Blog di Krugman

Sarcasmo e scienza (4 agosto 2015)

 

Sarcasm and Science

August 4, 2015 12:20 pm

Paul Romer continues his discussion of the wrong turn of freshwater economics, responding in part to my own entry, and makes a surprising suggestion — that Lucas and his followers were driven into their adversarial style by Robert Solow’s sarcasm:

I suspect that it was personal friction and a misunderstanding that encouraged a turn toward isolation (or if you prefer, epistemic closure) by Lucas and colleagues. They circled the wagons because they thought that this was the only way to keep the rational expectations revolution alive. The misunderstanding is that Lucas and his colleagues interpreted the hostile reaction they received from such economists as Robert Solow to mean that they were facing implacable, unreasoning resistance from such departments as MIT. In fact, in a remarkably short period of time, rational expectations completely conquered the PhD program at MIT.

Now, it’s true that people can get remarkably bent out of shape at the suggestion that they’re being silly and foolish. My impression is that several of the people trying to have feuds with me over macroeconomics and austerity are motivated to a substantial degree by the fact that early on in the debate they were, in effect, caught with their intellectual pants down, and that ever since they have been driven largely by a desire for revenge.

But Romer’s account of the great wrong turn still sounds much too contingent to me, and not just because, as he himself says, rational expectations quickly took over much modeling at MIT.

At least as I perceived it then — and remember, I was a grad student as much of this was going on — there were two other big factors.

First, there was a political component. Equilibrium business cycle theory denied that fiscal or monetary policy could play a useful role in managing the economy, and this was a very appealing conclusion on one side of the political spectrum. This surely was a big reason the freshwater school immediately declared total victory over Keynes well before its approach had been properly vetted, and why it could not back down when the vetting actually took place and the doctrine was found wanting.

Second — and this may be less apparent to non-economists — there was the toolkit factor. Lucas-type models introduced a new set of modeling and mathematical tools — tools that required a significant investment of time and effort to learn, but which, once learned, let you impress everyone with your technical proficiency. For those who had made that investment, there was a real incentive to insist that models using those tools, and only models using those tools, were the way to go in all future research.

Let me offer a parallel. There was a time when the study of international trade was utterly dominated by “2X2X2″ — the two-country, two-good, two-factor Heckscher-Ohlin model. This dominance persisted for a long time even though the model never worked empirically. Why? Well, it seemed clear to me, entering that field, that it had a lot to do with the way 2X2X2 fell into a sort of technical sweet spot: hard enough that only aficionados could put it through its paces, but simple enough that you could prove a bunch of interesting results; it was perfect for set-piece classes, and knowledge of the Four Theorems (don’t ask) made you part of a sort of insider clique. Something similar, I’d argue, made Lucas-type models attractive to some economists, in a way that made them very resistant to critiques.

And of course at this point all of these factors have been greatly reinforced by the law of diminishing disciples: Lucas’s intellectual grandchildren are utterly unable to consider the possibility that they might be on the wrong track.

 

Sarcasmo e scienza

Paul Romer continua la discussione [1] della piega sbagliata della scuola economica dell’”acqua dolce”, in parte rispondendo al mio stesso intervento, ed avanza una ipotesi sorprendente – che Lucas e i suoi seguaci siano stati indotti al loro stile conflittuale da Robert Solow:

“Io sospetto che ci sia stato un contrasto di natura personale ed una incomprensione che incoraggiò una svolta verso l’isolamento (o, se preferite, verso una chiusura teorica) da parte di Lucas e colleghi. Essi si chiusero a riccio perché pensavano che fosse l’unico modo per tenere in vita la rivoluzione delle aspettative razionali. L’incomprensione fu che Lucas e i suoi colleghi interpretarono la reazione ostile che ricevettero da economisti del calibro di Robert Solow come se stessero fronteggiando una resistenza implacabile e irragionevole da parte di università come il MIT. Di fatto, in un periodo di tempo considerevolmente breve, le aspettative razionali conquistarono completamente i programmi di dottorato al MIT.”

Ora, è vero che la gente può uscire di senno in modo impressionante, solo per l’impressione di star diventando ridicola e sciocca. La mia impressione è che varie persone che cercano di avere faide col sottoscritto in materia di macroeconomia e di austerità siano motivate in misura sostanziale dal fatto che all’inizio del dibattito esse si sono ritrovate, per così dire, intellettualmente con i pantaloni abbassati, e da allora sono stati guidati in buona misura da un sentimento di rivincita.

Ma la spiegazione di Romer della grande svolta negativa mi sembra troppo casuale, e non solo perché, come dice lui stesso, le aspettative razionali presero rapidamente piede in gran parte della modellazione del MIT.

Almeno per come percepii io allora – e ricordo che ero uno studente universitario quando tutto questo accadeva – ci furono altri due grandi fattori.

Anzitutto, ci fu un aspetto di natura politica.

La teoria del ciclo economico di equilibrio negava che la politica della finanza pubblica o la politica monetaria potessero giocare un ruolo utile nella gestione dell’economia, e questa era una conclusione assai attraente per una parte dello schieramento politico. Questa sicuramente fu una grande ragione perché la scuola dell’ “acqua dolce” dichiarasse immediatamente la vittoria completa su Keynes, ben prima che il suo approccio fosse stato appropriatamente vagliato, e fu il motivo per il quale essa non poté tornare indietro quando quella analisi effettivamente venne svolta e la dottrina fu trovata carente.

Il secondo fattore – e questo può essere meno evidente per i non economisti – riguardò la strumentazione. I modelli del genere di quelli di Lucas introdussero un nuovo complesso di strumenti di modellazione e matematici – strumenti che richiedevano un significativo investimento di tempo ed uno sforzo di apprendimento, ma che, una volta appresi, permettevano di impressionare chiunque con le vostre competenze tecniche. Per coloro che fecero un tale investimento, ci fu un incentivo concreto a insistere perché i modelli che usavano tali strumenti, e solo quelli, diventassero l’unico modo per procedere nelle ricerche future.

Consentitemi di offrire un paragone. Ci fu un’epoca nella quale lo studio del commercio internazionale fu completamente dominato dal “2X2X2” – il modello di Heckscher-Ohlin dei ‘due paesi, due beni, due fattori’. Questo dominio persistette per molto tempo, anche se il modello non aveva mai funzionato empiricamente. Perché? Ebbene, mi sembrava chiaro, entrando in quel campo, che esso dipendesse molto dal modo in cui il “2X2X2” si era piazzato in una specie di punto giusto in senso tecnico: sufficientemente complicato al punto che i soli ‘affezionati’ potevano approvare i suoi sviluppi, ma abbastanza semplice da consentirvi di dimostrare un sacco di risultati interessanti; era perfetto per le lezioni sui ‘pezzi forti’, e con la conoscenza dei Quattro Teoremi (non chiedetemi cosa siano) entravate a far parte di una specie di cerchia di addetti ai lavori. Suppongo che qualcosa di simile rese i modelli del tipo di quelli di Lucas attraenti per alcuni economisti, in un modo che li rendeva assai riluttanti alle critiche.

E, naturalmente, a quel punto tutti questi fattori vennero grandemente rafforzati dalla legge dello “scadimento degli allievi”: i nipotini intellettuali di Lucas sono completamente incapaci di ammettere la possibilità di essere finiti sul sentiero sbagliato.

 

[1] Vedi il precedente post del 2 agosto.

 

 

 

Corbyn e il Partito della Subalternità (4 agosto 2015)

agosto 4, 2015

 

Aug 4 11:36 am

Corbyn and the Cringe Caucus

I haven’t been closely following developments in UK politics since the election, but people have been asking me to comment on the emergence of Jeremy Corbyn as a serious contender for Labour leadership. And I do have a few thoughts.

First, it’s really important to understand that the austerity policies of the current government are not, as much of the British press portrays them, the only responsible answer to a fiscal crisis. There is no fiscal crisis, except in the imagination of Britain’s Very Serious People; the policies had large costs; the economic upturn when the UK fiscal tightening was put on hold does not justify the previous costs. More than that, the whole austerian ideology is based on fantasy economics, while it’s actually the anti-austerians who are basing their views on the best evidence from modern macroeconomic theory and evidence.

Nonetheless, all the contenders for Labour leadership other than Mr. Corbyn have chosen to accept the austerian ideology in full, including accepting false claims that Labour was fiscally irresponsible and that this irresponsibility caused the crisis. As Simon Wren-Lewis says, when Labour supporters reject this move, they aren’t “moving left”, they’re refusing to follow a party elite that has decided to move sharply to the right.

What’s been going on within Labour reminds me of what went on within the Democratic Party under Reagan and again for a while under Bush: many leading figures in the party fell into what Josh Marshall used to call the “cringe”, basically accepting the right’s worldview but trying to win office by being a bit milder. There was a Stamaty cartoon during the Reagan years that, as I remember it, showed Democrats laying out their platform: big military spending, tax cuts for the rich, benefit cuts for the poor. “But how does that make you different from Republicans?” “Compassion — we care about the victims of our policies.”

I don’t fully understand the apparent moral collapse of New Labour after an election that was not, if you look at the numbers, actually an overwhelming public endorsement of the Tories. But should we really be surprised if many Labour supporters still believe in what their party used to stand for, and are unwilling to support the Cringe Caucus in its flight to the right?

 

Corbyn e il Partito della Subalternità

Non ho seguito gli sviluppi nella politica del Regno Unito all’indomani delle elezioni, ma molte persone mi stanno chiedendo di commentare l’emergere di James Corbyn come serio candidato alla guida del Labour. E qualche opinione ce l’ho.

La prima: è importante comprendere che le politiche di austerità del Governo in carica non sono, come le descrive molta stampa britannica, l’unica risposta responsabile ad una crisi delle finanze pubbliche. Non esiste una crisi del genere, se non nella immaginazione delle Persone Molto Serie dell’Inghilterra; quelle politiche hanno avuto un grande costo; la crescita economica al momento in cui il Regno Unito ha sospeso le restrizioni della finanza pubblica non giustifica quei costi passati. Oltre a ciò, l’intera ideologia dell’austerità è basata su una economia immaginaria, mentre sono coloro che si oppongono all’austerità che stanno basando le loro opinioni sulle migliori testimonianze che vengono dalla teoria economica e dai fatti.

