May 4 1:33 pm
You may think that the big news story lately has been riots in Baltimore — or, if you have different priorities, either that boxing match or Kate’s baby. But in certain circles, the big thing has been the right-wing belief that operation Jade Helm 15, a military training exercise in Texas, is a cover for Obama to seize control of the state and force its citizens to accept universal health care at gunpoint.
No, really — and this is being taken seriously both by Ted Cruz and by the governor, who has ordered the National Guard to keep a watch on the feds and their possibly nefarious activities.
Before you pooh-pooh this, think about what would happen to a Democratic politician who gave similar credence to a left-wing conspiracy theory this far out. I can’t even think of what that conspiracy theory might be.
And this isn’t an isolated incident. You should think of the panic over the attack of the Obamacare black helicopters as being part of a continuum that runs through inflation truthers like Niall Ferguson and Amity Shlaes, who insist that the government is cooking the economic books, to QE conspiracy theorists like (sadly) John Taylor and Paul Ryan declaring that Bernanke only did it to bail out Obama, to the more general prevalence of inflation derp, the insistence that Weimar is just around the corner despite six or more years of failed predictions.
There’s something happening here. What it is ain’t exactly clear (although I have some ideas I’ll flesh out soon.) But it’s quite remarkable, and pretty scary.
La paranoia colpisce i pazzoidi [1]
Potreste ritenere che di recente la grande notizia sia stata quella dei disordini a Baltimora – oppure, se avete diverse preferenze, quell’incontro di boxe o la nascita della figlia di Kate. Ma in certi ambienti, la grande notizia è stato il convincimento della destra che la cosiddetta operazione Jade Helm 15, una esercitazione militare nel Texas, sia un pretesto per Obama per prendere il controllo dello Stato e costringere i suoi cittadini ad accettare l’assistenza sanitaria universale sotto la minaccia delle armi.
È proprio così – e questo viene preso sul serio sia da Ted Cruz [2] che dal Governatore, che ha ordinato alla Guardia Nazionale di dare un’occhiata ai ‘federali’ e alle loro possibili efferate attività.
Prima di ridicolizzare questo fatto, si pensi a cosa accadrebbe ad un uomo politico democratico che mostrasse una analoga persuasione su una teoria cospirativa della sinistra fantastica come questa. Non riesco nemmeno a pensare che tipo di teoria cospirativa potrebbe essere.
E non si tratta di un incidente isolato. Dovreste riflettere al panico sull’attacco degli ‘elicotteri neri’ al servizio della riforma sanitaria di Obama come un episodio di una serie che si dipana dai sostenitori della teoria della cospirazione sull’inflazione come Niall Ferguson e Amity Shlaes, che insistono che il Governo starebbe truccando i dati economici, sino ai teorici della cospirazione sulla “Facilitazione Quantitativa” quali (triste a dirsi) John Taylor e Paul Ryan, che dichiarano che Bernanke la decise solo per salvare Obama, sino al più generale dilagare dei pazzoidi dell’inflazione, che sostengono a ripetizione che Weimar è proprio dietro l’angolo, nonostante sei anni di previsioni mancate.
Qua sta succedendo qualcosa. Che cosa sia non è assolutamente chiaro (sebbene io abbia qualche idea che approfondirò tra breve). Ma è piuttosto rilevante e abbastanza spaventoso.
[1] “Derp” è un personaggio della serie South Park, e prima ancora è la sua abitudine ad emettere quel suono strambo (Derp!), accompagnato talvolta da una martellata in testa (la sua testa). Per Krugman è diventato il sinonimo della assoluta stravaganza pazzoide. Eccolo:
[2] Attualmente Senatore del Partito Repubblicano dello Stato del Texas.
maggio 4, 2015
May 4 10:00 am
Simon Wren-Lewis has been on a lonely crusade against “mediamacro”, a narrative about the British economy that is untrue — or at the very least easily challenged and at odds with textbook economics — yet is stated in the news media not as a hypothesis but as a fact.
Sure enough, Dan Balz writes about Britain in the Washington Post, in what I think is supposed to be a news analysis rather than an opinion piece, and states the mediamacro narrative as simply the truth about Britain, with nary a hint even that anyone disagrees with the story.
While I’m at it, a bit of further evidence on the bogosity of claims that Labour was wildly irresponsible. Look at the IMF’s Article IV consultation from 2006. Article IVs are regular consultations intended to serve as a kind of early warning system; Fund staff review a country’s economy and policies and make non-binding recommendations. These consultations turn out to be valuable historical documents, because they provide evidence of the conventional wisdom at the time they were released.
Here’s the fiscal analysis from that report:
La ‘mediamacro’ attraversa l’Atlantico
Simon Wren-Lewis si è impegnato in una crociata solitaria contro la “mediamacro”, un racconto dell’economia inglese non vero – o come minimo che sfida ed è agli antipodi dei libri di testo di economia – e che tuttavia è enunciato nei resoconti dei media non come una ipotesi ma come un fatto.
Difatti, Dan Balz scrive dell’Inghilterra sul Washington Post, in quello che penso ritenesse essere una analisi degli eventi piuttosto che l’espressione di una opinione, senza neppure un cenno al fatto che qualcuno sia in disaccordo con quel racconto.
Proprio mentre lo leggo, arrivano un bel po’ di prove ulteriori sulla falsità delle pretese che il Labour sia stato completamente irresponsabile. Si veda la pubblicazione della consultazione ex-Art IV del FMI [1] relativa al 2006. Quelle dell’Art IV sono consultazioni rivolte a servire come una specie di sistema di precoce messa in guardia; lo staff del Fondo esamina l’economia di un paese ed avanza raccomandazioni non vincolanti. Queste consultazioni si rivelano essere documenti storici di valore, perché forniscono le prove delle convinzioni comuni al momento in cui venivano rilasciate.
Ecco l’analisi della finanza pubblica da quel rapporto.
At the time, the IMF — like everyone else — believed that Britain was roughly at full employment (not, as is currently claimed, vastly overheated), so that the modest headline budget deficit was more or less equal to the structural deficit, and it projected a stable, low ratio of debt to GDP in the years ahead. Not a hint of concerns about fiscal profligacy.
It’s really astonishing that a narrative so much at odds with this easily checked recent history has completely taken over the discourse.
A quell’epoca, il FMI – come chiunque altro – credeva che l’Inghilterra fosse grosso modo in condizioni di piena occupazione (e non, come oggi si pretende, in pieno surriscaldamento), cosicché il modesto deficit complessivo [2] di bilancio era più o meno eguale al deficit strutturale, e prospettava una stabile e bassa percentuale del debito sul PIL negli anni a venire. Nessun cenno di preoccupazioni sugli sprechi della finanza pubblica.
Sono davvero stupefatto che un racconto talmente agli antipodi con la facilmente controllabile storia recente sia completamente dilagato nel dibattito.
[1] Si tratta di incontri bilaterali periodici con in paese membri, con i quali il FMI analizza le situazioni nazionali, Esse sono una modalità di sorveglianza che è prevista dall’ Articolo IV degli accordi istitutivi del Fondo.
[2] Lo “headline budget deficit” è il “deficit totale di bilancio”, che deriva dalla somma del deficit strutturale e del deficit (o degli avanzi) ciclici. Per fare un esempio, se una economia è in fase recessiva, ci saranno spese aggiuntive di natura sociale (sussidi di disoccupazione etc.): esse definiscono il deficit ciclico. Quindi il termine “headline” ha in senso di “comprensivo, riassuntivo” (nello stesso modo che nella espressione “headline inflation”, dove indica l’inflazione comprensiva di tutti i fattori, compresi quelli temporanei).
Da questa ipotetica tabella pubblicata su Wikipedia – testo inglese – si comprende meglio come il deficit “headline” (in rosso) sia effettivamente una somma del deficit strutturale (blu) e di quello ciclico (verde), e dunque necessariamente superiore ad entrambi (a meno che, come credo sia possibile, si abbia un ‘avanzo’ ciclico a fronte di un ‘deficit strutturale’, come quando un paese produttore di petrolio gode temporaneamente di una crescita del prezzo della materia prima).
maggio 3, 2015
May 3 7:08 am
As Tim Taylor notes, the U.S. net international investment position — the difference between US assets abroad and foreign claims on the US — has moved substantially deeper into the red in recent years:
Bureau of Economic Analysis
But why? You might be tempted to say that it’s obvious: we’ve been running big budget deficits, borrowing the money from foreigners, so of course our debt to those foreigners is surging. But that story implicitly requires a surge in the trade deficit (or more precisely the current account deficit, which includes investment income), which hasn’t happened. In fact, current account deficits have been small compared with those of the bubble years:
So it’s not about borrowing vast sums abroad, it’s some kind of valuation effect. But what is it?
