Nov 17 10:25 am
The Great Depression wasn’t ended by the intellectual victory of Keynesian economics; in fact, the publication of The General Theory was followed by the great mistake of 1937, when FDR tried to balance the budget too soon and send the U.S. economy into a severe recession. What put a decisive end to the slump was World War II, which led to deficit spending on a scale that was politically impossible before.
This story is what led me to facetiously suggest that we fake a threat from space aliens, to provide a politically acceptable cover for stimulus.
Now France has been attacked, unfortunately by real terrorists instead of fake aliens, and Hollande is declaring that security must take precedence over austerity. Is this the start of something big?
OK, obligatory disclaimer that will do no good in the face of the stupidity. I am NOT saying that terrorism is a good thing, just as those of us who point to wartime fiscal stimulus aren’t saying that World War II was a good thing. (Don’t kill baby Hitler — we need him to justify stimulus!) We’re just trying to think through some side effects of the atrocity.
The question we should ask is whether the fiscal indiscipline caused by jihadists will make a significant difference to French performance.
Well, my guess is that the numbers will probably be too small. U.S. defense and security spending rose by around 2 percent of GDP after 9/11 — but that involved a much bigger military buildup than France is likely to undertake, plus the Iraq War. More likely we’re looking at fraction of a percent of GDP, which is small compared with the austerity Europe has imposed. Unless the French response is much bigger than I’m imagining, the impact on growth won’t be large.
Terroristi e alieni
La Grande Depressione non terminò per la vittoria intellettuale dell’economia keynesiana; di fatto, la pubblicazione de La Teoria Generale fu seguita dal grande errore del 1937, quando Franklin Delano Roosevelt cercò di mettere troppo presto in equilibrio il bilancio e mandò l’economia degli Stati Uniti in una grave recessione. Quello che provocò la fine definitiva della recessione fu la Seconda Guerra Mondiale, che portò la spesa in deficit a dimensioni che erano politicamente impossibili in precedenza.
Questa storia mi aveva indotto a suggerire scherzosamente che avremmo dovuto fingere una minaccia di alieni dallo spazio, in modo da fornire una copertura politicamente accettabile per le misure di sostegno.
Ora la Francia è stata attaccata, sfortunatamente da veri terroristi anziché da falsi alieni, e Hollande sta dichiarando che la sicurezza deve avere la precedenza sull’austerità. Si tratta dell’avvio di qualcosa di rilevante?
Anzitutto, una obbligatoria dichiarazione di non responsabilità, che del resto sarà inutile a fronte della stupidità. Io NON sto dicendo che il terrorismo sia una buona cosa, come quelli tra noi che indicano lo stimolo della spesa pubblica in tempo di guerra non intendono dire che la Seconda Guerra Mondiale sia stata una buona cosa (non ammazzate il piccolo Hitler – abbiamo bisogno di lui per giustificare lo stimolo! [1]). Stiamo solo cerando di riflettere su alcuni effetti collaterali dell’atrocità.
La domanda che dovremmo porci è se l’indisciplina nella finanza pubblica provocata dai jihadisti farà una differenza significativa nelle prestazioni francesi.
Ebbene, la mia impressione è che i numeri probabilmente saranno troppo piccoli. Dopo l’undici settembre la spesa per la difesa e la sicurezza negli Stati Uniti è cresciuta di circa il 2 per cento del PIL – ma essa riguardava un apparato militare molto più grande di quello che la Francia è probabile intraprenda, in aggiunta alla guerra in Iraq. É più probabile che ci si stia riferendo ad una frazione di punto percentuale del PIL, che è piccola cosa a confronto dell’austerità che l’Europa ha imposto. Se la risposta della Francia non sarà molto più grande di quello che sto immaginando, l’impatto sulla crescita non sarà ampio.
[1] Probabilmente si riferisce alle recenti posizioni del repubblicano Rubio, che ripete che l’Islam radicale – e non i jihadisti – sono gli Hitler odierni.
novembre 19, 2015
Nov 17 7:51 am
And that one, and that one, and, well, across the board.
It took no time at all for the right-wing response to the Paris attacks to turn into a vile caricature that has me feeling nostalgic for the restraint and statesmanship of Donald Rumsfeld and Dick Cheney.
Marco Rubio says that we have to denounce radical Islam — as opposed to jihadists — because of Hitler; after all, making Islam the rhetorical equivalent of Nazism is just the right thing to win support from the world’s 1.6 billion Muslims.
Niall Ferguson says that a terrorist attack on a couple of sites in a huge modern metropolis by a small number of gunmen is just like the sack of Rome by the Goths.
Hugh Hewitt thinks that taking an Obama remark totally out of context will convince anyone except the right-wing base that the man who hunted down Osama bin Laden has been an anti-American terrorist sympathizer all along.
I’ve deliberately selected people who are sometimes portrayed as moderate, smart, or both. This is what the reasonable wing of the modern right looks like.
In costui la “Farsa” è notevole [1]
Ebbene, anche in quello, in quell’altro e un po’ dappertutto.
Non c’è affatto voluto tempo perché la risposta della destra agli attacchi di Parigi si trasformasse in una meschina caricatura che mi fa provare nostalgia per la compostezza e la statura di uomini di Stato come Donald Rumsfeld e Dick Cheney.
Marco Rubio dice che si deve denunciare l’Islam radicale – e non gli jihadisti – per via di Hitler; dopo tutto, fare dell’Islam l’equivalente retorico del nazismo è proprio la cosa giusta per ottenere il sostegno del miliardo e 600 milioni di musulmani nel mondo.
Niall Ferguson dice che un attacco terrorista su un paio di siti in una grande metropoli moderna da parte di un piccolo numero di armati è proprio come il sacco di Roma da parte dei Goti.
Hugh Hewitt pensa che prendere una osservazione di Obama del tutto fuori dal suo contesto convincerà tutti, aldilà della base repubblicana, che l’uomo che ha stanato Osama bin Laden è stato da sempre un simpatizzante terrorista anti-americano.
Ho scelto deliberatamente persone che talvolta sono presentate come moderate, intelligenti, o entrambe le cose. Questo è quello cui l’ala ragionevole della destra moderna assomiglia.
[1] Una regola che consiglio nel tradurre Krugman, se non avete passioni e cultura fantascientifiche, quando vi imbattete in titoli che vi sembrano stravaganti, è quella di cercare (Wikipedia!) se non vi sia qualcosa di simile nelle serie di Guerre Stellari. In questo caso, “The Force is strong with this one” (“La Forza è grande in costui”), si tratta di una frase topica. La Forza è il “potere vincolante, metafisico ed onnipresente” della saga televisiva. Ma qua è diventata “la Farsa”.
novembre 19, 2015
Nov 16 1:40 pm
Greg Sargent mocks pundits declaring that the attacks in Paris will finally convince Republican primary voters that they need to get serious, and deflate the Trump/Carson bubble. This time it will really happen!
Or not.