Ciononostante, ed eccezione di Corbyn, tutti i contendenti alla guida del Labour hanno scelto di accettare pienamente l’ideologia dell’austerità, inclusa l’accettazione delle false tesi secondo le quali il Labour si dimostrò finanziariamente irresponsabile e tale irresponsabilità provocò la crisi. Come dice Simon Wren-Lewis, quando i sostenitori del Labour respingono questa posizione, non sono loro che si “spostano a sinistra”, semmai rifiutano di seguire un gruppo dirigente di un Partito che ha deciso di spostarsi bruscamente a destra.

Quello che sta accadendo all’interno del Labour mi ricorda quello che successe all’interno del Partito Democratico sotto Reagan ed ancora per un certo periodo sotto Bush: molti personaggi che dirigevano il Partito caddero in quello che Josh Marshall definiva una forma di “subalternità”, fondamentalmente accettando la concezione del mondo della destra ma cercando di conquistare la carica apparendo un po’ meno estremi. Durante gli anni di Reagan, c’era un cartone di Stamaty [1] che, per quanto mi ricordo, mostrava i democratici che esponevano la loro piattaforma: grandi spese militari, sgravi fiscali per i ricchi, tagli ai sussidi per i poveri. “Ma in che cosa siete diversi dai Repubblicani?”. “Nel compatimento – noi abbiamo a cuore le vittime delle nostre politiche.”

Io non capisco completamente quello che sembra un collasso morale del New Labour dopo una elezione che, se si guarda ai dati, non è stato un appoggio illimitato dell’opinione pubblica ai Tory. Ma dovremmo essere davvero sorpresi se molti sostenitori del Labour ancora credono nelle cose per le quali il loro partito si batteva, e non hanno intenzione di appoggiare il Partito della Subalternità nella sua fuga verso la destra?

 

 

[1] Creatore di fumetti, americano nato nel 1947, Mark Alan Stamaty, oltre a illustrare libri per bambini, ha pubblicato per la rivista Slate, per il New Yorker e per il New York Times Book Review.

 

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Il “cap and trade” e la polarizzazione (3 agosto 2015)

agosto 3, 2015

 

Aug 3 8:44 am

Cap and Trade and Polarization

One of the most obvious facts about the U.S. political scene is also a fact most pundits refuse to acknowledge: the extreme polarization we now experience, the complete disappearance of any kind of political center, is not a two-sided phenomenon. Democrats haven’t moved drastically to the left — if anything they inched right for a couple of decades, and are only now shuffling slightly back toward a more robust liberalism. But Republicans have barreled off to the right.

This is, as I said, obvious — except that for those whose whole professional self-image involves standing between the supposed extremes, it’s too painful to acknowledge. So it’s worth pointing out specific policy areas where we can trace the positions of the parties explicitly.

One prime example is, of course, health reform: yes, Obamacare is identical in all important respects to Romneycare, which in turn followed a blueprint originally propounded at the Heritage Foundation.

Environmental policy may, however, be an even better case. Cap and trade began as a Republican idea — a corrective to command-and-control regulation. There was, in fact, a time when many Democrats disliked the idea of using market mechanisms to limit pollution, so this was a case of Republicans pushing policy in the direction of good economics. Bush the elder introduced cap and trade to control acid rain; John McCain even sponsored a climate change bill that relied on cap and trade.

But now Republican candidates for president are scrambling to declare themselves against the Obama administration’s proposals; Mitch McConnell is urging states to defy the feds and refuse to implement the regulations.

Leave on one side the sheer evilness of sabotaging efforts to avert environmental catastrophe in pursuit of political gain. Just note where the divide comes from.

 

Il “cap and trade” [1] e la polarizzazione

Uno dai fatti più evidenti della scena politica statunitense è al tempo stesso un fatto che molti commentatori rifiutano di riconoscere: la polarizzazione estrema che stiamo sperimentando, la completa scomparsa di ogni tipo di centro politico, non è un fenomeno che interessa entrambi gli schieramenti. I democratici non si sono spostati a sinistra in modo drastico – semmai per un paio di decenni si spostarono lentamente a destra, e soltanto adesso stanno leggermente tornando ad un progressismo più robusto. Ma i repubblicani si sono fiondati a destra.

Come ho detto, questo è evidente – ad eccezione di coloro la cui complessiva immagine professionale si risolve nello stare tra le due supposte estreme, per i quali è troppo faticoso riconoscerlo. Dunque è utile mettere in evidenza le particolari aree della politica nelle quali possiamo mostrare in modo esplicito le posizioni dei partiti.

Un primo esempio, naturalmente, è quello della riforma sanitaria: come si sa, la riforma di Obama è identica in tutti gli aspetti importanti alla riforma che attuò Romney (nel suo Stato), che a sua volta seguì un progetto originario proposto dalla Fondazione Heritage.

Tuttavia, la politica ambientale può essere un esempio anche più adatto. La soluzione del “cap and trade” prese le mosse come una idea repubblicana – un correttivo ad una regolamentazione esclusivamente basata su proibizioni e controlli. In sostanza, c’era un’epoca nella quale a molti democratici non piaceva l’idea di limitare l’inquinamento usando meccanismi di mercato, cosicché quello fu un caso nel quale i repubblicani spinsero la politica nella direzione di una economia virtuosa. Il più anziano dei Bush introdusse il “cap and trade” per il controllo delle piogge acide; John McCain persino sponsorizzò una legge sul cambiamento climatico basata sul “cap and trade”.

Ma adesso i candidati repubblicani alla presidenza balzano a dichiararsi contrari alle proposte della Amministrazione Obama; Mitch McConnell incoraggia gli Stati a sfidare il Governo federale ed a rifiutarsi di mettere in atto la legislazione.

Lascio da parte la assoluta irresponsabilità del sabotare gli sforzi per evitare una catastrofe ambientale per perseguire un vantaggio politico. Solo per notare da dove venga lo spartiacque della politica.

 

 

[1] Letteralmente, del “mettere un limite e consentire gli scambi” in materia di inquinamento ambientale – ovvero mettere un limite all’inquinamento e premiare chi sta sotto quel limite, anche permettendogli di ‘vendere’ il proprio comportamento virtuoso a chi resta provvisoriamente sopra (l’acquisto di ‘punti’ dai più virtuosi – e talora anche di tecnologie – essendo un modo provvisorio per restare nella legalità).

In Italia, per un certo periodo, una soluzione del genere venne adottata sui limiti alle emissioni degli impianti di termoconbustione dei rifiuti.

La svolta sbagliata della teoria economica dell’ “acqua dolce” (dal blog di Krugman, 2 agosto 2015)

agosto 2, 2015

 

Freshwater’s Wrong Turn (Wonkish)

August 2, 2015 2:14 pm

Paul Romer has been writing a series of posts on the problem he calls “mathiness”, in which economists write down fairly hard-to-understand mathematical models accompanied by verbal claims that don’t actually match what’s going on in the math. Most recently, he has been recounting the pushback he’s getting from freshwater macro types, who seem him as allying himself with evil people like me — whereas he sees them as having turned away from science toward a legalistic, adversarial form of pleading.

You can guess where I stand on this. But in his latest, he notes some of the freshwater types appealing to their glorious past, claiming that Robert Lucas in particular has a record of intellectual transparency that should insulate him from criticism now. PR replies that Lucas once was like that, but no longer, and asks what happened.

Well, I’m pretty sure I know the answer.

First of all, it’s true about the initial transparency. In the beginning, Lucas and disciples had a very clear statement of both the problem and their solution. They took it as an observed fact that fluctuations in nominal demand were associated with fluctuations in real output, as opposed to merely affecting the price level, which shouldn’t happen if prices were flexible. But they insisted that it was illegitimate to assume sticky prices and wages, that any story you tell must be grounded in microfoundations — and not just that, in maximizing behavior.

So Lucas came up with a story: it was all about imperfect information. Faced with a shock to nominal demand, producers couldn’t tell how much was just a money fluctuation and how much a real change in demand for their particular product, to which they should respond by changing output. So they would engage in signal extraction, making the best possible estimate; this would lead in aggregate to an upward-sloping aggregate supply curve, but only because of rational confusion. And this in turn had strong policy implications: you might see a relationship between money and output, but it would disappear if you tried to use it.

It was a lovely, intellectually interesting and exciting approach. It was also quite wrong.

The wrongness took a few years to become irrefutable. By the early 1980s, however, it was overwhelmingly clear that rational confusion couldn’t explain business cycles, either empirically or theoretically — business cycles last too long, rational agents should be able to tell real from nominal shocks using information like asset prices, and more. And so you had a substantial chunk of the profession going back to sticky-price models, arguing that under imperfect competition things like menu costs or slight deviations from perfect rationality were enough to make money very non-neutral in the short run.

But Lucas and his school couldn’t do that, because they had burned their bridges. They had seized the moment when people took their models seriously to loudly and aggressively declare that Keynesianism of any form was total nonsense, that everything macroeconomists had done in the previous four decades was worthless. it would have taken a lot of intellectual integrity to admit that they might have been premature, that their models weren’t working and that maybe there was something in that Keynesian stuff after all. And that kind of integrity did not manifest itself.

Instead they went even further down the equilibrium rabbit hole, notably with real business cycle theory. And here is where the kind of willful obscurantism Romer is after became the norm. I wrote last year about the remarkable failure of RBC theorists ever to offer an intuitive explanation of how their models work, which I at least hinted was willful:

But the RBC theorists never seem to go there; it’s right into calibration and statistical moments, with never a break for intuition. And because they never do the simple version, they don’t realize (or at any rate don’t admit to themselves) how fundamentally silly the whole thing sounds, how much it’s at odds with lived experience.

What Romer is telling us, based on his discussion of growth models, is that this kind of thing is pervasive in that school. And no, everyone doesn’t do it. Read Mike Woodford or Gauti Eggertsson or Ken Rogoff when he’s doing theory: they all take pains to provide an intuition behind their models, and they don’t engage in false advertising.