Well, I’ve taken the BEA data, and broken out two categories. First is cross-border equity holdings, both in the form of portfolio investment and the equity component of direct investment (which means investment that involves control, typically in the form of corporate subsidiaries). Second is debt, again both portfolio and direct investment-related. I express these claims as percentages of GDP, to correct for “normal” growth on both sides of the ledger. Here’s what I get:
Bureau of Economic Analysis
The big move is a sharp rise in the value of foreign holdings of US equity, not matched by any comparable rise in US holdings of foreign equity. What’s that about?
The answer, I believe, is that we’re looking at the differential performance of stock markets. Here, for example, is the S&P 500 compared with the euro area Stoxx:
Ecb, Fred
So the value of foreign holdings of US equities (and the imputed equity component of foreign direct investment) has surged along with the Obama stock market, while US holdings abroad have seen no comparable boost.
And this means that the plunge in the U.S. international investment position, far from showing weakness, is actually a symptom of US relative strength, reflected in strong stock prices.
I think I’m right about this, although happy to hear alternative stories.
Il debito verso l’estero degli Stati Uniti: un caso curioso
Come nota Tim Taylor, la posizione internazionale degli investimenti netti degli Stati Uniti – la differenza tra gli asset statunitensi all’estero ed i titoli giuridici stranieri sugli Stati Uniti – negli anni recenti si è spostata sostanzialmente in territorio deficitario:
Ufficio dell’analisi economica
Ma perché? Si potrebbe essere tentati di affermare che ciò sia ovvio: abbiamo gestito grandi deficit di bilancio, prendendo soldi in prestito da stranieri, dunque naturalmente il nostro debito verso gli stranieri è in crescita. Ma quella spiegazione richiede implicitamente una crescita del deficit commerciale (o più precisamente del deficit di conto corrente, che include il reddito degli investimenti), che non c’è stata. Di fatto, i deficit di conto corrente sono stati modesti a confronto con quelli degli anni della bolla:
Dunque, la cosa non riguarda le grandi somme di indebitamento all’estero, si tratta di un qualche effetto di valutazione. Ma cosa, in specifico?
Ebbene, ho preso i dati dell’Ufficio dell’Analisi Economica, e ne ho tratto due categorie. La prima sono i possedimenti di azioni transnazionali, sia nella forma di investimenti di portafoglio che di componenti azionarie di investimenti diretti (il che significa investimenti che comportano controllo, tipicamente nella forma di società sussidiarie della azienda). La seconda è il debito, ancora sia in portafoglio che in rapporto ad investimenti diretti. Ho espresso questi titoli come percentuali del PIL, per correggere la “normale” crescita su entrambi i versanti della contabilità. Ecco quello che ho trovato:
Ufficio dell’Analisi Economica
Il grande spostamento consiste in una brusca crescita dei possessi stranieri di titoli statunitensi, non pareggiato in alcun modo da un crescita paragonabile di possessi statunitensi di titoli stranieri. Da cosa dipende?
La risposta, credo, è quella che si osserva negli andamenti differenziali dei mercati azionari. Ecco, per esempio, il confronto tra S&P 500 [1] e lo Stoxx [2] dell’area euro:
BCE, Fred
Dunque, il valore di possedimenti stranieri in titoli statunitensi (e la relativa componente azionaria di investimenti diretti stranieri) ha avuto una impennata assieme al mercato azionario nel periodo di Obama, mentre i possedimenti statunitensi all’estero non hanno avuto alcuna spinta paragonabile.
E questo significa che la caduta nella posizione internazionale degli Stati Uniti negli investimenti, lungi dall’essere un segno di debolezza, è effettivamente un sintomo della forza relativa degli Stati Uniti, che si riflette in forti prezzi delle azioni.
Penso di aver ragione, anche se sarei contento di ascoltare spiegazioni alternative.
[1] Lo Standard & Poor’s 500 è il più importante indice azionario nordamericano. Sebbene storicamente siano nati prima gli indici Dow Jones, questo paniere ha assunto maggiore importanza presso gli investitori. È infatti il principale benchmark azionario relativo ai titoli quotati a Wall Street ed è il sottostante per un incredibilmente ampio ventaglio di prodotti derivati, quali futures, opzioni e certificates.
[2] L’Euro Stoxx 50 è un indice di titoli dell’eurozona creato dalla Stoxx Limited, una joint venture formata da Deutsche Börse AG, Dow Jones & Company e SWX Group. Secondo la Stoxx, il proprio obiettivo è «rappresentare le maggiori società appartenenti all’eurozona».
maggio 2, 2015
May 2 8:20 am
Last year was the 50th anniversary of the War on Poverty, and the date provoked a flurry of studies correcting some widespread myths; perhaps most notable was an enlightening report from the Council of Economic Advisers.
What needed correcting? Basically, the “nation of takers” narrative, according to which we have been pouring ever-growing sums into helping the poor while making no dent in the poverty rate.
The reality is that spending on “income security” — which includes virtually everything except Medicaid that you could construe as aid to people with low incomes — has basically been flat for decades, with a temporary (and appropriate) spurt due to unemployment benefits and food stamps during the Great Recession:
If you don’t believe this, think about it: where are these big anti-poverty programs? We have EITC and food stamps; TANF, the successor to old-fashioned welfare, is a shadow of the former program. So where are these huge sums outside health care?
Meanwhile, it’s not true that poverty has been unchanged; the standard measure is known to be flawed, and a better measure shows progress, although not as much as we’d like:
So it is somewhat disheartening to see the thoroughly debunked narrative still emerging in some of the Baltimore-inspired discussion.
Verità della politica verso la povertà
L’anno passato fu il 50° anniversario della Guerra contro la Povertà, e la ricorrenza provocò una raffica di studi che correggono alcuni miti diffusi; il più considerevole dei quali fu forse un rapporto del Consiglio dei Consulenti economici [1].
Cosa era necessario correggere? Fondamentalmente, il racconto della “nazione di assistiti”, secondo il quale avremmo investito somme sempre crescenti nell’aiuto ai poveri mentre non si sarebbe scalfito il tasso di povertà.
La verità è che la spesa sulla “sicurezza del reddito” – che include virtualmente, ad eccezione di Medicaid, tutto quello che si può interpretare come aiuto alle persone con i redditi bassi – è rimasta sostanzialmente piatta per decenni, con una temporanea (e comprensibile) accentuazione dovuta ai sussidi di disoccupazione ed alle tessere per il sostegno alimentare durante la Grande Recessione [2]:
Se non ci credete, pensate a questo: dove sono questi grandi programmi contro la povertà? Abbiamo i crediti di imposta sui redditi da lavoro [3] e i sostegni alimentari; il programma della “Assistenza temporanea alle famiglie bisognose” [4], che prese il posto della ‘assistenza’ in voga in precedenza, è un’ombra del programma precedente. Dove sono, dunque, queste vaste somme, al di fuori della assistenza sanitaria?
Nel frattempo, non è vero che la povertà è immutata; la misurazione standard è notoriamente difettosa, ed una misurazione migliore mostra un progresso, sebbene non quello che sarebbe desiderabile [5]:
È dunque in qualche modo scoraggiante assistere al racconto che è stato mostrato del tutto privo di fondamento che ancora emerge in alcuni dibattiti provocati dai fatti di Baltimora.
[1] Ovvero, la commissione di consulenti economici che coadiuva il Presidente degli Stati Uniti e che regolarmente è stata presieduta (o composta) da economisti di notevole prestigio. Ad esempio: John Taylor con Bush padre (1989-1991), Joseph Stiglitz e Janet Yellen con Clinton (1995-1997 il primo, 1997-1999 la seconda), Jeffrey Frankel (componente negli anni 1997-1999), Gregory Mankiw con Bush (2003-2005), Ben Bernanke ancora con Bush (2003-2005), Christina Romer nel primo periodo di Obama (2009-2010). Tra le altre cose, la Commissione predispone l’annuale Rapporto Economico del Presidente degli Stati Uniti.