As Sargent says, these pundits have been wrong again and again — and with holidays coming up and then the start of actual voting, there isn’t much time for bubble-deflation left. But there’s more.
For one thing, who exactly are the serious candidates on national security? Jeb!, who thinks that a relative handful of terrorists can destroy the West, one rock concert at a time? Rubio, who mumbled something about a clash of civilizations?
For another, pretty much the same people claiming that it’s time to get serious are attacking Democrats for … not using the right catchphrases, out of petty concerns like trying not to insult a whole religion. Say it loud and proud: radicalIslamradicalIslamradicalIslam. See? Terrorism defeated.
Finally, remember how we got serious after 9/11?
Given what we’ve seen in the past, this might even favor Trump, who can yell “You’re fired!” at the terrorists, or Carson, who might be able to defeat them with the help of Klingon Jesus.
Update: A reminder of how knowledgable Bush and Rubio are about foreign policy — remember Chang, the mystic warrior?
Illusioni serie
Greg Sargent ironizza sugli esperti che dichiarano che gli attacchi a Parigi convinceranno finalmente gli elettori delle primarie americane che hanno bisogno di diventare seri e di sgonfiare la bolla dei Trump e dei Carson. Questa volta accadrà veramente!
O forse no.
Come dice Sargent, questi commentatori hanno avuto torto ripetutamente – e con le vacanze in arrivo e poi con la partenza delle votazioni effettive, non resta molto tempo per sgonfiare la bolla. Ma c’è di più.
Da una parte, chi sono esattamente i candidati seri sulla sicurezza nazionale? Jeb Bush, che pensa che grosso modo una manciata di terroristi può distruggere l’Occidente, un concerto rock alla volta? Rubio, che ha borbottato qualcosa su un conflitto di civiltà?
D’altra parte, praticamente le stesse persone che sostengono che è tempo di essere seri stanno attaccando i democratici perché …. non stanno usando gli slogan giusti, non stanno superando le futili preoccupazioni come quella di cercare di non insultare una religione intera. Ditelo alto e forte: islamradicaleislamradicaleislamradicale. Vedete? Il terrorismo è sconfitto.
Infine, ricordate come diventammo seri dopo l’undici settembre?
Considerato quello che abbiamo visto nel passato, questo potrebbe persino favorire Trump, che può strillare ai terroristi “Siete bruciati!”, oppure Carson, che sarebbe capace di sconfiggerli con l’aiuto del Gesù dei Klingon [1].
Aggiornamento: un promemoria su quanto siano esperti di politica estera Bush e Rubio – vi ricordate Chang, il combattente esemplare? [2]
[1] Un razza aliena della serie televisiva di Star Treck. Pare che fosse dotata anch’essa di un Salvatore, secondo alcuni Gesù stesso, tanto che nella connessione compare un ritratto tra il Gesù dei Klingon e Ben Carson. Mi scuso, ma lo riferisco solo per precisione informativa.
[2] Una papera storica di Jeb Bush, della quale si racconta nel post “Non so molto di storia, versione Jeb Bush” del 14 giugno 2015, qua tradotto.
novembre 19, 2015
Nov 15 12:37 pm
The news from Paris was horrifying, and deserved a break in the usual round of commentary, but surely nobody who has been paying attention was completely shocked. We know that there are jihadists out there, and even the best efforts at prevention will fail sometimes. We’ll have to see how this fairly elaborate plot went undetected, but really nothing about the story so far suggests that it should fundamentally change how we see the world.
We also knew that the usual suspects would react badly — but there, I think, there has been a surprise on the downside. As far as I can tell, nobody in the GOP field wants to say anything positive about the strength of Western democracy, or make a remark about the nature of a cause that has nothing going for it except the ability to kill innocent civilians. Instead, we have Jeb! insisting that we’re looking at a plan to destroy Western civilization, and Ted Cruz declaring that what we need to do is abandon our own scruples about killing innocent bystanders. Seize the moral high ground!
Meanwhile, the Democrats had a bizarrely rational and well-informed debate. By today’s standards, that’s positively un-American.
La paura e gli amici
Le notizie da Parigi sono spaventose e meritano una interruzione nella normale sequenza dei commenti, ma è certo che nessuno che avesse prestato attenzione è rimasto completamente scioccato. Sappiamo che ci sono jihadisti in circolazione, e che persino i migliori sforzi di prevenzione talvolta non funzionano. Dovremo capire perché questo discretamente elaborato complotto è passato inosservato, ma in realtà niente di questa storia sinora suggerisce che dovremmo cambiare alla radice il modo in cui vediamo il mondo.
Sapevamo anche che i soliti noti avrebbero reagito in modo inaccettabile – ma qua, io penso, c’è stata una sorpresa in senso negativo. Per quanto ne so, nessuno nel campo del Partito repubblicano intende dire qualcosa di positivo sulla forza della democrazia dell’Occidente, o fare una osservazione sulla natura di una causa che non ci dice niente se non della capacità di ammazzare civili innocenti. Invece, abbiamo Jeb Bush che ripete che stiamo assistendo ad un piano per distruggere la civiltà occidentale, e Ted Cruz che dichiara che quello di cui abbiamo bisogno è abbandonare i nostri scrupoli nell’ammazzare passanti innocenti. Afferrate l’elevato fondamento morale!
Nel frattempo, i democratici hanno una discussione curiosamente razionale e bene informata. Per gli standard odierni, ciò è positivamente non-americano.
novembre 19, 2015
Nov 13 3:44 pm
This post isn’t about what you think it’s about. I’m not talking about a looming coup; I’m talking about the problems facing political science, which — it recently occurred to me — are a bit like the problems facing macroeconomics after 2008.
First things first: I’m a big admirer of political science, and a fairly heavy consumer of the more quantitative end. Larry Bartels, McCarty/Poole/Rosenthal, Alan Abramowitz, Andrew Gelman, and more have helped shape my understanding of what is going on in this country; I get more out of any one of their papers than out of a whole election cycle’s worth of conventional horse-race punditry. Studying what actually happens in elections, as opposed to spinning tales based on a few up-close-and personal interviews, is definitely the way to go.
Yet I don’t think I’m being unfair in saying that so far this cycle the political scientists aren’t doing too well. In particular, standard models of how the nomination process works seem to be having trouble with the durability of clowns. Things don’t seem to be working the way they used to.
And this makes me think of the way some economic analysis went astray after 2008. In particular, I’m reminded of the way many fairly reasonable analysts underestimated the adverse effects of austerity. They looked at historical episodes, and this led them to expect around a half point of GDP contraction for every point of fiscal tightening. What actually seems to have happened was around three times that much.
Now, as it happens we know why — and some people (e.g., me) predicted this in advance: the conditions under which past austerity took place were different from the recent episode, in which monetary policy was constrained by the zero lower bound and unable to offset fiscal contraction. But the point was that the world had entered a different regime, in which historical relationships could be and were misleading.
