Blog di Krugman

Draghi dinanzi al burrone della deflazione (dal blog di Krugman, 23 agosto 2014)

 

Aug 23 10:02 am

Draghi at Deflation Gulch

Full disclosure: I know Mario Draghi, a bit, since we overlapped in grad school, and I both like and admire him; he did a fantastic job of containing the euro crisis of 2012. And I like to imagine that he knows and understands more than he can say in his position. Still, I don’t think I’m projecting too much in reading his Jackson Hole speech as the words of a man who knows perfectly well how dire the situation is, and is sailing as close to the wind as he can, but is all too aware of how inadequate that’s likely to be.

Although he gives a nod to structural factors, he effectively declared that people in Europe are exaggerating the problem:

Research by the European Commission suggests that estimates of the Non-Accelerating Wage Rate of Unemployment (NAWRU) in the current situation are likely to overstate the magnitude of unemployment linked to structural factors, notably in the countries most severely hit by the crisis

and he basically says that the problem with the euro is inadequate demand:

The most recent GDP data confirm that the recovery in the euro area remains uniformly weak, with subdued wage growth even in non-stressed countries suggesting lacklustre demand. In these circumstances, it seems likely that uncertainty over the strength of the recovery is weighing on business investment and slowing the rate at which workers are being rehired.

So he’s effectively saying the same thing as Janet Yellen: if unemployment is structural, where are the wage gains?

Also, the confidence fairy has vanished from official ECB rhetoric. So has the ECB’s trigger-happiness when it comes to any hint of inflation:

The risks of “doing too little” – i.e. that cyclical unemployment becomes structural – outweigh those of “doing too much” – that is, excessive upward wage and price pressures.

The trouble is, what can he do about it? He appeals for a consideration of euro-wide measures of fiscal stance, which is basically urging Germany to run bigger deficits, but the Germans aren’t interested. He says that the ECB will do more, but doesn’t promise massive QE, probably because he knows he can’t.

The point is that even if Draghi is, as I believe he is, a good man and a good economist who gets the situation, the combination of the euro’s structure and the intransigence of the austerians means that the situation remains very grim.

 

Draghi dinanzi al burrone della deflazione

Mi confesso: conosco abbastanza Mario Draghi, dal momento in cui partecipammo assieme al corso di specializzazione, mi piace ed ho stima per lui: fece un lavoro fantastico nel contenere la crisi dell’euro del 2012. E voglio pensare che egli conosca e comprenda più di quello che può dire nella sua posizione. Eppure, non penso di spingermi troppo nella interpretazione del suo discorso a Jackson Hole se lo leggo come le parole di una persona che sa perfettamente quanto la situazione sia tremenda, e sta veleggiando più vicino che può al vento, ma è anche troppo consapevole di quanto tutto questo sia probabilmente inadeguato.

Sebbene egli faccia un cenno ai fattori strutturali, egli effettivamente ha dichiarato che in Europa si sta esagerando il problema:

 

“Ricerche da parte della Commissione europea indicano che le stime del ‘Tasso di disoccupazione non suscettibile di accelerare la crescita dei salari” (NAWRU) nella situazione attuale è probabile sovrastimino la ampiezza della disoccupazione dipendente da fattori strutturali, in particolare nei paesi più gravemente colpiti dalla crisi”.

 

E fondamentalmente egli dice che il problema con l’euro è la domanda inadeguata:

 

“I più recenti dati sul PIL confermano che la ripresa nell’area euro resta uniformemente debole, con una crescita fiacca dei salari che indica una domanda spenta. In queste circostanze, sembra probabile che l’incertezza sulla forza della ripresa stia gravando sugli investimenti delle imprese e rallentando il ritmo al quale i lavoratori vengono riassunti”.

 

Dunque, egli sta effettivamente dicendo la stessa cosa di Janet Yellen: se la disoccupazione è strutturale, dove sono gli aumenti salariali?

Inoltre, la storia della “fata della fiducia” è svanita dalla retorica ufficiale della BCE. Lo stesso è accaduto per la tendenza della BCE a entusiasmarsi sconsideratamente ad ogni cenno di inflazione:

 

“I rischi del ‘fare troppo poco’ – vale a dire che la disoccupazione ciclica divenga strutturale – superano quelli del ‘fare troppo’ – vale a dire, l’eccessiva spinta verso l’alto dei salari e dei prezzi.”

 

Il guaio è: cosa può far lui al riguardo? Egli si appella ad una valutazione di misure in materia di spesa pubblica, ovvero fondamentalmente spinge la Germania a gestire deficit maggiori, ma i tedeschi non sono interessati. Dice che la BCE farà di più, ma non promette massicce ‘facilitazioni quantitative’, probabilmente perché sa di non poterlo fare.

Il punto è che anche se Draghi è, come io credo che sia, una brava persona ed un bravo economista che comprende la situazione, la combinazione della struttura dell’euro e dell’intransigenza dei filo-austeri significa che la situazione resta assai triste.

La giustezza dell’inflazione sostanziale (22 agosto 2014)

agosto 22, 2014

 

Core Success

In popular perception, the era since 2008 has been one of massive failure for economic analysis. The truth, as I’ve often tried to explain, is nearly the opposite — at least for those of us who didn’t forget Keynes, and took a more or less IS-LM-is model seriously. We’ve actually had a very good run, successfully predicting the quiescence of interest rates despite huge budget dheficits, the quiescence of inflation despite huge increases in the monetary base, and the adverse effects of harsh austerity policies.

A new post by Cecchetti and Schoenholtz on core inflation reminds me that this concept, too, has been a huge success.