[2] La tabella mostra l’evoluzione delle spese assistenziali generali degli Stati Uniti, ovvero non soltanto i programmi relativi alle persone indigenti. La linea blu indica le spesa per il programma della Previdenza Sociale, e come si nota i costi del programma pensionistico sono relativamente stabili sin dagli anni ‘70 (anche il modesto incremento nell’ultima crisi, probabilmente si spiega con gli affetti degli andamenti demografici, per l’entrata in pensione della generazione postbellica dei ‘babyboomer’). La linea rossa indica l’evoluzione generale della spesa sanitaria (che certamente non riguarda solo i poveri, e la cui crescita, come si nota, si è sostanzialmente interrotta negli ultimi anni caratterizzati dalla entrata in funzione della riforma sanitaria di Obama). Dunque, solo la linea verde indica esclusivamente i programmi contro la povertà, la cui crescita nel periodo della Grande Recessione recente è spiegata dal post.
[3] EITC sta per “Earned income tax credit”.
[4] TANF sta per “Temporary Assistance for Needy Families”, e si rivolge alle famiglie con figli a carico e con difficoltà occupazionali. Il programma fu istituito nel 1997, con il Presidente Clinton, e sostituì un precedente programma che era denominato “Aiuto alle famiglie con figli a carico”. Talora veniva, quest’ultimo, semplicemente chiamato “Assistenza”.
[5] La linea nera indica la misurazione dei tassi di povertà sulla base dei criteri fissati negli anni ’60. La linea verde aggiornò i criteri di stima della povertà (la tabella si riferisce all’aggiornamento stabilito nel 2012). Come si vede, i nuovi criteri mostrano storicamente un livello di povertà superiore a quello risultante dai criteri precedenti, ma indicano anche una sostanziale flessione della ‘linea della povertà’, che negli anni recenti si è portata agli stessi livelli dei calcoli precedenti, ma che alla fine degli anni ’60 era di ben dieci punti superiore.
maggio 1, 2015
May 1 2:43 pm
Tony Yates responds to Simon Wren-Lewis with a sort-of kind-of defense of the turn to austerity in 2010; I want to weigh in briefly, then turn to a point he reminds me of.
So, Yates first makes an argument that I agree with, that budget deficits can pose a problem even for countries that borrow in their own currencies if these countries also worry about inflation. Indeed. But that was never in dispute, at least on my end; the point was always limited to depressed economies where inflation would have been a benefit, not a cost.
He then argues that Britain had to be especially careful because of its financial sector. I still don’t understand the logic here, and am waiting for an explanation.
The interesting line, however, is Yates’s note that Britain had relatively high inflation in 2010-2011, which might have meant that the economy faced supply-side rather than demand-side problems, so contractionary policy might have been appropriate. My question is this: even if you accepted that argument, wasn’t that an argument for monetary rather than fiscal contraction? And if the BoE didn’t consider the evidence of overheating sufficient to justify pulling back on its quantitative easing, which had already tripled the size of its balance sheet, why should the Treasury have decided to tighten on its own?
After all, the basic logic of the situation is that you should wait until monetary tightening — until the central bank is starting to move off the zero lower bound — before fiscal consolidation. That way you can trade off fiscal tightening for a slower pace of monetary tightening, and avoid deepening the slump. But in 2010-2011 the British central bank wasn’t ready to tighten in any case, so fiscal policy should have waited.
And this brings me to my final point: the BoE was right.
I wrote at the time:
The story so far: Britain is currently experiencing relatively high headline inflation, more than 4 percent over the previous year. And so there are demands that the BoE tighten. Yet the bulk of the rise in inflation clearly represents temporary or one-time factors: a rise in value-added taxes as temporary breaks introduced during the recession expired, commodity prices, and the once-off effects of the fall in the value of the pound against the euro.
Nonetheless, the inflation hawks demand a rate rise, arguing that despite the still very depressed state of the economy, inflation must be nipped in the bud or it will turn into stagflation, 70s-style.
…
What we can hope for is that the BoE stays the course; and when inflation in the UK drops sharply, as it almost surely will, that will be an object lesson in the folly of always making policy as if it were 1979.
And so it proved.
Austerità e inflazione in Inghilterra
Toni Yates risponde a Simon Wren-Lewis in qualche modo con una specie di difesa del passaggio all’austerità nel 2010; voglio dire la mia brevemente, per poi passare ad un aspetto che mi ha rammentato.
Dunque, Yates dapprima avanza un argomento che condivido, che i deficit di bilancio possono costituire un problema anche per i paesi che si indebitano nelle loro valute, se quei paesi hanno anche la preoccupazione dell’inflazione. È così. Ma ciò non è mai stato in discussione, almeno da parte mia; il punto è sempre stato limitato ad economie depresse nelle quali l’inflazione sarebbe stato un vantaggio, non un costo.
Egli poi sostiene che il Regno Unito era in una situazione particolarmente delicata a causa del suo settore finanziario. In questo caso continuo a non comprendere il ragionamento, e resto in attesa di una spiegazione.
L’aspetto interessante, tuttavia, è l’osservazione di Yates secondo la quale l’Inghilterra negli anni 2010-11 aveva una inflazione relativamente alta, il che poteva significare che l’economia stesse fronteggiando problemi dal lato dell’offerta piuttosto che dal lato della domanda, cosicché politiche restrittive potevano essere appropriate. La mia domanda è questa: persino se si accettasse quell’argomento, non era esso a favore di una restrizione monetaria, piuttosto che della spesa pubblica? E se la Banca di Inghilterra non considerò le prove del surriscaldamento sufficienti a giustificare un ritiro della sua facilitazione quantitativa, che aveva già triplicato la dimensione dei suoi equilibri patrimoniali, perché il Tesoro avrebbe dovuto decidere di restringere per suo conto?
Dopotutto, la logica di fondo della situazione è che si dovrebbe attendere sino ad una restrizione monetaria – sino a che la banca centrale comincia a muoversi dal limite inferiore dello zero – prima del consolidamento della finanza pubblica. In quel modo si può controbilanciare la restrizione con un ritmo più lento di restrizione monetaria, ed evitare un aggravamento della congiuntura negativa. Ma nel 2010-11 la banca centrale britannica non era in alcun modo pronta alla restrizione, dunque la politica della finanza pubblica avrebbe dovuto attendere.
E questo mi porta al mio argomento finale: la Banca di Inghilterra aveva ragione.
Scrissi a quel tempo:
“La storia sino ad oggi: l’Inghilterra sta attualmente sperimentando una inflazione complessiva [1] relativamente elevata, più del 4 per cento rispetto all’anno precedente. E dunque ci sono le richieste di restrizione alla Banca di Inghilterra. Tuttavia, il grosso della crescita dell’inflazione rappresenta chiaramente fattori provvisori o non ripetibili: un aumento delle tasse sul valore aggiunto nel mentre le provvisorie modifiche introdotte durante la recessione vanno ad esaurimento, i prezzi delle materie prime, e gli effetti una-tantum della caduta del valore della sterlina nei confronti dell’euro.
Ciononostante, i falchi dell’inflazione chiedono un aumento del tasso, sostenendo che nonostante le condizioni molto depresse dell’economia, l’inflazione debba essere stroncata sul nascere oppure si trasformerà in una stagflazione, modello anni 70’.
…
Quello che possiamo auspicare è che la Banca di Inghilterra mantenga la rotta; e quando l’inflazione nel Regno Unito scenderà bruscamente, come è quasi certo che accadrà, essa sarà anche una lezione dal vivo della follia del ripetere sempre la stessa politica come se fossimo nel 1979.
E così venne confermato.
[1] Questo è il significato di “headline inflation”. Ovvero, una inflazione ‘comprensiva’ dei prezzi dei beni più volatili, come quelli energetici e delle materie prime. In alternativa alla “core inflation”, che invece li esclude dal computo. Come si vede dalla Tabella, l’andamento della “headline inflation”, dopo il picco del 2011, quando superò il 3,5%, è sceso sino a poco sopra l’1 per cento attuale. Se si esaminasse la stessa evoluzione per la “core inflation”, la curva sarebbe molto più piatta.
maggio 1, 2015
May 1 8:52 am
Ben Bernanke delivers a righteous smackdown of the Wall Street Journal editorial page:
It’s generous of the WSJ writers to note, as they do, that “economic forecasting isn’t easy.” They should know, since the Journal has been forecasting a breakout in inflation and a collapse in the dollar at least since 2006, when the FOMC decided not to raise the federal funds rate above 5-1/4 percent.