And surely it’s not too much of a stretch to say that something equally or more fundamental has happened to US politics. Partisan divisions run deeper; establishment figures are widely distrusted; the GOP base has gone mad; and so on. History is just less of a guide than it used to be.
In the case of macroeconomics, fortunately, we had models that allowed us to make reasonably good predictions about how the regime would shift at the ZLB. If there’s anything comparable in political science, I don’t know about it (but would be happy to be enlightened.)
I’ll still take academic analysis over horserace punditry any day. But we really do know less than ever.
Il problema del cambiamento di regime nella politica americana
Questo post non riguarda quello che voi pensate. Non sto parlando di un “golpe” incombente; sto parlando dei problemi dinanzi ai quali si trova la scienza politica, i quali – mi è venuto in mente di recente – sono un po’ come i problemi con cui si è misurata la macroeconomia dopo il 2008.
Voglio dire in premessa: io sono un grande ammiratore della scienza politica ed un consumatore discretamente intenso della sua parte più basata sui dati quantitativi. Larry Bartels, McCarter/Poole/Rosenthal, Alan Abramowitz, Andrew Gelman ed altri hanno contribuito a formare la mia comprensione di quello che sta accadendo in questo paese; ho tratto di più da ognuno dei loro studi che non dal complessivo valore di un ciclo elettorale di commenti convenzionali sulla serrata competizione politica. Studiare quello che succede veramente in una elezione, anziché interpretare racconti basati su poche interviste intimistiche, è di sicuro la strada da seguire.
Eppure non penso di essere ingiusto se dico che sino a questo punto di questo ciclo elettorale, gli scienziati della politica non si sta comportando in modo brillante. In particolare, i modelli consueti su come il processo della scelta dei candidati opera, sembra aver problemi con la capacità di tenuta delle figure pagliaccesche. Non sembra che le cose stiano funzionando nel modo consueto.
E questo mi fa pensare al modo in cui qualche analisi economica è andata fuori strada dopo il 2008. In particolare, mi è tornato alla mente il modo in cui molti analisti abbastanza ragionevoli hanno sottostimato gli effetti negativi dell’austerità. Osservavano gli episodi storici, e questo li ha portati ad aspettarsi una contrazione di circa mezzo punto di PIL, per ogni punto di restrizione della finanza pubblica. Pare che quello che è effettivamente accaduto sia stato circa tre volte tanto.
Ora, si dà il caso che ne conosciamo le ragioni – ed alcune persone (ad esempio, il sottoscritto) l’avevano previsto in anticipo: le condizioni sotto le quali la passata austerità si era manifestata erano diverse dall’episodio recente, nel quale la politica monetaria era condizionata dal limite inferiore dello zero (dei tassi di interesse) ed era incapace di bilanciare la contrazione della finanza pubblica. Ma il punto è stato che il mondo è entrato in un diverso regime, nel quale le relazioni storiche potevano essere e sono state fuorvianti.
E certamente non è una estensione indebita affermare che qualcosa di egualmente, o ancora di più, fondamentale è accaduto con la politica degli Stati Uniti. Le divisioni di parte operano più nel profondo; le personalità dei gruppi dirigenti sono ampiamente oggetto di diffidenza; la base del Partito Repubblicano è uscita di senno, e così via. I precedenti storici non sono proprio più una guida come accadeva in passato.
Nel caso delle macroeconomia, fortunatamente, avevamo modelli che ci consentivano di fare previsioni ragionevolmente buone su come il regime, al livello inferiore dello zero dei tassi di interesse, si sarebbe modificato. Se esiste qualcosa di analogo nella scienza politica, io non lo conosco (ma sarei felice di essere illuminato).
Continuo a sorbirmi quotidianamente analisi accademiche degli esperti sulla competizione elettorale. Ma ne sappiamo davvero meno che mai.
novembre 17, 2015
Nov 12 3:36 pm
One curious aspect of economic debate these past five years or so has been the extent to which people demanding fiscal austerity and/or higher interest rates rely on what I think of as spurious authority figures — people who are well-known for some reason that has nothing at all to do with expertise in the subject at hand. I remember being told that the deficit must be a terrible threat because Admiral Mullen, the chairman of the Joint Chiefs of Staff, said so; so, are we going to rely on Janet Yellen to set naval strategy?
William Cohan’s latest attack on easy money is another illustration of the genre. (Here’s my reaction to an earlier venture.) Rather than making a coherent argument against Ben Bernanke, Cohan appeals to authority:
[His view] is also shared by, among others, a diverse group of smart people such as David Stockman, the former budget director for President Reagan; Kevin Warsh, a former Fed governor whom Mr. Bernanke thanks in his new best-selling memoir “The Courage to Act”; and Stanley Druckenmiller, the billionaire former hedge fund manager.
OK, so we have someone who Ronald Reagan appointed to high office almost 35 years ago, and who has spent recent years incessantly warning against looming hyperinflation (Neil Irwin calls his book “spittle-filled“); someone George W. Bush appointed to the Fed board, with no known track record of insightful pronouncements on economics, but a fairly long history of warning that something bad will happen any day now from loose money; and a very rich investor who got out of the business after making a bad bet on interest rates. This is not what I’d call a particularly diverse group. But more to the point, two out of the three are prominent only because someone appointed them to office, and the third has achieved impressive stuff, but not in an area relevant to this discussion.
Look, in general you should argue based on logic and evidence, not authority figures, whenever possible. Sometimes there is technical detail that forces reliance on experts to summarize the evidence — but in that case you should cite experts in the relevant area, not people who are or were important for reasons that have nothing to do with the subject. Arguments from irrelevant authority are a sign that you don’t have a substantive case, you’re lazy, or both.
Argomenti da autorità non attinenti
Un aspetto curioso del dibattito economico di questi quasi cinque anni passati è stata la misura nella quale le persone che chiedono austerità nella finanza pubblica e/o tassi di interesse più elevati si basino su personalità di una autorevolezza che definirei spuria – persone che sono ben note per una qualche ragione che non ha niente a che fare con una competenza sul tema in oggetto. Ricordo che, essendomi stato detto che il deficit deve essere una minaccia terribile perché l’aveva detto l’Ammiraglio Mullen, che presiede i capi di Stato Maggiore delle Forze Armate, risposi in questo modo: saremo dunque costretti a basarci su Janet Yellen per definire la strategia navale?
L’ultimo attacco di William Cohan sulla moneta facile è un altro episodio del genere (in questa connessione la mia reazione all’azzardo precedente [1]). Anziché avanzare un argomento coerente contro Ben Bernanke, Cohan si appella all’autorità:
“[Il suo punto di vista} è anche condiviso, tra gli altri, da un gruppo vario di persone intelligenti come David Stockman, il passato direttore del Bilancio per il Presidente Reagan; Kevin Warsh, un passato Governatore della Fed che Bernanke ringrazia nelle sue nuovo libro memorie di grande successo “Il coraggio di agire”, e Stanley Druckenmiller, il miliardario già manager di un hedge fund”.