So what happened to freshwater, I’d argue, is that a movement that started by doing interesting work was corrupted by its early hubris; the braggadocio and trash-talking of the 1970s left its leaders unable to confront their intellectual problems, and sent them off on the path Paul now finds so troubling.

 

La svolta sbagliata della teoria economica dell’ “acqua dolce” [1]

Paul Romer sta scrivendo una serie di post sul problema che egli chiama della ‘matematicità’, per il quale gli economisti annotano modelli matematici discretamente difficili da intendere e li accompagnano con pretese verbali che effettivamente non corrispondono a quello che si constata sul piano della matematica. Più di recente, egli ha dato conto degli attacchi che sta ricevendo da personaggi della macroeconomia dell’acqua dolce, che sembrano volerlo associare a persone malvage come il sottoscritto – dato che egli, secondo loro, sarebbe uscito dal terreno della scienza verso una forma di perorazione legalistica e polemica.

Vi potete immaginare dove io mi collochi in tutto questo. Ma nel suo ultimissimo post, egli osserva come alcuni di quei soggetti della scuola dell’ “acqua dolce” si appellino al loro glorioso passato, sostenendo che in particolare Robert Lucas ha una storia di trasparenza intellettuale che lo dovrebbe mettere al riparo dalle critiche odierne. Romer replica che una volta Lucas aveva quella caratteristica, ma oggi non più. E si chiede che cosa sia accaduto.

Ebbene, credo di essere abbastanza sicuro della risposta.

Prima di tutto, è vero ciò che si afferma sulla iniziale trasparenza. Agli inizi, Lucas ed i suoi allievi facevano affermazioni molto chiare sia del problema che della sua soluzione. Essi consideravano come un fatto incontrovertibile che le fluttuazioni nella domanda nominale fossero associate a fluttuazioni nella produzione reale, piuttosto che influenzare meramente il livello dei prezzi, la qualcosa non dovrebbe accadere se i prezzi fossero flessibili. Ma insistevano che non era legittimo assumere la rigidità dei prezzi e dei salari, che ogni spiegazione che veniva data doveva avere dei fondamenti nella microeconomia – e non solo in quella, ma anche in condotte di massimizzazione.

Cosicché Lucas se ne uscì con una spiegazione: dipendeva tutto dalla imperfezione dell’informazione. Messi dinanzi ad uno shock della domanda nominale, i produttori non potevano stabilire quanto si trattasse soltanto di una fluttuazione monetaria e quanto fosse un cambiamento reale nella domanda del loro particolare prodotto, al quale avrebbero dovuto rispondere con un cambiamento nella produzione. In tal modo essi si impegnavano, per rendere le stime migliori possibili, in una estrapolazione del segnale; questo portava complessivamente ad una curva dell’offerta aggregata con una tendenza a salire verso l’alto, ma solo per effetto di una confusa razionalità. E questo a sua volta aveva forti implicazioni pratiche: si poteva vedere una relazione tra la moneta e la produzione, ma essa scompariva se cercavate di utilizzarla.

Era un approccio appassionante, intellettualmente interessante ed eccitante. Era anche piuttosto sbagliato.

Ci vollero pochi anni perché l’errore diventasse inconfutabile. Agli inizi degli anni ’80, tuttavia, era del tutto chiaro che la confusione della razionalità non poteva spiegare i cicli economici, né empiricamente né teoricamente – i cicli economici durano troppo a lungo, gli agenti razionali dovrebbero essere capaci di distinguere la realtà dagli shock nominali usando indicatori come i prezzi degli asset, ed altro ancora. E così accadde che un blocco sostanziale degli economisti tornò indietro ai modelli dei prezzi rigidi, sostenendo che in condizioni imperfette cose come gli adeguamenti dei prezzi e le leggere deviazioni dalla perfetta razionalità erano sufficienti a rendere effettivamente non neutrale la moneta nel breve periodo.

Ma Lucas e la sua scuola non potevano ammetterlo, perché si erano bruciati i ponti alle spalle. Avevano afferrato il momento nel quale i loro modelli erano presi sul serio per dichiarare aggressivamente e rumorosamente che il keynesismo di ogni genere era un totale nonsenso, che ogni cosa gli economisti avevano sostenuto nei precedenti quattro decenni non aveva alcun valore. Ci sarebbe voluta molta integrità intellettuale per ammettere che potevano essere stati precipitosi, che i loro modelli non stavano funzionando e che, dopo tutto, in tutta quella roba keynesiana, c’era pur qualcosa. E quel genere di integrità non si manifestò.

Invece, essi andarono sempre più a fondo nella tana del coniglio (di Alice) [2] con la teoria dell’equilibrio, in particolare con la teoria del ciclo economico reale. Ed è qui dove quel genere di deliberato oscurantismo a cui si riferisce Romer, divenne in seguito la norma. Scrissi l’anno passato del considerevole fallimento dei teorici del Ciclo Economico Reale nell’offrire una spiegazione intuitiva di come funzionino i loro modelli, la qualcosa avevo almeno insinuato fosse intenzionale:

“Ma i teorici del RBC sembrano non arrivarci mai: la teoria è tutta dentro le fasi della taratura e della statistica, senza mai una interruzione per l’intuizione. E poiché non offrono mai la versione semplificata, essi non comprendono (o in ogni caso non lo riconoscono a se stessi) quanto l’intera faccenda appaia fondamentalmente sciocca, quanto sia all’opposto dell’esperienza vissuta.”

Quello che Romer ci dice, basandosi sulla sua disanima dei modelli di crescita, è che una cosa del genere, in quella scuola, è pervasiva. E non è vero che lo facciano tutti. Si leggano Mike Woodford o Gauti Eggertsson o Ken Rogoff, quando quest’ultimo si occupa di teoria: tutti costoro di preoccupano di offrire una intuizione dietro i loro modelli, e non si impegnano in sterile pubblicità.

Quello che dunque è accaduto alla teoria dell’ “acqua dolce”, direi, è che un movimento che era partito facendo un lavoro interessante, si è corrotto a causa della sua prematura supponenza; la sbruffonata e il parlare a vanvera degli anni ’70 ha lasciato i suoi dirigenti incapaci di misurarsi con i loro problemi intellettuali, e li ha spediti su un sentiero che ora Paul Romer trova così preoccupante.

 

[1] Una scuola economica americana, così chiamata per la sua prevalenza nei decenni passati nelle Università ‘centrali’ (ovvero, nelle zone dei laghi, anzitutto Chicago), in contrapposizione cone la macroeconomia dell’ “acqua salata”, che prevaleva nelle Università sui due oceani.

[2] Ovvero, sognando di seguire il ‘coniglio bianco’ di Alice nel paese delle meraviglie, sprofondarono sempre più in un mondo fatto di assurdità e di paradossi.

 

 

 

Ora Wall Street odia i democratici (31 luglio 2015)

luglio 31, 2015

 

Jul 31 12:38 pm

Wall Street Now Hates Democrats

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Contributions by financial industry Opensecrets.Org

Over at Vox, Jonathan Allen notes that Hillary Clinton, sometimes derided on the left as doing Wall Street’s bidding, is actually getting a lot less Wall Street money than people think. Allen notes that during her husband’s administration Clinton was known for her relative antipathy toward financial types, which may be part of the story. But you should also put this in the context of finance’s hard turn against Democrats in general. In 2004, facing an election whose outcome was uncertain, finance and insurance split its donations almost equally between the parties; in 2012 it gave well over twice as much to Republicans as to Democrats.

The reason is, of course, financial reform. Anyone who tells you that reform was meaningless and that there’s no difference between the parties should follow the money, which thinks that there is a big difference indeed.

 

Ora Wall Street odia i democratici

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Contributi da parte del settore finanziario.Opensecrets.Org

Su Vox, Jonathan Allen nota che Hillary Clinton, talvolta derisa a sinistra per le offerte che fa a Wall Street, sta affettivamente ottenendo molti meno soldi di Wall Street di quanto si pensi. Allen osserva che, durante la Amministrazione di suo marito, la Clinton era nota per la sua relativa antipatia verso i soggetti della finanza, e questa può essere una parziale spiegazione. Ma più in generale si dovrebbe anche collocare questa notizia nel contesto del forte spostamento a danno dei democratici del mondo della finanza. Nel 2004, a fronte di elezioni il cui esito era incerto, la finanza e il settore assicurativo distribuirono le loro donazioni quasi egualmente tra i due partiti; nel 2012 diedero ai repubblicani ben più del doppio che ai democratici.

La ragione, ovviamente, è la riforma finanziaria. Chiunque vi racconti che quella riforma è stata insignificante e che non c’è differenza tra i due partiti, dovrebbe star dietro al capitale, che in effetti ritiene che ci sia una grande differenza.

 

 

 

 

Le città industriali del passato (31 luglio 2015)

luglio 31, 2015

 

Jul 31 12:54 pm

Industrial Cities of Yore

Nicholas Crafts and Alex Klein have a nice piece that tries to measure gains from geographic specialization in the late 19th and early 20th centuries. Indeed, it was a great age of industrial localization, so much so that the Twelfth Census (1900) included a monograph on the subject that is still a great source for students of economic history. Not only did it identify and quantify the degree of localization in many industries, but it offered quick origin stories for the main clusters. Thus, here’s what it had to say about detached collars and cuffs, almost totally centered in Troy, New York:

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It’s hard to find clear-cut industrial clusters like this in modern America, and it’s interesting to ask why. But they are very much a feature of modern China with its button cities and toothbrush towns.

Crafts and Klein argue that this sort of specialization was a major factor in US economic growth. I’ll reserve judgment until I’ve had more time to read and think, but I definitely do love this stuff.