It has taken Ben almost no time in his blogging career to start sounding pretty much identical to Brad DeLong and perhaps other liberal econobloggers one might think of!
And BB is right, of course, that the WSJ has been consistently wrong on inflation, just as it has been consistently wrong on interest rates. It has spent a very long time peddling a specific kind of scare story — debt! printing presses! Zimbabwe! — that has been utterly wrong, but is never revised.
But what’s interesting here is that the Journal is far from alone in peddling this stuff — it’s also the staple of financial TV and many financial publications — and there are still many avid consumers after all these years of utter predictive failure.
We really need to stop pretending that this is any kind of rational argument. There’s something about inflation derp that goes straight to the ids of certain people — largely, one suspects, angry old men, though it would be nice to have hard evidence on the demographic. And they will keep regarding the Journal as the place to get the truth no matter how much money it costs them.
Bernanke e gli inflazionisti
Ben Bernanke assesta una giusta reprimenda alla pagina degli editoriali del Wall Street Journal:
“E’ generoso, da parte di coloro che scrivono sul WSJ, notare, come fanno, che ‘le previsioni economiche non sono facili’. Loro dovrebbero saperlo, dato che il Journal è venuto facendo previsioni su uno scoppio dell’inflazione e su un collasso del dollaro almeno a partire dal 2006, quando la FOMC [1] decise di non elevare il tasso dei finanziamenti federali al di sopra del 5 . ¼ per cento.”
Non c’è voluto molto perché Ben, nella sua carriera di blogger, cominciasse a sembrare praticamente identico a Brad DeLong e magari ad altri blogger economici che possono venire in mente!
E Ben Bernanke, ovviamente, ha ragione nel dire che il WSJ ha avuto costantemente torto sull’inflazione, come ha avuto costantemente torto sui tassi di interesse. Esso spese un tempo lunghissimo mettendo in circolazione un genere particolare di racconti terribili – Il debito! Lo stampare moneta! Lo Zimbabwe! – che sono stati completamente sbagliati, ma mai riesaminati.
Ma quello che in questo caso è interessante è che il Journal è lungi dall’esser rimasto solo nel mettere in giro questa roba – essa è anche il prodotto di base delle televisioni e di molte pubblicazioni finanziarie – e ci sono ancora, dopo tutti questi anni di totale fallimento nelle previsioni, ancora molti consumatori avidi.
Abbiamo veramente bisogno di smettere di pensare che questo sia in qualche modo un argomento razionale. C’è qualcosa nei ‘derp’ [2] dell’inflazione che va diritto all’identità di certe persone – in gran parte, vien da pensare, uomini anziani arrabbiati, per quanto sarebbe bello avere qualche prova inequivocabile sulla demografia. E continueranno a considerare il Journal come il posto nel quale trovano la verità, a prescindere da quanti soldi gli costi.
[1] Il Federal Open Market Committee (italiano Comitato federale del mercato aperto, FOMC) è un organismo della Federal Reserve incaricato di sorvegliare le operazioni di mercato aperto negli Stati Uniti e ne è il principale strumento di politica monetaria. Il FOMC regola la politica monetaria specificando l’obiettivo a breve termine ovvero decidendo il federal funds rate, ovvero livello dei tassi d’interesse negli USA.
[2] Credo che in generale “derp” indichi quando qualcuno dice qualcosa di sciocco, e dunque indica anche la categoria di persone predisposta a tali stupidaggini. Deriva da un personaggio dei cartoni della serie South Park.
aprile 28, 2015
Apr 28 2:18 pm
Simon Wren-Lewis tries to put his finger on something I’ve also been trying to get at — the sharp difference between what influential people think they know about economics and what people who actually study the economy think they know. My take may be slightly different at the margin, but I do believe that it’s important.
On one side you have the Very Serious People — politicians, media figures, big business types who like to weigh in on public affairs. On the other side you have mainstream economists. So it’s VSPs versus MSEs.
When talking about “received wisdom” Simon focuses on the views of policy departments at central banks; I’d like to cast this net wider, which means that we have to decide what “mainstream” means. I don’t think I want to base this on journal publications; what I mean, more vaguely, is economists who routinely weigh in on policy issues (so that they have some reality sense) but are not essentially hired advocates for one position or another. Luckily, we now have regular surveys of economists who fit that description, by the Booth School in the US and the Centre for Macroeconomics in the UK.
Now, many people imagine that the views of VSPs must be based on, or at least consistent with, what MSEs are saying. Many people I talk to believe this, for better or for worse; they think that obsession with debt and deficits must be right because “everyone” shares it, or alternatively that the economics profession is responsible for that destructive obsession.
So it’s important, I think, to understand that this isn’t at all right. On questions of stimulus and austerity, in particular, what the VSPs think they know is quite at odds with mainstream economics. In the US, all the important people know that the Obama stimulus failed, while almost all mainstream economists believe — based on actual evidence — that it succeeded. In the UK, all the important people know that austerity boosted the economy, while only a small minority of mainstream economists agrees.
Needless to say, mainstream economists could be wrong. They certainly have been in the past — very few, for example, took seriously the possibility of a financial panic in the modern world. But on the whole the MSEs have been bastions of good sense these past seven years or so as compared with the political world, and understandably so: while heterodox economic ideas sometimes do turn out right, finance ministers are the last group of people you want picking and choosing which new working paper should be the basis of policy.
So by all means let’s keep an open mind about new ideas. But we should bear in mind that the world would be in much better shape right now if economic orthodoxy had in fact been followed. In practice, all the heterodoxy with any real-world influence has been used by politicians to justify policies that have deeped the slump and increased suffering.
Persone Molto Serie contro Economisti dell’Orientamento Prevalente
Simon Wren-Lewis prova a mettere il dito su qualcosa che ho anch’io cercato di dire – la netta differenza tra quello che le persone influenti pensano di sapere sull’economia e quello che chi studia effettivamente economia pensa che essi sappiano. La mia posizione può essere al limite leggermente diversa, ma credo davvero che sia importante.
Da una parte abbiamo le Persone Molto Serie – politici, personaggi dei media, individui delle grandi imprese che cercano di intervenire sugli affari pubblici. Dall’altra abbiamo gli economisti dell’orientamento prevalente. Dunque, sono le VSP contro i MSE [1].
Quando parla di “senso comune” Simon si concentra sui punti di vista dei dipartimenti strategici presso le banche centrali; io lancerei questa rete in modo più ampio, il che significa che dobbiamo decidere cosa significhi “dell’orientamento prevalente”. Non penso di voler basare il mio giudizio sulle pubblicazioni sulle riviste; quello che intendo, più vagamente, sono gli economisti che normalmente intervengono su temi politici (cosicché hanno un qualche senso delle cose reali), ma essenzialmente non sono sostenitori assunti a favore di una posizione o dell’altra. Fortunatamente, noi abbiamo adesso rilevamenti regolari che si adattano a questa descrizione, da parte della Booth School negli Stati Uniti e del Centre of Macroeconomics nel Regno Unito.
Ora, molte persone si immaginano che i punti di vista delle Persone Molto Serie debbano basarsi, o almeno essere coerenti, con quello che gli Economisti dell’Orientamento Prevalente stanno dicendo. Molte persone con cui parlo lo credono, in senso positivo o negativo; pensano che l’ossessione con il debito e con i deficit debba essere giusta giacché “tutti” la condividono, oppure in alternativa che la disciplina economica sia responsabile di quella ossessione distruttiva.
Dunque, è importante, credo, capire che le cose non stanno affatto in quel modo. Sulle domande sulle misure di sostegno e sull’austerità, in particolare, quello che le Persone Molto Serie pensano di sapere è quasi all’opposto degli economisti dell’orientamento prevalente. Negli Stati Uniti, tutte le persone importanti sanno che le misure di sostegno di Obama sono fallite, mentre quasi tutti gli economisti dell’orientamento prevalente credono – basandosi su prove effettive – che abbiano avuto successo. Nel Regno Unito, tutte le persone importanti sanno che l’austerità ha incoraggiato l’economia, mentre solo una piccola minoranza di economisti è d’accordo.
