Sep 24 10:21 am
David Brooks is getting some ribbing for suggesting that the wealthy should “follow a code of seemliness”, not living the lavish lifestyles they can afford. I don’t want to join in the jeering; instead, I want to talk a bit about the economics of flaunting your wealth (which was actually a topic I was working on before David’s last column).
The first thing to say is that expecting the rich not to flaunt their wealth is, of course, unrealistic. If your sense is that the rich were more restrained in the 50s and 60s, well, that’s because they weren’t nearly as rich either absolutely or relatively. The last time our society was as unequal as it is today, giant mansions and yachts were every bit as ostentatious as they are now — there’s a reason Mark Twain called it the Gilded Age.
Beyond that, for many of the rich flaunting is what it’s all about. Living in a 30,000 square foot house isn’t much nicer than living in a 5,000 square foot house; there are, I believe, people who can really appreciate a $350 bottle of wine, but most of the people buying such things wouldn’t notice if you substituted a $20 bottle, or maybe even a Trader Joe’s special. Even really fine clothing derives a lot of its utility to the wearer by the fact that other people can’t afford it. So it’s largely about display — which Thorstein Veblen could, of course, have told you.
So why go after this display, as opposed to taxing away some of the income? You could say that taxes reduce the incentive to get rich; but so would sumptuary laws, which would undermine the point of getting rich, and so, in fact, would a “code of seemliness”, which would again reduce the fun of flaunting it, which is a lot of what people want lots of money for.
Wait, there’s more. If you feel that it’s bad for society to have people flaunting their relative wealth, you have in effect accepted the view that great wealth imposes negative externalities on the rest of the population — which is an argument for progressive taxation that goes beyond the maximization of revenue.
And one more thing: think about what this says about economic growth. We have an economy that has become considerably richer since 1980, but with a large share of the gains going to people with very high incomes — people for whom the marginal utility of a dollar’s worth of spending is not only low, but comes largely from status competition, which is a zero-sum game. So a lot of our economic growth has simply been wasted, doing nothing but accelerating the pace of the upper-income rat race.
And now it’s time for me to make my seemly way to the office, on foot and mass transportation, where I will gloat in my moral superiority and sneer at people who haven’t won as many academic honors. Oh, wait.
Averli e metterli in mostra
David Brooks si è procurato qualche presa in giro per aver suggerito che i ricchi dovrebbero “seguire un codice di decenza”, non vivendo le esistenze sfarzose che si possono permettere. Non voglio fare anch’io dell’ironia; piuttosto, voglio parlare un po’ dell’economia della ostentazione della propria ricchezza (che era un tema sul quale stavo in effetti lavorando prima dell’ultimo articolo di David).
La prima cosa da dire è che aspettarsi che i ricchi non esibiscano la loro ricchezza è, ovviamente, irrealistico. Se avete la sensazione che i ricchi fossero più sobri negli anni ’50 e ’60, ebbene, dipendeva dal fatto che non erano neanche lontanamente così ricchi, né in termini assoluti, né relativi. Nell’ultimo periodo nel quale la nostra società era così ineguale come oggi, ville gigantesche e yacht erano altrettanto ostentate come oggi – e la ragione era quella che Mark Twain chiamava l’Età dell’Oro.
Oltre a ciò, per molti ricchi l’ostentazione corrisponde allo stato di fatto. Vivere in un appartamento di trenta mila piedi quadrati non è molto più confortevole che vivere in uno di cinque mila piedi quadrati [1]; ci sono, io credo, persone che sono davvero nelle condizioni di apprezzare una bottiglia di vino da 350 dollari, ma la gran parte della gente che compera una cosa del genere non si accorgerebbe se la sostituiste con una bottiglia da 20 dollari, o forse persino con una specialità di Trader Joe [2]. Persino abiti realmente belli derivano molta della loro utilità per chi li indossa dal fatto che le altre persone non possono permetterseli. Dunque, in gran parte è una questione di esibizione – la qualcosa, ovviamente, avrebbe già potuto raccontarla Thorstein Veblen.
Perché dunque andare dietro a questa ostentazione, invece che portar via un po’ di reddito con le tasse? Si potrebbe dire che le tasse riducono l’incentivo a diventare ricchi; ma altra cosa sarebbero leggi sullo sfarzo, che metterebbero a rischio il significato di diventar ricchi, ed altra cosa, di fatto, un “codice di decenza”, che d’altra parte ridurrebbe il piacere dell’ostentazione, che è molto di quello che la gente vuole per un mucchio di soldi.
Aspettate, c’è dell’altro. Se percepite come cosa negativa per la società il fatto che ci siano persone che ostentano la loro ricchezza relativa, di fatto avete accettato il punto di vista per il quale la grande ricchezza impone al resto della popolazione esternalità negative – e quello è un argomento per la tassazione progressiva che va oltre la massimizzazione delle entrate.
Ed una cosa ancora: pensate a quello che questo ci dice in termini di crescita economica. Abbiamo un’economia che è diventata considerevolmente più ricca dal 1980, ma con una larga parte di guadagni che vanno alle persone con redditi molto elevati – persone per le quali l’utilità marginale del valore di una spesa di un dollaro non solo è bassa, ma deriva largamente da una competizione di status, che è un gioco a somma zero. Dunque, molta della nostra crescita economica è stata semplicemente sprecata, non facendo altro che accelerare il ritmo della competizione sfrenata dei redditi superiori.
Ed ora è venuto il momento che io mi diriga in modo appropriato all’ufficio, andando a piedi e con il trasporto pubblico, con il che mi compiacerò della mia superiorità morale e riderò sotto i baffi delle persone che non hanno ottenuto altrettante onorificenze accademiche. Eccomi.
[1] Ovvero, in metri quadrati, nel primo caso sarebbero 2787, nel secondo 464,5.
[2] “Trader Joe” è una catena di gastronomie presente in nove Stati americani: California, Arizona, Nevada, Oregon, Washington, Massachusetts, New York, Connecticut, and New Jersey.
settembre 24, 2014
Sep 24 9:58 am
Back when Paul Ryan released his first big-splash budget — the one that had the commentariat cooing over its “seriousness” — it included a link to an absurd Heritage Foundation analysis claiming, among other things, that the plan would drive the unemployment rate down to 2.8 percent. (Heritage then tried, unsuccessfully, to send its nonsense down the memory hole and pretend it never happened.) Ryan defenders tried to claim that the plan didn’t actually rely on that Heritage stuff; but as some of us tried to explain, the plan actually didn’t add up, relying on a multi-trillion-dollar magic asterisk on tax receipts. And we predicted that sooner or later Ryan would embrace magical theories about how tax cuts increase revenue.
And here we are.
One disturbing effect if Republicans take the Senate, by the way, may be that the Congressional Budget Office becomes a purely partisan operation — effectively a department of Heritage.
Ciarlatani e stravaganti per sempre
In passato, quando Paul Ryan mise in circolazione il primo suo bilancio che fece grande impressione – che ricevette commenti che si sperticavano sulla sua “serietà” – esso comprendeva una connessione con una assurda analisi della Fondazione Heritage, che sosteneva, tra le altre cose, che il programma avrebbe portato il tasso di disoccupazione sotto il 2,8 per cento (Heritage successivamente provò, senza successo, a far dimenticare quella insensatezza ed a fingere che non ci fosse mai stata). I sostenitori di Ryan provarono ad argomentare che il programma in effetti non si basava su quella roba di Heritage; ma, come alcuni di noi cercarono di spiegare, il programma non aveva effettivamente senso, basandosi su magici asterischi del valore di molte migliaia di miliardi di dollari di entrate fiscali. E prevedemmo che prima o poi Ryan avrebbe abbracciato teorie magiche su come gli sgravi fiscali incrementano le entrate.
Ed è a quel punto che siamo arrivati [1].
Un effetto inquietante se i repubblicani prenderanno il controllo del Senato, per inciso, potrebbe essere che Congressional Budget Office diventi una operazione di puro schieramento di parte – in sostanza un dipartimento di Heritage.
[1] La notizia è desunta da un articolo di Jonathan Chait del 23 settembre su “News & Politics”.
settembre 22, 2014
September 22, 2014 10:01 am
David Glasner has some thoughts about macroeconomic methodology, reacting to my own previous piece, that I mostly agree with, but not entirely. So, a bit more.
Glasner is right to say that the Hicksian IS-LM analysis comes most directly not out of Keynes but out of Hicks’s own Value and Capital, which introduced the concept of “temporary equilibrium”. This involves using quasi-static methods to analyze a dynamic economy, not because you don’t realize that it’s dynamic, but simply as a tool. In particular, V&C discussed at some length a temporary equilibrium in a three-sector economy, with goods, bonds, and money; that’s essentially full-employment IS-LM, which becomes the 1937 version with some price stickiness. I wrote about that a long time ago.
So is IS-LM really Keynesian? I think yes — there is a lot of temporary equilibrium in The General Theory, even if there’s other stuff too. As I wrote in the last post, one key thing that distinguished TGT from earlier business cycle theorizing was precisely that it stopped trying to tell a dynamic story — no more periods, forced saving, boom and bust, instead a focus on how economies can stay depressed. Anyway, does it matter? The real question is whether the method of temporary equilibrium is useful.
