Blog di Krugman

Domanda, offerta e modelli macroeconomici (dal blog di Krugman, 28 novembre 2015)

 

Demand, Supply, and Macroeconomic Models

November 28, 2015 1:26

I’m supposed to do a presentation next week about “shifts in economic models,” which has me trying to systematize my thought about what the crisis and aftermath have and haven’t changed my understanding of macroeconomics. And it seems to me that there is an important theme here: it’s the supply side, stupid.

What I mean by that is that if you came into the crisis with a broadly Hicksian view of aggregate demand you did quite well. You made predictions that Very Serious People scoffed at — that as long as we were at the zero lower bound massive increases in the monetary base wouldn’t be inflationary, that budget deficits would not drive up interest rates — and also predicted large multipliers from fiscal policy, in particular nasty consequences of austerity. And you would not have found anything in what happened from 2008 on that contradicted your views.

I worded the above carefully. There’s a whole industry of people trying to show that Keynesian predictions about austerity didn’t pan out; it’s an industry that relies mainly on crude misrepresentations of what those predictions really amount to, and especially on confusions between levels and rates of change. (Britain imposed a lot of austerity from 2010 to 2012, but it grew in 2013. Ha! Keynes disproved!) But I won’t claim that the data prove Hicks/Keynes models right; the point is just that when you do the obvious comparisons, say between austerity and growth, they’re pretty much what a Keynesian would have said:

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What hasn’t worked nearly as well is our understanding of aggregate supply — which was, if truth be told, always based on much less solid reasoning.

One big problem has been the absence of deflation. The “accelerationist” Phillips curve that used to be standard — inflation depends on unemployment and lagged inflation — seemed consistent with the experience from previous big slumps, which were associated with large declines in the rate of inflation. Specifically, we used to cite the “clockwise spirals” one saw in unemployment-inflation space as evidence for something like the Friedman-Phelps theory of the natural rate.

But what worked in the 70s and 80s doesn’t look so good for recent experience:

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Why didn’t the sustained high unemployment after 2008 push us into deflation? There are some popular stories — downward nominal wage rigidity that makes the long-run Phillips curve non-vertical at low inflation rates, “anchored” inflation expectations — and I cite those stories myself. But standard discourse on macroeconomics has not fully taken the non-deflation surprise into account.

The other big problem is the dramatic drop in estimates of potential output, which is clearly correlated with the depth of cyclical slumps — and with austerity policies. Fatas and Summers have made a splash recently making this point, but Larry Ball has been on the case for a while — and I made the link to austerity. Here’s what it looks like using Ball’s estimates of the fall in potential output:

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Is there a policy moral from these supply-side failures of the pre-crisis doctrine? Yes: I think they both suggest the great danger of excessively contractionary policies. On one side, central banks focused on stable inflation may think they’re doing a good job — because where’s the deflation? — when they are actually falling very far short of providing enough support. And fiscal contraction in a liquidity trap seems to be absolutely terrible for the long run as well as the short run, and quite possibly counterproductive even in purely fiscal terms.

Again, I don’t think even Hicksian-inclined economists have taken all of this sufficiently into account.

 

 

Domanda, offerta e modelli macroeconomici

Sembra che la prossima settimana debba fare una presentazione sul tema degli “cambiamenti nei modelli economici”, per cui sto cercando di sistematizzare quello che la crisi e le sue conseguenze hanno o non hanno cambiato nella mia comprensione della macroeconomia. E qua mi pare ci sia un tema importante: si tratta dell’offerta, stupidi [1].

Quello che voglio dire è che se siete arrivati alla crisi con un generale punto di vista hicksiano sulla domanda aggregata, vi è andata abbastanza bene. Avete fatto previsioni che le Persone Molto Serie hanno sbeffeggiato – che per tutto il tempo in cui fossimo restati al limite inferiore dello zero (nei tassi di interesse) massicci incrementi nella base monetaria non avrebbe avuto effetti inflattivi, che i deficit di bilancio non avrebbero spinto in alto i tassi di interesse – ed avete anche previsto ampi moltiplicatori dalla politica della finanza pubblica, in particolare conseguenze sgradevoli dall’austerità. E non avete trovato niente in quello che è accaduto dal 2008 in poi, che ha contraddetto i vostri punti di vista.

Ho detto quanto sopra misurando le parole. C’è un’intera industria di individui che cercano di dimostrare che le previsioni keynesiane sull’austerità non hanno avuto successo; è un’industria che si fonda principalmente su caricature di quello che tali previsioni configurano, e in particolare su confusioni tra livelli e tassi di cambiamento (l’Inghilterra ha imposto un sacco di austerità dal 2010 al 2012, ma nel 2013 è cresciuta. Vedi? Keynes è stato smentito!). Ma io non sosterrò che i dati dimostrano che i modelli di Keynes ed Hicks sono giusti; il punto è soltanto che quando si fanno confronti ovvi, diciamo tra austerità e crescita, essi corrispondono abbastanza a quello che un keynesiano avrebbe detto:

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[2]

Quello che non ha funzionato neanche lontanamente così bene è stata la nostra comprensione dell’offerta aggregata – che è stata, a dir la verità, sempre fondata su un ragionamento assai meno solido.

Un grande problema è stato l’assenza di deflazione. La curva “accelerazionista” di Phillips che si era soliti utilizzare – l’inflazione dipende dalla disoccupazione e dalla inflazione ritardata – sembrava coerente con l’esperienza delle recessioni precedenti, che erano associate con ampi decrementi nel tasso di inflazione. In particolare, eravamo soliti citare le “spirali nel senso orario” che si potevano notare nell’intervallo tra disoccupazione ed inflazione come prova di qualcosa che assomigliava alla teoria del tasso naturale di Friedman-Phelps.

Ma quello che ha funzionato negli anni ’70 e ’80 non è apparso così chiaro nella recente esperienza [3]:

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Perché la perdurante elevata disoccupazione dopo il 2008 non ci ha spinto nella deflazione? Ci sono alcune spiegazioni popolari – la rigidità verso il basso dei salari che rende la curva di Phillips di lungo periodo non-verticale a bassi tassi di inflazione, come “ancorata” alle aspettative di inflazione – ed io racconto queste spiegazioni per me stesso. Ma il dibattito standard sulla macroeconomia non ha pienamente messo la sorpresa della non deflazione nel conto.

L’altro grande problema è stata la spettacolare caduta nelle stime della produzione potenziale, che è chiaramente correlata con la profondità delle crisi cicliche – e con le politica dell’austerità. Fatas e Summers di recente hanno fatto clamore avanzando questo argomento, ma Larry Ball lo aveva sostenuto per un certo periodo – ed io stesso indicai la connessione con l’austerità. Ecco quello che appare utilizzando le stime di Ball sulla caduta della produzione potenziale [4]:

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C’è una morale politica in questi insuccessi dal lato dell’offerta della dottrina precedente alla crisi? Sì: io penso che entrambe suggeriscano il grande pericolo delle politiche eccessivamente restrittive. Da una parte, le banche centrali concentrate su una inflazione stabile possono pensare di star facendo un buon lavoro – perché la deflazione non si vede – mentre non sono affatto all’altezza nel fornire sufficiente sostegno. Inoltre, la contrazione della spesa pubblica in una trappola di liquidità sembra essere assolutamente terribile per il lungo periodo come per il breve, e forse abbastanza controproducente anche in termini di pura finanza pubblica.

Lo ripeto: non penso che neppure gli economisti di orientamento hicksiano abbiano messo tutto questo sufficientemente nel conto.

 

 

[1] Come altre volte ho ricordato, l’uso del termine “stupido” non è così frequente in americano. Dipende soltanto dal fatto che una storica battuta di Bill Clinton, peraltro non così divertente, entrò un giorno nel linguaggio comune. É un forma bizzarra di ‘intrattenimento’ un po’ brusco di chi ascolta o legge.

[2] Ovvero, come mostra la tabella, che in generale c’è stata una certa corrispondenza tra l’intensità delle politiche di restrizione della finanza pubblica (linea orizzontale) e la quantità dei mutamenti nel PIL reale.

Una tabella simile – elaborata da Krugman – era stata presentata nel post “Lo Zombi dell’austerità espansiva” del 20 novembre 2015, dove era chiarito che essa si riferiva al periodo dal 2007 al 2015. Questa, invece, probabilmente parte dal 2009.

[3] La tabella mostra gli andamenti del tasso di disoccupazione e dell’inflazione sostanziale (al netto dei generi volatili) nei tre periodi di declino economico (anni ’70 in blu, anni ’80 in rosso e Grande Recessione recente, in verde). Le linee esprimono gli anni in sequenza, e dunque le “spirali” dipendono dai movimenti combinati del tasso di disoccupazione e dell’inflazione. Secondo la curva di Phillips un aumento sensibile della inflazione comporta dopo un po’ una crescita della disoccupazione, a sua volta essa comporta un successivo processo di deflazione.