Non c’è bisogno di dire che gli economisti dell’orientamento prevalente potrebbero aver torto. Certamente lo hanno avuto in passato – molto pochi, ad esempio, presero sul serio la possibilità di un panico finanziario nel mondo moderno. Ma, in generale, gli Economisti dell’Orientamento Prevalente sono stati, nei sette anni passati, dei bastioni di buon senso, almeno al confronto con il mondo politico, e comprensibilmente: mentre le idee economiche eterodosse talvolta si scoprono giuste, i ministri delle finanze sono l’ultimo gruppo di persone che vorreste si basassero su un nuovo documento di lavoro, come fondamento delle loro strategie.
Dunque, certamente atteniamoci ad una mentalità aperta sulle nuove idee. Ma dovremmo considerare che il mondo sarebbe in una forma assai migliore, in questo momento, se di fatto si fosse seguita l’ortodossia economica. In sostanza, tutta l’eterodossia con una qualche influenza sul mondo reale è stata utilizzata dagli uomini politici per giustificare strategie che hanno approfondito la crisi ed aumentato le sofferenze.
[1] Si consideri che i diagrammi che compaiono all’inizio del post, riguardano esclusivamente le risposte che sono state fornite da economisti statunitensi alla domanda se la legge sulle misure di sostegno all’economia di Obama del 2009 abbia abbassato il livello della disoccupazione nel 2010. Nel primo diagramma vengono riportare le risposte totali, nel secondo le risposte ponderate sulla base della fiducia di ciascun esperto (che non sono sicuro cosa voglia dire, a parte il fatto che nella prima tabella le risposte sembrano essere solo l’84%, pur essendoci anche la possibilità di non rispondere che però non raccoglie alcuna preferenza, e nel secondo sono il 100%). Come si vede, comunque, in entrambi i casi una stragrande maggioranza degli economisti ritiene di essere d’accordo o molto d’accordo con un giudizio positivo sulle misure di Obama.
aprile 26, 2015
Apr 26 3:51 pm
I’m going belatedly through files my father left, and discovered a folder of stuff about myself — report cards and all that. Plus this:
Yes, that’s my draft lottery number — the number which, or so everyone thought, determined whether I was going to Vietnam when my college deferment ended. Like everyone in my class, I waited in terror to see whether I was likely to be called; 295 meant that I was safe.
As it turned out, I needn’t have worried: in the end, nobody from my class was called. But it seemed like a life-defining moment at the time.
No moral to this story, just a reminder of how much history we’ve gone through.
Non diventammo soldati (personale e banale)
Sto immergendomi in ritardo sugli archivi lasciati da mio padre, ed ho scoperto una cartella che mi riguarda – pagelle scolastiche e cose del genere. In più questo:
Sì, è il mio numero di lotteria relativo alla coscrizione [1] – il numero che determinava, o almeno così pensavano tutti, se ero destinato ad andare in Vietnam al momento in cui scadeva il differimento universitario. Come tutti nella mia classe, attesi con terrore di vedere se era probabile che venissi chiamato; il numero 295 significava che ero al sicuro.
Come risultò, non avevo bisogno di preoccuparmi: alla fine, nessuno venne chiamato dalla mia classe. Ma a quel tempo sembrò come uno sparti-acque nella nostra esistenza.
Nessuna morale in questa vicenda, solo un ricordo di quanta storia abbiamo passato.
[1] Il riferimento alla lotteria non è ‘letterario’, perché nella scelta degli uomini da arruolare un apposito servizio degli Stati Uniti condusse due lotterie relative all’ordine di chiamata della popolazione maschile nata tra il 1944 ed il 1950.
aprile 26, 2015
Apr 26 12:30 pm
OK, Greg Mankiw has me puzzled. Has he really read nothing about TPP? Is he completely unaware of the nature of the argument?
Personally, I’m a lukewarm opponent of the deal, but I don’t see it as the end of the Republic and can even see some reasons (mainly strategic) to support it. One thing that should be totally obvious, however, is that it’s off-point and insulting to offer an off-the-shelf lecture on how trade is good because of comparative advantage, and protectionists are dumb. For this is not a trade agreement. It’s about intellectual property and dispute settlement; the big beneficiaries are likely to be pharma companies and firms that want to sue governments.
Those are the issues that need to be argued. David Ricardo is irrelevant.
Questo non è un accordo commerciale
È così, Greg Mankiw mi ha sconcertato [1]. Non ha davvero letto niente sul TPP [2]? È completamente inconsapevole della natura dell’argomento?
Personalmente, sono un oppositore moderato dell’accordo, ma non lo considero come la fine della Repubblica e posso anche vedere qualche ragione (principalmente strategica) a suo sostegno. Una cosa che dovrebbe essere completamente evidente, tuttavia, è che è fuori luogo ed insultante offrire una lettura pronta all’uso su come il commercio sia una cosa buona per via del vantaggio comparativo, e su come i protezionisti siano sciocchi. Perché questo non è un accordo commerciale. Esso riguarda la proprietà intellettuale e gli accordi sulle controversie; i grandi beneficiari è probabile siano le società farmaceutiche e le imprese che vogliono citare in causa i Governi.
Sono questi i temi sui quali si debbono portare argomenti. David Ricardo è irrilevante.
[1] L’articolo di Greg Mankiw, economista di orientamento conservatore, già consigliere di Bush, altre volte però citato in queste traduzioni per le sue prese di distanza dagli economisti più fanatici della destra (era suo il giudizio negativo sulle versioni dell’economia dal lato dell’offerta dell’epoca reaganiana, definite “ciarlatane”), è apparso il 24 aprile sul New York Times. L’articolo è effettivamente sconcertante, dato che esprime consenso al TPP il termini talmente generali, da non portare neanche un argomento di merito ad esso attinente.
[2] TPP è l’eccordo in corso di definizione della “Cooperazione Trans-Pacifico”. L’accordo riguarda i paesi inclusi nella seguente cartina, ma come si vede la Cina è soltanto indicata come potenziale membro futuro.
aprile 25, 2015
Apr 25 3:09 pm
I’m pretty sure Roger Farmer is subtweeting me here, when he says
There are still a number of self-professed Keynesian bloggers out there who see the world through the lens of 1950s theory.
And it’s true! In fact, quite a lot of what I use is 1930s economic theory, via Hicks. And I should be deeply ashamed. I am, however, not the worst offender. After all, there are plenty of physicists who still use Newtonian dynamics, which means that they’re seeing the world through the lens of 17th-century theory. Fools!
OK, Farmer wants us to think in terms of models with
an infinite dimensional continuum of locally stable rational expectations equilibria
or maybe
a continuum of attracting points, each of which is an equilibrium.
But why, exactly? Saying that it’s “modern” is no answer; so, for a while, was real business cycle theory, which proved to be a huge wrong turn.
In part, I think, Farmer is trying to explain an empirical regularity he thinks he sees, but nobody else does — a complete absence of any tendency of the unemployment rate to come down when it’s historically high. I’m with John Cochrane here: you must be kidding.
But let me not try to figure out what Farmer wants, and instead ask what the rest of us should want.
Clearly, models with rational expectations, markets continuously in equilibrium, and unique equilibria don’t cut it. But which pieces of such models would you want to modify or replace? Farmer wants to preserve rational expectations and continuous equilibrium, while introducing multiple equilibria. That strikes me as a bizarre choice. Why not appeal to behavioral economics, behavioral finance in particular, to make sense of bubbles? Why not appeal to the clear evidence of price and wage stickiness — perhaps grounded in bounded rationality — to make sense of market disequilibrium?
The 1950s theory Farmer derides actually follows more or less that agenda, albeit informally. Wage stickiness is just assumed, but loosely justified in terms of psychology; New Keynesian models, with explicit modeling of price setting and menu costs, make this a bit less ad hoc but not much. Demand for goods and assets is based on plausible descriptions of behavior, with allowance for possible deviations from rational expectations. Obviously you want to go deeper than this if you can; but has this approach been proved useless as compared with more modern theory?
Surely the answer is a resounding no. As I’ve written many times, economists who knew their Hicks have actually done extremely well at predicting the effects of monetary and fiscal policy since the 2008 crisis, whereas those who sneered at this old-fashioned stuff have been wrong about almost everything.