What are the alternatives? One — which took over much of macro — is to do intertemporal equilibrium all the way, with consumers making lifetime consumption plans, prices set with the future rationally expected, and so on. That’s DSGE — and I think Glasner and I agree that this hasn’t worked out too well. In fact, economists who never learned temporary-equiibrium-style modeling have had a strong tendency to reinvent pre-Keynesian fallacies (cough-Say’s Law-cough), because they don’t know how to think out of the forever-equilibrium straitjacket.
What about disequilibrium dynamics all the way? Basically, I have never seen anyone pull this off. Like the forever-equilibrium types, constant-disequilibrium theorists have a remarkable tendency to make elementary conceptual mistakes.
In short, Hicks was a very smart guy — his method often seems to hit a sweet spot between rigorous irrelevance and would-be realism that ends up being just confused.
Still, Glasner says that temporary equilibrium must involve disappointed expectations, and fails to take account of the dynamics that must result as expectations are revised. I guess I’d say two things. First, I’m not sure that this is always true. Hicks did indeed assume static expectations — the future will be like the present; but in Keynes’s vision of an economy stuck in sustained depression, such static expectations will be more or less right. It’s true that you need some wage stickiness to explain what you see (which is not the same thing as saying that sticky wages are the cause of unemployment), but that isn’t necessarily about false expectations.
Second, those of us who use temporary equilibrium often do think in terms of dynamics as expectations adjust. In fact, you could say that the textbook story of how the short-run aggregate supply curve adjusts over time, eventually restoring full employment, is just that kind of thing. It’s not a great story, but it is the kind of dynamics Glasner wants — and it’s Econ 101 stuff.
In the end, I wouldn’t say that temporary equilibrium is either right or wrong; what it is, is useful. Which for some reason has me thinking of Edward Gibbon:
The various modes of worship, which prevailed in the Roman world, were all considered by the people, as equally true; by the philosopher, as equally false; and by the magistrate, as equally useful.
Which has nothing to do with my point, but I like it anyway.
Il metodo dell’equilibrio temporaneo (per i molto esperti)
David Glasner ha alcuni pensieri sulla metodologia macroeconomica (in reazione alla mia precedente nota) con i quali io concordo molto, sebbene non interamente. Dunque, qualcosa in più.
Glasner ha ragione ad affermare che la analisi hicksiana IS-LM non deriva direttamente da Keynes, ma da Valore e Capitale dello stesso Hicks, che introdusse il concetto di “equilibrio temporaneo”. Questo include l’utilizzo di metodi quasi-statici per analizzare un’economia dinamica, non perché non si comprenda che essa è dinamica, ma semplicemente come uno strumento. In particolare, Valore e Capitale ha trattato in qualche misura di equilibrio temporaneo in una economia a tre settori, con i beni, le obbligazioni ed il denaro; vale a dire essenzialmente un modello IS-LM a piena occupazione, che diventa la versione del 1937 con qualche rigidità dei prezzi. Scrissi su questo argomento molto tempo fa.
Dunque, il modello IS-LM è realmente keynesiano? Io penso di sì – nella Teoria Generale c’è molto equilibrio temporaneo, anche se c’è molto altro. Come ho scritto nel post recente, un aspetto chiave che distingue la Teoria Generale da teorizzazioni precedenti del ciclo economico fu precisamente che essa smetteva di cercar di descrivere una storia dinamica – non più periodi, risparmi forzati, espansioni e crolli, ma piuttosto una concentrazione sulle ragioni per le quali le economie possono restare depresse. E’ importante, in ogni caso? La vera domanda è se il metodo dell’equilibrio temporaneo è utile.
Quali sono le alternative? Una – che prese molto piede nella macroeconomia – è operare sino in fondo con un equilibrio intertemporale, con i consumatori che fanno programmi di consumo per l’intera esistenza, prezzi definiti sulla base di un futuro razionalmente previsto, e così via. E’ questo il DSGE – ed io penso che Glasner ed io concordiamo che non abbia funzionato granché bene. Di fatto, gli economisti che non hanno mai appreso l’uso dei modelli del genere dell’equilibrio temporaneo, hanno avuto una forte tendenza a ripetere errori pre keynesiani (la Legge di Say, colpetti di tosse!), perché non sanno cosa escogitare fuori dalla camicia di forza dell’equilibrio permanente.
E che dire di una soluzione tutta basata su dinamiche di non equilibrio? Fondamentalmente, che non ho mai visto nessuno metterla in pratica sino in fondo. Come gli individui dell’equilibrio permanente, i teorici dello squilibrio costante hanno una considerevole tendenza a fare errori concettuali elementari.
In breve, Hicks era un soggetto davvero astuto – il suo metodo sembra spesso raggiungere una gradevole collocazione tra una rigorosa scarsa influenza ed un mancato realismo che finisce con l’essere proprio confusa.
Eppure, Glasner dice che l’equilibrio temporaneo deve includere le aspettative deluse, e che non riesce a mettere in conto le dinamiche che devono conseguire da una revisione delle aspettative. Suppongo che avanzerei due osservazioni. La prima, non sono sicuro che questo sia sempre vero. In effetti Hicks assumeva aspettative statiche – il futuro sarà come il presente; ma nella visione di Keynes di una economia bloccata in una prolungata depressione, tali statiche aspettative possono essere più o meno giuste. E’ vero che si ha bisogno di una qualche vischiosità dei salari per spiegare ciò che si vede (che non è la stessa cosa del dire che salari vischiosi sono la causa della disoccupazione), ma questo non comporta necessariamente false aspettative.
La seconda, coloro tra noi che usano l’equilibrio temporaneo spesso ragionano in termini di dinamiche come adattamenti di aspettative. Di fatto, si potrebbe dire che la spiegazione dei libri di testo su come la curva dell’offerta aggregata si corregge nel breve termine, alla fine ripristinando la piena occupazione, è proprio quel genere di cosa. Non è una grande spiegazione, ma è il genere di dinamica che Glasner vuole – ed è roba da libri di testo universitari.
Alla fine, direi che l’equilibrio temporaneo non è né giusto né sbagliato; quello che sia, è utile. La qualcosa, per qualche ragione, mi fa pensare a Edward Gibbon:
“I vari tipi di culto che prevalevano nel mondo romano, erano tutti considerati dalla gente come egualmente veri; dai filosofi, come egualmente falsi; e dai magistrati, come egualmente utili.”
Che non ha niente a che fare con la mia opinione, ma mi piace lo stesso.
settembre 21, 2014
Sep 21 9:24 am
Conservative Canadian Cockroach
Oh, my. Josh Barro tells us that conservatives are once again touting Canada as a role model, in particular using its experience in the 90s to claim that austerity is expansionary after all.
I think this qualifies as a cockroach idea (zombies just keep shambling along, whereas sometimes you think you’ve gotten rid of cockroaches, but they keep coming back.) I thought we had disposed of all this four years ago. But nooooo.
Barro hits the main points. Canadian austerity in the 1990s was offset by a huge positive movement in the trade balance, due to a falling Canadian dollar and raw material exports:
IMF World Economic Outlook Database
Since we can’t all devalue and move into trade surplus, this meant that the Canadian story in the 1990s had no relevance at all to the austerity debate of 2010.
Also, the whole debate about austerity versus stimulus was driven by the problem that interest rates were at the zero lower bound, so that there wasn’t any easy way to offset the effects of austerity. Canada in the 1990s? Not so much:
However, Josh misses a trick. When dealing with right-wing claims about economic data, you should never forget Moore’s Law: not only shouldn’t you accept their assertions, you should assume that what they say is probably wrong. Barro:
Squeezed by high interest rates, a left-of-center government instituted big spending cuts in the 1990s; as a result, Canada’s level of public expenditure as a share of its economy has fallen to match America’s.
From the IMF database:
The gap between Canadian and US spending narrowed during the recession, because the recession was far worse in the US. This meant that any given level of spending was larger as a share of GDP, and it also led to a temporary spike in US spending, mainly on unemployment insurance and other safety net programs, but also briefly on stimulus. But that’s all in the past, and we are once again back to the normal situation in which Canadian spending as a share of GDP is quite a lot higher than ours — including much more spending on poverty reduction.
So conservatives have fallen in love with an imaginary Canada, whose history and current reality is nothing like the real place. Are you surprised?
Scarafaggio conservatore canadese
Oddio. Josh Barro ci racconta che i conservatori tornano ad insistere su un modello guida canadese [1], utilizzando in particolare l’esperienza di quel paese negli anni ’90 per sostenere che l’austerità, dopo tutto, è espansiva.
Penso che questa si qualifichi come un’idea scarafaggio (le idee zombi procedono proprio per inerzia, mentre qualche volta si pensa di essersi liberati degli scarafaggi, che invece continuano a ripresentarsi). Avevo pensato che avessimo eliminato tutto questo quattro anni orsono. E invece no.
Barro coglie i punti principali. L’austerità canadese negli anni ’90 venne bilanciata da un movimento ampiamente positivo della bilancia commerciale, a seguito di una caduta del dollaro canadese e dell’esportazione di materie prime:
World Economic Outlook del FMI
Dal momento che non tutti possono svalutare e passare ad un avanzo commerciale, questo significava che la storia canadese negli anni ’90 non aveva alcuna rilevanza nel dibattito sull’austerità del 2010.