 

Le città industriali del passato

Nicholas Crafts e Alex Klein pubblicano un bell’articolo che cerca di misurare i vantaggi derivanti dalla specializzazione economica sulla fine del diciannovesimo ed agli inizi del ventesimo secolo. In effetti, fu un’epoca importante di localizzazioni industriali, al punto che il Dodicesimo Censimento (1900) incluse una monografia su quel tema che è ancora una grande fonte per gli studenti di storia economica. Non solo essa identificava e quantificava il grado di localizzazione di molte industrie, ma offriva rapide storie delle origini ei principali distretti. In questo modo, ecco quello che riferiva sui colletti e i polsini staccati, quasi interamente situati a Troy, New York:

 

“La tabella X mostra la localizzazione delle industrie nelle città del paese, essendo tutte le città indicate nello Stato di New York. Troy è il grande centro dell’industria, dato che il valore dei suoi prodotti costituisce l’85,3 per cento del totale attribuito agli Stati Uniti. La causa prima di questa molto accentuata localizzazione sembra essere stato il precoce avvio dell’industria a Troy, e il conseguente sviluppo di lavoratori specializzati in operazioni manuali che sono una importante caratteristica della manifattura. Si sostiene che i primi colletti e polsini staccati mai fatti vennero dal lavoro artigianale della moglie di un fabbro di Troy. La data della invenzione non è nota, ma l’inizio della manifattura dei colletti e dei polsini staccati come industria effettiva fu realizzata da un sacerdote metodista in quella città, circa settantacinque anni orsono.”

 

È difficile trovare distretti industriali così netti come questi nell’America contemporanea, ed è interessante chiedersi perché. Ma essi sono una caratteristica molto tipica della Cina moderna, con le sue città dei bottoni ed i suoi piccoli centri degli spazzolini da denti [1].

Crafts e Klein sostengono che questa specie di specializzazione fu un importante fattore di crescita negli Stati Uniti. Mi riservo un giudizio per quando avrò più tempo per leggere e riflettere, ma di sicuro cose come queste mi appassionano.

 

 

[1] La connessione è con un ampio articolo di Jonathan Watts apparso su The Guardian del lontano 25 maggio 2005. L’articolo spiegava come, su iniziativa di tre fratelli, nell’anno 1980, nella cittadina cinese di Qiaotou, si avviò una attività di raccolta dei bottoni. Venticinque anni dopo da quella città venivano quasi tutte le cerniere ed i bottoni che si indossano nel mondo. Da analoghi fenomeni locali di svilupparono industrie degli spazzolini da denti e dei calzini che giunsero in poco tempo a rappresentare quote considerevolissime del mercato mondiale.

 

 

 

I dentisti e l’interesse economico (30 luglio 2015)

luglio 30, 2015

 

Jul 30 1:23 pm

Dentists and Skin in the Game

Wonkblog has a post inspired by the dentist who paid a lot of money to shoot Cecil the lion, asking why he — and dentists in general — make so much money. Interesting stuff; I’ve never really thought about the economics of dental care.

But once you do focus on that issue, it turns out to have an important implication — namely, that the ruling theory behind conservative notions of health reform is completely wrong.

For many years conservatives have insisted that the problem with health costs is that we don’t treat health care like an ordinary consumer good; people have insurance, which means that they don’t have “skin in the game” that gives them an incentive to watch costs. So what we need is “consumer-driven” health care, in which insurers no longer pay for routine expenses like visits to the doctor’s office, and in which everyone shops around for the best deals.

The usual response has been that this involves going where the money isn’t — that because health costs are dominated by big expenses that must be paid by insurers, there just isn’t much potential savings from increased deductibles, co-pays, etc..

But what if even the underlying premise, that individual choice will hold down costs, is all wrong?

As it turns out, many fewer people have dental insurance than have general medical insurance; even where there is insurance, it typically leaves a lot of skin in the game. But dental costs have risen just as fast as overall health spending, and it may be that the reduced role of insurers actually raises those costs. According to the post,

In the rest of medicine, insurers have an important function in limiting costs and promoting quality. The market power of Medicare and major national insurance companies allows them to insist on better rates for their customers when they negotiate with doctors and hospitals.

“There’s been less presence from all kinds of insurance payers in the dental sector,” explained Andy Snyder, who is in charge of oral health at the nonpartisan National Academy for State Health Policy. “Medicare does not cover routine dental services, and private dental coverage is far less common than private medical coverage. So, the dental industry has faced less of the cost containment and quality improvement pressures that the rest of the health care sector’s experienced over the last couple of decades.”

So more skin in the game is not just useless but actually counterproductive.

 

I dentisti e l’interesse economico

Wonkblog pubblica un post ispirato dal dentista che ha pagato una sacco di soldi per sparare al leone Cecil, e si chiede perché, costui e i dentisti in generale, fanno tanti soldi. È una faccenda interessante; non ho mai seriamente riflettuto sull’economia delle cure odontoiatriche.

Ma una volta che ci si concentra su tale questione, si scopre che ha una implicazione importante – precisamente, che la teoria dominante implicita nelle idee conservatrici sulla riforma sanitaria è completamente sbagliata.

Per molti anni i conservatori hanno insistito che il problema dei costi sanitari consiste nel non trattare l’assistenza sanitaria come un ordinario bene di consumo; le persone hanno l’assicurazione, il che significa che esse non “partecipano all’impresa” [1] in modo tale da riceverne un incentivo per controllare i costi. Dunque, quello che è necessario è una assistenza sanitaria nella quale gli assicuratori non paghino più per spese ordinarie come le visite ambulatoriali dei medici generici, e nella quale tutti vadano ad acquistare tali prestazioni alle migliori condizioni.

La risposta di solito è stata che questo sarebbe come andare dove non ci sono soldi – ovvero che, poiché i costi sanitari sono dominati dalle grandi spese che devono pagare gli assicuratori, non ci sono molti risparmi potenziali da un incremento delle spese deducibili, dalle partecipazioni ai pagamenti, e così via.

Ma che dire se anche la premessa implicita, che la scelta individuale abbatterebbe i costi, fosse tutta sbagliata?

Si scopre che ci sono molte meno persone con l’assicurazione delle cure dentistiche rispetto a quelle che hanno la generica assicurazione medica; anche dove l’assicurazione esiste, solitamente essa riserva una forte partecipazione di impresa agli interessati [2]. Ma le cure odontoiatriche sono cresciute proprio altrettanto velocemente della complessiva spesa sanitaria, e può darsi che il ridotto ruolo degli assicuratori effettivamente accresca quei costi. Secondo il post:

“Nel resto della medicina, gli assicuratori hanno una importante funzione nel limitare i costi e nel promuovere la qualità. Il potere di mercato di Medicare e di importanti società assicuratrici consente loro di esigere migliori aliquote per i loro assistiti quando negoziano con i dottori e con gli ospedali.

‘Nel settore odontoiatrico c’è stata una presenza minore dei fornitori di assicurazione di ogni genere’, ha spiegato Andy Snyder, che è incaricato del settore della salute della bocca presso l’indipendente Accademia Nazionale per la Politica Sanitaria Statale. ‘Medicare non copre gli ordinari servizi odontoiatrici, e la copertura di quel settore privato è molto meno comune della copertura sanitaria privata in genere. Dunque, nel corso degli ultimi due decenni, il settore odontoiatrico ha fatto fronte in modo minore alle spinte per il contenimento dei costi e per il miglioramento della qualità del resto della assistenza sanitaria.’

Dunque, una maggiore partecipazione all’economia di settore non è solo inutile, quanto effettivamente controproducente.

 

[1] Espressione idiomatica, letteralmente “mettere o avere la pelle nel gioco”. Più in particolare viene riferita agli oneri di partecipazione agli investimenti da parte delle imprese finanziarie.

[2] Suppongo che, in questo caso, il riferimento sia ai dentisti medesimi.

 

 

 

La crescita degli Stati a confronto della crescita nazionale (dal blog di Krugman, 29 luglio 2015)

luglio 29, 2015

 

Jul 29 9:39 am

State Growth Versus National Growth

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Bureau of Economic Analysis

It still seems kind of incredible that Jeb Bush is running in large part on claims that Florida’s growth during his governorship shows that he knows how to bring prosperity. In effect, he’s saying “Trust me — I presided over a giant bubble!” I’ve been pointing this out for a while; Jim Tankersley at the WaPo chimes in with pretty much the same point.

But it occurs to me that people may not be taking on board a broader point: even when they aren’t driven by bubbles, state growth rates tell us very little about what kinds of policies might work at a national level. This should be obvious, but it may not be to many people.

Why do I say this? Within the United States, we have extremely high mobility of labor and population in general. A state that becomes an attractive destination, either because it offers job opportunities or for other reasons (like cheap housing, a big factor in Texas) can experience rapid population and labor force growth, and hence a high growth rate even if productivity growth is nothing special. At a national level, however, immigration is fairly minor and not that responsive to economic developments — in part because of restrictions — so that any major acceleration in growth would have to come via higher productivity growth and faster growth in GDP per capita.

The chart shows what I think might be a useful comparison of overall US performance and the performance of the four largest states; I show growth in real GDP and real GDP per capita over the period 1997-2014, which is the longest period the BEA data let me do an instant comparison for this morning. What you see is the familiar proposition that Texas grew a lot faster than the rest of the country — but most of that extra growth was in the form of population growth, with real GDP per capita growing only slightly faster than the nation as a whole. California and New York grew more slowly overall, but per capita growth almost exactly matched growth in Texas — that is, the two big blue states were precisely as successful as the big red state in achieving the kind of growth we need for the nation as a whole.

What about Florida? Over the long haul, it turns out to have grown basically at the same rate as the nation; there was a bubble, it burst, and in the end it was a wash. Per capita GDP has grown very slowly, but don’t make too much of that: we’re looking at a state with a growing percentage of retirees and a falling percentage of working-age adults, so something like that is to be expected.

So Jeb really has nothing to boast about, but even genuinely fast-growing states tell us very little about national policy.

 

La crescita degli Stati a confronto della crescita nazionale

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Ufficio di analisi economica

Pare ancora incredibile che Jeb Bush continui a sostenere con tale rilievo che la crescita della Florida durante il suo governo mostri che egli sa come produrre prosperità. In effetti, come sto mettendo in evidenza da un po’, è come se dicesse: “Credetemi, io ho governato sull’onda di una bolla gigantesca!”; Jim Tankersley sul Washington Post interviene grosso modo sullo stesso tema.