I’m all for new ideas, indeed for radical heterodoxy, if it solves some problem. Attacking ideas that seem to work pretty well simply because they’ve been around for a while, not so much.
Scegliete la vostra eterodossia (per esperti)
Sono quasi certo che Roger Farmer [1] in questo caso si riferisca [2] a me, quando afferma:
“Ci sono un certo numero di sedicenti blogger Keynesiani in circolazione, che guardano il mondo attraverso le lenti della teoria degli anni ‘50”.
Ed è vero! Di fatto, molto di quello di cui faccio uso è una teoria economica degli anni ’30, per il tramite di Hicks. E dovrei vergognarmene profondamente. Tuttavia, non sono il caso peggiore. Dopotutto, ci sono una quantità di fisici che usano ancora la dinamica newtoniana, il che significa che stanno guardando il mondo attraverso le lenti di una teoria del diciassettesimo secolo. Scemi!
Va bene, Farmer vorrebbe che ragionassimo in termini di modelli con
“un infinito ‘continuum’ dimensionale di stabili equilibri di aspettative razionali”
o forse
“un continuo di punti di attrazione, ognuno dei quali è in equilibrio”.
Ma perché, precisamente? Dire che è “moderno” non è una risposta; per un certo periodo, fu tale la teoria del ciclo economico reale, che si dimostrò essere una svolta profondamente sbagliata.
In parte, io penso, Farmer sta cercando di spiegare una regolarità empirica che pensa di osservare, ma nessun altro lo fa – la assenza completa di ogni tendenza del tasso di disoccupazione a calare quando è storicamente elevata. Sono, in questo caso, d’accordo con John Cochrane: probabilmente sta scherzando.
Ma consentitemi di non cercare di immaginare cosa voglia Farmer, e piuttosto di chiedere cosa dovremmo volere tutti noi.
Chiaramente, modelli con le aspettative razionali, con mercati continuamente in equilibrio, ed equilibri unici non vanno bene. Ma quali pezzi di tali modelli si vorrebbe modificare o rimpiazzare? Farmer vorrebbe preservare le aspettative razionali e l’equilibrio continuo, nel mentre si introducono gli equilibri multipli. Questa mi pare una scelta bizzarra. Ma perché non ricorrere alla economia comportamentale, in particolare alla finanza comportamentale, per trovare il significato delle bolle? Perché non rivolgersi alla chiara evidenza della rigidità dei prezzi e dei salari – magari basata su una razionalità limitata – per dare un senso allo squilibrio del mercato?
La teoria degli anni ’50 che Farmer deride, per la verità, segue più o meno quella logica, seppure informalmente. La rigidità dei salari è soltanto assunta, sebbene giustificata genericamente in termini di psicologia; i nuovi modelli neokeynesiani, con una esplicita modellazione della definizione dei prezzi e della riorganizzazione complessiva dei costi, la rendono un po’ meno “ad hoc”, ma non di molto. La domanda di beni e di asset è basata su descrizioni plausibili del comportamento, con una tolleranza per deviazioni possibili dalle aspettative razionali. Ovviamente, se si vuole, si può andare più a fondo di tutto questo; ma questo approccio si è mostrato inutile, al confronto con la teoria più moderna?
La risposta è certamente negativa, in modo clamoroso. Come ho scritto molte volte, che economisti che avevano studiato il loro Hicks si sono per la verità comportati ottimamente nel prevedere gli effetti della politica monetaria e della finanza pubblica a partire dalla crisi del 2008, mentre coloro che si prendevano gioco di questa roba passata di moda, hanno avuto torto quasi su tutto.
Sono con tutto il cuore per le nuove idee, proprio per una eterodossia radicale, se ciò risolve qualche problema. Non altrettanto con l’attaccare le idee che sembrano funzionare abbastanza bene, semplicemente perché sono da un po’ in circolazione.
[1] Economista statunitense, docente alla Università della California, Los Angeles.
[2] “Subtweet” UrbanDictionary) è un “tweet ‘subliminale, con il quale ci si riferisce ad una persona senza nominarla”.
aprile 25, 2015
Apr 25 2:38 pm
Urban Institute
Kenneth Thomas has a nice post about how those pooh-poohing the achievements of the Affordable Care Act are moving the goalposts. The latest, as he points out, is this absurdity:
If we predict that something good will happen as a result of a new law, and that good thing happens, it doesn’t count as proof that the law was good.
But the question isn’t just whether the law is good; it is who has some credibility. So far, enrollment is growing more or less in line with the projections of supporters, once you allow for the refusal of half the state to expand Medicaid, while costs are coming in below projections. So the supporters are looking pretty good on the prediction front.
Meanwhile, what were the opponents saying? Right-wing “experts” were predicting a death spiral in which only a small number of sick people would sign up, and premiums would soar. This didn’t happen.
So, of course, conservatives have ditched the people who got this so completely wrong, and started listening to those who got it right. OK, I know, sick joke.
Ricordi dell’ultima spirale fatale [1]
Urban Institute
Kenneth Thomas ha un bel post su come coloro che ridicolizzano i risultati della Legge sulla Assistenza Sostenibile continuino a cambiare le carte in tavola. L’ultima, come egli indica, è questa assurdità:
“Se prevediamo che qualcosa di buono risulterà da una nuova legge, e quella cosa positiva succede, questa non è una prova che quella legge fosse buona.”
Ma la domanda non è se la legge sia buona; riguarda la credibilità di chi ne parla. Sino ad ora, le registrazioni sono più o meno in linea con le previsioni dei sostenitori, una volta che si considera il rifiuto di metà degli Stati ad ampliare Medicaid, mentre i costi stanno scendendo in basso nelle proiezioni. Dunque, sul fronte delle previsioni, i sostenitori delle legge se la stanno cavando bene.
Nel frattempo, cosa stavano dicendo gli oppositori? Gli “esperti” della destra prevedevano una spirale fatale, per la quale soltanto un piccolo numero di persone ammalate si sarebbe iscritto, e le polizze sarebbero salite alle stelle. Che è quello che non è accaduto.
Dunque, ovviamente, i conservatori hanno messo da parte le persone che avevano sbagliato in modo così completo, e cominciato ad ascoltare quelli che avevano visto giusto. Va bene, lo so, è uno scherzo che è venuto a noia.
[1] La tabella mostra le tendenze nel numero degli adulti non assicurati – tra i 18 ed i 54 anni – dal primo trimestre del 2013 al primo trimestre del 2015.
aprile 25, 2015
Apr 25 7:38 am
Wingnut welfare is an important, underrated feature of the modern U.S. political scene. I don’t know who came up with the term, but anyone who follows right-wing careers knows whereof I speak: the lavishly-funded ecosystem of billionaire-financed think tanks, media outlets, and so on provides a comfortable cushion for politicians and pundits who tell such people what they want to hear. Lose an election, make economic forecasts that turn out laughably wrong, whatever — no matter, there’s always a fallback job available.
Obviously this reality has important incentive effects. It encourages conservatives to espouse ever-cruder positions, because they don’t need to be taken seriously outside their closed universe. But it also, I’ve been noticing, makes them remarkably lazy.
Thus, Matt O’Brien marvels at Stephen Moore’s latest, with its “cherry-picking and unsupported assertions.” What O’Brien doesn’t note is that these assertions aren’t new; Moore and others have made them many times before, and they’ve been thoroughly debunked many times, for example here and here. No, revenues didn’t experience miraculous growth under Reagan; if you adjust, as you obviously should, for inflation and population growth, they grew less in the Reagan years than they did under Ford/Carter, and much less than under Clinton. Yes, the share of taxes paid by the rich rose — but only because of soaring inequality, which raised the share of the wealthy in income. And so on.
What’s remarkable, then, is that Moore doesn’t even try to come up with new distortions. He just rolls out the old debunked stuff, ignoring the criticisms. There are many adjectives you could apply to this work, but the one that stands out for me is just plain lazy.
But then again, why not? The audience for this kind of thing doesn’t want actual insight, it just wants affirmation of what it wants to hear, and it doesn’t care how embarrassingly you screw up as long as you’re ideologically on the right side. Someone like Moore effectively faces a 100 percent marginal tax rate on intellectual effort — no matter how much or how little time he puts in getting facts and numbers right, it will make no difference at all to his career. And the Heritage Foundation gets what it pays for.