Perfetto, così abbiamo dunque un individuo che Ronald Reagan nominò ad una alta carica quasi 35 anni orsono, e che ha speso gli anni recenti a mettere incessantemente in guardia da una incombente iperinflazione (Neil Irwin definisce il suo libro una “diatriba sputacchiante” [2]); qualcuno che George W. Bush nominò nel Consiglio della Fed, senza alcun noto curriculum di illuminate prese di posizione sull’economia, ma con una storia abbastanza lunga di ammonimenti su quanto di negativo prima o poi sarebbe derivato dalla moneta facile, e un investitore molto ricco che se ne uscì dagli affari dopo aver fatto una pessima scommessa sui tassi di interesse. Non è quello che io definirei un gruppo particolarmente variegato. Ma, più nella sostanza, due dei tre sono persone di rilievo soltanto perché qualcuno li nominò ad un incarico, e la terza ha realizzato cose notevoli, ma in un settore che non attiene a questa discussione.
Si noti, in generale, ogni volta che è possibile, si dovrebbe argomentare sulla base della logica e dei fatti, non dei personaggi autorevoli. Talvolta c’è un dettaglio tecnico che costringe ad affidarsi agli esperti per sintetizzare le testimonianze – ma in quel caso dovreste citare esperti di un’area attinente, non persone che sono o sono state importanti per ragioni che non hanno niente a che fare con il tema in questione. Gli argomenti che derivano da autorità non attinenti sono un segno che non avete una argomentazione reale, che siete pigri, o di entrambe le cose.
[1] La connessione è con il post del 29 agosto 2015 dal titolo “Ottusità artificiale”, qua tradotto.
[2] L’espressione intera è nel commento di Irwin.
novembre 14, 2015
Nov 12 12:09 pm
Jeffrey Lacker, president of the Richmond Fed, is worried about inflation unless the Fed tightens quickly, ignoring the worriers. Here’s what he just said:
If we hope to keep inflation in check, we cannot be paralyzed by patches of lingering weakness.
Oh, wait: That’s what he said six years ago. It is, however, pretty much indistinguishable from what he is saying now.
It seems to me that this is a bit of much-needed context.
Essere un falco dell’inflazione significa non aver mai da dire che si è dispiaciuti
Jeffrey Lacker, Presidente della Fed di Richmond, è preoccupato per l’inflazione, se la Fed non andrà rapidamente ad una restrizione, fregandosene degli apprensivi. Ecco quello che ha detto esattamente:
“Se speriamo di tenere l’inflazione sotto scacco, non possiamo essere paralizzati da frammenti di persistente debolezza”.
Ma aspettate: questo era quello che disse sei anni orsono. Il che, tuttavia, è quasi del tutto indistinguibile da quello che dice adesso [1].
Mi pare che questo sia un po’ di contesto indispensabile.
[1] La prima presa di posizione di Lacker contro Bernanke apparve in un resoconto di Business Insider del 2 dicembre 2009. La seconda è apparsa sul New York Times del 12 novembre scorso.
novembre 14, 2015
Nov 11 7:14 am
So, if the Minneapolis Fed felt the need to maintain conservation of NK, they could have chosen to replace Narayana Kocherlakota with a New Keynesian. Instead, they chose Neel Kashkari. Brad DeLong isn’t happy, and this Twitter exchange suggests that he has good reason to worry.
I’ve written before about the all-too-common fallacy of confusing demand with supply, of arguing that because we had a bubble — so that some component of aggregate demand was unsustainable — the economy as a whole was somehow producing more than its potential. Let me just repeat what I said then:
Just a brief note: one thing that keeps appearing in comments is the notion that because we had a bubble, in which some people were borrowing too much, the economic growth of 2000-2007 wasn’t “real” — that it was all a figment of our imagination.
This is confusing demand with supply.
We really did produce all the goods and services counted in GDP; we were able to do that because we had willing workers, a sufficient capital stock, the right technology, and so on.
What is true is that some of the spending that created demand for those goods and services was debt-financed, and those debtors can’t continue to spend the way they did. But that doesn’t say that the capacity has somehow ceased to exist; it only says that if we want to keep the capacity in use, someone else has to spend instead. In other words, past growth wasn’t an illusion, or a fraud; but we need policies to sustain aggregate demand.
But now we are about to have a Fed president who says:
How’s this? Growth was artificially fast due to leveraging of econ. Trying to return to that rate thru def spend is futile.
In the words of Charlie Brown, AAUGH!
That word “artificially” is the real telltale, as is Kashkari’s description of Japanese monetary stimulus as “morphine.” It’s straight out of the liquidationist playbook, e.g. Hayek denouncing the use of “artificial stimulants” to fight the Great Depression.
So, great: we now have a liquidationist in a senior position in the Fed system.
Offerta, domanda e Neel Kashkari
Dunque, se la Fed di Minneapolis sentiva il bisogno di tener ferma la sigla “NK”, avrebbero potuto scegliere di rimpiazzare Narayana Kocherlakota con un Neo Keynesiano. Hanno invece scelto Neel Kashkari. Brad DeLong non è contento, e questo scambio su Twitter (in connessione) indica che ha buone ragioni di essere preoccupato.
Ho scritto in precedenza sull’errore anche troppo comune di confondere la domanda con l’offerta, di sostenere che poiché avevamo una bolla – dunque qualche componente della domanda aggregata era insostenibile – l’economia nel suo complesso stava in qualche modo producendo al di sopra del suo potenziale. Lasciatemi ripetere cosa dissi in quella occasione [1]:
“Solo una breve nota: una cosa che continua ad apparire nei commenti è il concetto che poiché abbiamo avuto una bolla, nella quale alcuni si stavano indebitando troppo, la crescita economica del 2000 – 2007 non era ‘reale’ – era tutto un parto della nostra immaginazione.
In questo modo si confonde la domanda con l’offerta.
Noi producevamo davvero tutti quei beni e servizi contabilizzati nel PIL; eravamo capaci di farlo perché avevamo lavoratori disponibili, le tecnologie giuste e via dicendo.
Quello che è vero è che una parte della spesa che era creata da quella domanda per beni e servizi era finanziata col debito, e quei debitori non possono continuare a spendere in quel modo. Ma questo non ci dice che la capacità produttiva in qualche modo ha cessato di esistere; ci dice soltanto che se vogliamo mantenere in funzione quella capacità, qualcun altro deve spendere in sostituzione. In altre parole, la crescita passata non era un’illusione o un inganno; ma abbiamo bisogno di politiche che sostengano la domanda aggregata”.
Ma adesso stiamo ragionando di un Presidente della Fed [2] che dice:
“Come accade? La crescita era artificialmente veloce a seguito della crescita dell’indebitamento dell’economia. Cercare di tornare a quel tasso attraverso la spesa in deficit è vano “ [3].