Allo scopo di aiutare la comprensione di quello che Krugman osserva successivamente, si può notare, ad esempio con gli anni ’70, che essi furono caratterizzati – se li leggo giustamente, ovvero se vanno letti nel senso di una spirale ‘in senso orario’ – da una rapida crescita dell’inflazione (da circa il 5 al 10% annuo), che dopo un certo periodo produsse una rilevante crescita della disoccupazione (da circa il 6 al 9%); dopo quel periodo ci fu un terzo momento di deflazione netta (da circa il 10 al 6%) e poi un quarto di sensibile diminuzione della disoccupazione (dall’8% al 5,5& circa) con un tasso di inflazione stabile. La deflazione negli anni ’80 fu minore (dal 6 all’8%), ma ci fu. Negli anni recenti il forte incremento della disoccupazione (dal 5 al 10%) non è stato seguito da alcuna deflazione; l’inflazione è rimasta attorno al 2% per l’intero periodo.

[4] Per produzione potenziale si intende il PIL depurato degli effetti del ciclo economico, ovvero il potenziale produttivo che residua, che non scompare per gli effetti una recessione (o che addirittura ha fatto il suo ingresso nell’economia nel periodo recessivo). Sulla linea orizzontale, ancora l’intensità delle politiche di austerità; su quella verticale l’andamento delle stime sul PIL potenziale, tutto in territorio negativo, ad eccezione degli Stati Uniti.

 

 

 

L’Islanda, l’Irlanda e il negazionismo sulla svalutazione (dal blog di Krugman, 27 novembre 2015)

novembre 28, 2015

 

Nov 27 10:28 am

Iceland, Ireland, and Devaluation Denial

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One of the big lessons of the euro crisis has been that Milton Friedman was right — not about monetarism, but about the case for flexible exchange rates. When big adjustments in a country’s wages and prices relative to trading partners are necessary, it’s much easier to achieve these adjustments via currency depreciation than via relative deflation — which is one main reason there have been such big costs to the euro.

But many economists remain deeply unwilling to accept this point. And so in Thordvaldur Gylfason’s otherwise useful survey of Iceland since the crisis, we get this:

In Ireland, the 2007 level of the purchasing power of per capita GNI was restored a year later than in Iceland, in 2014.

It is, therefore, not true that having its own currency (which lost a third of its value in real terms during the crash) saved Iceland from the sorry fate that Ireland would have to suffer because Ireland is anchored to the euro.

Ireland adjusted by other means. Iceland, had it used the euro, could have done the same. The Icelandic króna has lost 99.95% of its value vis-à-vis the Danish krone since 1939 when the two currencies were equivalent, convincing many local observers that Iceland is ripe for the adoption of the euro.

OK, the bit about depreciation since 1939 — 1939! — is a cheap shot. What about the Ireland comparison?

It’s true that Irish GDP per capita (in this case using GNI doesn’t make much difference) recovered to its pre-crisis level only a bit later than Iceland’s. But that’s not the only indicator, and it’s one that is arguably distorted by the nature of the Irish export sector, which held up fairly well and is highly capital-intensive (think pharmaceuticals) — that is, it contributes a lot to GDP but employs very few people.

If you look at employment instead, as in the chart, Iceland did far better than Ireland; and Icelandic unemployment similarly shows a much more favorable picture. Less formally, everyone I know who tracked both countries has the sense that the human toll in Iceland was much less than it was in Ireland.

Oh, and if you remember, everyone expected the Icelandic crisis to be much worse, given the incredible scale of the banking overreach — early on, comparisons between the two in Ireland were regarded as black humor, not something anyone expected to be meaningful.

I guess I understand the urge to make excuses for the single currency. But the evidence really does suggest that there are important advantages to keeping your own currency.

 

L’Islanda, l’Irlanda e il negazionismo sulla svalutazione

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Una delle grandi lezioni della crisi dell’euro è stata che Milton Friedman aveva ragione – non sul monetarismo, ma sugli argomenti a favore dei tassi di cambio flessibili. Quando sono necessarie grandi correzioni sui salari e sui prezzi di un paese, in rapporto ai partner commerciali, è molto più facile ottenerle attraverso una svalutazione della moneta che attraverso una relativa deflazione – che è una delle ragioni per le quali ci sono stati costi talmente elevati per l’euro.

Ma molti economisti restano profondamente indisponibili ad accettare questa opinione. E così, nell’indagine sull’Islanda a partire dalla crisi di Thordvaldur Gylfson, per altri aspetti utile, abbiamo questi giudizi:

“In Irlanda, il livello del potere di acquisto del Reddito Lordo Nazionale [1] procapite è stato ripristinato un anno dopo che in Islanda, nel 2014.

Di conseguenza, non è vero che avere la propria valuta (che durante il tracollo ha perso un terzo del suo valore in termini reali) abbia salvato l’Islanda dal destino spiacevole che l’Irlanda si suppone abbia sofferto in quanto ancorata all’euro.

L’Irlanda ha provocato le correzioni in altri modi. L’Islanda, se avesse usato l’euro, avrebbe potuto fare lo stesso. Dal 1939, la corona islandese ha perso il 99,95% del suo valore a confronto con la corona danese, quando le due valute erano equivalenti, convincendo molti osservatori locali che l’Islanda è matura per l’adozione dell’euro”.

Va bene, la parte relativa alla svalutazione a partire dal 1939 – 1939! – è un colpo ad effetto. Cosa dire a proposito del confronto con l’Irlanda?

É vero che il PIL irlandese procapite (in questo caso utilizzare il Reddito Lordo Nazionale non fa molta differenza) si è ripreso ai suoi livelli precedenti alla crisi solo un po’ più tardi dell’Islanda. Ma questo non è l’unico indicatore, ed esso è probabilmente distorto dalla natura del settore delle esportazioni irlandese, che si è sostenuto discretamente ed è ad elevata intensità di capitale (si pensi ai farmaceutici) – vale a dire contribuisce molto al PIL ma occupa davvero poche persone.

Se invece guardate all’occupazione, come nella tabella, l’Islanda ha fatto assai meglio dell’Irlanda; e in modo simile la disoccupazione islandese mostra un quadro molto più favorevole. In modo meno formale, tutti quelli che conosco che hanno seguito entrambi i paesi hanno la sensazione che il tributo umano in Islanda sia stato molto minore che in Irlanda.

Inoltre, se vi ricordate, tutti si aspettavano che la crisi islandese fosse molto peggiore, data la dimensione incredibile degli eccessi bancari – agli inizi, i confronti tra i due paesi in Irlanda erano considerati come umorismo nero, non come qualcosa che in genere ci si aspettava avesse un qualche significato.

Immagino di comprendere il bisogno di avanzare scusanti per la moneta unica. Ma le prove davvero indicano che ci sono vantaggi importanti a tenersi la propria valuta.

 

 

[1] Il Reddito Lordo Nazionale è il prodotto totale all’interno e all’estero imputabile ai residenti di un paese. Si ottiene sommando il Prodotto Interno Lordo ai redditi degli stranieri che risiedono nel paese, e sottraendo i redditi guadagnati nella economia di quella nazione da coloro che non sono residenti.

 

 

 

Un “Giorno del ringraziamento” alla Trump (26 novembre 2015)

novembre 28, 2015

 

Nov 26 11:15 am

A Very Trump Thanksgiving

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Source.

I awakened, long before dawn, to the sound of helicopters patrolling the Upper West Side. Many helicopters. I guess they’re protecting Snoopy. Then, over coffee, I read more Alan Abramowitz on how The Donald could be the nominee.

Indeed. All the rules have changed. Media mockery of Trump has no impact — perhaps because even the candidates considered respectable would have been considered out of bounds not that long ago. Consider the guy getting a lot of establishment puffery lately, supposedly making a comeback: he exemplifies the transition from a nation whose motto was “speak softly and carry a big stick” to one whose de facto motto is yell a lot and carry a strawberry smoothie.

Oh well. Time to get ready for the relatives.

 

Un “Giorno del ringraziamento” alla Trump

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Fonte: BNR (Blue Nation Review)

Mi sono svegliato, un bel po’ prima dell’alba, al rumore di elicotteri che pattugliavano la Upper West Side. Suppongo che stessero proteggendo Snoopy [1]. Poi, con il caffè, ho letto meglio Alan Abramowitz, su come “Il Donald” potrebbe essere il prescelto (nelle primarie repubblicane).

É proprio così. Tutte le regole sono cambiate. L’ironia del media su Trump non ha alcun impatto – forse perché anche i candidati considerati rispettabili sarebbero stati, sino a non molto tempo fa, valutati fuori dai limiti consentiti. Si consideri quel soggetto che sta ottenendo di recente molta montatura da parte del gruppo dirigente [2], che si suppone stia realizzando un rientro sulla scena: egli esemplifica il passaggio da una Nazione il cui motto era “parla con voce sommessa e tieni appresso un gran bastone”, ad una il cui motto in sostanza è “grida a squarciagola e tieni appresso un frappè alla fragola”.

Va bene. É tempo che mi prepari per i parenti.

 

[1] In quel giorno ha luogo la Parata per il Thanksgiving, nella quale sfilano grandi palloni areostatici che somigliano ai carri del Carnevale. Forse era in programma un pallone ispirato a Snoopy. Del genere di questi altri:

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[2] Dal contesto, non si comprende chi sia precisamente questo individuo; forse Marco Rubio, le cui credenziali nel gruppo dirigente repubblicano crescono, con il tramontare della ipotesi di Jeb Bush.