Inoltre, l’intero dibattito tra austerità e misure di sostegno era guidato dal problema che i tassi di interesse erano al limite inferiore dello zero, cosicché non era in nessun modo semplice bilanciare gli effetti dell’austerità. E il Canada negli anni ’90? Non altrettanto:
Tuttavia, a Josh sfugge un inganno. Quando ci si misura con gli argomenti della destra in materia di dati economici, non si dovrebbe mai dimenticare la “legge di Moore [2] “: non solo non si dovrebbero accettare i loro giudizi, si dovrebbe considerare che probabilmente dicono cose non vere. Barro:
“Spremuto da alti tassi di interesse, un Governo di sinistra-centro decise grandi tagli alla spesa negli anni ’90; come conseguenza, il livello della spesa pubblica del Canada, in rapporto alla sua economia, è caduto sino ai livelli dell’America.
Dalla banca dati del FMI:
La differenza tra la spesa canadese e quella statunitense si è ristretta, durante la recessione, perché la recessione fu molto peggiore negli Stati Uniti. Questo significò che ogni dato livello di spesa era più ampio in rapporto al PIL, ed inoltre ciò portò ad una provvisorio incremento della spesa negli Stati Uniti, principalmente sui programmi della assicurazione alla disoccupazione e di altre reti di sicurezza, ma anche per un breve periodo per le misure di sostegno all’economia. Ma ciò avveniva nel passato, ed oggi siamo di nuovo tornati alla situazione normale nella quale la spesa del Canada come percentuale del PIL è un bel po’ più elevata della nostra – compresa la molto maggiore spesa per la riduzione della povertà.
Dunque, i conservatori si sono innamorati di un Canada immaginario, la cui storia e realtà attuale non a niente a che fare con la posizione reale. Ne siete sorpresi?
[1] Josh Barro scrive sul New York Times come Krugman, e l’articolo è del 19 settembre.
[2] Il riferimento è ad una vicenda recente, della quale Krugman si è occupato, nella quale un editore, tale Moore, ha dovuto protestare con Heritage Foundation che aveva avuto ospitalità su un suo giornale, utilizzando dati truccati.
settembre 20, 2014
Sep 20 3:18 pm
Thinking some more about John Boehner’s resurrection of the notion that we’re suffering weak job growth because people are living the good life on government benefits, and don’t want to work. It has long seemed to me that the issue of unemployment benefits is where the debate over economic policy in a depression reaches its purest essence. If you’r on the right, you believe — you more or less have to believe — that unemployment benefits hurt job creation, because you’re “paying people not to work.” To admit that depression conditions are different, that the economy is suffering from an overall lack of demand and that putting money into the pockets of people likely to spend it would increase employment, would mean admitting that the free market sometimes fails badly. And of course disdain for the unemployed helps a lot if you want to oppose any kind of aid for the unfortunate.
But there’s something remarkable about seeing these claims made now — because even if you believed that expanded unemployment benefits were somehow a cause rather than an effect of the economic crisis, those expanded benefits are long gone. Here’s unemployment benefits as a percentage of GDP:
They’re back down to their level at the height of the “Bush boom”.
And here, from Josh Bivens, is the recipiency rate — the percentage of the unemployed receiving any benefits at all:
It’s at a record low, and as Bivens says, the pullback in benefits is one main reason economic expansion isn’t reducing poverty.
So basically the right is railing against the bums on welfare not only when there aren’t any bums, but when there isn’t any welfare.
Il ritorno dei vagabondi del Welfare
Sto ripensando a John Boehner, che resuscita il concetto secondo il quale staremmo soffrendo di una crescita debole dei posti di lavoro perché la gente fa la bella vita con i sussidi pubblici e non vuole lavorare. Da tempo mi sembra che il tema dei sussidi di disoccupazione sia il punto dove il dibattito sulla politica economica nella depressione raggiunge la sua essenza più pura. Se siete di destra, credete – più o meno dovete credere – che i sussidi di disoccupazione danneggiano la creazione di posti di lavoro, perché “si sta pagando la gente per non lavorare”. Ammettere che le condizioni della depressione siano diverse, che l’economia stia soffrendo di una generale carenza di domanda e che mettere soldi nelle tasche delle persone che è probabile li spendano aumenterebbe l’occupazione, sarebbe come ammettere che i liberi mercati talvolta falliscono malamente. E naturalmente il disprezzo per i disoccupati è un buon ausilio, se si vuole opporsi ad ogni genere di aiuto a chi ne ha bisogno.
Ma c’è qualcosa di rilevante nell’osservare queste pretese in questo momento – perché, se anche credevate che aumentare i sussidi di disoccupazione fosse in qualche modo una causa anziché un effetto della crisi economica, questi aumentati sussidi se ne sono andati da tempo. Ecco i sussidi di disoccupazione come percentuale del PIL:
Essi sono tornati al livello che avevano nel momento più alto del “boom di Bush”.
E qua possiamo vedere, a cura di Josh Bivens, l’andamento del tasso dei destinatari – la percentuale dei disoccupati che ricevono comunque un qualche sussidio:
Si tratta di un record negativo, e come dice Bivens, la diminuzione dei sussidi è una delle principali ragioni per le quali l’espansione economica non sta riducendo la povertà.
Dunque, fondamentalmente la destra sta imprecando contro i vagabondi dello Stato assistenziale non solo quando non c’è nessun vagabondo, ma quando non c’è nessuno Stato assistenziale.
settembre 19, 2014
Sep 19 3:44 pm
John Boehner’s Theory of the Leisure Class
And, I’m back — I’ve been in a grueling battle against deadlines, which is not quite over, so blogging may remain scarce for a while longer. But I’m sticking my toe in for the moment — and whaddya know, oops, he did it again. John Boehner says that unemployed Americans are pretty clearly malingerers, bums on welfare who have decided that they don’t feel like working:
“This idea that has been born, maybe out of the economy over the last couple years, that you know, I really don’t have to work. I don’t really want to do this. I think I’d rather just sit around. This is a very sick idea for our country,” he said.
“If you wanted something you worked for it,” Boehner said, adding, “Trust me, I did it all.”
I could point to the overwhelming economic evidence that nothing like this is happening — after all, if what we were seeing was a mass withdrawal of labor supply, we should be seeing wages for those still willing to work taking off. What we actually see is this:
I could also point to zero interest rates and low inflation as evidence that we’re living in a demand-constrained economy. I could ask how, exactly, Boehner believes that increased willingness to work would conjure more jobs into existence.
But what really gets me here is the fact that people like Boehner are so obviously disconnected from the lived experience of ordinary workers. I mean, I live a pretty rarefied existence, with job security and a nice income and a generally upscale social set — but even so I know a fair number of people who have spent months or years in desperate search of jobs that still aren’t there. How cut off (or oblivious) can someone be who thinks that it’s just because they don’t want to work?
When I see stuff like this, I always think of the opening of The Treasure of the Sierra Madre:
Anyone who is willing to work and is serious about it will certainly find a job. Only you must not go to the man who tells you this, for he has no job to offer and doesn’t know anyone who knows of a vacancy. This is exactly the reason why he gives you such generous advice, out of brotherly love, and to demonstrate how little he knows the world.
La teoria della classe abbiente di John Boehner
Rieccomi – sono stato impegnato in una ardua battaglia sulle scadenze, che non è ancora terminata cosicché la mia attività sul blog potrà restare scarsa ancora per un po’. Ma per il momento ci sto provando – e, ne sapete qualcosa?, oddio, l’ha fatto di nuovo. John Boehner dice che è abbastanza evidente che i disoccupati americani sono malati immaginari, vagabondi dello Stato assistenziale che hanno deciso che non hanno voglia di lavorare:
“Questa idea, che è stata concepita, suppongo fuori dall’economia, negli ultimi due anni, secondo la quale, sapete, non si ha bisogno di lavorare. Proprio non si ha voglia di farlo. Si pensa che sia abbastanza giusto trastullarsi. Si tratta di un’idea letale per il nostro paese”, ha detto. “Se volete qualcosa, procuratevelo col lavoro”, ha detto Boehner, aggiungendo “Credetemi, io ho sempre fatto così.”
Potrei mettere in evidenza le schiaccianti prove economiche che niente di questo genere sta accadendo – dopo tutto, se quello a cui stiamo assistendo fosse una astinenza di massa dall’offerta di lavoro, dovremmo vedere un decollo dei salari per coloro che hanno voglia di lavorare. Quello che effettivamente vediamo è questo:
Potrei anche indicare i tassi di interesse a zero e la bassa inflazione come prove che stiamo vivendo in un’economia limitata dalla domanda. Potrei chiedere come, esattamente, Boehner crede che una accresciuta volontà di lavorare farebbe apparire dal nulla più posti di lavoro.
Ma quello che in questo caso realmente mi attrae è il fatto che persone come Boehner sia così evidentemente scollegate dalla esperienza vissuta dei lavoratori normali. Voglio dire, io vivo una esistenza abbastanza rarefatta, con la sicurezza del lavoro, un buon reddito e un contesto sociale in generale di alto livello – ma anche così conosco un discreto numero di persone che hanno speso mesi ed anni alla ricerca disperata di un posto di lavoro che ancora non c’è. Quanto isolato (o inconsapevole) può essere qualcuno che pensa che ciò avvenga solo perché non hanno voglia di lavorare?