Per usare l’espressione di Charlie Brown, AAUGH! [4]
Quella parola “artificiale” è veramente indicativa, così come la definizione dello “stimulus” monetario giapponese come “morfina”. Viene direttamente dai programmi liquidazionisti, ad esempio da Hayek, che denunciava l’uso di “stimolanti artificiali” per combattere la Grande Depressione.
Dunque, una meraviglia: adesso abbiamo un liquidazionista in una posizione eminente nel sistema della Fed.
[1] Da un post del gennaio 2011, praticamente riproposto per intero.
[2] Si intende, un Presidente di una delle articolazioni statali o interstatali della Fed; in questo caso quella di Minneapolis.
[3] Suppongo che siano parole accorciate sullo stile di Twitter.
[4] Ovvero:
novembre 10, 2015
Nov 7 11:02 am
It’s been obvious for a while that Jeb! is toast. Last week, however, he became French toast: after making a crack about French work weeks that was completely wrong, he … apologized for the mistake. Fool! As National Review made clear, real men don’t admit to, let alone apologize for, errors:
Apologizing to the French will not score Bush any points with the GOP primary electorate. It may show he is a gentleman, but it also shows he lacks the killer instinct of his father and brother when they ran for president.
Hey, look at Ben Carson.
But in truth the French deserve an apology from a lot of American politicians and commentators. If you think that France is a nation where everyone is either lazy or unemployed, compared with hard-working America, you’re not just repeating a caricature, you’re repeating a caricature that’s many years out of date. The French do take more vacations than we do; but in their prime working years, they’re a lot more likely to be employed than we are:
OECD
Whenever I mention this fact, I get mail from people insisting that I must be wrong and demanding a correction. Even well-informed commentators seem to be underinformed on this point; for example, Justin Fox, while not wrong in what he says here, doesn’t seem aware that lower French overall labor force participation is entirely the result of early retirement and lower employment among the young — which in turn partly reflects students not having to work in college.
Of course, French employment success isn’t what is supposed to happen in a generous welfare state. And to be fair, the chart above may be as much a reflection of American failure as it is of French success. Still, people should know that their image of France, and Europe in general, is really, really wrong.
I ‘mangiatori di formaggi’ [1] e i posti di lavoro’
É da un po’ che è evidente che Jeb Bush è cotto. La scorsa settimana, tuttavia, lo è diventato nello stile francese [2]: dopo l’infortunio della affermazione sulle settimane di lavoro in Francia [3], che era del tutto sbagliata, …. egli si è scusato per l’errore. Pazzo! Come ha messo in chiaro National Review, gli uomini veri non ammettono gli errori, tantomeno si scusano:
“Scusarsi con i francesi non farà guadagnare nessun punto a Bush con l’elettorato delle primarie del Partito Repubblicano. In quel modo può dimostrare di essere un gentiluomo, ma dimostra anche di difettare dell’istinto omicida di suo padre e di suo fratello, quando erano in corsa per la presidenza”.
Che diamine, veda l’esempio di Ben Carson.
Ma in verità i francesi meritano le scuse da parte di molti uomini politici e commentatori americani. Se pensate che la Francia sia una nazione nella quale ognuno è sfaccendato o sottooccupato rispetto al lavoro duro in America, non solo state riproponendo una caricatura, ma la state riproponendo vecchia di molti anni. I francesi fanno più vacanze di noi, ma nel loro primo periodo lavorativo è assai più probabile che essi siano occupati che non da noi:
OCSE
Ogni volta che ricordo questo dato di fatto, ricevo mail che ribadiscono che deve essere uno sbaglio e mi chiedono una correzione. Persino commentatori bene informati non sembrano al corrente di questo aspetto; ad esempio, Justin Fox, per quanto sia nel giusto in quello che afferma in questa connessione, non sembra consapevole che la complessiva minore partecipazione dei francesi alla forza lavoro [4] sia per intero il risultato di un precoce pensionamento e di una occupazione più bassa tra i giovani – che a sua volta riflette il fatto che gli studenti non devono lavorare nel periodo universitario.
Naturalmente, il buon risultato dell’occupazione in Francia non è quello che si suppone avvenga in un generoso stato assistenziale. E, ad essere giusti, la tabella sopra può essere più il riflesso dell’insuccesso americano che del buon risultato francese. Eppure le persone dovrebbero pur sapere che la loro immagine della Francia, e dell’Europa in generale, è proprio del tutto infondata.
[1] É l’espressione che talora gli americani usano per indicare i francesi.
[2] Toast può significare “pane tostato” (anche ‘fare un brindisi’), ma in gergo essere “toast” significa essere distrutti, finiti. Intraducibile, dunque, in questo caso, perché si basa sul gioco di parole tra il verosimile tracollo di Jeb Bush e il “toast francese”. Ovvero l’oggetto seguente (dove il pane non è tostato, ma fritto):
[3] Jeb Bush aveva detto, in un dibattito con Rubio, che i francesi lavorano meno ore alla settimana, ma la cosa è statisticamente sbagliata. Secondo l’OCSE, i francesi tendono a lavorare meno ore, ma il loro orario effettivo risulta alla fine superiore a quello dei danesi o dei tedeschi (anche perché il limite delle 35 ore è un po’ teorico, dato che si può lavorare maggiormente).
[4] “Labor force participation” nel nostro linguaggio statistico corrisponde a “tasso di attività”, benché il senso sia più generico perché l’effettivo tasso di attività si esprime con “labor force participation rate”. In ogni caso si tratta del rapporto tra occupati e popolazione delle classi di età corrispondenti. Per occupati, nel linguaggio statistico americano, si intendono coloro che sono in attività, ma anche coloro che sono in attiva ricerca di una attività. Si deve considerare che nei decenni, con l’eccezione di gravi recessioni, rispetto a noi la mobilità inter lavorativa è stata più diffusa ed i tempi di reinserimento più brevi.
La stima sul tasso di attività spesso si ottiene – come nella tabella di questo post – considerando il rapporto con la popolazione delle generazioni dai 25 ai 54 anni. E’ un calcolo che viene considerato più oggettivo, perché l’inserimento delle fasce di popolazione più giovani o più anziane introduce elementi meno costanti nelle serie storiche, quali la scolarità ed i trattamenti assicurativi di anzianità.
novembre 10, 2015
Nov 6 9:52 am
Does today’s good job report mean that the Fed will raise rates next month? Probably yes. Does it mean that the Fed should raise rates? Definitely not. The arguments against an early rate rise remain compelling, and shouldn’t be abandoned based on one month’s data.
First of all, some perspective: while wage growth has picked up, it’s still well below pre crisis levels; core inflation is also still below the Fed’s target. And here’s the thing: there’s very good reason to believe that the pre-crisis target was too low. The Fed used to think that 2 percent inflation was high enough to make the chances of hitting the zero lower bound on interest rates trivial; we now know that this was utterly wrong. So the Fed should not be eager to raise rates until inflation and wage growth are at least at, and preferably above, where they were before the bottom fell out. And it certainly shouldn’t be conveying the impression that 2 percent is not a target but a ceiling, which is exactly what it would do with a rate hike.