Ma mi viene in mente che la gente possa non rendersi conto di un aspetto più generale: i tassi di crescita degli Stati, anche quando non sono guidati da bolle, ci dicono molto poco sul genere di politiche che possono funzionare a livello nazionale. Questo dovrebbe essere evidente, ma potrebbe non esserlo per molti.

Perché lo dico? All’interno degli Stati Uniti, abbiamo una mobilità estremamente elevata del lavoro e in generale della popolazione. Uno Stato che diviene una destinazione attraente, sia perché offre opportunità di lavoro sia per altre ragioni (come le abitazioni economiche, un grande fattore in Texas) può conoscere una rapida crescita della popolazione e della forza lavoro, e di conseguenza un elevato tasso di crescita anche se la crescita della produttività non è niente di speciale. Al livello nazionale, tuttavia, l’immigrazione è abbastanza inferiore e non così reattiva agli sviluppi economici – in parte a causa delle limitazioni – cosicché ogni importante accelerazione della crescita non può che avvenire tramite uno sviluppo della produttività più elevato ed una crescita più veloce del PIL pro capite.

Il diagramma mostra quello che penso sia un utile confronto tra l’andamento generale degli Stati Uniti e le prestazioni nei quattro Stati più grandi; evidenzio la crescita del PIL reale e del PIL reale pro capite nel periodo dal 1997 al 2014, che è il periodo più lungo per il quale i dati dell’Ufficio di analisi economica mi consentono di elaborare un confronto istantaneo in questo momento. Quello che potete vedere è il concetto non nuovo secondo il quale il Texas è cresciuto più rapidamente del resto del paese – ma gran parte di quella crescita eccedente è stata nella forma di una crescita della popolazione, con il PIL reale procapite che è cresciuto solo in modo leggermente più rapido della nazione nel suo complesso. In generale New York e la California sono cresciuti più lentamente, ma la crescita procapite ha quasi esattamente eguagliato quella del Texas – vale a dire, i due Stati democratici hanno avuto altrettanto successo che il grande Stato repubblicano nell’ottenere quel genere di crescita di cui abbiamo bisogno nella nazione nel suo complesso.

Che dire della Florida? Nella lunga distanza, si scopre che essa è cresciuta allo stesso tasso della nazione; ci fu una bolla, scoppiò e alla fine venne fatta pulizia. Il PIL procapite è cresciuto abbastanza lentamente; ma non si deve dargli troppa importanza: stiamo parlando di uno Stato con una percentuale crescente di pensionati ed una percentuale in declino della popolazione in età lavorativa, dunque ci si può aspettare un risultato del genere.

Dunque, Jeb non ha niente di cui vantarsi al riguardo, ma persino gli Stati effettivamente a rapida crescita ci dicono molto poco sulla politica nazionale.

 

 

 

 

 

Macroeconomia di seconda scelta (dal blog di Krugman, 28 luglio 2015)

luglio 28, 2015

 

Second-best Macroeconomics

July 28, 2015 2:51 pm

There’s a paradox about economic policy since the Great Recession, one that is often acknowledged implicitly but rarely stated directly. On one side, the economic problems facing both the United States and Europe have been quite straightforward and comprehensible. On the other side, the debate over actual policy has been tortured and confused, with a general sense even among aficionados that the tools being deployed are inadequate and come with troubling side effects.

Specifically, the whole western world has spent years suffering from a severe shortfall of aggregate demand; in Europe a severe misalignment of national costs and prices has been overlaid on this aggregate problem. These aren’t hard problems to diagnose, and simple macroeconomic models — which have worked very well, although nobody believes it — tell us how to solve them. Conventional monetary policy is unavailable thanks to the zero lower bound, but fiscal policy is still on tap, as is the possibility of raising the inflation target. As for misaligned costs, that’s where exchange rate adjustments come in. So no worries: just hit the big macroeconomic That Was Easy button, and soon the troubles will be over.

Except that all the natural answers to our problems have been ruled out politically. Austerians not only block the use of fiscal policy, they drive it in the wrong direction; a rise in the inflation target is impossible given both central-banker prejudices and the power of the goldbug right. Exchange rate adjustment is blocked by the disappearance of European national currencies, plus extreme fear over technical difficulties in reintroducing them.

As a result, we’re stuck with highly problematic second-best policies like quantitative easing and internal devaluation.

In case you don’t know, “second best” is an economic term of art. It comes from a classic 1956 paper by Lipsey and Lancaster, which showed that policies which might seem to distort markets may nonetheless help the economy if markets are already distorted by other factors. For example, suppose that a developing country’s poorly functioning capital markets are failing to channel savings into manufacturing, even though it’s a highly profitable sector. Then tariffs that protect manufacturing from foreign competition, raise profits, and therefore make more investment possible can improve economic welfare.

The problems with second best as a policy rationale are familiar. For one thing, it’s always better to address existing distortions directly, if you can — second best policies generally have undesirable side effects (e.g., protecting manufacturing from foreign competition discourages consumption of industrial goods, may reduce effective domestic competition, and so on). There’s also a political economy concern, which is that in a complicated world you can come up with a second best rationale for practically anything. Somewhere the Chicago economist Harry Johnson wrote (this is from memory) that in practice “second best policies are always devised by third-best economists working for fourth-best politicians” — harsh, but you can see his point.

But here we are, with anything resembling first-best macroeconomic policy ruled out by political prejudice, and the distortions we’re trying to correct are huge — one global depression can ruin your whole day. So we have quantitative easing, which is of uncertain effectiveness, probably distorts financial markets at least a bit, and gets trashed all the time by people stressing its real or presumed faults; someone like me is then put in the position of having to defend a policy I would never have chosen if there seemed to be a viable alternative.

In a deep sense, I think the same thing is involved in trying to come up with less terrible policies in the euro area. The deal that Greece and its creditors should have reached — large-scale debt relief, primary surpluses kept small and not ramped up over time — is a far cry from what Greece should and probably would have done if it still had the drachma: big devaluation now. The only way to defend the kind of thing that was actually on the table was as the least-worst option given that the right response was ruled out.

Which makes me ask myself the question: Do people like me spend too much time being limited by what is presumed to be politically practical? Should we devote more time to trying to widen the range of options, to pointing out that we really would be much better off if we threw off the fetters of conventional deficit fears, the 2 percent inflation target, and the extremely ill-advised euro project?

 

Macroeconomia di seconda scelta

A partire dalla Grande Recessione, c’è un paradosso sulla politica economica, del genere di quelli che vengono implicitamente riconosciuti ma raramente espressi in modo diretto. Da una parte, i problemi economici dinanzi ai quali si trovano sia gli Stati Uniti che l’Europa sono apparsi abbastanza chiari e comprensibili. Dall’altra parte, il dibattito sulla politica effettiva è stato distorto e confuso, con la generale sensazione anche tra gli addetti ai lavori che gli strumenti che venivano messi in campo erano inadeguati e operavano con problematici effetti collaterali.

In particolare, l’intero mondo occidentale ha speso anni nel soffrire una seria deficienza di domanda aggregata; in Europa un grave disallineamento dei costi e dei prezzi nazionali si è sovrapposto su questo problema generale. Non sono problemi difficili da diagnosticare, e dei semplici modelli macroeconomici – che hanno funzionato ottimamente, sebbene nessuno ci creda – ci dicono come risolverli. La politica monetaria convenzionale è inutilizzabile per effetto del limite inferiore di zero (nei tassi di interesse), ma è sempre disponibile la politica della finanza pubblica, così come è possibile elevare gli obbiettivi di inflazione. Lo stesso per il disallineamento dei costi, laddove intervengono le correzioni dei tassi di cambio. Dunque non c’è da preoccuparsi: basta pigiare il tasto economico giusto [1], e presto i guai saranno alle spalle.

Sennonché tutte le risposte naturali ai nostri problemi sono state escluse in sede politica. I ‘filo austeri’ non solo hanno bloccato l’uso della politica della finanza pubblica, l’hanno portata nella direzione opposta; una crescita nell’obbiettivo di inflazione è stata impossibile sia in conseguenza dei pregiudizi dei banchieri centrali, sia in conseguenza del potere della destra fanatica della parità aurea. La correzione del tasso di cambio è stata impedita dalla scomparsa delle monete nazionali europee, in aggiunta alla paura estrema per le difficoltà tecniche a reintrodurle.

Di conseguenza, siamo rimasti impantanati con politiche molto problematiche di seconda scelta, quali la facilitazione quantitativa e la svalutazione interna.

Nel caso non lo sappiate, “seconda scelta” è un termine del gergo economico. Deriva da un classico studio del 1956 di Lipsey e Lancaster, che dimostrò che le politiche che potrebbe sembrare distorcano i mercati possono nondimeno aiutare l’economia se i mercati sono già distorti per altri fattori. Per esempio, supponiamo i mercati dei capitali malamente funzionanti di un paese in via di sviluppo non siano capaci di incanalare i risparmi nel settore manifatturiero, pur essendo un settore con alti profitti. Allora tariffe che proteggano il settore manifatturiero dalla competizione estera accrescono i profitti, e di conseguenza rendono possibile che maggiori investimenti migliorino il benessere economico.

I problemi della ‘seconda scelta’ come logica politica sono noti. Per un aspetto, è sempre meglio affrontare direttamente le distorsioni esistenti, se si può – le politiche della seconda scelta generalmente hanno effetti collaterali indesiderabili (ad esempio, proteggere le manifatture dalla competizione straniera scoraggia il consumo di beni industriali, può ridurre l’effettiva competizione nazionale, e così via). C’è anche una preoccupazione politica, che consiste nel fatto che in un mondo complicato si può venir fuori con logiche di seconda scelta praticamente su tutto. Da qualche parte l’economista di Chicago Harry Johnson scrisse (vado a memoria) che in pratica “le politiche della seconda scelta sono sempre concepite da economisti terza scelta che lavorano per politici di quarta scelta” – parole dure, ma capite il senso.