Occasioni assistenziali per gli estremisti della destra [1] e incentivi per il lavoro [2]
Il sistema assistenziale degli estremisti è un aspetto importante e sottovalutato del moderno scenario politico degli Stati Uniti. Io non so chi abbia inventato quella espressione, ma chiunque segua le carriere delle persone della destra sa di cosa parlo: l’ecosistema generosamente finanziato dei gruppi di ricerca foraggiati dai miliardari, gli organi di stampa e tutto il resto forniscono un cuscino confortevole agli uomini politici ed ai commentatori che dicono quello che la gente vuol sentire. Perdete delle elezioni, fate previsioni economiche che risultano comicamente sbagliate, tutto quel che volete – non importa, c’è sempre un posto di lavoro di ripiego disponibile.
Ovviamente, questa realtà ha effetti importanti di incentivazione. Incoraggia i conservatori a esporre posizioni sempre più rozze, giacché non hanno bisogno di esser presi sul serio fuori dal loro chiuso universo. Ma sto notando che li rende anche considerevolmente folli.
Per questo, Matt O’Brien si meraviglia all’ultima uscita di Stephen Moore, con i suoi “giudizi selettivi e privi di sostegno”. Quello che O’Brien non nota è che queste asserzioni non sono nuove; Moore ed altri le hanno espresse molte volte, e sono stati completamente smentiti in molte occasioni, ad esempio in queste connessioni [3]. No, le entrate non conobbero una crescita miracolosa sotto Reagan; se correggete i dati, come ovviamente dovreste fare, sulla base dell’inflazione e della crescita della popolazione, le entrate crebbero negli anni di Reagan meno di quanto avvenne con Ford e Carter, e molto meno che sotto Clinton. Così come la percentuale delle tasse pagate dai ricchi salì – ma solo a causa della crescente ineguaglianza, che elevò la percentuale di reddito dei più ricchi. E così via.
Quello che è considerevole, dunque, è che Moore non tenta nemmeno di venir fuori con nuove mistificazioni. Semplicemente egli riespone la vecchia merce già ridicolizzata, ignorando le critiche. Ci sono molti termini con i quali si potrebbe caratterizzare un lavoro del genere, ma quello che secondo me è più adatto è proprio una schietta follia.
Ma allora, perché non ripetersi? Il pubblico di questo genere di cose non vuole idee vere e proprie, vuole la conferma di quello che vuol sentire, e, finché vi mantenente ideologicamente sulla destra dello schieramento, non si cura di quanto si dicano scempiaggini imbarazzanti. Gente come Moore, in sostanza, sono di fronte ad una aliquota fiscale marginale del 100 per cento sul loro sforzo intellettuale – non conta quanto ci mettano di fatti e di numeri, o quanto poco tempo gli costi; ciò non farà alcuna differenza per le loro carriere. E la Fondazione Heritage ottiene ciò per cui paga.
[1] “Wingnut”, secondo Merriam-Webster, è “una persona mentalmente squilibrata, che sostiene misure estreme o cambiamenti radicali”. Normalmente è rivolto più alla destra che alla sinistra, almeno in America. Coloro che vedono cospirazioni un po’ dappertutto, ad esempio, sono tipici ‘wingnut’.
[2] La tabella indica l’andamento delle entrate federali negli Stati Uniti. Come si nota, il periodo di Reagan (1981-1989) vide una crescita, ma non più rapida del periodo di Ford e Carter (rispettivamente: 1974-1977 e 1977-1981), e del tutto inferiore al periodo di Clinton (1993-2001).
[3] La prima connessione è con un articolo del Washington Post relativo ad un giudizio del repubblicano Rand Paul, secondo il quale Reagan aveva il primato di un boom di posti di lavoro. La seconda è un saggio di Bruce Bartlett che smentiva le sicurezze repubblicane, secondo le quali gli sgravi fiscali di Reagan non avrebbero provocato una riduzione delle entrate.
aprile 24, 2015
Apr 24 11:22 am
Simon Wren-Lewis continues his voice in the wilderness campaign against British economic myths, focusing on claims that Labour was fiscally profligate. Needless to say, I agree, and would like to enlarge on his points.
The simple fact is that Britain was not running big deficits on the eve of the financial crisis, and that public debt wasn’t high by historical standards. So how does that record get turned into a claim of wildly irresponsible budgeting? As Wren-Lewis says, there are really two levels to this diversion. First, there’s the highly questionable reinterpretation of past GDP data; second, there’s the implicit proposition that governments in the past should have based fiscal policy on information (or actually “information”) that didn’t exist at the time.
On the first point: these days official estimates say that Britain, although it had a modest actual deficit in 2006-2007, had a large “structural” deficit. How so? Well, these estimates are now based on estimates of potential output, which purport to show that the British economy in 2006-7 was hugely overheated and operating far above sustainable levels.
But nothing one saw at the time was consistent with this view. In particular, there was no sign of inflationary overheating. So why do the usual suspects claim that Britain had a large positive output gap?
The answer is that the statistical techniques used by most of the players here automatically reinterpret any prolonged slump as a slowdown in the growth of potential output — and because they also smooth out potential output, the supposed fall in current potential propagates back into the past, making it seem as if the pre-crisis economy was wildly overheated.
As an extreme example, consider Greece. Here’s the IMF estimate of Greece’s output gap before the storm:
Does anyone really believe that Greece was operating 10 percent — 10 percent! — above capacity in 2007-8? This is just a smoothing algorithm producing nonsense results in the face of economic catastrophe.
And this backward propagation of economic disaster also leads, automatically, to the appearance of past fiscal profligacy. Consider the case of Ireland. Back in 2006 George Osborne praised the country as a “shining example” of “wise economic policy-making”, and especially praised the country’s fiscal prudence. Today, backward-looking estimates say that Ireland was fiscally irresponsible all along:
Even if you believe these estimates (which you shouldn’t), it’s unfair to criticize the Irish government of the time for fiscal profligacy. They believed that they were acting responsibly, and all the best people were praising them for it.
So were Blair and Brown irresponsible? No, not at all. True, if they had known the crisis was coming they would probably have tried to pay down debt during the good years. But they didn’t know that, and in any case it’s hard to imagine that it would have made any significant difference. Claiming that there was a major failure of fiscal prudence isn’t even 20-20 hindsight, it’s hindsight with a severe case of astigmatism.
L’annebbiato senno di poi in materia di finanza pubblica
Simon Wren-Lewis continua a far sentire la sua voce nella solitaria campagna contro i miti economici britannici, concentrandosi sulla pretesa secondo la quale il Labour sarebbe stato sregolato dal punto di vista della finanza pubblica. Non è il caso che ribadisca il mio accordo, e vorrei diffondermi sui suoi argomenti.
Il fatto nudo e crudo è che l’Inghilterra non stava gestendo grandi deficit all’epoca della crisi finanziaria, e il debito pubblico, secondo le serie storiche, non era elevato. Come è accaduto dunque che quella prestazione la si voglia trasformare in una sfrenata e irresponsabile gestione dei bilanci ? Come dice Wren-Lewis, ci sono in realtà, in questa mistificazione, due livelli. Il primo, la molto discutibile reinterpretazione dei dati passati del PIL; il secondo, la affermazione implicita secondo la quale i Governi nel passato avrebbero dovuto basare la politica della finanza pubblica su una informazione (per la verità, tra virgolette) che non c’era.
Sul primo punto: stime ufficiali di questi giorni dicono che l’Inghilterra, sebbene avesse un modesto deficit effettivo nel 2006-2007, aveva un ampio deficit “strutturale”. Come è possibile? Ebbene, queste stime sono oggi basate su stime della produzione potenziale, con le quali si pretende di dimostrare che l’economia britannica nel 2006-2007 era ampiamente surriscaldata e operava molto al di sopra di livelli sostenibili.
Ma niente di ciò che si vedeva a quel tempo era coerente con questa opinione. In particolare, non c’era alcun segno di surriscaldamento inflazionistico. Dunque, perché i soliti noti pretendono che l’Inghilterra avesse un ampio differenziale positivo di produzione?
La risposta è che, in questo caso, le tecniche statistiche utilizzate dalla maggioranza dei soggetti reinterpretano ogni prolungata congiuntura negativa come un rallentamento nella crescita della produzione potenziale – e poiché esse anche ‘spianano’ la produzione potenziale, la supposta caduta nel potenziale si propaga all’indietro nel tempo passato, facendo apparire l’economia precedente alla crisi come sfrenatamente surriscaldata.