Beyond that, although related, is the asymmetry of risks. Yes, US job growth is OK right now. But the world economy as a whole is struggling, and we tend to import that weakness via a strong dollar; also, there are plenty of other things that can go wrong. Maybe they won’t, and inflation accelerates a bit. If so, the Fed knows what to do. But if the economy weakens, the Fed doesn’t have adequate ammunition. So uncertainty says wait.
I guess we’ll be talking about this at the IMF later today. I wish I thought we’d get traction.
Non dovrebbero rialzare
Il positivo rapporto sui posti di lavoro di oggi significa che la Fed alzerà i tassi il mese prossimo? Probabilmente sì. Significa che la Fed dovrebbe alzare i tassi? Certamente no. Gli argomenti contrari ad un anticipato rialzo dei tassi restano stringenti, e non dovrebbero essere abbandonati sulla base dei dati di un mese.
Prima di tutto, alcune aspetti: mentre la crescita dei salari ha avuto un picco, essa è ancora ben al di sotto dei livelli precedenti alla crisi; l’inflazione sostanziale [2] è ancora al di sotto dell’obbiettivo della Fed. E qua è il punto: c’è un’ottima ragione per credere che l’obbiettivo precedente alla crisi fosse troppo basso. La Fed era solita ritenere che un 2 per cento di inflazione fosse sufficiente a rendere esigue le possibilità di toccare il limite inferiore dello zero nei tassi di interesse [3]; ora sappiamo che questo era completamente sbagliato. Dunque la Fed non dovrebbe essere ansiosa di elevare i tassi finché l’inflazione e la crescita dei salari non sarà almeno al punto in cui essi erano prima di cadere al punto più basso, e preferibilmente sopra. Ed essa certamente non dovrebbe trasmettere l’impressione che il 2 per cento non sia un obbiettivo ma un punto limite, che è esattamente quello che farebbe con un rialzo dei tassi.
Oltre a ciò, per quanto connesso, c’è l’asimmetria dei rischi. É vero, la crescita dei posti di lavoro in questo momento è positiva. Ma l’economia mondiale nel suo complesso è in difficoltà, e noi tendiamo ad importare quella debolezza attraverso un dollaro forte; inoltre, ci sono una quantità di altre cose che possono andar storte. Forse non accadrà, e l’inflazione accelererà un po’. Se è così, la Fed sa cosa fare. Ma se l’economia si indebolisce, la Fed non ha munizioni adeguate. Dunque, l’incertezza dice di attendere.
Penso che oggi stesso parleremo di queste cose al FMI. Sarebbe bello pensare di essere compresi.
[1] La tabella mostra l’andamento dei compensi medi orari nel settore privato reso noto nell’ultimo rapporto. Come si vede, c’è una risalita negli ultimi mesi abbastanza chiara. Ma si tenga conto (vedi la linea orizzontale) che i dati si riferiscono al mutamento percentuale rispetto all’anno precedente. Dunque, quello che sta accadendo è che quel mutamento (crescita) negli ultimi mesi è avanzato dal 2 al 2,5%; prima della crisi del 2008 era attorno al 3,5%.
[2] Ovvero, quella stima dell’inflazione che esclude i prezzi troppo volatili, come quelli dell’energia e delle materie prime.
[3] Ovvero, che una inflazione al 2 per cento fosse sufficiente a tenere a distanza un abbassamento a zero dei tassi di interesse. Circostanza che negli ultimi dieci anni ed oltre è stata sempre più rara.
novembre 7, 2015
Nov 5 8:48 am
Pyramid Schemes and Overderp Dot Com
Tom Weller, Cvltvre Made Stupid
Just your daily reminder that it’s even worse than it looks, even if you know that it’s even worse than it looks. The frontrunner in the Republican primary says that the pyramids — which are, you know, mostly solid — were built by Joseph to store grain. Meanwhile, the company run by the Republican candidate for governor in Utah has been hoarding gold and silver in anticipation of the coming crisis.
Gli schemi delle piramidi e la società super ottusa che opera su Internet [1]
Solo il vostro promemoria giornaliero che è persino peggiore di quello che sembra, anche se voi sapete che è persino peggiore di quello che sembra. Il favorito alle primarie repubblicane dice che le piramidi – che sono, come sapete, di solito massicce – furono costruite da Giuseppe per immagazzinare i cereali. Nel frattempo, la società gestita dal candidato al posto di Governatore dello Utah ha accumulato oro ed argento per prepararsi alla crisi in arrivo.
[1] Questo post va evidentemente decodificato; si potrebbe dire che ha per oggetto l’illimitata stupidità di alcuni attori della contemporanea politica americana. Il primo è in candidato al momento tra i favoriti nelle primarie presidenziali americane, Ben Carson. La sua convinzione – che in questi giorni ha confermato senza incertezze – è che le piramidi venne costruite (fatte costruire da Giuseppe, il personaggio biblico) per immagazzinare cereali. Sarebbe del tutto infondata (un complotto?) l’idea che servissero come tombe dei faraoni. Il secondo episodio riguarda invece un candidato alle primarie per lo Stato dello Utah, Jonathan Johnson, che ha annunciato che la società da lui presieduta ha messo da parte una decina di milioni di dollari di oro e di argento (oltre a tre mesi di cibarie per ogni impiegato) per prepararsi alla crisi in arrivo. La tabella con lo schema di una piramide è tratta da un libro abbastanza pazzesco ma divertente di Tom Weller – libro in effetti in buona sintonia con gli aspetti suddetti della politica americana di questi giorni – che mostra lo schema interno di una piramide con tutti i presunti passatempi dei quali i faraoni non volevano privarsi nell’Aldilà.
Casi di “overderp” scrive Krugman (per il significato di ‘derp’ si veda ad esempio il post del 14 ottobre 2014). Ovvero di stupidità al quadrato.
Che però è cronaca politica quotidiana.
novembre 6, 2015
Nov 4 12:02 pm
Roosting Chickens and Fed-Bashing
So I look at Business Insider and see that Stanley Druckenmiller is issuing dire warnings that terrible things will happen unless the Fed hikes rates now now now. I guess this is supposed to be news. But wait; haven’t I heard this before? Why, yes: two and half years ago he warned that a crash worse than 2008 was coming unless we slash Social Security now now now.
Basically, Druckenmiller has been warning that disaster looms ever since he closed Duquesne Capital five years ago. And his predictions of doom always involve soaring interest rates. Why?
Well, when Druckenmiller retired he gave as his reason a bad string of decisions (my emphasis):
“I felt I missed a lot of opportunities in 2008 and 2009, and a huge move in bonds this year,” he said during the interview in his New York office on 57th Street overlooking Central Park.
Indeed, he was evidently blindsided by the plunge in interest rates that took place just before he bowed out:
If his later statements are any guide, he may well have been betting on soaring rather than plunging rates. And one way to look at those later statements is that they’re about insisting that he was right all along, but the market just hasn’t realized it yet.
