opponents really had to stop it before it happened. As long as it was just a plan, they could insist that it was unworkable — that it would not, in fact, cover the uninsured, that costs would soar, that it would cripple the economy. And the official GOP position is indeed that the law has failed; who you gonna believe, us or your lying eyes? But none of the bad things that were supposed to happen, did. And the repeal-and-replace crowd cannot come up with an alternative, because there isn’t one.
Alla Legge sulla Assistenza Sostenibile non c’è alternativa [1]
Lucy ha appena tirato via la palla, ancora una volta. I repubblicani ci avevano assicurato che quest’anno avrebbero per davvero, seriamente, presentato la loro alternativa alla riforma sanitaria di Obama. Ma forse non è così.
Eppure io ho la sensazione che alcuni analisti politici ancora non comprendano perché il Partito Repubblicano continui ad evitare di proporre una alternativa. Non si tratta del fatto che i dirigenti repubblicani siano vili. Non si tratta del fatto che ci siano acute divisioni all’interno del Partito sui caratteri del loro programma. La ragione per la quale i repubblicani non hanno offerto un’alternativa è perché non c’è una alternativa.
In particolare, se si vuole proporre un altro sistema, meno intrusivo, che non costringa 10, o 15 o 20 milioni di americani a perdere la loro assicurazione sanitaria, ciò è impossibile. La Legge sulla Assistenza Sostenibile sembra il modo di farlo, perché deve essere così.
La mia sensazione è che persino i conservatori riformisti, che si immaginano di mentalità più aperta della base del Partito, non lo comprendano ancora. Ma la logica è stata chiara dall’inizio.
Si parta da un obbiettivo che quasi tutti almeno fingono di sostenere: rendere la copertura assicurativa disponibile per le persone con patologie preesistenti. Come si può farlo? Ebbene, a meno che non si voglia semplicemente fornire una assicurazione pubblica, si deve proibire che le assicurazioni private discriminino sulla base della storia clinica: i temi della ‘emissione garantita’ e della ‘valutazione di comunità’ [2].
Ma fare solo questo non è sufficiente, perché la ‘valutazione di comunità’ in sé comporta che le persone non si iscrivono finché non si ammalano, con il che si ha una gestione aggregata del rischio molto povera. Dunque si deve includere il mandato individuale, ovvero l’obbligo per ciascuno di assicurarsi [3]. Si noti, per inciso, che il mandato individuale è imprescindibile, mentre il mandato per il datore di lavoro non lo è [4].
Tuttavia, non si ha un obbligo individuale senza rendere in qualche modo sostenibile l’assicurazione per le famiglie con redditi più bassi. Dunque il mandato deve essere sostenuto da sussidi, concessi sulla base delle verifiche sui redditi effettivi.
E qua siamo al punto: valutazione di comunità, mandato individuale, sussidi – questa è la riforma della sanità di Obama (e prima di lui di Romney [5]). Tutto il resto sono dettagli.
É vero, un sistema di pagamenti centralizzato [6] sarebbe una alternativa, ed io sarei favorevole se pensassi che ha una qualche possibilità di accadere. Ma quella è una alternativa per la sinistra; non c’è alcuna alternativa per la destra.
Questa è la ragione per la quale gli avversari della riforma di Obama dovevano fermarla prima che diventasse legge. Per tutto il tempo in cui essa è stata soltanto un progetto, potevano insistere che non avrebbe funzionato – che, di fatto, non avrebbe dato protezione ai non assicurati, che i costi sarebbero schizzati alle stelle, che avrebbe provocato un gran danno all’economia. E la posizione ufficiale del Partito Repubblicano in effetti è che la legge è fallita: a chi avete intenzione di credere, a noi o ai vostri occhi che vi ingannano? Ma nessuna delle cose cattive che si pensava accadessero, sono successe. E la gente dell’ “abrogare-e-sostituire” non può costituire una alternativa, perché non ce n’è una.
[1] TINA dovrebbe stare per “There Is Not Alternative”. É buffo, ma Tina è anche il nome di una dirigente assai nota del sistema sanitaria pubblico degli Stati Uniti, di cognome Cheatham. Ma suppongo che si tratti di un caso.