Ma siamo a questo punto, con ogni cosa che assomigli ad una politica macroeconomica di prima scelta che è stata esclusa dai pregiudizi della politica, e con le distorsioni che cerchiamo di correggere che sono ampie – una depressione globale può rovinare tutto il lavoro. Dunque abbiamo la facilitazione quantitativa, che è di efficacia incerta, probabilmente almeno un po’ distorce i mercati finanziari, ed è un tormento continuo da parte di individui che mettono in risalto le sue colpe reali o presunte; a quel punto qualcuno come me finisce nella posizione di dover difendere una politica che non avrebbe mai scelto se fossero sembrate esistere alternative percorribili.

Penso che, in senso profondo, una cosa del genere sia implicita nei tentativi di venir fuori con politiche meno terribili nell’area euro. L’accordo che la Grecia e i suoi creditori avrebbero dovuto raggiungere – riduzione su ampia scala del debito, avanzi primari che diventano modesti e non accelerano col tempo – è tutt’altra cosa da quello che la Grecia avrebbe dovuto fare e probabilmente avrebbe fatto se avesse ancora avuto la dracma: una grande istantanea svalutazione. L’unico modo per difendere il tipo di soluzione che era effettivamente sul tavolo, è stato che essa era la meno peggiore soluzione, una volta che la risposta giusta era stata esclusa.

Il che mi spinge a pormi una domanda: non spendono le persone come me troppo tempo, essendo limitate da ciò che si suppone sia politicamente fattibile? Non dovremmo cercare di dedicare più tempo a cercar di allargare la gamma delle opzioni, per mettere in evidenza che staremmo per davvero meglio se ci liberassimo delle catene delle paure del deficit, dell’obbiettivo del 2 per cento di inflazione, e dell’estremamente mal consigliato progetto dell’euro?

 

[1] Letteralmente, “il tasto Era Facile”, suppongo perché è anche il titolo di una canzone.

Piani alternativi (27 luglio 2015)

luglio 27, 2015

 

Jul 27 2:23 pm

Contingency Plans

People are apparently shocked, shocked to learn that Greece did indeed have plans to introduce a parallel currency if necessary. I mean, really: it would have been shocking if there weren’t contingency plans. Preparing for something you know might happen doesn’t show that you want it to happen.

Someday, maybe, we’ll know what kind of contingency plans the United States has had over the years. Plans to invade Canada? Probably. Plans to declare martial law in the event of a white supremacist uprising? Maybe.

The issue now becomes whether Tsipras was right to decide not to invoke this plan in the face of what amounted to extortion from the creditors. I think he called it wrong, but God knows it was an awesome responsibility — and we may never know who was right.

 

Piani alternativi

La gente sembra stupefatta nell’apprendere che effettivamente la Grecia aveva piani per introdurre, se necessario, una moneta parallela [1]. È il caso di dire: dovrebbe essere stupita se non ci fossero stati piani alternativi. Prepararsi per qualcosa che potrebbe accadere non indica che volete cha accada.

Un giorno, forse, sapremo che genere di piani alternativi gli Stati Uniti hanno avuto nel tempo. Piani per invadere il Canada? Forse. Piani per dichiarare la legge marziale nel caso di una insurrezione dei razzisti bianchi? Forse.

L’interrogativo ora è se Tsipras abbia avuto ragione a non appellarsi a questo piano di fronte a quello che rappresentava un ricatto da parte dei creditori. Penso che abbia fatto la scelta sbagliata, ma lo sa Dio se non era una responsabilità tremenda – e non sapremo mai chi aveva ragione.

 

 

[1] La notizia proviene da un articolo del New York Times del 27 luglio, di Jack Ewing e Niki Kitsantonis, dal titolo “La Grecia faceva preparativi per uscire dall’euro”. La notizia proviene da una registrazione di un colloquio dell’ex Ministro delle Finanze Yannis Varoufakis, pubblicata dal giornale greco Kathimerini domenica scorsa. Sec ondo la registrazione, lo studio di un piano alternativo era stato autorizzato dal Primo Ministro Tsipras, ma la notizia è stata negata da un collaboratore di Tsipras ed è anche stata sostanzialmente ridimensionata da James K. Galbraith, il noto economista americano che nei mesi passati ha fatto parte della squadra dei collaboratori di Varoufakis. Vari parlamentari greci stanno chiedendo l’avvio di una inchiesta sulla vicenda.

 

 

 

Donald e i visionari (27 luglio 2015)

luglio 27, 2015

 

The Donald and the Delusional

July 27, 2015 2:03 pm

Nate Cohn cautions us not to make too much of the polls supposedly showing the Trump surge continuing, as many — but not all – were taken before the McCain affair. Fair point. But there’s enough genuine post-McCain polling to show that Trump hasn’t imploded, the way virtually every pundit predicted he would.

I’m actually mad at myself here: I had meant to put up a post questioning that conventional wisdom, but never got around to it, and now you only have my word that what I’m about to say isn’t just hindsight, but a prediction. Oh well. Anyway, on to the point.

What I would argue is key to this situation — and, in particular, key to understanding how the conventional wisdom on Trump/McCain went so wrong — is the reality that a lot of people are, in effect, members of a delusional cult that is impervious to logic and evidence, and has lost touch with reality.

I am, of course, talking about pundits who prize themselves for their centrism.

Pundit centrism in modern America is a strange thing. It’s not about policy, as you can see from the many occasions when members of the cult have demanded that Barack Obama change his ways and advocate things that … he was already advocating. What defines the cult is, instead, the insistence that the parties are symmetric, that they are equally extreme, and that the responsible, virtuous position is always somewhere in between.

The trouble is that this isn’t remotely true. Democrats constitute a normal political party, with some spread between its left and right wings, but in general espousing moderate positions. The GOP, on the other hand, is a deeply radical faction; even its supposed moderates are moderate only in tone, not in policy positions, and its base is motivated by anger against Others.

What this means, in turn, is that to sustain their self-image centrists must misrepresent reality.

On one side, they can’t admit the moderation of the Democrats, which is why you had the spectacle of demands that Obama change course and support his own policies.

On the other side, they have had to invent an imaginary GOP that bears little resemblance to the real thing. This means being continually surprised by the radicalism of the base. It also means a determination to see various Republicans as Serious, Honest Conservatives — SHCs? — whom the centrists know, just know, have to exist.

We saw this a lot in the cult of Paul Ryan, who was and is very obviously a con man, whose numbers have never added up, but who was nonetheless treated with vast respect — and still sometimes is.

But the ur-SHC is John McCain, the Straight-Talking Maverick. Never mind that he is clearly eager to wage as many wars as possible, that he has long since abandoned his once-realistic positions on climate change and immigration, that he tried to put Sarah Palin a heartbeat from the presidency. McCain the myth is who they see, and keep putting on TV. And they imagined that everyone else must see him the same way, that Trump’s sneering at his war record would cause everyone to turn away in disgust.

But the Republican base isn’t eager to hear from SHCs; it has never put McCain on a pedestal; and people who like Donald Trump are not exactly likely to be scared off by his lack of decorum.

For what it’s worth, I still don’t expect The Donald to win the nomination; the big money will presumably coalesce around someone — though given Jeb’s foot-in-mouth performance it’s hard to see who — and will probably squeeze him out in the end. But the story so far has been a remarkable illustration of how little many professional political pundits seem to understand.

 

Donald e i visionari

Nate Cohn ci ammonisce a non far troppo uso dei sondaggi che si suppone mostrino che l’ascesa di Trump sta continuando, dato che molti – ma non tutti – erano stati effettuati prima della faccenda di McCain. Buon argomento. Ma ci sono sufficienti sondaggi realmente successivi alla storia di McCain che dimostrano che Trump non è crollato, nel modo in cui praticamente tutti i commentatori prevedevano.

Effettivamente sono arrabbiato con me stesso: avevo intenzione di pubblicare un post che metteva in dubbio quel senso comune, ma non ho mai trovato il tempo di farlo [1], e adesso avete solo la mia parola che quello che sto per dire non è col senno di poi, ma un previsione. Pazienza. In ogni modo, veniamo al punto.

Ciò che sosterrei sia fondamentale in questa situazione – ed è, in particolare, una chiave per comprendere come il senso comune sulla vicenda Trump/McCain sia stato così sbagliato – è il dato di fatto per il quale molte persone, in effetti, partecipano ad un culto visionario che è impermeabile alla logica ed alle prove, e hanno perso il contatto con la realtà.

Evidentemente sto parlando dei commentatori che si tengono nella massima considerazione per via del loro centrismo.

Il centrismo dei commentatori nell’America contemporanea è una strana cosa. Non riguarda la politica, come si può constatare dalle molte occasioni nelle quali i componenti di quella tendenza hanno chiesto che Obama cambiasse il suo stile e sostenesse cose che …. egli stava già sostenendo. Quello che definisce quella tendenza, piuttosto, è il ribadire che i partiti sono in una posizione simmetrica, che essi sono egualmente collocati alle estremità, e che la posizione responsabile e virtuosa è sempre da qualche parte nel mezzo.

Il guaio è che questo è lontanissimo dalla realtà. I democratici costituiscono un normale partito politico, con un certo scarto tra le loro ali di destra e di sinistra, ma in generale sposano posizioni moderate. Dall’altra parte, il Partito Repubblicano è una fazione profondamente radicale; anche i suoi supposti moderati sono moderati solo nei toni, non nella posizioni politiche, e la sua base è motivata dalla rabbia verso gli Altri.

La qualcosa, a sua volta, comporta che per sostenere l’immagine che (i commentatori) hanno di se stessi come centristi, essi debbano snaturare la realtà.

Da una parte, essi non possono ammettere la moderazione dei democratici, che è la ragione per la quale abbiamo assistito allo spettacolo delle richieste ad Obama di cambiare indirizzo, a sostegno di quelle che erano già le sue politiche.

D’altra parte si devono inventare un Partito Repubblicano immaginario che ha una somiglianza modesta con la realtà. Il che comporta l’essere continuamente sorpresi dal radicalismo della base. E comporta anche una determinazione nel considerare vari repubblicani come Seri e Onesti Conservatori – vogliamo chiamarli SHC? – che i centristi sanno, sanno con assoluta certezza, che debbono esistere.