Quando vedo cose del genere, penso sempre alle prima parole di “Il tesoro della Sierra Madre” [1]:
“Tutti quelli che hanno voglia di lavorare seriamente, troveranno con certezza un lavoro. Soltanto non dovete andare da un individuo che vi racconta storie, perché non ha un posto di lavoro da offrire e non conosce nessuno che sappia di un posto disponibile. Quella è esattamente la ragione per la quale vi dà consigli così generosi, non per amore fraterno, e per mostrare quanto poco conosca il mondo.”
[1] Un romanzo di B. Traven (1927), dal quale venne tratto il film di John Huston, con Humphrey Bogart:
settembre 15, 2014
Sep 15 5:07 pm
When the 2008 crisis struck, anyone who knew even a bit of history had nightmares about a replay of the 1930s — not just the depth of the depression, but the downward political spiral into dictatorship and war. But this time was different: the banking crisis was contained, the plunge in output and employment leveled out, and modern Europe’s democratic political culture proved more resilient than that of the interwar years. All clear!
Or maybe not.
In terms of the economics, an effective crisis response was followed by a wrong-headed turn to austerity and, in Europe, a combination of bad monetary policy with a currency system that in some ways is turning out to be worse than the gold standard. The result is that while the first few years of this crisis were far better than the 1930s, at this point Europe’s economic performance is actually worse than it was in 1935.
And the political scene is eroding. One European nation has already reached the point where its leader openly declares his intention to end liberal democracy; thanks to austerity, extremist parties are gaining ground in elections, with Sweden (which squandered its early success) the latest shocker; and of course separatist movements are scaring everyone.
We’re still nowhere like the 30s politically. But you do start to wonder whether self-congratulation over the political handling of Depression 2.0 will eventually look as foolish as the economic optimism of a few years ago.
Gli anni ’30 di nuovo in onda, al rallentatore
Quando scoppiò la crisi del 2008, chiunque conoscesse un po’ di storia ebbe l’incubo della ripetizione degli anni ’30 – non solo la profondità della depressione, ma la spirale politica che portò alle dittature ed alla guerra. Ma questa volta era diverso: la crisi bancaria è stata contenuta, il crollo delle produzione e dell’occupazione è stato attenuato e la moderna cultura politica dell’Europa si è mostrata più flessibile di quanto non accadde negli anni tra le due guerre. Tutto chiaro!
O forse no.
In termini economici, una efficace risposta alla crisi è stata seguita da una sbagliata ed ostinata svolta verso l’austerità e, in Europa, da una combinazione di una politica monetaria negativa e di un sistema valutario che in qualche modo si è mostrato peggiore del gold standard. Il risultato è stato che, mentre i primi anni della crisi sono stati migliori degli anni ’30, a questo punto l’andamento economico dell’Europa è nei fatti peggiore di quello che era nel 1935.
E lo scenario politico si sta erodendo. Una nazione europea ha già raggiunto il punto nel quale il suo leader dichiara apertamente la sua intenzione di abbandonare la democrazia liberale [1]; grazie all’austerità, i partiti estremisti stanno guadagnando terreno alle elezioni, con la Svezia (che ha dissipato i suoi iniziali successi) che appare come l’ultimo più impressionante esempio; e naturalmente i movimenti separatisti che spaventano tutti.
Politicamente non siamo ancora a niente di simile agli anni ’30. Ma si comincia a chiedersi se il reciproco congratularsi sulla gestione politica della Depressione “numero 2” alla fine non sembrerà altrettanto sciocco dell’ottimismo economico di pochi anni fa.
[1] Il riferimento è a Viktor Orban, Primo Ministro in Ungheria, che ha recentemente dichiarato di non ritenere che l’appartenenza all’Unione Europea impedisca all’Ungheria di “costruire un nuovo stato non liberale, basato su fondamenti nazionali”. Gli Stati liberali democratici, ha detto Orban, hanno mostrato di non saper essere “globalmente competitivi”, mentre esperienze di Stati non liberali e neanche democratici, come la Russia e la Turchia, sarebbero “di successo”.
settembre 15, 2014
Sep 15 10:21 am
It’s one of those mornings when several small items I was thinking about blogging about have, oddly, merged into a single story.
I’ve been getting some mail in response to today’s column from people saying (by and large politely) that they predicted the crisis — by which, it turns out, they mean that they correctly diagnosed a housing bubble. Well, so did I — but I nonetheless don’t consider myself to have predicted the crisis, because I had no idea that the consequences of a burst bubble would be as cataclysmic as they were.
That said, even pointing out the bubble got you heckled; I still treasure the sneering piece by John Hinderaker insisting that the only reason I thought there was a bubble was because I hated Bush. Well, who knew — Hinderaker is still out there, as I learn from Bonddad (via the still invaluable Mark Thoma).
But why is he still out there? In part because being wrong is actually a virtue in the eyes of some people, as long as it’s the right kind of wrong. And those people have money and power: I’d actually forgotten about this, but the Koch brothers tried to install Hinderaker on the board of Cato, which they viewed as insufficiently hackish.
Still, think tanks are one thing; this doesn’t happen in the world of scholarship. Oh, wait. Via Daniel Kuehn, we know now that the Kochs sought to control economics hiring at Florida State University. And you have to wonder how much this sort of thing goes on — usually, one suspects, more subtly and implicitly, without as clear a paper trail.
In the 1940s moneyed interests made an initially successful effort to block the teaching of Keynesian economics, although Samuelson somehow slipped through. If you don’t think that similar things can happen now, you’re naive — and the rich are richer and more powerful now than they were then.
L’intesa universale di Cato e dei fratelli Koch
E’ una di quelle mattine nelle quali piccoli temi ai quali penso a proposito delle cose da scrivere sul blog, si fondono in una unica storia.
Ho ricevuto alcune mail in risposta all’articolo di oggi da persone che dicono (in generale correttamente) che avevano previsto la crisi – con il che, mi pare, essi vogliano dire che avevano correttamente diagnosticato una bolla immobiliare. Ebbene, io lo feci – cionondimeno non considero di aver previsto la crisi, perché non avevo idea che le conseguenze dello scoppio della bolla sarebbero state un cataclisma di quelle dimensioni.
Ciò detto, anche segnalando che la bolla vi aveva allarmato; ho tuttavia grande considerazione per l’articolo beffardo di John Hinderaker che ribadisce che l’unica ragione per la quale avevo pensato che c’era una bolla era il mio odio per Bush. Ebbene, chi lo sapeva – Hinderaker è ancora allo stesso posto, a quanto apprendo da Bonddad (per il tramite dell’inestimabile Mark Thoma).
Ma perché è ancora lì? In parte perché agli occhi di alcune persone aver torto è una virtù, sinché è il tipo giusto di torto. E quegli individui hanno soldi e potere: io l’avevo effettivamente dimenticato, ma i fratelli Koch cercarono di insediare Hinderaker a bordo di Cato [1], che consideravano insufficientemente prezzolata.
Eppure, i gruppi di ricerca servizievoli sono una cosa; queste cose non succedono nel mondo accademico. Aspettate. Per il tramite di Daniel Kuehn, sappiamo adesso che i Koch cercavano di controllare le assunzioni ad economia presso l’Università di Stato della Florida. E vi potete immaginare per quanto questo genere di cosa sia continuata – normalmente, si può immaginare, nel modo più sottile ed implicito, senza niente di chiaro come una documentazione cartacea.
Negli anni ’40 gli interessi delle classi abbienti fecero un tentativo, inizialmente con successo, per impedire l’insegnamento dell’economia keynesiana, per quanto Samuelson in qualche modo riuscì ad infilarsi. Se pensate che cose di questo genere non possano accadere oggi, siete ingenui – e i ricchi sono oggi più ricchi e potenti di quanto non fossero allora.
[1] Fondazione propagandistica e di ricerca della destra americana.
settembre 14, 2014
Sep 14 2:23 pm
Noah Smith writes that one should not be rude about people you disagree with, because they might turn out to be right. Indeed; what possible purpose can be served by, say, referring to Austrian economics as a brain worm? Oh, wait.
Actually, I think that Noah was doing the right thing when he brought in the brain worms, and is off on the wrong track on the civility thing. So let me make the case for brain worms.
First, picturesque language, used right, serves an important purpose. “Words ought to be a little wild,” wrote John Maynard Keynes, “for they are the assaults of thoughts on the unthinking.” You could say, “I’m dubious about the case for expansionary austerity, which rests on questionable empirical evidence and zzzzzzzz…”; or you could accuse austerians of believing in the Confidence Fairy. Which do you think is more effective at challenging a really bad economic doctrine?
Beyond that, civility is a gesture of respect — and sure enough, the loudest demands for civility come from those who have done nothing to earn that respect. Noah felt (and was) justified in ridiculing the Austrians because they don’t argue in good faith; faced with a devastating failure of their prediction about inflation, they didn’t concede that they were wrong and try to explain why. Instead, they denied reality or tried to redefine the meaning of inflation.