[2] “Guaranteed issue life insurance” dovrebbe significare una assicurazione per la vita a emissione garantita; ovvero, se comprendo bene, in sostanza una copertura assicurativa senza limiti temporali la cui assegnazione è garantita, da una combinazione di spesa privata e di sussidio pubblico. Ovvero, un meccanismo nel quale la condizione sanitaria dell’assistito non influisce sul costo e sulla sostenibilità della tutela assicurativa.
La qualcosa è possibile assumendo – da parte delle società assicurative – un livello di rischio definito sulla base delle condizioni generali di salute di una comunità (è questo il ‘community rating’), e non un livello di rischio definito, in modo inevitabilmente discriminatorio, sulla base della storia sanitaria delle persone. Come avveniva prima della riforma sanitaria.
[3] Ovvero: se non si è obbligati ad avere una assicurazione sanitaria, chi non è benestante tenderà a dotarsene solo quando comincia ad essere strettamente indispensabile, perché si ammala. Ma in quel modo la gestione aggregata del rischio da parte delle compagnie potrà contare su entrate troppo scarse, e inevitabilmente i costi per coloro che sono costretti a dotarsi di una assicurazione in quanto hanno rischi di salute elevati, diventeranno proibitivi. Dunque, il “mandato individuale”, ovvero l’obbligo di acquistare una assicurazione, è necessario perché l’economia delle assicurazioni stia in piedi, dal momento in cui si deve garantire a tutti assistenza a prescindere dalle loro condizioni di salute.
[4] Sempre se capisco: obbligo della assicurazione per i singoli è imprescindibile, mentre l’assicurazione a carico dei datori di lavoro resta volontaria.
[5] Perché Mitt Romney aveva approvato una riforma simile nello Stato del Massachusetts, salvo essere costretto a dimenticarsene quando il Partito Repubblicano ha optato per una opposizione settaria alla legge di Obama.
[6] Ovvero, una sanità pubblica senza il ruolo delle assicurazioni private.
gennaio 20, 2016
Jan 16 8:12 am
When oil prices began their big plunge, it was widely assumed that the economic effects would be positive. Some of us were a bit skeptical. But maybe not skeptical enough: taking a global view, there’s a pretty good case that the oil plunge is having a distinctly negative impact. Why?
Well, think about why we used to believe that oil price declines were expansionary. Part of the answer was that they reduced inflation, freeing central banks to loosen monetary policy — not a relevant issue at a time when inflation is below target almost everywhere.
Beyond that, however, the usual view was that falling oil prices tended to redistribute income away from agents with low marginal propensities to spend toward agents with high marginal propensities to spend. Oil-rich Middle Eastern nations and Texas billionaires, so the story went, were sitting on huge piles of wealth, were therefore unlikely to face liquidity constraints, and could and would smooth out fluctuations in their income. Meanwhile, the benefits of lower oil prices would be spread widely, including to many consumers living paycheck to paycheck who would probably spend the windfall.
Now, part of the reason this logic doesn’t work the way it used to is that the rise of fracking means that there is a lot of investment spending closely tied to oil prices — investment spending that has relatively short lead times and will therefore fall quickly.
But there is, I believe, something else going on: there’s an important nonlinearity in the effects of oil fluctuations. A 10 or 20 percent decline in the price might work in the conventional way. But a 70 percent decline has really drastic effects on producers; they become more, not less, likely to be liquidity-constrained than consumers. Saudi Arabia is forced into drastic austerity policies; highly indebted fracking companies find themselves facing balance-sheet crises.
Or to put it differently: small oil price declines may be expansionary through usual channels, but really big declines set in motion a process of forced deleveraging among producers that can be a significant drag on the world economy, especially with the whole advanced world still in or near a liquidity trap.
Oh, and a belated Happy New Year.
Il petrolio diventa non lineare
Quando i prezzi del petrolio cominciarono a crollare, si assumeva generalmente che gli effetti economici sarebbero stati positivi. Alcuni di noi erano un po’ scettici. Ma forse non eravamo scettici abbastanza: considerato da un punto di vista globale, c’è un motivo abbastanza chiaro per il quale il crollo del petrolio sta avendo un impatto nettamente negativo. Perché?