Colgo l’occasione per ripetere che in questo caso scelgo di tradurre “establishment” con “gruppo dirigente”, perché interpreto che si riferisca ai personaggi più autorevoli del Partito Repubblicano. In realtà, non si tratta di individui che probabilmente fanno parte di uno specifico organismo (una “Direzione”): probabilmente comprendono cariche rilevanti al Congresso, forse qualche Governatore di Stati a maggioranza repubblicana. Sono distinguibili per le loro posizioni più tradizionali, suppongo per la distanza relativa dalle posizioni dei gruppi più estremisti come il Tea Party, e in sostanza esprimono una preferenza per candidati “meno pazzeschi”, come Jeb Bush e Marco Rubio.

 

 

 

É una cospirazione! (25 novembre 2015)

novembre 28, 2015

 

Nov 25 3:44 pm

It’s A Conspiracy!

Greg Sargent has lately been driving home the point that Donald Trump just isn’t vulnerable to typical establishment attacks — at least in the Republican primary. (The general election might be different.) Catch him making an utterly false assertion, and his supporters just see it as the liberal media conspiring against him. It’s driving the establishment Republicans wild.

But really, why should they be shocked? Think about what the establishment has to say on other issues. The chairman of the House science committee says that global warming is a fraud, perpetrated by a vast conspiracy at the NOAA, which is presumably part of a global scientific conspiracy. When the administration reported large numbers of people signing up for Obamacare, leading Republican Senators accused it of cooking the books — and I’m unaware of any apology or even acknowledgement that they were wrong. Rush Limbaugh claimed that one of the Batman films was an anti-Romney conspiracy. And on and on.

So how are base voters supposed to know that Trump’s claims that the media suppressed films of Muslims cheering on 9/11 mark him as crazy, while all the other conspiracy theories on the right are OK? I guess someone could try to put out a cheat sheet listing acceptable and unacceptable tin-hat views; but Trump would just call that part of the conspiracy, and a lot of people would believe him.

Sorry, guys, you created this monster, and now he’s coming for you.

 

É una cospirazione!

Greg Sargent di recente sta chiarendo bene il fatto che Donald Trump non è vulnerabile agli attacchi convenzionali del gruppo dirigente – almeno nelle primarie repubblicane (nelle elezioni generali potrebbe essere diverso). Sorprendetelo a fare una affermazione completamente falsa, e i suoi sostenitori semplicemente la considereranno come una cospirazione dei media progressisti ai suoi danni. Ciò sta facendo ammattire i dirigenti repubblicani.

Ma in realtà, perché mai sorprendersi? Si pensi a quello che il gruppo dirigente ha da dire su altri temi. Il Presidente della commissione ‘sulla scienza’ della Camera sostiene che il riscaldamento globale è un frode, perpetrata da una grande cospirazione presso la National Oceanic and Atmospheric Adiministration [1], che presumibilmente fa parte di una cospirazione scientifica globale. Quando la Amministrazione ha dato conto del gran numero di persone che si stavano iscrivendo nei registri della legge sanitaria di Obama, principali Senatori repubblicani l’hanno accusata di truccare i dati – e non sono al corrente di nessuna scusa e neanche del riconoscimento che avevano torto. Rush Limbaugh ha sostenuto che uno dei film di Batman era una cospirazione ai danni di Romney [2]. E si potrebbe continuare.

Dunque, come si può pensare che gli elettori della base sappiano che la pretesa di Trump, secondo il quale i media avrebbero censurato i film dei musulmani che acclamano all’11 settembre, lo segnalano come un pazzoide, mentre tutte le altre teorie della cospirazione della destra sarebbero giuste? Suppongo che qualcuno potrebbe cercare di metter fuori un foglio degli imbrogli, elencando i punti di vista da battaglia accettabili e quelli non accettabili; ma Trump si appellerebbe proprio a quell’aspetto come una cospirazione, e una grande quantità di persone gli crederebbero.

Spiacente, signori, ma questo mostro l’avete create voi, ed ora è a vostra disposizione.

 

[1] É una agenzia federale americana che si occupa delle condizioni degli oceani e dell’atmosfera.

[2] É una vicenda del 2012. Secondo Limbaugh, sfrenato conduttore televisivo della destra americana, il fatto che il “cattivo” nel film di Batman si chiamasse “BANE”, mentre la società finanziaria nella quale operava Mitt Romney si chiamasse “BAIN”, era intenzionale.

 

 

 

La politica nel terrore (23 novembre 2015)

novembre 25, 2015

 

Nov 23 7:02 pm

Terror Politics

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Cats of War.”Credit Slate.com

Update: Yes, I know there’s a cat in the picture; I took it from Slate, “The Cats of War.” I’ve used that image before, to lighten things up slightly. Apparently I didn’t succeed.

Conventional wisdom on the politics of terror seems to be faring just as badly as conventional wisdom on the politics of everything. Donald Trump went up, not down, in the polls after Paris — Republican voters somehow didn’t decide to rally around “serious” candidates. And as Greg Sargent notes, polls suggest that the public trusts Hillary Clinton as much if not more than Republicans to fight terror.

May I suggest that these are related?

After all, where did the notion that Republicans are effective on terror come from? Mainly from a rally-around-the-flag effect after 9/11. But if you think about it, Bush became America’s champion against terror because, um, the nation suffered from a big terrorist attack on his watch. It never made much sense.

What Bush did do was talk tough, boasting that he would get Osama bin Laden dead or alive. But, you know, he didn’t. And guess who did?

So people who trust Republicans on terror — which presumably includes the GOP base — are going to be the kind of people who value big talk and bluster over actual evidence of effectiveness. Why on earth would you expect such people to turn against Trump after an attack?

 

La politica nel terrore

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Cats of War.”Credit Slate.com (1)

Aggiornamento: Sì, so che c’è un gatto nella foto, l’ho presa da Slate, “I gatti di guerra”. Avevo usato questa immagine in precedenza, per prendere le cose un po’ meno sul serio. Pare che non sia successo.

Gli orientamenti prevalenti (2) sulla politica del terrore sembra passarsela altrettanto male degli orientamenti prevalenti sulla politica di tutto il resto. Nei sondaggi dopo Parigi Donald Trump è salito, non è sceso – gli elettori repubblicani non hanno comunque deciso di puntare su un altro “serio” candidato. E come nota Greg Sargent, i sondaggi indicano che l’opinione pubblica si fida di Hillary Clinton altrettanto, se non di più, dei repubblicani nel combattere il terrorismo.

Posso suggerire che questi dati sono connessi?

Dopo tutto, da dove derivava il concetto secondo il quale i repubblicani sono efficaci sul terrorismo? Principalmente dall’effetto dell’unirsi-attorno-alla-bandiera successivo all’11 settembre. Ma se ci pensate, Bush divenne il campione dell’America contro il terrorismo perché, insomma, la nazione patì un grande attacco terrorista sotto la sua sorveglianza. Non ha mai avuto molto senso.

Quello che Bush fece fu di parlare con durezza, vantandosi che avrebbe avuto Osama bin Laden vivo o morto. Ma sapete che non lo fece. E indovinate chi lo fece?

Dunque, le persone che si fidano dei repubblicani sul terrore – il che presumibilmente include la base del Partito Repubblicano – è inevitabile che siano il genere di individui che stimano i grandi discorsi e le spacconate di più delle prove effettive di efficacia. Perché diamine dovreste aspettarvi che gente del genere si rivolti contro Trump dopo un attacco?

(1) Provo a dare una spiegazione/interpretazione.

Spiegazione: la foto, come si ricorderà, mostra i massimi dirigenti della Amministrazione americana attorno ad Obama, mentre ricevone le notizie sulla uccisione di Osama bin Laden. Aver introdotto il gatto nella foto era stata una iniziativa della rivista Slate, che aveva presentato, pare, una galleria di foto significative di “gatti in guerra”. Può darsi che tale scherzo fosse derivato dalla notizia in apparenza seria di un utilizzo a fini non meglio specificati dei gatti da parte dell’esercito americano; notizia apparsa su Slate il 5 maggio 2011.  Krugman, come si vede, precisa che l’aveva già fatto in precedenza; dunque riconosce che la primogenitura è di Slate. Infine: nella primitiva edizione del post non compariva l’aggiornamento; probabilmente è diventato necessario per le rimostranze di Slate sulla primogenitura della foto felina.

Interpretazione: il post accenna ad un sondaggio un po’ sorprendente: pare che gli americani si fidino maggiormente della signora Clinton, in caso di vicende terroristiche. Krugman osserva che il suo passato tentativo di ‘alleggerire’ la foto della riunione di guerra con il gatto bianco non deve aver prodotto conseguenze, visto che gli americani si fidano maggiormente di Hillary, che è nel centro del gruppo alla Casa Bianca (i giornali dell’epoca notarono il suo gesto di esclamazione).