And if you look at the uncivil remarks by people like, well, me, you’ll find that they are similarly aimed at people arguing in bad faith. I talk now and then about zombie and cockroach ideas. Zombies are ideas that should have been killed by evidence, but keep shambling along — e.g. the claim that all of Europe’s troubled debtors were fiscally irresponsible before the crisis; cockroaches are ideas that you thought we’d gotten rid of, but keep on coming back, like the claim that Keynes would never have called for fiscal stimulus in the face of current debt levels (Britain in the 1930s had much higher debt to GDP than it does now). Well, what I’m doing is going after bad-faith economics — economics that keeps trotting out claims that have already been discredited.
Nor are zombies and cockroaches the only kinds of bad faith; the worst, as far as I’m concerned, involves refusing to take responsibility for your actual statements. “The failure of high inflation to materialize doesn’t mean that I was wrong, because I only said that there was a risk of inflation”. “When I said that Obamacare spending adds a trillion dollars to the deficit, I wasn’t misleading readers, because I didn’t actually deny that the ACA as a whole reduces the deficit.” And of course, people who engage in that kind of bad faith screech loudly about civility when they’re caught at it.
When there’s an honest, good-faith economic debate — say, the ongoing controversy about the effects of quantitative easing — by all means let’s be civil. But in my experience demands for civility almost always come from people who have forfeited the right to the respect they demand.
Parole dure, vermi nel cervello e civiltà
Noah Smith scrive che non si dovrebbe essere aspri con le persone con le quali non si è d’accordo, perché si potrebbe scoprire che hanno ragione. In effetti; a quale scopo può servire, ad esempio, riferirsi al pensiero economico degli ‘austriaci’ come ad un verme del cervello [1]? Ma aspettate.
Per la verità, io penso che Noah stesse facendo la cose giusta quando inserì il riferimento ai vermi del cervello, e che sia sceso sul sentiero sbagliato con la faccenda della civiltà. Fatemi dunque perorare la causa dei vermi nel cervello.
In primo luogo, un linguaggio pittoresco, usato giustamente, serve ad uno scopo importante. “Le parole devono essere un po’ aspre”, scrisse John Maynard Keynes, “perché esse rappresentano gli assalti dei pensieri verso coloro che non riflettono”. Potreste dire: “Io ho dubbi sulla tesi dell’austerità espansiva, che si fonda su prove empiriche discutibili etc. etc. ” – sino ad farvi venir sonno; oppure potreste accusare i patiti dell’austerità di credere nella Fata della Fiducia. Quale pensate sia il modo più efficace per sfidare una dottrina economica talmente negativa?
Ciò detto, la civiltà è un atteggiamento di rispetto – e non c’è dubbio che le più insistenti richieste di civiltà vengono da coloro che non hanno fatto niente per guadagnarsi tale rispetto. Noah si sentiva giustificato (e lo era) nel ridicolizzare gli ‘austriaci’ perché non ragionano in buona fede; di fronte al fallimento devastante della loro previsione sull’inflazione, non hanno ammesso di aver sbagliato e non hanno cercato di spiegarne le ragioni. Piuttosto, hanno negato la realtà ed hanno cercato di ridefinire il significato di inflazione.
E se osservate le osservazioni poco civili di persone come, ammettiamolo, il sottoscritto, troverete che esse sono similmente rivolte a persone che non argomentano in buona fede. Io parlo qua e là di zombi e di idee ‘scarafaggio’. Gli zombi sono le idee che avrebbero dovuto essere liquidate sulla base dei fatti, ma continuano a camminare come per inerzia – ad esempio, la pretesa che tutti i debitori in difficoltà dell’Europa siano stati irresponsabili nella gestione delle finanze pubbliche prima della crisi; gli scarafaggi sono le idee delle quali si pensava di essersi liberati, ma continuano a ripresentarsi, come la pretesa secondo la quale Keynes non si sarebbe mai pronunciato a favore di interventi della spesa pubblica, a fronte dei livelli attuali del debito (l’Inghilterra degli anni ’30 aveva un debito in relazione al PIL molto più elevato di oggi). Ebbene, quello che io faccio è prendermela con questa economia in mala fede – una economia che continua a tirare in ballo argomenti screditati.
Né gli zombi e gli scarafaggi sono gli unici esempi di mala fede; il peggiore, per quanto mi riguarda, riguarda il rifiutare di prendersi le responsabilità delle proprie dichiarazioni. “Il fatto che una elevata inflazione non sia comparsa non significa che avessi torto, perché avevo soltanto detto che c’era un rischio di inflazione”. “Quando dissi che la riforma sanitaria di Obama avrebbe aggiunto mille miliardi di deficit, non stavo ingannando i lettori, perché per la verità non avevo negato che la legge nel suo complesso avrebbe ridotto il deficit”. E, naturalmente, le persone che si prestano a quel tipo di mala fede strillano rumorosamente sulla civiltà, quando sono prese in fallo.
In presenza di un onesto dibattito economico in buona fede – ad esempio, la perdurante controversia sugli effetti della ‘facilitazione quantitativa’ – è bene essere civili in tutti i sensi. Ma, nella mia esperienza, le rivendicazioni di civiltà vengono quasi sempre da persone che hanno rinunciato al diritto al rispetto che chiedono.
[1] Espressione usata in un precedente post da Noah Smith, ed ora ironicamente rinfacciatagli da Krugman.
settembre 11, 2014
September 11, 2014 4:43
Lars Syll approvingly quotes Hyman Minsky denouncing IS-LM analysis as an “obfuscation” of Keynes; Brad DeLong disagrees. As you might guess, so do I.
There are really two questions here. The less important is whether something like IS-LM — a static, equilibrium analysis of output and employment that takes expectations and financial conditions as given — does violence to the spirit of Keynes. Why isn’t this all that important? Because Keynes was a smart guy, not a prophet. The General Theory is interesting and inspiring, but not holy writ.
It’s also a protean work that contains a lot of different ideas, not necessarily consistent with each other. Still, when I read Minsky putting into Keynes’s mouth the claim that
Only a theory that was explicitly cyclical and overtly financial was capable of being useful
I have to wonder whether he really read the book! As I read the General Theory — and I’ve read it carefully — one of Keynes’s central insights was precisely that you wanted to step back from thinking about the business cycle. Previous thinkers had focused all their energy on trying to explain booms and busts; Keynes argued that the real thing that needed explanation was the way the economy seemed to spend prolonged periods in a state of underemployment:
[I]t is an outstanding characteristic of the economic system in which we live that, whilst it is subject to severe fluctuations in respect of output and employment, it is not violently unstable. Indeed it seems capable of remaining in a chronic condition of subnormal activity for a considerable period without any marked tendency either towards recovery or towards complete collapse.
So Keynes started with a, yes, equilibrium model of a depressed economy. He then went on to offer thoughts about how changes in animal spirits could alter this equilibrium; but he waited until Chapter 22 (!) to sketch out a story about the business cycle, and made it clear that this was not the centerpiece of his theory. Yes, I know that he later wrote an article claiming that it was all about the instability of expectations, but the book is what changed economics, and that’s not what it says.
The point is that Keynes very much made use of the method of temporary equilibrium — interpreting the state of the economy in the short run as if it were a static equilibrium with a lot of stuff taken provisionally as given — as a way to clarify thought. And the larger point is that he was right to do this.
When people like me use something like IS-LM, we’re not imagining that the IS curve is fixed in position for ever after. It’s a ceteris paribus thing, just like supply and demand. Assuming short-run equilibrium in some things — in this case interest rates and output — doesn’t mean that you’ve forgotten that things change, it’s just a way to clarify your thought. And the truth is that people who try to think in terms of everything being dynamic all at once almost always end up either confused or engaging in a lot of implicit theorizing they don’t even realize they’re doing.
In fact, IS-LM works just fine with Minksyism! At each point in time we think of r and y reaching a short-run equilibrium, but we also think of the IS curve moving over time as investors forget the past, leverage rises, and the Wile E. Coyote moment approaches.
I guess the problem is that too many economists have the wrong attitude toward models. They’re not Truth; they’re intuition pumps, gadgets you use to clarify your story. You go badly wrong when you take them too seriously, and either forget that they’re just models or reject them because the world isn’t that simple.
Il Keynes immaginario di ciascuno (per esperti)
Lars Syll, nel denunciare la analisi IS-LM [1] come un “offuscamento” di Keynes, cita facendolo proprio Hyman Minsky [2]; Brad DeLong non è d’accordo. Come vi potete immaginare, io neppure.
In realtà, ci sono due aspetti in tale questione. Il meno importante è se qualcosa come lo IS-LM – una analisi statica, di equilibrio di produzione ed occupazione che considera le aspettative e le condizioni finanziarie come date – faccia violenza allo spirito di Keynes. Perché questo non è così importante? Perché Keynes era una persona intelligente, non un profeta. La Teoria Generale produce interesse ed ispirazioni, ma non è una scrittura sacra.