Alla stregua di un esempio limite, si consideri la Grecia. Questa è la stima del FMI sul differenziale di produzione prima della crisi:
Qualcuno può credere che la Grecia, nel 2007-2008, stesse operando per il 10 per cento – il 10 per cento! – al di sopra delle sue capacità? Questo è semplicemente un algoritmo che, appianando i dati, produce risultati insensati di fronte alla catastrofe economica.
E questa propagazione all’indietro del disastro economico porta anche, automaticamente, alla apparenza della sregolatezza finanziaria del passato. Nel passato 2006 George Osborne elogiava il paese come un “esempio brillante” di “saggia politica economica”, e in particolare elogiava la prudenza del paese in materia di finanza pubblica. Oggi, le stime che guardano indietro direbbero che l’Irlanda sia stata finanziariamente irresponsabile per tutto il tempo:
Anche se credete a queste stime (e non dovreste), è ingiusto criticare il governo irlandese di quel tempo per sregolatezza nella finanza pubblica. Essi credevano di stare agendo responsabilmente, e per quella ragione erano elogiati dalle persone migliori.
Dunque, Blair e Brown furono irresponsabili? Niente affatto. E’ vero, se avessero saputo della crisi che era in arrivo probabilmente avrebbero cercato di restituire il debito durante gli anni buoni. Ma non lo sapevano, e in ogni caso è difficile pensare che ciò avrebbe prodotto una differenza significativa. Pretendere che ciò abbia rappresentato una importanze mancanza di prudenza finanziaria non è nemmeno ragionare col senno di poi, è il senno di poi accompagnato da un grave caso di astigmatismo.
aprile 24, 2015
Apr 24 10:57 am
So there’s a lot of buzz about alleged scandals involving the Clinton Foundation. Maybe there’s something to it. But you have to wonder: is this just the return of “Clinton rules”?
If you are old enough to remember the 1990s, you remember the endless parade of alleged scandals, Whitewater above all — all of them fomented by right-wing operatives, all eagerly hyped by mainstream news outlets, none of which actually turned out to involve wrongdoing. The usual rules didn’t seem to apply; instead it was Clinton rules, under which innuendo and guilt by association were considered perfectly OK, in which the initial suggestion of lawbreaking received front-page headlines and the subsequent discovery that there was nothing there was buried in the back pages if it was reported at all.
Some of the same phenomenon resurfaced during the 2008 primary.
So, is this time different? First indications are not encouraging; it’s already apparent that the author of the anti-Clinton book that’s driving the latest stuff is a real piece of work.
Again, maybe there’s something there. But given the history here, we’d all be well advised to follow our own Clinton rules, and be highly suspicious of any reports of supposed scandals unless there’s hard proof rather than mere innuendo.
Oh, and the news media should probably be aware that this isn’t 1994: there’s a much more effective progressive infrastructure now, much more scrutiny of reporting, and the kinds of malpractice that went unsanctioned 20 years ago can land you in big trouble now.
Regole speciali per Clinton
C’è molto scalpore sui presunti scandali che coinvolgerebbero la Fondazione Clinton. Forse c’è qualcosa di vero. Ma dovete chiedervi: siamo tornati proprio alle “regole speciali per Clinton”?
Se siete anziani abbastanza da ricordare gli anni ’90, vi ricorderete la parata infinita dei presunti scandali, il Whitewater soprattutto [1] – che vennero tutti agitati da agenti della destra, entusiasticamente pubblicizzati dai principali organi di stampa, nessuno dei quali risultò comportare violazioni della legge. Non sembrò che si applicassero le regole comuni; c’era piuttosto la ‘versione’ per Clinton, secondo la quale l’insinuazione e la colpa per favoreggiamento erano considerate perfettamente plausibili, l’iniziale suggestione della violazione della legge riceveva i titoli delle prime pagine e la successiva scoperta che non c’era niente veniva seppellita nelle ultime pagine, quando se ne dava notizia.
Qualcosa dello stesso fenomeno venne resuscitato nelle primarie del 2008.
Dunque, questa volta è diverso? Dalle prime informazioni non sembrerebbe; è già evidente che l’autore del libro contro i Clinton che ha provocato l’ultima faccenda è proprio un bell’elemento [2].
Può darsi, ripetiamolo, che in questo caso ci sia qualcosa. Ma considerata la storia, dovremmo esser tutti messi sull’avviso di applicare le nostre proprie regole speciali per i Clinton, ed essere assai sospettosi di ogni resoconto su supposti scandali, a meno che non esistano prove consistenti, e non mere insinuazioni.
Inoltre, i media dovrebbero essere probabilmente consapevoli che non siamo nel 1994; oggi c’è una organizzazione progressista molto più efficace, una analisi molto più dettagliata della attività giornalistica, ed i tipi di abusi che non vennero sanzionati vent’anni orsono, oggi vi possono condurre a grandi guai.
[1] Principalmente, una vicenda giudiziaria che riguardò le attività finanziarie dei coniugi Clinton nella Whitewater Development Corporation. L’articolo da cui ebbero inizio i sospetti fu pubblicato nel 1992 dal New York Times. L’interesse delle autorità giudiziarie riguardò un successivo fallimento di una banca di risparmio locale, la Madison Guaranty Savings and Loan, nel cui fallimento si ipotizzavano connessioni con la diversa vicenda della Whitewater. Tutti i fatti erano relativi al periodo nel quale Bill Clinton era Governatore dell’Arkansas. Alcune persone vicine a Clinton subirono condanne, ma per i coniugi Clinton non si trovarono prove di colpevolezza sufficienti neppure all’avvio di un procedimento.
[2] Le notizie alle quali si allude, che mettono in evidenza alcuni errori e strumentalizzazioni nel libro in questione, sono apparsi sul blog “Mediamatters for America”, e l’autore del libro – tale Peter Schweizer – sembra abbia una lunga storia di giornalismo approssimativo.
aprile 23, 2015
Apr 23 12:24 pm
Yesterday I mentioned the phenomenon of austerity airbrushing — the way people who made pro-austerity arguments that have been refuted by events now claim that they said something quite different from what they did, in fact, say. There’s a comparable development when it comes to health reform — except that this is even more amazing, because it depends on observers forgetting what the debate looked like in the very recent past.
Thus, Jonathan Chait has some fun with the very thin-skinned Cliff Asness, who claims that it was “never in dispute” that Obamacare would increase the number of Americans with health insurance. Hmmm:
As Brad DeLong likes to say, I’ll stop calling these people Orwellian when they stop using 1984 as an operations manual. Although in these cases I suspect that we’re really talking about a pathetic level of self-delusion.
Ritocchi, versione Legge sulla Assistenza Sostenibile [1]
Ricordavo ieri il fenomeno dei ritocchi all’austerità – il modo in cui le persone che avevano avanzato argomenti a favore dell’austerità che sono stati smentiti dai fatti, ora sostengono di aver detto cose diverse da quelle che di fatto dissero. C’è uno sviluppo paragonabile quando si passa alla riforma sanitaria – se non per il fatto che esso è ancor più sorprendente, perché si basa sulla dimenticanza da parte degli osservatori del modo in cui tale dibattito appariva in un passato recentissimo.
Così, Jonathan Chait ironizza con il permalosissimo Cliff Asness, che sostiene che non venne “mai messo in discussione” che la riforma sanitaria di Obama avrebbe aumentato il numero degli americani provvisti di assicurazione sanitaria. Mmmh [2].
Come ama dire Brad DeLong, io smetterò di chiamare queste persone ‘orwelliani’, quando esse smetteranno di usare il libro “1984” come manuale operativo. Sebbene, in questi casi ho il sospetto che di fatto si stia parlando di un livello patetico di auto illusione.
[1] La tabella indica l’andamento della percentuale dei non-assicurati, per trimestre. Come si nota, la percentuale è sensibilmente calata a partire dal terzo trimestre del 2013.
[1] Il testo del titolo dell’articolo del Washington Post recita: “La tesi di Boehner secondo la quale la riforma sanitaria di Obama si è conclusa con una ‘perdita netta’ di individui provvisti di assicurazione sanitaria”. Come è noto, Boehner era ed è il leader repubblicano Presidente della Camera dei Rappresentanti.
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