 (2) Mi pare, considerando i ragionamenti che Krugman esprime da tempo, che intenda riferirsi ai commentatori. La “conventional wisdom” (“letteralmente, “saggezza convenzionale”) si riferisce a loro, e al fatto che capiscono sempre di meno cosa stia accadendo.

 

 

 

Il tema degli scoperti (23 novembre 2015)

novembre 25, 2015

 

Nov 23 1:14 pm

Shorts Subject

Last night I was invited to a screening of The Big Short, which I thought was terrific; who knew that CDOs and credit default swaps could be made into an edge-of-your-seat narrative (with great acting)?

But there was one shortcut the narrative took, which was understandable and possibly necessary, but still worth noting.

In the film, various eccentrics and oddballs make the discovery that subprime-backed securities are garbage, which is pretty much what happened; but this is wrapped together with their realization that there was a massive housing bubble, which is presented as equally contrary to anything anyone respectable was saying. And that’s not quite right.

It’s true that Greenspan and others were busy denying the very possibility of a housing bubble. And it’s also true that anyone suggesting that such a bubble existed was attacked furiously — “You’re only saying that because you hate Bush!” Still, there were a number of economic analysts making the case for a massive bubble. Here’s Dean Baker in 2002. Bill McBride (Calculated Risk) was on the case early and very effectively. I keyed off Baker and McBride, arguing for a bubble in 2004 and making my big statement about the analytics in 2005, that is, if anything a bit earlier than most of the events in the film. I’m still fairly proud of that piece, by the way, because I think I got it very right by emphasizing the importance of breaking apart regional trends.

So the bubble itself was something number crunchers could see without delving into the details of MBS, traveling around Florida, or any of the other drama shown in the film. In fact, I’d say that the housing bubble of the mid-2000s was the most obvious thing I’ve ever seen, and that the refusal of so many people to acknowledge the possibility was a dramatic illustration of motivated reasoning at work.

The financial superstructure built on the bubble was something else; I was clueless about that, and didn’t see the financial crisis coming at all.

 

Il tema degli scoperti

La sera scorsa ero invitato ad una proiezione de La grande scommessa [1], che mi è sembrato magnifico: chi si immaginava che i CDO [2] e gli scambi sui rischi di credito potessero essere infilati in un racconto da seguire col fiato sospeso (e con una recita magistrale)?

Ma il racconto ha preso una scorciatoia, che era comprensibile e forse necessaria, e tuttavia merita di essere segnalata.

Nel film, alcuni individui eccentrici e originali fanno la scoperta che i titoli garantiti da debiti subprime sono spazzatura; che è grosso modo quello che è successo; ma questo è combinato assieme alla loro comprensione che era in atto una massiccia bolla immobiliare, la qualcosa è presentata come contraria a tutto quello che ogni persona rispettabile stava sostenendo. E questo non è del tutto corretto.

É vero che Greenspan ed altri erano occupati a negare l’effettiva possibilità di una bolla immobiliare. Ed è anche vero che chiunque suggerisse l’esistenza di una tale bolla, era attaccato furiosamente – “Lo state dicendo solo perché odiate Bush!”. Eppure c’era un certo numero di analisti economici che avanzavano la tesi di una massiccia bolla. Ecco (nella connessione nel testo inglese) Dean Baker nel 2002. Intervenne per tempo sullo stesso argomento, Bill McBride (del blog Calculated Risk), in modo molto efficace. Io mi accordai su Baker e McBride, sostenendo l’argomento della bolla nel 2004 e mettendo a punto la mia maggiore presa di posizione sugli aspetti analitici nel 2005 [3], che si colloca, semmai, un po’ prima del gran parte degli eventi del film. Tra parentesi, sono ancora orgoglioso di quell’articolo, perché penso che avevo molta ragione ad enfatizzare l’importanza di disgregare le tendenze regionali [4].

Dunque, la bolla stessa era qualcosa che un certo numero di analisti poterono constatare senza fare ricerche nei dettagli degli MBS [5], viaggiando attraverso la Florida, o in qualsiasi altro teatro mostrato nel film. Di fatto, direi che la bolla immobiliare della metà degli anni 2000 fu la cosa più evidente che non si fosse mai vista, e che il rifiuto di molte persone di riconoscerne la possibilità fu una illustrazione spettacolare di come funzionano i ragionamenti interessati.

La superstruttura finanziaria costruita sulla bolla fu qualcosa di diverso; al riguardo ero privo di indizi, e non mi accorsi affatto della crisi finanziaria che stava arrivando.

 

[1] Un film che esce negli Stati Uniti in questi giorni, del genere alta finanza (e assalti da parte di giovani promettenti). Con Brad Pitt e Ryan Gosling.

La traduzione del titolo del film (La grande scommessa) è molto libera. Il libro di Michael Lewis da cui il film è tratto è stato tradotto con Il grande scoperto. Il termine è comunque riferito, mi sembra, alla individuazione di una aperta situazione irregolare sul mercato finanziario, ed al conseguente tantativo di speculazione.

[2] Da Wikipedia: “Una CDO (Collateralized debt obligation) è letteralmente un’obbligazione che ha come garanzia (collaterale) un debito. Una CDO è composta da decine o centinaia di ABS, obbligazioni a loro volta garantite da un altrettanto elevato numero di debiti individuali.

Il creatore della CDO acquista un portafoglio obbligazionario e lo trasferisce ad uno Special Purpose Vehicle. L’SPV provvede a ripartire tra diverse tranches il reddito proveniente dalle obbligazioni, incanalandolo innanzitutto verso le tranche più senior, poi verso quella con seniority immediatamente successiva e così via. Rappresentano un modo per creare debito di alta qualità, distinguendolo da debito di media (o anche bassa) qualità.

L’enorme numero di debiti individuali sottostanti la singola obbligazione CDO rende di fatto impossibile valutare i rischi di ciascuna obbligazione. La conseguenza è che gli acquirenti, non potendo valutare correttamente le potenziali perdite dovute all’insolvenza dei debitori, si libereranno delle CDO non appena comprenderanno l’aumento della quota di debitori insolventi … ”.

 

[3] La connessione è con un post dell’8 agosto 2005, dal titolo “Quel suono sibilante”. Per quanto lo scritto fosse piuttosto breve, probabilmente Krugman ne sottolinea l’aspetto analitico perché esso è una analisi precisa dei fenomeni di collasso delle bolle immobiliari (che si annunciano, sosteneva, con il rumore di un sibilo, non di uno scoppio).

In questo blog la traduzione non compare, ma mi parrebbe interessante prossimamente aggiungerla a questo post.

[4] L’articolo sosteneva che l’America è fatta di due territori: la “Flatland” (suppongo che voglia dire il territorio metropolitano degli ‘appartamenti’) e la “Zoning Zone” (il territorio sottoposto ad una maggiore limitazione urbanistica, caratterizzato da alta densità ma da forti limiti edificativi). Nel primo, al centro del paese, il fenomeno della bolla non era neppure partito, i prezzi delle case coincidevano quasi con i costi di costruzione. Nel secondo una sproporzione tra una vivace domanda e limiti nell’offerta determinavano prezzi crescenti, sia nell’acquisto di edifici esistenti che nuovi. Il secondo caso riguardava Stati come la Florida o il Nevada, dove in effetti la bolla fu cospicua. Il dato medio nazionale dell’aumento annuo dei prezzi delle abitazioni, in effetti, era non confrontabile con quello delle aree della bolla, circa un terzo.

[5] Si dovrebbe riferire ai titoli garantiti da mutui (Mortgages-backed securities), una tipologia di prodotti finanziari. Potrebbe in teoria anche essere Mega Building System, una grande società (forse, più in generale, una tipologia industriale) che fornisce varie componenti per l’edilizia dei grandi edifici. Forse entrambi potrebbero essere stati ‘osservatori’ per una analisi della evoluzione dei mercati immobiliari; ma il prodotto finanziario effettivamente fu lo strumento principe.

 

 

 

Le Persone Molto Serie e il caso della scomparsa dei Brookings Paper on Economic Activity (dal blog di Krugman, 22 novembre 2015)

novembre 24, 2015

 

Nov 22 2:07 pm

VSPs and the Case of the Disappearing BPEA

Brad Delong has nice things to say about my old Brookings Papers on Economic Activity on the liquidity trap, and asks why central bankers still don’t seem to get some of the basic points I made way back then, especially about the desirability of a higher inflation target. I actually have a few thoughts, which are inevitably mostly — but not entirely! — self-serving.

First, most trivially but possibly significant, I suspect that fewer macroeconomists have actually read that paper than you might think. I still run into people who believe that the modern liquidity-trap literature started with Eggertsson and Woodford, which was written several years later, and that my piece must have been a commentary on theirs (which was very good!) And it’s been very clear that remarkably few people read what I had to say about financial intermediaries and monetary aggregates, even though that has turned out, I’d argue, to be a really important insight.

This comes, I think, from the kind of micro-tribalism that is surprisingly powerful in academic economics: I have never been part of the domestic-economy macroeconomic regular circuit, so some of them couldn’t believe that I could have something new to tell them (or were simply unaware that the paper even existed.)