Essa è anche un lavoro multiforme, che contiene una quantità di idee diverse, non necessariamente coerenti l’una con l’altra. Eppure, quando leggo Minsky che mette in bocca a Keynes l’affermazione secondo la quale:
“Solo una teoria che fosse esplicitamente ciclica e dichiaratamente finanziaria aveva le condizioni per essere utile”,
mi devo chiedere se egli avesse davvero letto il libro! Per come io ho letto la Teoria Generale – e l’ho letta in modo scrupoloso – una delle intuizioni centrali di Keynes fu esattamente che si doveva fare un passo indietro nel ragionare di ciclo economico. Pensatori precedenti avevano concentrato tutte le loro energie nel cercare di spiegare le espansioni e i crolli; Keynes sosteneva che la cosa reale che chiedeva una spiegazione era il modo in cui l’economia sembrava spendere periodi prolungati in una condizione di sottoccupazione:
“Una caratteristica notevole del sistema economico nel quale viviamo è che, malgrado sia soggetto a severe fluttuazioni quanto a produzione ed occupazione, esso non è violentemente instabile. In effetti, esso sembra capace di restare in una cronica condizione di attività al di sotto della norma per un periodo considerevole, senza alcuna marcata tendenza verso la ripresa come verso un definitivo collasso.”
Dunque Keynes prendeva le mosse, è così, da un modello di equilibrio di una economia depressa. Successivamente passava ad offrire riflessioni su come i mutamenti negli ‘spiriti animali’ potrebbero alterare questo equilibrio; ma attendeva sino al Capitolo ventiduesimo (!) per abbozzare una storia del ciclo economico, e metteva in chiaro che questo non era l’aspetto centrale della sua teoria. Sì, so che egli successivamente scrisse un articolo sostenendo che tutto era in relazione alla instabilità delle aspettative, ma fu il suo libro a cambiare l’economia, non quello che lui disse.
Il punto è che Keynes fece moltissimo uso del metodo dell’equilibrio temporaneo (interpretare la condizione dell’economia nel breve termine come se fosse un equilibrio statico, con una quantità di cose provvisoriamente considerate come date) come un modo per avere maggiore chiarezza di pensiero. E l’aspetto più generale è che aveva ragione a fare così.
Quando le persone come me utilizzano cose come il modello IS-LM, noi non immaginiamo che la curva IS sia, da quel punto in poi, in una posizione immodificabile. Si tratta di una ipotesi a parità delle altre condizioni, proprio come l’offerta e la domanda. Assumere l’equilibrio a breve termine per alcuni aspetti – in questo caso i tassi di interesse e la produzione – non significa aver dimenticato che tali aspetti possono modificarsi, è solo un modo per avere maggiore chiarezza nel proprio ragionamento. E la verità è che le persone che si sforzano di pensare nei termini secondo i quali tutte le cose sono contemporaneamente dinamiche, quasi sempre finiscono o col confondersi, o coll’impegnarsi in una tale quantità di teorizzazioni implicite, che neppure comprendono cosa stanno facendo.
Di fatto, il modello IS-LM funziona proprio egregiamente assieme al ‘minskysmo’! Ad ogni punto del processo noi ragioniamo di tassi di interesse e di produzione immaginando un equilibrio di breve periodo, ma pensiamo anche che la curva IS si stia muovendo nel tempo, nella misura in cui gli investitori dimenticano il passato, i rapporti di indebitamento salgono, e si avvicina il momento di Wile E. Coyote [3].
Suppongo che il problema sia che troppi economisti hanno l’atteggiamento sbagliato verso i modelli. Essi non sono la Verità; sono come dei compressori delle intuizioni, arnesi che si usano per chiarire a voi stessi la spiegazione. Si va fuori strada quando li si prende troppo sul serio, e si dimentica che sono solo modelli o li si respinge perché il mondo non è così semplice.
[1] IS-LM sta per “investimenti/risparmi e liquidità/moneta”. Una maggiore spiegazione di tale modello la si può trovare, in questo blog, nella sezione “Saggi ed articoli su riviste” (titolo: “Lo IS-LM, una spiegazione di Krugman ….”) , nella quale si trovano due post, uno del 2011 ed uno del 2013, su tale argomento.
[2] Hyman Philip Minsky (Chicago, 23 settembre 1919 – 24 ottobre 1996) è stato un economista statunitense, collocabile vicino al filone dei post-keynesiani, noto per la sua teoria dell’instabilità finanziaria e sulle cause delle crisi dei mercati. Nel suo libro principale (Keynes e l’instabilità del capitalismo, 2008) ha studiato i processi di finanziarizzazione dell’economia, della creazione di bolle speculative e delle successive crisi, come fenomeni caratteristici delle società capitalistiche, alla luce di una lettura keynesiana del funzionamento dei meccanismi economici. Probabilmente è la figura principale di economista keynesiano degli ultimi decenni, ampiamente sottovalutato, sino almeno alla crisi finanziaria del 2008. Un economista italiano che sottolineò la sua importanza fu Silvano Andriani, nel suo importante “L’ascesa della finanza”, del 2006. Krugman stesso ha varie volte scritto di questa sottovalutazione, in un certo senso per il passato ammettendola anche da parte sua. In occasione del Convegno di Berlino uno dei principali esponenti di questo neo-minskysmo, Steve Keen, polemizzò abbastanza aspramente con Krugman, provocando alcuni suoi interventi (“Minsky e la metodologia”, post del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario”, post sempre del 27 marzo 2012; “Misticismo bancario. Continuazione”, post del 30 marzo 2012).
[3] Famoso cartone animato, che in questo ragionamento mi pare alluda a quel momento in cui, indefettibilmente, il “coyote” va incontro ad un disastro. Quello che talora gli economisti chiamano il “momento Minsky” nell’economia capitalistica – ovvero il momento in cui esplodono gli effetti delle speculazioni finanziarie, della crescita del rapporto di indebitamento etc. – in pratica viene paragonato ai ciclici infortuni del cartone animato.
settembre 10, 2014
Sep 10 11:50 am
I’m going on Channel 4 in a couple of hours, and doing more homework. One thing that is likely to come up is the fact that some reputable economists (pdf) have concluded that Scotland-on-the-pound would be OK. What’s my answer?
It is, in short, that this analysis doesn’t seem to reflect the unpleasant things we’ve learned from the euro crisis. To be blunt, the reassurances from the working group sound like the kind of thing euro defenders used to say pre-2010. Unfortunately, we’ve discovered that sharing a currency without sharing a government is a lot more dangerous than even euro skeptics realized.
We are told, for example, that Scotland need not worry because its fiscal position is relatively strong. But that was true — or appeared to be true — of Spain and Ireland before the euro crisis. What we’ve learned, alas, is that a seemingly strong fiscal position can evaporate very fast in a crisis — especially if banks need to be bailed out. In that context, it’s interesting to note that Scotland’s banks are very big relative to the size of the country, because they serve much of the UK. Nothing wrong with that as long as you have a political union; but without, what’s to prevent an Irish-type situation in which a small country is trying to bail out big banks?
We’re also told that the Bank of England would of course provide liquidity — in effect, act as lender of last resort — to Scottish banks. Are we sure about this? It took the ECB years to step up to the plate in the euro crisis, in part because it turned out that you needed a lender of last resort to governments as well as fInancial institutions; even now, the ECB’s efforts rely to an important extent on a bluff, in the sense that nobody knows what would happen if OMT were actually required. Assuming that England — possibly an England run by a Conservative-UKIP coalition! — would be there when needed is a big leap of faith.
Let me say that I do understand why some people would like to be out of David Cameron’s UK — just as some of us coastal liberals occasionally wonder what America could be like without the old Confederacy. But getting currency realities right is crucial. The European project is a noble idea, and the euro is a grand gesture in support of that idea — but the willingness to ignore macroeconomics for the sake of that grand gesture may end up making Marine Le Pen president of France. You really have to get these things right, or else.
Qualcos’altro sulla Scozia
Di qua a due ore andrò su Channel 4 e mi sto preparando. Una cosa che è probabile venga fuori è che stimati economisti (disponibile in pdf) hanno concluso che una Scozia che si affida alla sterlina sarebbe una soluzione positiva. Qual è la mia risposta?
In breve, è che questa analisi non sembra riflettere le cose spiacevoli che abbiamo appreso dalla crisi dell’euro. Per esser chiari, le rassicurazioni da parte del gruppo di lavoro sembrano simili al genere di cose che i difensori dell’euro erano soliti dire prima del 2010. Sfortunatamente, abbiamo appreso che condividere una valuta senza condividere un Governo è molto più pericoloso di quello che persino gli euroscettici avevano compreso.
Ci viene detto, ad esempio, che la Scozia non deve preoccuparsi perché la sua situazione di bilancio è relativamente solida. Ma questo era vero – o sembrava tale – per la Spagna e l’Irlanda prima delle crisi dell’euro. Quello che abbiamo imparato, ahimè, è che una condizione relativamente solida può evaporare molto velocemente in una crisi – specialmente se la banche hanno bisogno di salvataggi. In quel contesto, è interessante osservare che le banche scozzesi sono molto grandi in relazione alla dimensione del paese, perché sono in buona parte al servizio del Regno Unito. Non c’è niente di sbagliato, sinché si ha una unione politica; ma senza di essa, cosa può impedire una situazione quale quella dell’Irlanda, nella quale un piccolo paese è alle prese con il salvataggio di grandi banche?