OK, at this point someone will point out that Druckenmiller has made billions, and I haven’t. Indeed; in normal times Druckenmiller could doubtless run circles around me in terms of outguessing the market. But here’s the thing: the post-2008 period has been one in which the instincts of master traders, developed in a very different era, have been a poor guide to events. What has worked, instead, is Macroeconomics 101, which is why people like me — or, if you really dislike yours truly, Ben Bernanke — have done pretty well. (I was at a book party a couple of months back, and was accosted by one very famous investor who said, bitterly, “Well, so far the markets agree with you.”)
And one way to see these pronouncements of doom from hedge fund guys is that they are talking their book, literally or figuratively; they lost money by shorting bonds, and are looking for justification.
I nodi che vengono al pettine [1] e il picchiare sulla Fed
Dunque, guardo Business Insider e scopro che Stanley Druckenmiller sta diffondendo ammonimenti terribili che cose tremende accadranno se la Fed non alza i tassi senza alcun indugio. Ma, aspettate; non l’avevo già sentito prima? Perché, sì: due anni e mezzo fa egli aveva messo in guardia che sarebbe arrivato un crollo peggiore del 2008 se non avessimo tagliato senza indugio la Previdenza Sociale.
In sostanza, Druckenmiller sta mettendo in guardia su disastri incombenti dal momento in cui chiuse Duquesne Capital cinque anni orsono. E le sue previsioni di sventura riguardano sempre tassi di interesse che salgono alle stelle. Perché?
Ebbene, quando Druckenmiller si ritirò, come sua ragione fornì una sequenza negativa di decisioni (le sottolineature sono mie):
“Mi sono accorto di aver perso una quantità di opportunità nel 200 e 2009, nonché un vasto movimento quest’anno nei bond”, egli disse durante l’intervista nl suo ufficio di New York, sulla 57° Strada che si affaccia su Central Park”.
In effetti, egli fu evidentemente preso alla sprovvista dal crollo dei tassi di interesse che ebbe luogo proprio prima del suo ritiro:
Se le sue successive dichiarazioni forniscono un indizio, è assai probabile che egli avesse scommesso su tassi crescenti, anziché in calo. E un modo di leggere queste successive dichiarazioni è che esse vertevano tutte sul ribadire di aver avuto ragione dall’inizio, sennonché il mercato non l’aveva proprio ancora compreso.
Lo so, a questo punto qualcuno metterà in evidenza che Druckenmiller h fatto miliardi, al contrario del sottoscritto. In effetti; in tempi normali Druckenmiller poteva senza alcun dubbio surclassarmi quanto ad anticipare il mercato. Ma qua è il punto: dopo il 2008 c’è stato un periodo nel quale gli operatori specialisti, cresciuti in un’epoca diversa, sono stati una guida modesta agli eventi. Quello che ha funzionato, invece, è stato il testo scolastico di macroeconomia, la qualcosa spiega perché personaggi come me, – o se il sottoscritto proprio non vi piace, come Ben Bernanke – hanno avuto prestazioni piuttosto buone (una paio di mesi fa ero alla presentazione di un libro, e sono stato avvicinato da un investitore molto famoso, che ha detto amaramente: “Ebbene, sinora i mercati sembrano d’accordo con lei”.
E un modo per osservare questi pronunciamenti di sventura da parte di individui degli hedge fund è che essi, alla lettera o figuratamente, stiano parlando del loro libro: perdono denaro per i bond che si restringono, e cercano giustificazioni.
[1] Che mi pare l’equivalente del letterale “polli che vanno sul trespolo”.
novembre 6, 2015
Nov 4 9:35 am
This new paper by Angus Deaton and Anne Case on mortality among middle-aged whites has been getting a lot of attention, and rightly so. As a number of people have pointed out, the closest parallel to America’s rising death rates — driven by poisonings, suicide, and chronic liver diseases — is the collapse in Russian life expectancy after the fall of Communism. (No, we’re not doing as badly as that, but still.) What the data look like is a society gripped by despair, with a surge of unhealthy behaviors and an epidemic of drugs, very much including alcohol.
This picture goes along with declining labor force participation and other indicators of social unraveling. Something terrible is happening to white American society. And it’s a uniquely American phenomenon; you don’t see anything like it in Europe, which means that it’s not about a demoralizing welfare state or any of the other myths so popular in our political discourse.
There’s a lot to be said, or at any rate suggested, about the politics of this disaster. But I’ll come back to that some other time. For now, the thing to understand, to say it again, is that something terrible is happening to our country — and it’s not about Those People, it’s about the white majority.
Cuore di tenebra [1]
Questo nuovo studio di Angus Deaton e Anne Case [3] sulla mortalità tra i bianchi di mezza età sta provocando molta attenzione, e ben a ragione. Come un certo numero di persone ha messo in evidenza, il più vicino parallelo ai tassi di mortalità crescenti in America – guidati da avvelenamenti, suicidi e malattie croniche al fegato – è il collasso nelle aspettative di vita in Russia dopo il crollo del comunismo (no, non stiamo andando così male, eppure …). Le statistiche danno l’immagine di una società colpita dalla disperazione, con una crescita di comportamenti insani ed una epidemia di droghe, l’alcol al primo posto.
Questo quadro va di pari passo con una declinante partecipazione alle forze di lavoro e con altri indicatori di disfacimento sociale. Sta accadendo qualcosa di terribile ai bianchi nella società americana. Ed è un fenomeno unicamente americano: non si vede niente del genere in Europa, il che significa che non è un fenomeno attribuibile alla mancanza di motivazioni dello stato assistenziali o a qualcun altro dei miti che sono così diffusi nel nostro dibattito politico.
C’è molto da dire, o in qualche misura da suggerire, sugli aspetti politici di questo disastro. Ma ci tornerò in qualche altra occasione. Per adesso, la cosa da capire, da ripetere, è che sta accadendo qualcosa di terribile al nostro paese – e non riguarda le persone di colore [4], riguarda la maggioranza bianca.
[1] Traduciamo con il titolo del famoso racconto di Joseph Conrad (leggermente diverso, “Heart of darkness”), anche perché il post in fondo si riferisce al fenomeno di una particolare crisi sociale della popolazione bianca a basso reddito, quasi suggerendo che un africano ‘cuore di tenebra’ ha oggi raggiunto anche quella minoranza.
[2] Il diagramma mostra l’evoluzione dei tassi di mortalità nella popolazione tra i 45 ed i 54 anni. La linea rossa riguarda gli statunitensi bianchi non-ispanici (USW). La linea blu (USH) riguarda invece gli statunitensi bianchi ispanici, che, diversamente da quanto si potrebbe supporre, hanno un andamento molto meno negativo.
Come si può notare dalle altre linee, anche le differenze tra altre nazioni sono significative: si va dalle circa 200 morti per 100.000 abitanti della Svezia, ai 320/330 della Francia. É rilevante che mentre in tutti gli altri casi la mortalità in quelle fasce di età sono in evidente diminuzione, nel caso dei bianchi statunitensi il fenomeno è opposto.