After all, in the early stages of the crisis response you encountered lots of macroeconomists asserting that “nobody” had discussed fiscal policy in recent years, even though Obstfeld and Rogoff had done plenty in their big 1996 book; the point is that Obstfeld and Rogoff were in the international macro circuit, and domestic guys weren’t listening.

Oh, and by the time some of them may have gotten a clue that I wrote something they maybe should read, I was politically controversial, which shouldn’t matter but does. In effect, some people may have been unwilling to consider that I might have been right about macroeconomics because I had committed the unforgivable sin of being right about Iraq. (I told you this would be self-serving!)

Second, the whole story of our woeful crisis response has been that Very Serious People seize on orthodoxies that are grounded more in their gut feelings and the comfort that comes from repeating what everyone else says than in economic analysis. Central bankers are more given to analytical thinking than most, but it’s still a very brave official who disputes the orthodoxy of 2 percent, even though the original rationale for that target — it was supposed to make the zero lower bound no problem — has long since evaporated.

Finally, to be fair, there are arguments one can make that go beyond what I said in 1998. Some models of sticky prices suggest that inflation may have bigger costs than conventional models imply. I don’t find these models plausible, but it’s not all gut feelings here.

The bottom line, however, is that while you might think it obvious that a clearly relevant paper by a well-known guy with all the right credentials must be widely understood by people who matter, it ain’t necessarily so.

 

Le Persone Molto serie e il caso della scomparsa dei Brookings Paper on Economic Activity

Brad DeLong dice cose cortesi sul mio vecchio saggio sulla trappola di liquidità al Brooking Paper on Economic Activity, e si chiede perché i banchieri centrali ancora non sembrano comprendere alcuni dei punti fondamentali che avevo allora prospettato, in particolare a proposito della desiderabilità di un obbiettivo di inflazione più elevato. In effetti io ho un po’ di pensieri, che in gran parte sono inevitabilmente – ma non interamente! – rivolti a me stesso.

Il primo, molto banale ma forse di un qualche significato, ho il sospetto che abbiano effettivamente letto quel saggio molti meno macroeconomisti di quello che si creda. Incontro ancora persone che credono che la letteratura moderna della trappola di liquidità sia cominciata con Eggertsson e Woodford, che scrissero diversi anni dopo, e che il mio pezzo sia stato un commento sui loro (e, come commento, era molto positivo!). Così come è chiaro che davvero in pochi hanno letto quello che avevo da dire sugli intermediari finanziari e gli aggregati monetari, anche se devo dire si è dimostrata una intuizione davvero importante.

Penso che questo derivi da quel genere di micro tribalismo che è sorprendentemente potente nell’economia accademica: io non provengo dal regolare circuito macroeconomico dell’economia interna, dunque alcuni di loro potevano pensare che non potevo aver niente da dire di nuovo (oppure erano semplicemente inconsapevoli che lo studio persino esistesse).

Dopo tutto, nei primi stadi della risposta alla crisi si sono incontrati una quantità di macroeconomisti che sostenevano che “nessuno” aveva ragionato di politica della finanza pubblica negli anni recenti, anche se Obstfeld e Rogoff l’avevano fatto in abbondanza nel loro grande libro del 1966; il fatto è che Obstfeld e Rogoff erano nel circuito della macroeconomia internazionale, e gli individui del settore interno non stavano ascoltando.

Inoltre, allorché alcuni di loro ebbero un indizio che avevo scritto qualcosa che forse dovevano leggere, io ero politicamente controverso, la qualcosa non dovrebbe contare ma conta. In effetti, alcune persone possono essere state indisponibili a considerare che potevo aver ragione sulla macroeconomia, perché avevo commesso il peccato imperdonabile di aver ragione sull’Iraq (ve l’avevo detto che quest’articolo sarebbe stato molto centrato su me stesso!).

In secondo luogo, l’intera storia della deplorevole risposta alla crisi è stata che le Persone Molto Serie si sono afferrate ad ortodossie che si basavano più sulle loro sensazioni istintive e sul conforto che deriva dal ripetere quello che dicono tutti, che non sull’analisi economica. I banchieri centrali sono più predisposti al pensiero analitico della maggioranza, eppure è ancora un dirigente molto audace colui che mette in discussione l’ortodossia del 2 per cento [1], anche se la logica originaria per quell’obbiettivo è da tempo evaporata (si supponeva che il limite inferiore dello zero dei tassi di interesse non costituisse un problema).

Infine, per essere onesti, ci sono argomenti che si possono avanzare per andare oltre ciò che dicevo nel 1998. Alcuni modelli sulla vischiosità dei prezzi indicano che l’inflazione può avere costi più grandi di quello che i modelli convenzionali implicano. Io non trovo plausibili quei modelli, ma in questo caso non si tratta solo di sensazioni istintive.

La morale della favola, tuttavia, è che se si dovrebbe supporre evidente che uno studio chiaramente rilevante da parte di un individuo ben noto con tutte le credenziali giuste debba essere ampiamente conosciuto dalle persone che contano, non è necessariamente così.

 

[1] Ovvero, di un obbiettivo di inflazione al 2 per cento, che è indiscutibile e indiscusso.

 

 

 

Ragionando su quello che si può immaginare di Trump (22 novembre 2015)

novembre 24, 2015

 

Nov 22 1:39 pm

Thinking About the Trumpthinkable

Alan Abramowitz reads the latest WaPo poll and emails:

Read these results and tell me how Trump doesn’t win the Republican nomination? I’ve been very skeptical about this all along, but I’m starting to change my mind. I think there’s at least a pretty decent chance that Trump will be the nominee.

Here’s why I think Trump could very well end up as the nominee:

  1. He’s way ahead of every other candidate now and has been in the lead or tied for the lead for a long time.
  2. The only one even giving him any competition right now is Carson who is even less plausible and whose support is heavily concentrated among one (large) segment of the base—evangelicals.
  3. Rubio, the great establishment hope now, is deep in third place, barely in double digits and nowhere close to Trump or Carson.
  4. By far the most important thing GOP voters are looking for in a candidate is someone to “bring needed change to Washington.”
  5. He is favored on almost every major issue by Republican voters including immigration and terrorism by wide margins. The current terrorism scare only helps him with Republicans. They want someone who will “bomb the shit” out of the Muslim terrorists.
  6. There is clearly strong support among Republicans for deporting 11 million illegal immigrants. They don’t provide party breakdown here, but support for this is at about 40 percent among all voters so it’s got to be a lot higher than that, maybe 60 percent, among Republicans.
  7. If none of the totally crazy things he’s said up until now have hurt him among Republican voters, why would any crazy things he says in the next few months hurt him?
  8. He’s very strong in several of the early states right now including NH, NV and SC. And he could do very well on “Super Tuesday” with all those southern states voting. I can’t see anyone but Trump or Carson winning in Georgia right now, for example, most likely Trump.
  9. And as for the idea of the GOP establishment ganging up on him and/or uniting behind another candidate like Rubio, that’s at least as likely to backfire as to work. And even if it works, what’s to stop Trump from then running as an independent?

Indeed. You have a party whose domestic policy agenda consists of shouting “death panels!”, whose foreign policy agenda consists of shouting “Benghazi!”, and which now expects its base to realize that Trump isn’t serious. Or to put it a bit differently, the definition of a GOP establishment candidate these days is someone who is in on the con, and knows that his colleagues have been talking nonsense. Primary voters are expected to respect that?

 

Ragionando su quello che si può immaginare di Trump

Alan Abramowitz legge gli ultimi sondaggi sul Washington Post e scrive una mail:

“Leggo questi risultati e mi chiedo come farà Trump a non vincere la ‘nomination’ repubblicana? Sono stato molto scettico su questo sin dall’inizio, ma sto cominciando a cambiare il mio punto di vista. Penso che ci sia almeno una discreta possibilità che Trump finisca con l’essere nominato.

Ecco perché penso che Trump davvero finirà con l’avere la nomina:

1 – Egli è adesso avanti a tutti gli altri candidati ed è stato alla guida, da solo o al pari con altri, per lungo tempo.

2 – L’unico che appare ancora in competizione in questo momento è Carson, che è anche meno plausibile e il cui sostegno è pesantemente concentrato su un (ampio) segmento della base – gli evangelici.

3 – Rubio, la grande speranza del gruppo dirigente, in questo momento sprofonda in terza posizione, con una percentuale appena a due cifre e in nessun modo vicino a Trump o a Carson.

4 – La cosa di gran lunga più importante che cercano gli elettori del Partito Repubblicano in un candidato, è qualcuno che “porti il cambiamento necessario a Washington”.

5 – Egli è favorito, secondo gli elettori repubblicani, con ampio margine su quasi tutte le tematiche, compresa l’immigrazione e il terrorismo. Lo spavento per il terrorismo, presso i repubblicani, aiuta soltanto lui. Essi vogliono qualcuno che “bombardi la merda” dei terroristi islamici.

6 – C’è chiaramente un ampio sostegno tra i repubblicani sulla deportazione di 11 milioni di immigranti illegali. In questo caso non viene fornita una scomposizione per partito, ma il sostegno a questa scelta riguarda circa il 40 per cento di tutti gli elettori, e dunque è destinato ad essere un po’ più alto tra i repubblicani, diciamo del 60 per cento.