Ci viene anche detto che la Banca di Inghilterra fornirà naturalmente la liquidità alle banche scozzesi – operando, di fatto, come prestatore di ultima istanza. Ne siamo certi? Ci sono voluti anni perché la BCE prendesse in mano la situazione nella crisi dell’euro, in parte perché si scoprì che si aveva bisogno di un prestatore di ultima istanza per i Governi nello stesso modo che per gli istituti finanziari; anche adesso, gli sforzi della BCE si basano in una importante misura su un bluff, nel senso che nessuno sa cosa accadrebbe se le “Operazioni monetarie definitive” [1] fossero effettivamente richieste. Supporre che l’Inghilterra – magari un’Inghilterra governata da una coalizione di conservatori e dell’UKIP [2] – nel momento del bisogno sarebbe a disposizione, è un bell’atto di fede.
Lasciatemi dire che io capisco la ragione per la quale alcune persone preferirebbero uscire dal Regno Unito di David Cameron – proprio come, di quando in quando, alcuni progressisti sulle due sponde degli oceani si sorprendono a pensare cosa l’America potrebbe essere senza la vecchia Confederazione. Ma comprendere bene le realtà delle valute è cruciale. Il progetto europeo è un’idea nobile, e l’euro è, a sostegno di tale idea, un grande gesto – ma la disponibilità di ignorare la macroeconomia a favore di grandi gesti può finir col portare Marine Le Pen ad essere Presidente della Francia. Sono cose che davvero si debbono comprendere bene, o è peggio per noi.
[1] Le OMT consistono nell’acquisto diretto da parte della BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata (requisito di condizionalità). La situazione di difficoltà economica grave e conclamata è identificata dal fatto che il paese abbia avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale con il Meccanismo Europeo di Stabilità o con la Struttura Europea per la Stabilità Finanziaria. La data di avvio, la durata e la fine delle OMT sono decise dal Consiglio direttivo della BCE in totale autonomia e in accordo con il suo mandato istituzionale.
[2] Il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (in inglese United Kingdom Independence Party, UKIP) è un partito politico britannico euroscettico, fondato nel 1993 da un gruppo di scissionisti del Partito Conservatore. Il suo obiettivo principale è il ritiro del Regno Unito dall’Unione europea. Alle elezioni locali del 2013 ha ottenuto il 23% dei consensi (contro il 25% del Partito Conservatore, suo diretto concorrente, e il 29% del Partito Laburista). Alle elezioni europee del 2014 è diventato il primo partito del Regno Unito con il 27,5% dei voti. L’attuale leader è Nigel Farage.
settembre 9, 2014
Sep 9 11:20 am
The FT has a pretty decent article on the emerging doctrine of “Draghinomics”, which looks a lot like Blanchardnomics, which looks a lot like Krugmanomics — hey, we all studied macro at MIT in the mid 1970s. But I was struck by this bit:
One other senior eurozone official attending the Italian forum which gathers together policy makers, business people and academics said: “Structural reforms are key. Those countries that have made these efforts are performing better: Ireland, Spain and Portugal. Italy and France should think a little bit about this.”
Yep, Spain offers a useful lesson for France:
For those of us not part of the structural reform cult, the story of Spain is this: the country experienced a full-scale depression when its housing bubble burst; this depression has led to a gradual, painful “internal devaluation” as labor costs come down, making Spain more competitive within Europe; and as a result, Spain is finally starting a slight recovery, with its growth rate in recent quarters (but only in recent quarters) higher than France. To see this as a triumph of structural reform requires preconceptions so strong it’s hard to see why you would even bother looking at data.
Il feticcio strutturale
Il Financial Times ha un articolo abbastanza decente sulla dottrina emergente della “Draghinomics”, che assomiglia molto alla Blanchardnomics, che a sua volta assomiglia alla Krugmanomics – che volete, abbiamo tutti studiato al MIT sulla metà degli anni ’70. Ma sono rimasto colpito da questo passaggio:
“Un altro dirigente di primo piano dell’eurozona che partecipava al forum che in Italia mette assieme operatori politici, persone del mondo economico ed universitario, ha detto: “Le riforme strutturali sono la chiave. Quei paesi che hanno fatto quegli sforzi vanno meglio: l’Irlanda, la Spagna e il Portogallo. L’Italia e la Francia dovrebbero un po’ riflettere su questo.”
Sì, la Spagna offre una lezione utile alla Francia:
Per coloro tra noi che non partecipano al culto delle riforme strutturali, la storia della Spagna è la seguente: il paese ha conosciuto una depressione su vasta scala quando è scoppiata la sua bolla immobiliare; questa depressione ha portato ad una graduale, dolorosa “svalutazione interna” dal momento che i costi del lavoro sono scesi, rendendo la Spagna più competitiva all’interno dell’Europa e, di conseguenza, alla fine la Spagna sta avviando una leggere ripresa, con il suo tasso di crescita che nei trimestri recenti (ma solo nei trimestri recenti) è più alto che in Francia. Considerarlo come un trionfo delle riforme strutturali richiede preconcetti così arditi che è difficile capire perché si dovrebbe persino darsi il fastidio di osservare le statistiche.
settembre 9, 2014
Sep 9 11:01 am
Let me restate and possibly clarify the points from yesterday’s column:
Declaring Scotland independent would mean a big disruption of existing economic and financial arrangements. As Simon Wren-Lewis says, the preponderance of professional economic opinion is that this disruption would leave Scotland worse off, but that is a point we can argue. However, that is not the argument the independence movement is making; what they have been telling voters is that there would be no disruption — in particular, that Scots could continue using the pound, and that this would pose no problem.
This is an astonishing claim to make at this point in history. Economists (starting with my late colleague and friend Peter Kenen) have long argued that sharing a currency without fiscal integration is problematic; the creation of the euro put that theory to the test. And the results have been far worse than even the harshest critics of the euro imagined, with euro Europe doing worse at this point than Western Europe did in the 1930s:
And an independent Scotland using the British pound would arguably be in even worse shape. Europe has somewhat stabilized recently thanks to Mario Draghi’s support for debtor countries — but Draghi is able to do this, in large part, because he is answerable to the whole euro area, not just Germany. An independent Scotland would be dependent on the kindness of the Bank of, um, England, with no say whatsoever in that bank’s policy.
I’ve read quite a lot of the independence literature, and it shows no appreciation for the dangers involved. What Scottish voters should do is look hard at the experience, just across the North Sea, of divorcing currency from statehood; it’s not encouraging.
La Scozia ed il presagio dell’euro
Fatemi ribadire e se possibile chiarire i punti dell’articolo di ieri:
dichiarare la Scozia indipendente comporterebbe una grande perturbazione degli assetti economici e finanziari. Come dice Simon Wren-Lewis, l’opinione di gran lunga prevalente dei professionisti dell’economia è che tale perturbazione lascerebbe la Scozia in condizioni peggiori, ma quello è un punto che possiamo discutere. Tuttavia, non è quello l’argomento che il movimento indipendentista sta avanzando; quello che stanno dicendo agli elettori è che non ci sarebbe alcuna perturbazione – in particolare, che gli Scozzesi potrebbero continuare ad usare la sterlina, e che questo non costituirebbe alcun problema.
Si tratta, a questo punto della esperienza storica, di una pretesa stupefacente. Gli economisti (a cominciare dal mio passato collega ed amico Peter Kenen) hanno lungamente sostenuto che condividere una valuta senza una integrazione di bilancio sia problematico; la creazione dell’euro ha messo tale teoria alla prova. Ed i risultati sono stati di gran lunga peggiori di quello che persino i critici più severi dell’euro si immaginavano, con l’Europa dell’euro che, a questo punto, sta facendo peggio di quello che fece l’Europa Occidentale negli anni ’30:
E una Scozia indipendente che utilizza la sterlina inglese si troverebbe probabilmente in una condizione anche peggiore. L’Europa in qualche modo si è di recente stabilizzata grazie al sostegno di Mario Draghi ai paesi debitori – ma Draghi è (stato) nelle condizioni di farlo perché, in larga parte, è responsabile dell’Intera area euro, non della solo Germania. Una Scozia indipendente sarebbe alle dipendenze della gentilezza della Banca, guarda un po’, d’Inghilterra, con nessuno che possa dire niente di niente nella politica di quella banca.
Ho letto abbastanza della letteratura indipendentista, ed essa non mostra alcuna avvertenza dei pericoli impliciti. Quello che gli elettori scozzesi dovrebbero fare è guardare in modo spietato ai fatti del divorzio tra la valuta e l’essere uno Stato, proprio dall’altra parte del Mare del Nord; non è incoraggiante.
settembre 8, 2014
Sep 8 10:12 am
I’ve often remarked on the remarkable tenacity of the inflationista doctrine (Santellinomics? CNBCnomics?) among investors, given the fact that believing the people who have been warning about soaring inflation and interest rates would have lost you a lot of money. How much money? Cordell Eddings at Bloomberg puts a number to it: $1 trillion in gains on U.S. government bonds since QE began. Actually, this is arguably a low estimate; if you really believed in this stuff, you wouldn’t just have failed to hold US debt, you would have bet against it — as, for example, John Paulson (as described in the article) and Eric Cantor did.
And let’s be clear: those of us who understood the nature of liquidity traps predicted low rates of both interest and inflation from the beginning — in the face of loud declarations that this was absurd, that big deficits and rapid expansion of the monetary base would of course be inflationary. This has to be one of the most dramatic examples in the history of economics of a surprising, successful prediction.