Abbiamo visto molto di questo nel culto verso Paul Ryan, che era ed è in tutta evidenza un imbroglione, i cui numeri non sono mai tornati, ma che nondimeno è stato trattato con ampio rispetto – e talvolta lo è ancora.

Ma la quintessenza di un Serio ed Onesto Conservatore è John McCain, l’Anticonformista che Parla Senza Ambiguità. Non importa che egli sia chiaramente desideroso di dichiarare tutte le guerre possibili, che abbia da tempo abbandonato le sue un tempo realistiche posizioni sul cambiamento climatico e sull’immigrazione, che abbia cercato di collocare Sarah Palin a un soffio dalla Presidenza. Ciò che essi riconoscono e mettono in scena nelle televisioni è il mito di McCain. E si immaginano che tutti gli altri possano riconoscerlo nello stesso modo, che l’ironia di Trump sulle sue prestazioni belliche costringerà tutti a girarsi per il disgusto.

Ma la base repubblicana non è ansiosa di ascoltare i Seri ed Onesti Conservatori; essa non ha mai collocato McCain su un piedistallo; e le persone alle quali Donald Trump piace non è affatto probabile che si sgomentino per la sua mancanza di decoro.

Per quello che può valere, io non mi aspetto che “Il Donald” si aggiudichi la nomination; è presumibile che il grande capitale finirà per raccogliersi attorno a qualcuno – sebbene sia difficile vedere chi, date le continue prestazioni da gaffeur di Jeb – e alla fine probabilmente lo caccerà fuori. Ma sino a questo punto il racconto è una dimostrazione di quanto poco sembrino comprendere molti commentatori politici di professione.

 

[1] Questo è assai buffo, perché in realtà un post su tale argomento è stato effettivamente pubblicato il 23 luglio (col titolo: “Il Villaggio, la base e San John”).

 

 

 

Una nota sui costi di Medicare (26 luglio 2015)

luglio 26, 2015

 

Jul 26 11:51 am

A Note on Medicare Costs

Medicare is about to turn 50, and while it has brought immense benefits, it has also cost a lot of money. Why? Is it the general rise in health care spending, or some specific government-related inability to limit outlays?

Well, there’s a simple answer from the Centers for Medicare and Medicaid historical expenditure data, which among other things offers a comparison between Medicare spending per beneficiary and premiums on private health insurance. Medicare has expanded the range of things it covers, so what you want is the “common benefits” comparison that adjusts for this. And what it shows is that except during a brief period in the 1990s, as HMOs spread, cost growth has consistently been slower in Medicare than in the private sector.

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Centers for Medicare and Medicaid Services

 

Una nota sui costi di Medicare

Medicare è prossima a compiere i cinquanta anni, e mentre ha comportato immensi benefici, è anche costata una gran quantità di soldi. Perché? Si tratta della generale crescita della spesa per la assistenza sanitaria, o di qualche particolare incapacità dipendente dal Governo nel contenere le spese?

Ebbene, c’è una risposta semplice proveniente da dati sulla spesa storica dei Centri di Medicare e Medicaid, che tra le altre cose offre un confronto tra le spese per utente di Medicare e le polizze sulle assicurazioni sanitarie private. Medicare ha ampliato la gamma delle prestazioni che garantisce, cosicché quello che serve è il confronto tra i “benefici comuni” che è corretto a quello scopo. E quello che esso mostra è che, ad eccezione di un breve periodo negli anni ’90, quando si diffusero gli HMO [1], la crescita dei costi è stata stabilmente più lenta in Medicare che nel settore privato.

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Centri dei servizi di Medicare e Medicaid

 

[1] Gli “Health Maintenance Organizations” (Organismi di assistenza sanitaria) sono le varie articolazioni di un organismo introdotto con una legge del 1973, incaricato di fornire criteri e sorvegliare sui livelli di coperture assicurative nei casi nei quali esse erano poste a carico dei datori di lavoro con più di 25 addetti.

 

 

 

Uber e la nuova identità progressista (25 luglio 2015)

luglio 25, 2015

 

Jul 25 9:17 am

Uber and the New Liberal Consensus

You might not have thought that a taxi service would move onto center stage in our great political debates. But Uber actually is looking like a surprisingly important political issue. Why?

Well, Uber actually brings two things to the taxi market. One is the smartphone revolution, letting you tap a screen instead of standing out in the rain waving your arm, and cursing the guy who darts out half a block from you and snags the cab you were trying to hail.

The other is the company whose workers supposedly are free contractors, not employees, exempting the company from most of the regulations designed to protect employee interests. And it’s the second aspect that brings us into divisive politics.

On one side, Republicans are eager to dismantle as many worker protections as they can. So from their point of view Uber’s not-our-problem approach to workers would be desirable independent of the technology.

On the other side, we’re recently seen the emergence of the “new liberal consensus“, which argues (based on a lot of evidence) that wages are much less rigidly determined by supply and demand than previously thought, and that public policy can and should nudge employers into paying more. If that’s your policy plan, you really don’t want to see employers undermine it by declaring that they aren’t really employers.

It’s surely possible to separate these two issues, to promote the use of new technology without prejudicing the interests of workers. But progressives need to work on doing that, and not let themselves get painted as enemies of innovation.

 

Uber e la nuova identità progressista

Chi poteva immaginare che un servizio di taxi si sarebbe portato nella posizione centrale dei nostri grandi dibattiti politici? Eppure effettivamente Uber appare come un tema politico sorprendentemente importante. Perché?

Ebbene, Uber effettivamente porta due novità sul mercato dei taxi. Una è la rivoluzione degli smartphone, che vi consente di dare un colpetto sullo schermo invece di starvene sotto la pioggia gesticolando col braccio, e imprecando contro un tizio che si lancia a mezzo isolato da voi e acchiappa il taxi che stavate cercando di chiamare.

L’altra è la società i cui lavoratori si suppone che siano liberi professionisti, non dipendenti, esentando la società stessa da gran parte delle regole rivolte alla protezione degli interessi degli occupati. Ed è questo secondo aspetto che ci porta alle contrapposizioni politiche.

Da una parte, i repubblicani che sono ansiosi si smantellare tutte le protezioni dei lavoratori che possono. Dunque, dal loro punto di vista, l’approccio di Uber, secondo il quale i lavoratori ‘non-sono-un-nostro-problema’ sarebbe desiderabile, indipendentemente dalla tecnologia.

Dall’altra parte, abbiamo di recente osservato l’emergere di una “nuova identità progressista” che sostiene (basandosi su molte prove) che i salari sono molto meno rigidamente determinati dall’offerta e dalla domanda di quanto si pensasse in precedenza, e che la politica pubblica può e dovrebbe esortare i datori di lavoro a pagare di più. Se è quello il vostro programma politico, davvero non vorrete vedere i datori di lavoro mandarlo all’aria dichiarando che essi non sono realmente datori di lavoro.

È certamente possibile tenere separati questi due temi, per promuovere l’uso di nuove tecnologie senza pregiudicare gli interessi dei lavoratori. Ma i progressisti devono impegnarsi a farlo, e non consentire di essere rappresentati come i nemici dell’innovazione.

 

 

 

L’uomo anziano e l’indice dei prezzi al consumo (25 luglio 2015)

luglio 25, 2015

 

Jul 25 9:02 am

The Old Man and the CPI

I don’t watch financial news, but CNBC was on in the gym, so I was treated to a long ad from Ron Paul, who wants you to buy his video explaining the coming crisis brought on by loose money. And I found myself thinking about the remarkable fact that there really are people who will buy that video.

After all, Ron Paul has been making the same prediction year after year — in fact, he’s been making this prediction at least since 1981! — and has been wrong year after year. It’s hard to think of a doctrine that has been as thoroughly refuted by events as goldbug economics. For a while gold prices did go up, although not for the reasons the goldbugs thought, but now even that has gone into reverse. So why would anyone pay money for this guy’s analysis?

Of course, we know why: it’s the Bernie Madoff effect, a.k.a. affinity fraud. People believed Madoff because he was their kind of guy, never mind the implausibility of his claims; they believe Ron Paul for the same reason. True, there’s no reason to suppose that Paul is deliberately misleading his market – he probably believes his own nonsense. But in terms of the underlying dynamics that makes no difference.

So who are the people who feel a deep affinity with a crotchety crank? Um, crotchety white guys feeling cranky. The whiteness is, I believe, an important part of the story, as I’ll explain in a minute.

The basic mindset of the kind of people who pay Ron Paul for his economic advice is pretty clear: they’ve made some money over the course of their lives, they believe that all of it reflects their own virtue, and they think they know from that experience what it takes to create wealth. They hear that the Fed is printing money, and it sounds to them like a violation of both the laws of economics and morality — and they surely think of it as a plot to take away their completely earned gains and give them to Those People (hence the whiteness issue).

You can try as hard as you like to tell such people that monetary policy is mainly a technical problem, that the Fed isn’t giving money away, and that predictions of runaway inflation have been utterly wrong; it will make no difference. You can point out that they would have done a much better job of investing if they had listened to the MIT gang; sorry, we’re just not their kind of people.

I’d say it’s sad, but I find it hard to feel much sympathy for the marks of this particular scam. Then again, that’s probably why they will never, ever listen to what I have to say.

 

L’uomo anziano e l’indice dei prezzi al consumo [1]

Non guardo i notiziari finanziari, ma c’era la CNBC in palestra, e così sono stato sottoposto al trattamento di un lungo annuncio pubblicitario di Ron Paul, che vuole che crediate al suo video secondo il quale la crisi prossima deriverà dal denaro facile. E mi sono ritrovato a pensare quanto sia rilevante il fatto che ci sia davvero gente che crederà a quel video.

Dopo tutto, Ron Paul viene facendo la stessa previsione un anno dopo l’altro – di fatto la sta facendo almeno dal 1981! – e un anno dopo l’altro ha avuto torto [2]. È difficile pensare ad una dottrina che sia stata così completamente confutata dagli eventi come l’economia dei patiti dell’oro [3]. Per un certo periodo i prezzi dell’oro sono saliti, sebbene non per le ragioni che quei fanatici pensavano, ma ora anche quello sta andando al rovescio. Perché, dunque, ci dovrebbe essere chi paga soldi per le analisi di questo soggetto?