7 – Se nessuna delle cose totalmente pazzesche che egli ha detto sino ad adesso lo hanno colpito tra gli elettori repubblicani, perché dovrebbero ferirlo le cose pazzesche che dirà nei prossimi mesi?

8 – In questo momento egli è molto forte in vari Stati che voteranno per primi, come il New Hampshire, il Nevada e il South Carolina. Inoltre, dovrebbe andar molto bene il “Super Martedì”, con tutti quegli Stati meridionali che votano. In questo momento, ad esempio, non vedo nessun altro che possa vincere in Georgia, se non Trump o Carson. Più probabilmente Trump.

9 – E a proposito dell’idea che il gruppo dirigente del Partito Repubblicano si coalizzi contro di lui o si unisca dietro un altro candidato come Rubio, è almeno altrettanto probabile che essa si ritorca contro, anziché funzionare. E anche se funzionasse, cosa può impedire a Trump di correre come indipendente?

Proprio così. C’è un partito la cui agenda politica consiste nel gridare “tribunali della morte!” [1], la cui agenda di politica estera consiste nel gridare “Bengasi!” [2], e ora ci si aspetterebbe che la sua basa comprenda che Trump non è serio. O, per metterla un po’ diversamente, la definizione che di questi tempi viene fornita di un candidato del gruppo dirigente del Partito Repubblicano è quella di uno che ci sappia fare con gli imbrogli, e sappia che i suoi colleghi stanno dicendo cosa prive di senso. Ci si aspetta che gli elettori delle primarie si attengano a questo?

 

[1] É una delle accuse verso la riforma sanitaria, che darebbe ai burocrati della sanità il potere di interrompere le cure più estreme.

[2] Questa è invece la propaganda contro la Clinton, ritenuta responsabile dell’atto di terrorismo che accadde nella cittadina libica, con l’uccisione del Console degli Stati Uniti.

 

 

 

Sono le banche il problema dell’Europa? (21 novembre 2015)

novembre 24, 2015

 

Nov 21 3:50 pm

Are Banks Europe’s Problem?

For those of us who worried a lot about Japan in the late 1990s and now find the whole advanced world facing similar problems, deja vu comes so often that we get deja vu about getting deja vu. A case in point is the rise and fall of European bank-blaming — that is, the argument that the weakness of banks is what’s holding European recovery back.

At FtAlphaville, Matthew Klein looks at the evidence, and is surprised to find that there’s little support for the bad-banks-did-it story, even though everyone repeats it. But look back at my 1998 BPEA on Japan, which is more or less where I came in. Back then it was almost universally insisted that the failure of monetary base expansion to filter through into bank lending showed that a dysfunctional banking system was the core of Japan’s problem. But I argued (154-158) that the nonresponse of monetary aggregates was exactly what you should expect in a liquidity trap, and that there was little evidence (174-177) that banking problems were actually central to the economy’s weakness.

So, deja vu all over again, all over again.

 

Sono le banche il problema dell’Europa?

Per coloro tra noi che si preoccupavano molto del Giappone sulla fine degli anni ’90 ed ora trovano che l’intero mondo avanzato sta di fronte a problemi simili, il deja vu si presenta così spesso, che abbiamo dei deja vu riguardo all’avere i deja vu. Un caso del genere è l’ascesa e la caduta del dare la colpa alle banche europee – ovvero, l’argomento secondo il quale la debolezza delle banche è quella che sta trattenendo la ripresa europea.

Sul blog Alphaville del Financial Times, Matthew Klein esamina le prove, ed è sorpreso di scoprire che c’è poco sostegno al racconto secondo il quale ‘le cattive banche sono responsabili di tutto’, anche se ognuno lo ripete. Ma si legga il mio studio per i Brookings Paper del 1998 sul Giappone, che è più o meno l’occasione nella quale avanzai le mie tesi [1]. Prima di allora si pretendeva quasi universalmente che l’incapacità della espansione della base monetaria a filtrare nei prestiti bancari dimostrava che il malfunzionante sistema bancario era il cuore del problema giapponese. Ma io sostenevo (pagine 154-158) che la mancata risposta degli aggregati monetari era esattamente quello che ci si doveva aspettare in una trappola di liquidità, e che c’erano poche prove (pagine 174-177) che i problemi bancari fossero effettivamente centrali nella debolezza dell’economia.

Dunque, deja vu ancora una volta, da capo.

 

[1] Penso che “came in” stia per “entrai in gioco”. I Brookings paper, in questo caso, fu la presentazione di un ampio studio di Krugman, in un dibattito nel quale esso venne commentato, tra gli altri, da Kenneth Rogoff.

 

 

 

Lo Zombi dell’austerità espansiva (dal blog di Krugman, 20 novembre 2015)

novembre 21, 2015

 

Nov 20 12:32 pm

The Expansionary Austerity Zombie

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The doctrine of expansionary austerity — the proposition that cuts in government spending would actually cause higher growth despite their direct negative impact on demand, thanks to the confidence fairy — was all the rage in policy circles five years ago. But it brutally failed the reality test; instead, the evidence pointed overwhelmingly to the continued existence of something very like the old-fashioned Keynesian multiplier.

But expansionary austerity was and is such a convenient doctrine politically that, like insistence on the magical effects of tax cuts, it has proved unkillable. Every economic uptick in an economy that practiced austerity in the past is trumpeted as proof that Keynesians were wrong and the austerians were right; never mind distinctions between levels and rates of change, or the fact that even the most Keynesian economists never asserted that fiscal policy is the *only* determinant of growth. (Animal spirits, anyone?) And in a predictable case of projection, anyone presenting the evidence gets accused of cherry-picking the data.

It’s never going to be possible to kill this zombie once and for all. But mainly for my own sake, I decided to provide a somewhat new take on the evidence.

The figure above covers the period from 2007 to 2015. This is a break from my previous efforts, which tended to start from 2009, just before the big austerity drive began.

On the horizontal axis I show an estimate of fiscal tightening, as measured by the IMF’s estimate of the cyclically adjusted primary balance (i.e., excluding interest payments) as a percentage of GDP. I have some doubts about that measure; in particular, the Fund’s method for estimating potential GDP tends to make pre-crisis economies look much more overheated than they probably were, and hence to make their structural budget position look worse; I think this is especially distorting in the case of Ireland, which has not in reality done more austerity than Greece. But in the interest of clarity, I’m just using the numbers as given.

Meanwhile, on the vertical axis I show, not the raw change in GDP, but the deviation of real GDP from what the IMF was projecting before the crisis. I derive the latter from the economic projections in the April 2008 World Economic Outlook, which went out to 2013; I assumed that projected growth 2007-2013 was expected to continue for two more years to get 2015 estimates.

What you see is a clear negative relationship between austerity and growth — actually an implied multiplier of almost 2. You also see some countries clearly experiencing other issues besides the effects of austerity. Ireland has done badly, but not as badly as you might have expected given the measured fiscal tightening (but see the discussion above.) Finland has done very badly despite mild austerity; the collapse of Nokia and the problems of forest products did the job there. The same is true of Spain, afflicted by the collapse of its mammoth housing bubble.

But the data continue to show an overwhelmingly Keynesian effect of fiscal policy. It take a lot of effort to see anything different in the evidence.

 

Lo Zombi dell’austerità espansiva

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La dottrina dell’austerità espansiva – il concetto che i tagli alla spesa pubblica provocherebbero effettivamente una crescita più elevata nonostante il loro diretto effetto negativo sulla domanda, grazie alla ‘fata della fiducia’ – cinque anni fa era di gran moda. Ma inciampò brutalmente sulla verifica di realtà; i fatti, piuttosto, indicarono in modo schiacciante la perdurante esistenza di qualcosa di molto simile al moltiplicatore keynesiano di vecchia concezione.

Ma l’austerità espansiva era ed è una dottrina politicamente così conveniente che, al pari della insistenza sugli effetti magici degli sgravi fiscali, si è dimostrata insopprimibile. Ogni lieve rialzo in un’economia che aveva messo in pratica l’austerità è stato strombazzato come la prova che i keynesiani avevano torto e i filoausteri ragione; non contava la distinzione tra livelli e tassi di cambiamento, o il fatto che persino gli economisti più keynesiani non avevano mai sostenuto che la politica della finanza pubblica fosse l’unica determinante della crescita (ricorda qualcuno gli “spiriti animali”?) [1]. E in un caso prevedibile di previsione, chiunque presentasse le prove veniva accusato di scegliere artatamente i dati.

Ammazzare questi zombi una volta per tutte, non è destinato ad accadere. Ma principalmente per mia soddisfazione, ho deciso di fornire un qualche nuovo punto di vista sulle prove.

La tabella sopra riguarda il periodo tra il 2007 ed il 2015. Si tratta di un cambiamento rispetto i miei sforzi precedenti, che tendevano a partire dal 2009, proprio prima della entrata in funzione della grande austerità.