Yet as far as I can tell, not one of the people who signed the infamous 2010 letter accusing Bernanke of debasing the dollar has admitted having been wrong, or shown even a hint of reconsidering. More to the point, perhaps, the doctrine has retained much of its hold. Look at the comments on that Bloomberg piece; most of them either declare that we do too have high inflation, but the feds are hiding it in Area 51, or that the data don’t matter because the Fed is manipulating rates (hey, it can do that without adverse consequences? Then why not?)
As I’ve written on a number of occasions, I think it’s fundamentally about affinity fraud. The consumers of this stuff like the attitude of the inflationistas — their hostility to helping the poor, their disdain for snooty professors, etc. And so they trust them no matter how bad their past results have been.
I mille miliardi di dollari zombie
Ho spesso sottolineato la considerevole tenacia della dottrina inflazionista (chiamiamola Santellinomics? O CNBCnomics? [1]) tra gli investitori, in considerazione del fatto che gli individui che avevano messo in guardia su una inflazione e su tassi di interesse che sarebbero schizzati alle stelle, vi avrebbero fatto perdere una grande quantità di soldi. Quanti soldi? Cordell Eddings su Bloomberg tira un numero: mille miliardi di guadagni sulle obbligazioni statali degli Stati Uniti dal momento degli inizi della ‘facilitazione quantitativa’ [2]. In effetti, è probabilmente una stima bassa; se aveste realmente creduto in roba del genere, non avreste soltanto mancato di possedere il debito statunitense, avreste anche scommesso contro di esso – come, per esempio, John Paulson (come descritto nell’articolo) ed Eric Cantor fecero.
E siamo chiari: coloro tra noi che compresero la natura delle trappole di liquidità predissero bassi tassi sia degli interessi che dell’inflazione sin dall’inizio – a fronte di rumorose dichiarazioni secondo le quali si trattava di assurdità, giacché i grandi deficit e la rapida espansione della base monetaria sarebbero ovviamente stati fattori di inflazione. Si deve trattare di uno dei più spettacolari esempi, nella storia dell’economia, di una sorprendente previsione di successo.
Tuttavia, per quanto ne so, nessuna delle persone che firmarono la famigerata lettera del 2010, nella quale si accusava Bernanke di svalutare il dollaro, hanno ammesso di aver avuto torto, o anche solo mostrato un cenno di riconsiderazione. Più precisamente, forse, quella dottrina ha mantenuto gran parte della sua presa. Si guardi ai commenti su quell’articolo di Bloomberg; la maggioranza di essi afferma o che noi abbiamo per davvero una inflazione troppo alta, ma il Governo Federale la tiene nascosta in qualche Area 51 [3], o che i dati non contano perché la Fed sta manipolando i tassi (signori, può farlo senza conseguenze negative? Allora, perché non farlo?)
Come ho scritto in un certo numero di occasioni, penso che fondamentalmente si tratti di un “reato di sfruttamento dell’appartenenza”[4]. A coloro che si abbeveravano a queste frottole, piace la disposizione di fondo degli inflazionisti – la loro ostilità ad aiutare i poveri, il loro disprezzo per gli intellettuali altezzosi, etc. E dunque credono a cose del genere, a prescindere da quanti risultati negativi abbiano collezionato nel passato.
[1] Ovvero i nomi di due attori principali della propaganda conservatrice in materia di politiche monetarie: il giornalista Rick Santelli ed il canale televisivo CNBC.
[2] A proposito di ‘quantitative easing’, vedi le note sulla traduzione.
[3] La enorme area militare americana – collocata nello Stato del Nevada e grande in pratica come la Sardegna – nella quale si suppone avvengano anche ricerche ed esperimenti molto segreti, al punto da essere diventata un luogo privilegiato di varie congetture ufologiche.
[4] Traduco con “reato di sfruttamento dell’appartenenza” (non so se esista qualcosa di equivalente nel codice civile o penale italiano) uno specifico reato previsto negli Stati Uniti a carico di coloro che tentano raggiri di varie persone sfruttando la loro comune appartenenza a gruppi etnici, religiosi, assistenziali, ideali etc. Nello scandalo Madoff, come si ricorderà, una parte dei truffati erano individui – anche bene in vista – che si erano fidati del finanziere per avventurarsi in speculazioni che avrebbero dovuto produrre effetti benefici in attività di beneficienza di varia natura. Il reato, come è chiaro, non consiste nell’ “appartenere”, ma nello sfruttare la dabbenaggine indotta dall’appartenenza.
settembre 6, 2014
Sep 6 4:32 pm
Very busy, so no substantive posting today. But I did want to share a thought from the past few days. I posted about the surprisingly good news, at least so far, on Obamacare premiums for 2015 — and as usual was met with a wall of rage from the right. The idea that this thing might be working inspires a level of anger nothing else (except maybe climate science) matches.
No news there. Nor is it news that such people know things that ain’t so. But there’s something I’ve noticed from the combination of reactions to what I write and researching past coverage of Obamacare. It goes like this: a lot of the untrue beliefs people have about Obamacare come not so much from outright false reporting as from selective reporting. Every suggestion of bad news gets highlighted — especially, of course, but not only by Fox, the WSJ, etc.. But when it turns out that the news wasn’t really that bad, these sources just move on. There are claims that millions of people are losing coverage — headlines! When it turns out not to be true — crickets! Some experts claim that premiums will rise by double digits — big news! Actual premium numbers come in and they’re surprisingly low — not mentioned.
The result is that most news consumers — who form impressions rather than trying to work out details — have the sense that it’s been all bad news. This is true even for people who don’t rely on Fox — I get asked about the scary premium hikes by people on the Upper West Side! And of course for those who do get their news from Fox, well, they know, just know, that Obamacare has reduced the number of Americans with insurance and caused premiums to double or something, even though even their favorite news source isn’t saying such things.
We need a term for beliefs based on reports that have been superseded; maybe fossils instead of zombies. Anyway, it’s striking.
Una nota sulla dinamiche della disinformazione
Molto occupato, dunque nessun intervento sostanziale oggi. Ma sono alcuni giorni che volevo condividere un pensiero. Ero intervenuto sulle notizie sorprendentemente buone, almeno sino a questo punto, sulle polizze assicurative a seguito della riforma sanitaria di Obama per il 2015 – e come al solito ho sbattuto nel muro di rabbia della destra. L’idea che questa cosa possa funzionare ispira un livello d’ira come niente altro (ad eccezione, forse, del cambiamento climatico).
Da quel punto di vista, nessuna novità. Né è una novità che quelle persone siano a conoscenza di cose che io non conosco. Ma c’è qualcosa che ho notato dalla combinazione delle reazioni a quello che scrivo e le ricerche sulle passate coperture assicurative, rispetto alla riforma di Obama. La cosa è questa: gran parte delle convinzioni infondate che le persone hanno sulla riforma non provengono tanto da resoconti completamente falsi, quanto da resoconti selettivi. Ogni suggestione di notizia negativa viene enfatizzata – specialmente, ma non soltanto, da Fox, dal Wall Street Journal, etc. Ma quando si scopre che la notizia non era in fondo così negativa, queste fonti semplicemente voltano pagina. C’è l’argomento che milioni di persone stanno perdendo la copertura assicurativa – titoloni, per poi scoprire che non è vero! – un po’ di correttezza! [1] Alcuni esperti sostengono che le polizze saliranno di una percentuale a due cifre – Grande notizia! Arrivano i dati effettivi sulle polizze e sono sorprendentemente bassi – nessuna menzione!.
Il risultato è che gran parte degli utenti – che si formano impressioni piuttosto che cercare di approfondire i dettagli – hanno la sensazione che siano tutte state notizie negative. Questo è vero persino per persone che non si basano sulla Fox – mi vennero fatte domande su spaventosi incrementi delle polizze persino da individui dell’Upper West Side [2]! E naturalmente, per coloro che desumono le loro notizie da Fox, ebbene, loro sanno, lo sanno senza ombra di dubbio, che la riforma sanitaria di Obama ha ridotto il numero degli americani provvisti di assicurazione ed ha provocato un raddoppio delle polizze, o qualcosa del genere, anche se persino le loro preferite fonti di informazione non dicono cose simili.
Dobbiamo trovare una parola per le convinzioni basate sui resoconti che sono stati superati dai fatti; forse, anziché chiamarle idee zombi, dovremmo chiamarle idee fossili. In ogni caso, è impressionante.
[1] “Cricket” sta anche per ‘correttezza, lealtà’, e non credo che voglia dire che il giornali della destra si mettono a parlare del gioco del cricket.
[2] L’Upper West Side è un quartiere dell’isola newyorkese di Manhattan. Unisce Central Park con il fiume Hudson. I suoi confini sono considerati la 58ª street al sud e tra la 110ª e la 125ª street al nord. Il suo nome proviene dalla sua collocazione, essendo nella parte alta dell’isola di Manhattan (upper), ed al lato sinistro del parco (west side). Come l’Upper East Side, il West Side è originariamente un quartiere residenziale e commerciale, i cui abitanti lavorano nelle aree del Midtown e del Lower Manhattan. Il quartiere ha la reputazione di essere l’area di New York City con maggiori lavoratori in ambito culturale ed artistico, mentre l’East Side è tradizionalmente il quartiere dei lavoratori di affari e commercio.
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