Ebbene, si pensi alla ragione per la quale eravamo soliti credere che i cali dei prezzi del petrolio avessero effetti espansivi. In parte dipendeva dal fatto che essi riducevano l’inflazione, rendendo le banche centrali libere di allentare la politica monetaria – un tema irrilevante in un periodo nel quale l’inflazione è al di sotto degli obbiettivi quasi dappertutto.
Oltre a ciò, tuttavia, il punto di vista consueto era che i prezzi del petrolio in caduta tendevano a redistribuire il reddito da agenti con bassa propensione marginale alla spesa verso agenti con alta propensione marginale. Le nazioni ricche di petrolio del Medio Oriente e i miliardari texani, così si diceva, stavano seduti su grandi cataste di ricchezze, di conseguenza era improbabile che si trovassero dinanzi a limiti di liquidità, potevano livellare le fluttuazioni nei loro redditi, e così facevano. Nel contempo, i benefici dei prezzi più bassi del petrolio sarebbero stati spalmati con ampiezza, compreso verso molti consumatori che vivono da una busta paga all’altra, che probabilmente avrebbero speso quei guadagni inattesi.
Ora, in parte la ragione per la quale questa logica non funziona come un tempo è che l’ascesa del fracking comporta che c’è una quantità di spese per investimenti strettamente legate ai prezzi del petrolio – spese per investimenti che hanno tempi di esecuzione relativamente brevi e di conseguenza cadranno rapidamente.
Ma credo ci sia qualcos’altro che avanza: c’è una importante non linearità degli effetti delle fluttuazioni del petrolio. Un declino nel prezzo del 10 o 20 per cento potrebbe produrre effetti nel modo convenzionale. Ma un declino del 70 per cento ha effetti davvero drastici sui produttori; diventa probabile che essi siano più e non meno limitati nella liquidità dei consumatori. L’Arabia Saudita è costretta a drastiche politiche di austerità; le società di fracking si ritrovano a fare i conti con crisi degli equilibri patrimoniali.
Oppure, per dirla diversamente: piccoli cali nei prezzi del petrolio possono essere espansivi attraverso i canali consueti, ma cali davvero grandi mettono in moto un processo di obbligata riduzione del rapporto di indebitamento tra i produttori che può costituire una significativa sottrazione sull’economia globale, in particolare con l’intero mondo avanzato che è ancora in una trappola di liquidità, o nei suoi pressi.
Infine, un Buon Anno Nuovo in ritardo.
gennaio 20, 2016
Jan 15 12:47 pm
There wasn’t much economics, or for that matter much connection with reality. But Ted Cruz delivered:
I would note that Art Laffer, Ronald Reagan’s chief economic adviser, has written publicly, that my simple flat tax is the best tax plan of any of the individuals on this stage cause it produces economic growth, it raises wages and it helps everyone from the very poorest to the very richest.
Yep, lots of credibility:
But being a conservative means never having to say you’re sorry for predicting inflation.
L’economia monetaria al dibattito del Partito Repubblicano
Non c’era molta economia, peraltro neanche molta attinenza alla realtà. Ma Ted Cruz ha pronunciato queste parole:
“Osserverei che Art Laffer, il principale consulente economico di Ronald Reagan, ha scritto pubblicamente che la mia semplice ‘tassazione piatta’ è a questo punto il migliore programma fiscale per tutti coloro che vogliono che essa provochi crescita economica, essa alza i salari ed aiuta tutti, dai più poveri sino ai più ricchi.”
Sicuro, Laffer è credibilissimo [1]:
Ma essere un conservatore comporta non dover mai dire di essere spiacenti per aver previsto l’inflazione.
[1] Si riporta un titolo di giornale con un articolo di Laffer che prevedeva forti rialzi dell’inflazione e dei tassi di interesse. L’articolo era del giugno del 2009 ed aveva questo titolo: “Tenersi pronti per una inflazione e tassi di interesse più alti. L’espansione senza precedenti dell’offerta monetaria può far diventare benigni gli anno ’70”.
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