Sull’asse orizzontale mostro una stima della restrizione della finanza pubblica in percentuale sul PIL, così come misurata dalle valutazioni del FMI sull’equilibrio primario corrette per il ciclo economico (ovvero, con l’esclusione del pagamento degli interessi). Io ho qualche dubbio su quella misurazione; in particolare, il metodo del Fondo per la stima del PIL potenziale tende a far apparire le economie prima della crisi molto più surriscaldate di quello che probabilmente erano, e di conseguenza a far apparire peggiore la loro condizione strutturale di bilancio; io penso che questo sia in particolare nel caso dell’Irlanda, che in realtà non ha avuto maggiore austerità della Grecia. Ma, nell’interesse della chiarezza, sto solo utilizzando i dati come forniti.

Nel contempo, mostro sull’asse verticale non il mutamento grezzo del PIL, ma la deviazione del PIL reale da ciò che il FMI prevedeva prima della crisi. Derivo quest’ultima dalle previsioni economiche dell’aprile 2008 del World Economic Outlook, che arrivavano sino al 2013; ho assunto che ci si aspettasse che la crescita prevista 2007-2013 continuasse per due anni ulteriori, per ottenere le stime del 2015.

Quello che osservate è una chiara relazione negativa tra austerità e crescita – che effettivamente implica un moltiplicatore pari circa a 2. Vedete anche che alcuni paesi stanno chiaramente facendo esperienza di altri temi, oltre agli effetti dell’austerità. L’Irlanda ha avuto risultati negativi, ma non così negativi come ci si sarebbe aspettati sulla base della restrizione accertata della finanza pubblica (ma si veda il chiarimento precedente). La Finlandia ha avuto risultati molto negativi nonostante una leggera austerità; il collasso di Nokia e i problemi del settore forestale, in questo caso, provocano quell’effetto. Lo stesso è vero per la Spagna afflitta dal collasso della sua gigantesca bolla immobiliare.

Ma i dati continuano a mostrare uno schiacciante effetto keynesiano della politica della finanza pubblica. Ci vuole molto sforzo per leggere qualcosa di diverso nelle prove.

 

 

[1] Mi pare che voglia dire che neanche per i keynesiani si tratta semplicemente e soltanto di quantità della spesa pubblica; contano certamente anche le aspettative, che Keynes non attribuiva alle fate della fiducia, ma alla intraprendenza produttiva e istintiva dei capitalisti.

 

 

 

Disperatamente alla ricerca di un consenso (20 novembre 2015)

novembre 21, 2015

 

Nov 20 12:01 pm

Desperately Seeking Consensus

The good people at Vox EU are engaged in a laudable effort to clear the ground for euro reform, starting with the formulation of a “consensus narrative” about the origins of the euro crisis. This is a very good idea: How you think about the past plays a very large role in how you think about what should be done next.

Furthermore, their narrative looks very right to me. No, the EZ crisis wasn’t about fiscal irresponsibility, or failure to undertake structural reforms, or the debilitating effects of the welfare state, or any of the other stories floated by motivated reasoners. It was a “sudden stop” crisis, in which vast capital flows into peripheral economies came to an abrupt halt, precipitating severe hardship largely thanks to the ; fiscal issues were a consequence, not a cause, of this financial harrowing.

But can they actually get the consensus they seek? It’s definitely worth trying. It’s obvious, however, that a lot of people inside and outside the eurozone have strong vested interests in other narratives. Will German officials stop insisting that it’s all about fiscal profligacy? Will Osborne & Co., or for that matter U.S. fiscal scolds, accept a narrative in which membership in the euro was a crucial element of the debacle, undermining their warnings that the UK or the US will turn into Greece, Greece I tell you unless we adopt austerity now now now?

I have my doubts, to say the least.

 

Disperatamente alla ricerca di un consenso

La brava gente di Vox EU è impegnata in uno sforzo lodevole per chiarire le basi di una riforma dell’euro, partendo con la formulazione di un “consenso narrativo” sulle origini della crisi dell’euro. Questa è un’ottima idea: il modo in cui si riflette sul passato gioca un ruolo molto grande sul modo in cui si riflette su ciò che dovrebbe essere fatto prossimamente.

Inoltre, la loro narrativa mi sembra molto giusta. No, la crisi dell’eurozona non riguardò l’irresponsabilità nella finanza pubblica, o il non aver intrapreso le riforme strutturali, o gli effetti debilitanti degli stati assistenziali, o tutte le altre storie che sono state proposte da pensatori interessati. É stata la crisi da “blocco improvviso”, nella quale ampi flussi di capitali verso le economie periferiche arrivarono ad un brutale arresto, precipitando in gravi difficoltà in gran parte grazie a ciò; i temi della finanza pubblica furono una conseguenza, di questa esperienza finanziaria tormentosa.

Ma potranno effettivamente ottenere il consenso che cercano? Certamente, merita provarci. É evidente, tuttavia, che un quantità di altre persone dentro e fuori l’eurozona hanno forti interessi personali ad altri racconti. I dirigenti tedeschi la smetteranno di ribadire che si è trattato soltanto di sperpero delle finanze pubbliche? Osborne & compagnia, o nello stesso senso la Cassandre della finanza pubblica degli Stati Uniti, accetteranno un racconto per il quale l’appartenenza all’euro fu una componente cruciale della debacle, scalzando i loro ammonimenti secondo i quali il Regno Unito o gli Stati Uniti sarebbero diventati nientedimeno che come la Grecia, se non avessero adottato l’austerità senza un minuto da perdere?

Il minimo che posso dire è che ho i miei dubbi.

 

 

 

 

Terroristi e alieni (17 novembre 2015)

novembre 19, 2015

 

Nov 17 10:25 am

Terrorists and Aliens

The Great Depression wasn’t ended by the intellectual victory of Keynesian economics; in fact, the publication of The General Theory was followed by the great mistake of 1937, when FDR tried to balance the budget too soon and send the U.S. economy into a severe recession. What put a decisive end to the slump was World War II, which led to deficit spending on a scale that was politically impossible before.

This story is what led me to facetiously suggest that we fake a threat from space aliens, to provide a politically acceptable cover for stimulus.

Now France has been attacked, unfortunately by real terrorists instead of fake aliens, and Hollande is declaring that security must take precedence over austerity. Is this the start of something big?

OK, obligatory disclaimer that will do no good in the face of the stupidity. I am NOT saying that terrorism is a good thing, just as those of us who point to wartime fiscal stimulus aren’t saying that World War II was a good thing. (Don’t kill baby Hitler — we need him to justify stimulus!) We’re just trying to think through some side effects of the atrocity.

The question we should ask is whether the fiscal indiscipline caused by jihadists will make a significant difference to French performance.

Well, my guess is that the numbers will probably be too small. U.S. defense and security spending rose by around 2 percent of GDP after 9/11 — but that involved a much bigger military buildup than France is likely to undertake, plus the Iraq War. More likely we’re looking at fraction of a percent of GDP, which is small compared with the austerity Europe has imposed. Unless the French response is much bigger than I’m imagining, the impact on growth won’t be large.

 

Terroristi e alieni

La Grande Depressione non terminò per la vittoria intellettuale dell’economia keynesiana; di fatto, la pubblicazione de La Teoria Generale fu seguita dal grande errore del 1937, quando Franklin Delano Roosevelt cercò di mettere troppo presto in equilibrio il bilancio e mandò l’economia degli Stati Uniti in una grave recessione. Quello che provocò la fine definitiva della recessione fu la Seconda Guerra Mondiale, che portò la spesa in deficit a dimensioni che erano politicamente impossibili in precedenza.

Questa storia mi aveva indotto a suggerire scherzosamente che avremmo dovuto fingere una minaccia di alieni dallo spazio, in modo da fornire una copertura politicamente accettabile per le misure di sostegno.

Ora la Francia è stata attaccata, sfortunatamente da veri terroristi anziché da falsi alieni, e Hollande sta dichiarando che la sicurezza deve avere la precedenza sull’austerità. Si tratta dell’avvio di qualcosa di rilevante?

Anzitutto, una obbligatoria dichiarazione di non responsabilità, che del resto sarà inutile a fronte della stupidità. Io NON sto dicendo che il terrorismo sia una buona cosa, come quelli tra noi che indicano lo stimolo della spesa pubblica in tempo di guerra non intendono dire che la Seconda Guerra Mondiale sia stata una buona cosa (non ammazzate il piccolo Hitler – abbiamo bisogno di lui per giustificare lo stimolo! [1]). Stiamo solo cerando di riflettere su alcuni effetti collaterali dell’atrocità.

La domanda che dovremmo porci è se l’indisciplina nella finanza pubblica provocata dai jihadisti farà una differenza significativa nelle prestazioni francesi.

Ebbene, la mia impressione è che i numeri probabilmente saranno troppo piccoli. Dopo l’undici settembre la spesa per la difesa e la sicurezza negli Stati Uniti è cresciuta di circa il 2 per cento del PIL – ma essa riguardava un apparato militare molto più grande di quello che la Francia è probabile intraprenda, in aggiunta alla guerra in Iraq. É più probabile che ci si stia riferendo ad una frazione di punto percentuale del PIL, che è piccola cosa a confronto dell’austerità che l’Europa ha imposto. Se la risposta della Francia non sarà molto più grande di quello che sto immaginando, l’impatto sulla crescita non sarà ampio.