Si consideri che, se non sbaglio i conti, quei tassi comportano, in cifre globali assolute e in riferimento alla popolazione degli Stati Uniti (318 milioni circa), un numero totale di decessi che è attorno a 1 milione e 400 mila persone/anno, contro i circa 650 mila che si avrebbero con indici svedesi!
[3] L’articolo è stato pubblicato sulla rivista della Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti.
[4] Come è noto, “those people” è l’espressione usata dai reazionari americani per indicare gli afro americani.
novembre 4, 2015
Nov 3 1:23 pm
One of the intellectually horrifying things about the response to economic crisis was the way many economists, some of them famous, reinvented old fallacies in the belief that they were saying something profound. In particular, quite a few economists seemed utterly unaware that Say’s Law – the proposition that supply creates its own demand, that shortfalls in aggregate demand were impossible – had been refuted three generations ago.
In fact, not only doesn’t supply create its own demand; experience since 2008 suggests, if anything, that the reverse is largely true – specifically, that inadequate demand destroys supply. Economies with persistently weak demand seem to suffer large declines in potential as well as actual output.
The suggestion that this might be true goes back a long ways, to work by Olivier Blanchard and Larry Summers in the 1980s. But events since the crisis provide a lot more evidence, just as they do on fiscal multipliers. A new paper by Fatas and Summers looks at the impact of fiscal austerity, not on actual output, but on estimates of potential output; it finds large negative effects.
The implications are shocking: austerity looks like even more of a catastrophe than the conventional analysis indicates. In fact, it’s a pretty good bet that imposing austerity in economies that can’t offset its effects with monetary policy inflicts pain without any gain whatsoever: by reducing the future size of the economy and hence the tax base, austerity actually worsens the fiscal outlook.
The Very Serious People have a lot to answer for. But of course they never will.
La domanda crea la sua propria offerta
Una delle cose intellettualmente terrificanti sulla risposta alla crisi economica è stato il modo in cui molti economisti, alcuni dei quali famosi, hanno reinventato vecchi errori, nella convinzione di affermare qualcosa di profondo. In particolare, un buon numero di economisti sono sembrati completamente inconsapevoli che la Legge di Say – il concetto secondo il quale l’offerta crea la sua propria domanda, che la mancanza di domanda aggregata non è possibile – era stata confutata tre generazioni orsono.
Di fatto, non solo l’offerta non crea la propria domanda; l’esperienza a partire del 2008 suggerisce, semmai, che è ampiamente vero l’opposto – precisamente che una domanda inadeguata distrugge l’offerta. Le economie con una domanda persistentemente debole sembrano lamentare ampi cali nella produzione potenziale come in quella effettiva [1].
L’impressione che questo potesse essere vero risale a molto addietro, al lavoro di Olivier Blanchard e Larry Summers negli anni ’80. Ma gli eventi a partire dalla crisi hanno fornito molte maggiori prove, nello stesso modo in cui le hanno fornite sui moltiplicatori della spesa pubblica. Un nuovo studio da parte di Fatas e Summers esamina l’impatto della austerità nelle finanze pubbliche, non solo sulla produzione effettiva, ma sulle stime di quella potenziale; esso individua ampi effetti negativi.
Le implicazioni sono sorprendenti: l’austerità appare persino più catastrofica di quanto indicato dalla analisi convenzionale. Di fatto, si può quasi star certi che imporre l’austerità in economie che non possono bilanciare i suoi effetti con la politica monetaria, infligge una sofferenza senza alcun vantaggio di sorta: riducendo le dimensioni future dell’economia e di conseguenza la base fiscale, l’austerità effettivamente peggiora le previsioni della finanza pubblica.
Le Persone Molto Serie hanno molto a cui rispondere. Ma naturalmente non lo faranno mai.
[1] La produzione effettiva è quella che deriva dalle misurazioni del PIL. Quella potenziale è invece quella che viene stimata sottraendo dalla produzione effettiva quella quota che può essere considerata come dipendente dal ciclo economico negativo. In pratica, la produzione potenziale è quella che rappresenta la capacità produttiva che è rimasta integra in una nazione, e che tornerà interamente ad esprimersi allorquando il ciclo economico negativo verrà superato.
Lo studio di Fatas/Summers mostra che l’idea di poter mantenere lo stesso potenziale produttivo, in particolare nei paesi che hanno conosciuto politiche di austerità più pesanti, è del tutto illusoria.
Applicata allo sconfortante dibattito nazionale italiano, questo significa che con riprese dell’1 per cento all’anno, non soltanto ci vorranno una decina d’anni per tornare ai livelli precedenti alla recessione; ma che a quei livelli non si tornerà comunque, perché la crisi ha irrimediabilmente lesionato una parte della potenzialità produttiva passata.
novembre 4, 2015
Nov 3 1:17 pm
Maybe I’m just being naive, but if it were up to me, reports on politicians’ pronouncements would provide some context about things those politicians have said in the past – just to help the readers, who probably don’t have dossiers ready to hand.
So, for example, if The Hill is going to report Sen. John Barrasso’s assertion that Obamacare may collapse this year, it would be a service to readers to note that Sen. Barrasso was one of the people claiming that more people would lose coverage than gain it under the Affordable Care Act – and who, when enrollments surged, declared that the administration was cooking the books.
But then again, context has a well-known liberal bias.
Si consideri la fonte, della serie sulla riforma sanitaria di Obama
Forse sono soltanto ingenuo, ma se dipendesse da me, i resoconti sulle affermazioni dei politici fornirebbero qualche contesto sulle cose che quei politici hanno detto in passato – solo per aiutare i lettori, che probabilmente non hanno dossier pronti a portata di mano.
Così, ad esempio, se The Hill intende riferire il giudizio del Senatore John Barrasso, secondo il quale la riforma della assistenza di Obama può crollare nel corso di quest’anno, sarebbe un servizio per i lettori notare che quel Senatore Barrasso era tra le persone che sostenevano che, con la Legge sulla Assistenza Sostenibile, sarebbero stati di più i cittadini che avrebbero perso la copertura assicurativa rispetto a quelli che l’avrebbero ottenuta per la prima volta – ed era colui, quando le iscrizioni sono cresciute, che dichiarò che la Amministrazione stava truccando i dati.
Ma, d’altronde, il contesto ha ben note tendenze progressiste.
[1] La tabella mostra il tasso della popolazione non anziana non assicurata, dal 1972 al 2015. É evidente il risultato notevole della riforma della assistenza sanitaria di Obama, che ha quasi dimezzato il numero dei non assicurati (e certamente l’avrebbe più che dimezzato, senza l’ostruzionismo degli Stati governati dai repubblicani). Il fatto che sussista una quantità non indifferente di non assicurati, dipende in buona misura dalla esclusione dai benefici della riforma degli immigrati sprovvisti di documenti.
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