Naturalmente, sappiamo perché: si tratta dell’effetto Bernie Madoff, anche detta la truffa che sfrutta i sentimenti identitari [4]. La gente credeva che Madoff fosse la persona che faceva al loro caso, non contava quanto le sue affermazioni fossero non plausibili; essi credono in Ron Paul per la stessa ragione. È vero, non c’è motivo di credere che Paul stia deliberatamente fuorviando il suo mercato – probabilmente è il primo a credere nelle proprie insensatezze. Ma da punto di vista delle dinamiche sottostanti, questo non fa alcuna differenza.

Dunque, chi sono le persone che sentono una profonda affinità con un eccentrico permaloso? Ehm, individui bianchi e irritabili che si sentono eccentrici. Il colore della pelle, io credo, è una parte importante della storia, come spiegherò in un attimo.

La mentalità di base del genere di persone che pagano Ron Paul per i suoi consigli economici è abbastanza chiara: essi hanno fatto un po’ di soldi durante la loro vita, credono che tutto sia dipeso dalla loro virtù, e pensano di sapere da quella esperienza cos’è che serve per creare ricchezza. Sentono dire che la Fed sta stampando moneta, e questo sembra a loro sia una violazione sia delle leggi che della moralità – e sicuramente pensano che si tratti di un complotto per privarli dei loro guadagni interamente prodotti dal lavoro e per consegnarli a Quella Gentaglia (da qua il fattore dell’essere bianchi).

Potete provare con tutto l’impegno che volete a dire loro che la politica monetaria è principalmente un problema tecnico, che la Fed non sta dando soldi in giro, e che tutte le previsioni di un’inflazione fuori controllo sono state completamente sbagliate; non farà alcuna differenza. Potete mettere in evidenza che avrebbero fatto una migliore attività di investimento se avessero ascoltato “la banda del MIT” [5]; spiacenti, non siamo il loro genere di persone.

Direi che è una cosa triste, ma ho difficoltà a provare molta simpatia per i bersagli di questo particolare imbroglio. D’altronde, ed è probabilmente la ragione per la quale non lo faranno mai, non ascoltano mai quello che ho da dire.

 

[1] Mi pare che sia l’acronimo più probabile, dato il contesto. Forse il riferimento è all’ansioso seguire l’andamento dei prezzi dell’oro per le persone anziane che hanno fatto investimenti su di esso?

[2] Ron Paul, che da questo post sembrerebbe essersi specializzato in una attività mediatica di consulenza finanziaria, è prima di tutto un politico della destra americana. Ma la sua specialità effettivamente, è quella di essere da sempre un fautore del ritorno al sistema aureo e della abolizione della Federal Reserve.

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[3] “Goldbuggism” è intraducibile, deriva da “gold bug” che significa “scarabeo d’oro”, ed era effettivamente una immagine coniata su una moneta aurea (all’origine del termine, e probabilmente del conio, era un omonimo racconto di Allan Edgar Poe, nel quale uno scarabeo di coloro oro conservava il misterioso segreto nientemeno del tesoro di “Capitan Kidd”) . “Goldbugs” vennero chiamati quei Democratici che uscirono dal Partito Democratico nel 1896, nel mezzo di un gran dibattito sulla politica monetaria, in polemica con il leader democratico William Jennings Bryan. Bryan e la maggioranza del Partito Democratico sostenevano una politica economica basata sul conio illimitato dell’argento, su bassi tassi di interesse, sulla proprietà statale delle grandi infrastrutture di trasporto, sulle riforme del lavoro ed su un inizio di tassazione progressiva. In sostanza, una piattaforma di espansione monetaria e di riforme sociali, nell’interesse di un blocco sociale ‘popolare’, di lavoratori e di coltivatori del Sud, in opposizione alla egemonia capitalistica e finanziaria dell’Est. Questa posizione di Bryan gli valse il sostegno del Partito Populista (“National People’s Party”), che su quei temi sociali e monetaristi era nato, e che fu per una ventina d’anni l’unico effettivo esempio di “terzo Partito” nella storia politica americana. Di contro, i “goldbugs” erano i sostenitori della parità aurea, accusavano gli avversari di radicalismo spregiudicato  e, dopo la separazione, fondarono un loro Partito, il “National Democratic Party”, che non ebbe lunga storia. Come si nota, questo contrasto tra una piattaforma populista e in termini economici “sperimentale” ed una piattaforma ispirata alla “ortodossia capitalista”, prefigurava aspetti della storia politica americana che tornarono ad essere rilevanti negli anni Trenta, col New Deal. Rimase famosa una frase di Bryan, nel corso della Convenzione democratica, quando in polemica con i “goldbugs” disse che non si poteva “crocifiggere il genere umano ad una croce aurea”.

[4] Per “affinity fraud” si intende un vero e proprio reato che è normalmente oggetto di procedure giudiziarie, allorquando l’affinità (spesso religiosa, ma anche sociale, culturale etc.) provoca comportamenti ispirati al raggiro ed alla truffa. Normalmente il raggiro è ai danni dei componenti del gruppo, la cui affinità viene utilizzata da qualcuno per trarne indebiti vantaggi. Il finanziere Madoff, che ha subito una condanna addirittura a 150 anni di carcere per un truffa finanziaria gigantesca, venne accusato di sfruttare l’affinità delle sue vittime verso azioni caritatevoli e di beneficienza (ma erano affini anche perché erano tutti molto ricchi).

[5] Vedi l’articolo “La squadra del MIT” del 24 luglio.

 

 

 

Caricare i ‘phaser’ (24 luglio 2015)

luglio 24, 2015

 

Jul 24 8:34 am

Fire Phasers

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Jeb Bush doesn’t just want Americans to work more hours; he also wants to “phase out” Medicare, or so he told a Koch brothers backed group. What he’s talking about, presumably, is a Paul Ryan-type conversion of Medicare into a voucher system.

Fact-checking organizations please note, by the way. The next time Democrats say that Republicans want to destroy Medicare, and Republicans start screaming that this is a lie, remember that when talking to their own people like Jeb themselves call what they’re proposing a plan to, yes, end Medicare.

What’s interesting, in a way, is the persistence of conservative belief that one must destroy Medicare in order to save it. The original idea behind voucherization was that Medicare as we know it, a single-payer system of government insurance, simply could not act to control costs — that giving people vouchers to buy private insurance was the only way to limit spending. There was much sneering and scoffing at the approach embodied in the Affordable Care Act, which sought to pursue cost-saving measures within a Medicare program that retained its guarantee of essential care.

But we’re now five years into the attempt to control costs that way — and what we’ve seen is a spectacular slowdown in the growth of health costs, with the historical upward trend in Medicare costs, in particular, brought to a complete standstill. How much credit should go to the ACA? Nobody really knows. But the whole premise behind voucherization has never looked worse, and the case that universal health insurance is affordable has never looked better.

It’s amazing, isn’t it? Who could have imagined that conservatives would keep proposing the exact same policy despite strong evidence that they were wrong about the facts? Oh, wait.

 

Caricare i ‘phaser’ [1]

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Jeb Bush non vuole soltanto che gli americani lavorino più ore: vuole anche “rimuovere gradualmente” Medicare, o così ha detto ad un gruppo finanziato dai fratelli Koch. Si può immaginare che quello di cui stava parlando fosse una conversione di Medicare in un sistema di ‘buoni’, del tipo di quella di Paul Ryan.

Per inciso, le organizzazioni che si occupano del controllo del fatti reali sono pregate di prenderne nota. La prossima volta che i democratici diranno che i repubblicani vogliono distruggere Medicare, ed i repubblicani cominceranno a strepitare che è una bugia, si ricordi che nel momento in cui parlano alla loro stessa gente, come Jeb, sono loro stessi che definiscono quello che stanno proponendo proprio come un piano per porre fine a Medicare.

Da un certo punto di vista, quello che è interessante è l’insistenza della convinzione dei conservatori che si debba distruggere Medicare allo scopo di salvarlo. L’idea originaria della trasformazione in un sistema di voucher era che Medicare per come lo conosciamo, un sistema a pagamento centralizzato di una assicurazione statale, semplicemente non potrebbe agire per ridurre i costi – al punto che dare alle gente dei ‘buoni’ per acquistare assicurazioni private sarebbe stato l’unico modo per limitare la spesa. Ci furono molte ironie e derisioni verso l’approccio incarnato nella Legge sull’Assistenza Sostenibile, che cercava di perseguire misure di risparmio dei costi all’interno di un programma Medicare che conservava il suo impegno alla assistenza fondamentale.

Ma siamo ora al quinto anno nel tentativo di controllare i costi in questo modo – e quello che abbiamo visto è stato uno straordinario rallentamento nella crescita dei costi sanitari, in particolare con la tendenza storica dei costi di Medicare a incrementare, ricondotta ad una vera e propria interruzione. Quanto credito per questo risultato deve essere riconosciuto alla legge di riforma? Nessuno lo sa. Ma l’intero presupposto che stava dietro la trasformazione in una sistema di ‘buoni’ non è mai apparso peggiore, e la tesi secondo la quale l’assicurazione sanitaria universalistica è sostenibile non è mai apparsa migliore.

È straordinario, non è così? Chi si sarebbe potuto immaginare che i conservatori avrebbero potuto continuare a proporre esattamente la stessa politica nonostante le chiare prove che si erano sbagliati sui fatti? Beh, aspettate.

 

 

 

[1] Sono armi speciali (serie Star Treck!) che emettono scariche energetiche di potenza più o meno distruttiva.

In questo caso il termine suppongo sia usato per la analogia con l’obbiettivo del ‘phasing out’ di Medicare annunciato da Jeb Bush (letteralmente “ridurre gradualmente”, o se si vuole “far morire di morte lenta”). Non mi avventuro in una traduzione, perché sembra che ci siano svariate tipologie di ‘phaser’, da quelli che soltanto stordiscono il nemico, a quelli che lo smaterializzano completamente.

 

 

 

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