 

[1] Probabilmente si riferisce alle recenti posizioni del repubblicano Rubio, che ripete che l’Islam radicale – e non i jihadisti – sono gli Hitler odierni.

 

 

 

In costui la “Farsa” è notevole (17 novembre 2015)

novembre 19, 2015

 

Nov 17 7:51 am

The Farce Is Strong In This One

And that one, and that one, and, well, across the board.

It took no time at all for the right-wing response to the Paris attacks to turn into a vile caricature that has me feeling nostalgic for the restraint and statesmanship of Donald Rumsfeld and Dick Cheney.

Marco Rubio says that we have to denounce radical Islam — as opposed to jihadists — because of Hitler; after all, making Islam the rhetorical equivalent of Nazism is just the right thing to win support from the world’s 1.6 billion Muslims.

Niall Ferguson says that a terrorist attack on a couple of sites in a huge modern metropolis by a small number of gunmen is just like the sack of Rome by the Goths.

Hugh Hewitt thinks that taking an Obama remark totally out of context will convince anyone except the right-wing base that the man who hunted down Osama bin Laden has been an anti-American terrorist sympathizer all along.

I’ve deliberately selected people who are sometimes portrayed as moderate, smart, or both. This is what the reasonable wing of the modern right looks like.

 

In costui la “Farsa” è notevole [1]

Ebbene, anche in quello, in quell’altro e un po’ dappertutto.

Non c’è affatto voluto tempo perché la risposta della destra agli attacchi di Parigi si trasformasse in una meschina caricatura che mi fa provare nostalgia per la compostezza e la statura di uomini di Stato come Donald Rumsfeld e Dick Cheney.

Marco Rubio dice che si deve denunciare l’Islam radicale – e non gli jihadisti – per via di Hitler; dopo tutto, fare dell’Islam l’equivalente retorico del nazismo è proprio la cosa giusta per ottenere il sostegno del miliardo e 600 milioni di musulmani nel mondo.

Niall Ferguson dice che un attacco terrorista su un paio di siti in una grande metropoli moderna da parte di un piccolo numero di armati è proprio come il sacco di Roma da parte dei Goti.

Hugh Hewitt pensa che prendere una osservazione di Obama del tutto fuori dal suo contesto convincerà tutti, aldilà della base repubblicana, che l’uomo che ha stanato Osama bin Laden è stato da sempre un simpatizzante terrorista anti-americano.

Ho scelto deliberatamente persone che talvolta sono presentate come moderate, intelligenti, o entrambe le cose. Questo è quello cui l’ala ragionevole della destra moderna assomiglia.

 

 

[1] Una regola che consiglio nel tradurre Krugman, se non avete passioni e cultura fantascientifiche, quando vi imbattete in titoli che vi sembrano stravaganti, è quella di cercare (Wikipedia!) se non vi sia qualcosa di simile nelle serie di Guerre Stellari. In questo caso, “The Force is strong with this one” (“La Forza è grande in costui”), si tratta di una frase topica. La Forza è il “potere vincolante, metafisico ed onnipresente” della saga televisiva. Ma qua è diventata “la Farsa”.

 

zz 8

 

 

 

 

 

 

 

 

Illusioni serie (16 novembre 2015)

novembre 19, 2015

 

Nov 16 1:40 pm

Serious Delusions

Greg Sargent mocks pundits declaring that the attacks in Paris will finally convince Republican primary voters that they need to get serious, and deflate the Trump/Carson bubble. This time it will really happen!

Or not.

As Sargent says, these pundits have been wrong again and again — and with holidays coming up and then the start of actual voting, there isn’t much time for bubble-deflation left. But there’s more.

For one thing, who exactly are the serious candidates on national security? Jeb!, who thinks that a relative handful of terrorists can destroy the West, one rock concert at a time? Rubio, who mumbled something about a clash of civilizations?

For another, pretty much the same people claiming that it’s time to get serious are attacking Democrats for … not using the right catchphrases, out of petty concerns like trying not to insult a whole religion. Say it loud and proud: radicalIslamradicalIslamradicalIslam. See? Terrorism defeated.

Finally, remember how we got serious after 9/11?

Given what we’ve seen in the past, this might even favor Trump, who can yell “You’re fired!” at the terrorists, or Carson, who might be able to defeat them with the help of Klingon Jesus.

Update: A reminder of how knowledgable Bush and Rubio are about foreign policy — remember Chang, the mystic warrior?

Illusioni serie

Greg Sargent ironizza sugli esperti che dichiarano che gli attacchi a Parigi convinceranno finalmente gli elettori delle primarie americane che hanno bisogno di diventare seri e di sgonfiare la bolla dei Trump e dei Carson. Questa volta accadrà veramente!

O forse no.

Come dice Sargent, questi commentatori hanno avuto torto ripetutamente – e con le vacanze in arrivo e poi con la partenza delle votazioni effettive, non resta molto tempo per sgonfiare la bolla. Ma c’è di più.

Da una parte, chi sono esattamente i candidati seri sulla sicurezza nazionale? Jeb Bush, che pensa che grosso modo una manciata di terroristi può distruggere l’Occidente, un concerto rock alla volta? Rubio, che ha borbottato qualcosa su un conflitto di civiltà?

D’altra parte, praticamente le stesse persone che sostengono che è tempo di essere seri stanno attaccando i democratici perché …. non stanno usando gli slogan giusti, non stanno superando le futili preoccupazioni come quella di cercare di non insultare una religione intera. Ditelo alto e forte: islamradicaleislamradicaleislamradicale. Vedete? Il terrorismo è sconfitto.

Infine, ricordate come diventammo seri dopo l’undici settembre?

Considerato quello che abbiamo visto nel passato, questo potrebbe persino favorire Trump, che può strillare ai terroristi “Siete bruciati!”, oppure Carson, che sarebbe capace di sconfiggerli con l’aiuto del Gesù dei Klingon [1].

Aggiornamento: un promemoria su quanto siano esperti di politica estera Bush e Rubio – vi ricordate Chang, il combattente esemplare? [2]

 

[1] Un razza aliena della serie televisiva di Star Treck. Pare che fosse dotata anch’essa di un Salvatore, secondo alcuni Gesù stesso, tanto che nella connessione compare un ritratto tra il Gesù dei Klingon e Ben Carson. Mi scuso, ma lo riferisco solo per precisione informativa.

[2] Una papera storica di Jeb Bush, della quale si racconta nel post “Non so molto di storia, versione Jeb Bush” del 14 giugno 2015, qua tradotto.

 

 

 

La paura e gli amici (15 novembre 2015)

novembre 19, 2015

 

Nov 15 12:37 pm

Fear and Friends

The news from Paris was horrifying, and deserved a break in the usual round of commentary, but surely nobody who has been paying attention was completely shocked. We know that there are jihadists out there, and even the best efforts at prevention will fail sometimes. We’ll have to see how this fairly elaborate plot went undetected, but really nothing about the story so far suggests that it should fundamentally change how we see the world.

We also knew that the usual suspects would react badly — but there, I think, there has been a surprise on the downside. As far as I can tell, nobody in the GOP field wants to say anything positive about the strength of Western democracy, or make a remark about the nature of a cause that has nothing going for it except the ability to kill innocent civilians. Instead, we have Jeb! insisting that we’re looking at a plan to destroy Western civilization, and Ted Cruz declaring that what we need to do is abandon our own scruples about killing innocent bystanders. Seize the moral high ground!

Meanwhile, the Democrats had a bizarrely rational and well-informed debate. By today’s standards, that’s positively un-American.

 

La paura e gli amici

Le notizie da Parigi sono spaventose e meritano una interruzione nella normale sequenza dei commenti, ma è certo che nessuno che avesse prestato attenzione è rimasto completamente scioccato. Sappiamo che ci sono jihadisti in circolazione, e che persino i migliori sforzi di prevenzione talvolta non funzionano. Dovremo capire perché questo discretamente elaborato complotto è passato inosservato, ma in realtà niente di questa storia sinora suggerisce che dovremmo cambiare alla radice il modo in cui vediamo il mondo.

Sapevamo anche che i soliti noti avrebbero reagito in modo inaccettabile – ma qua, io penso, c’è stata una sorpresa in senso negativo. Per quanto ne so, nessuno nel campo del Partito repubblicano intende dire qualcosa di positivo sulla forza della democrazia dell’Occidente, o fare una osservazione sulla natura di una causa che non ci dice niente se non della capacità di ammazzare civili innocenti. Invece, abbiamo Jeb Bush che ripete che stiamo assistendo ad un piano per distruggere la civiltà occidentale, e Ted Cruz che dichiara che quello di cui abbiamo bisogno è abbandonare i nostri scrupoli nell’ammazzare passanti innocenti. Afferrate l’elevato fondamento morale!

Nel frattempo, i democratici hanno una discussione curiosamente razionale e bene informata. Per gli standard odierni, ciò è positivamente non-americano.

 

 

 

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