Actually, I don’t think C&S get the argument for using some kind of core measure quite right, although their actual data analysis is fine. They simply assume that there is a problem of distinguishing between the signal and the noise, that for some reason there is an underlying trend that is imperfectly measured by the headline inflation rate. I prefer to think of it in terms of an underlying economic model, in which many but not all prices are temporarily sticky; as I explained some time ago, this implies that there is at any point in time a sort of “embedded” rate of inflation, and this — rather than short-term fluctuations — is what we’re trying to measure.

In any case, those of us who looked at core inflation came in for a lot of abuse during the “debasing the dollar” period of 2010-2011, when right-wingers were writing to Ben Bernanke to attack his policies and Paul Ryan was warning that rising commodity prices were the harbinger of runaway inflation. Assertions that fundamental inflation hadn’t gone up were met with ridicule and insults.

But sure enough, the commodity price effect on inflation was a blip, and went away. And the inflation hawks learned their lesson, and revised their models. Hahahaha — just kidding.

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La giustezza dell’inflazione sostanziale

Nella percezione popolare, l’epoca a partire dal 2008 è stata un massiccio fallimento per la analisi economica. La verità, come ho spesso cercato di spiegare, è quasi quella opposta – almeno per coloro tra noi che non avevano dimenticato Keynes, e prendevano più o meno sul serio il modello IS-LM. Abbiamo effettivamente avuto un ottimo successo, prevedendo giustamente l’inerzia nei tassi di interesse nonostante i grandi deficit di bilancio, l’inerzia dell’inflazione nonostante i grandi incrementi nella base monetaria e gli effetti negativi delle brusche politiche di austerità.

Un nuovo post da parte di Cecchetti e Schoenholtz sulla inflazione sostanziale mi rammenta che anche quest’ultimo concetto è stato un grande successo.

Per la verità, io non penso che C&S facciano proprio l’argomento al fine di utilizzare in modo abbastanza corretto un qualche genere di misurazione sostanziale [1], sebbene la loro effettiva analisi dei dati sia buona. Semplicemente considerano che c’è un problema nel distinguere tra il segnale e il chiasso, che per qualche ragione c’è un trend sottostante che è imperfettamente misurato dal tasso di inflazione complessivo. Io preferisco pensare nei termini di un sottostante modello economico, nel quale molti ma non tutti i prezzi sono temporaneamente rigidi; come spiegai un po’ di tempo fa, questo significa che c’è ad un certo momento una sorta di tasso “incorporato” di inflazione, e questo – anziché le fluttuazioni a breve termine – è quello che stiamo cercando di misurare.

In ogni caso, coloro tra noi che guardavano alla inflazione sostanziale furono oggetto di una quantità di insulti durante il periodo della cosiddetta “svalutazione del dollaro” del 2010-2011, quando la destra scriveva a Ben Bernanke per attaccare le sue politiche e Paul Ryan ammoniva che i prezzi crescenti delle derrate erano il presagio di una inflazione fuori controllo. I giudizi secondo i quali l’inflazione sostanziale non era salita incontravano lo scherno e gli insulti.

Ma è abbastanza evidente che l’effetto dei prezzi dei generi alimentari fu un piccolo contrattempo, e scomparve. Ed i falchi dell’inflazione impararono la loro lezione e sottoposero ad una revisione i loro modelli. Risata fragorosa – si fa per scherzare.

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[1] Penso che “core” si riferisca a “core inflation”. Per “headline and core inflation” vedi le note sulla traduzione.

La catastrofe dell’euro (21 agosto 2014)

agosto 21, 2014

 

Aug 21 10:42 am

The Euro Catastrophe

Matt O’Brien points out that Europe really is doing worse than it did in the Great Depression. Meanwhile, Francois Hollande — whose spinelessness and willingness to buy into austerity doomed his presidency and quite possibly the European project — is finally, tentatively, suggesting that maybe further austerity isn’t the answer.

Simon Wren-Lewis thinks that the European embrace of austerity was a historical contingency; basically, the Greek crisis strengthened the hand of the austerians at a critical moment. I don’t think it’s that easy to explain; my sense was that there was powerful anti-Keynesian sentiment in Europe even before the Greek crisis, that macroeconomics as Anglo-Saxon economists understand it never had a real constituency in Europe’s corridors of power.

Whatever the explanation, we are now, as O’Brien says, looking at one of the great catastrophes of economic history.

 

La catastrofe dell’euro.

Matt O’Brien mette in evidenza come l’Europa stia andando peggio che durante la Grande Depressione. Nel frattempo, Francois Hollande – la cui debolezza aggiunta alla disponibilità a prendere per buona l’austerità è stata una condanna per la sua presidenza e forse per il progetto europeo – alla fine sta indicando, con molta cautela, che forse una ulteriore austerità non è una risposta.

Simon Wren-Lewis pensa che l’adesione europea all’austerità sia stata una contingenza storica; fondamentalmente, la crisi greca ha rafforzato lo schieramento dei filoausteri in un momento critico. Io non penso che la spiegazione possa essere così facile; la mia sensazione è che vi fosse un forte sentimento anti keynesiano in Europa anche prima della crisi greca, che la macroeconomia come la intendono gli economisti anglosassoni non abbia mai avuto una base reale nei corridoi del potere europei.

Qualsiasi sia la spiegazione, oggi stiamo osservando, come dice O’Brien, una delle grandi catastrofi della storia economica.

I falchi che gridano al lupo (21 agosto 2014)

agosto 21, 2014

 

Aug 21 10:34 am

Hawks Crying Wolf

Binyamin Appelbaum:

An increasingly vocal minority of Federal Reserve officials want the central bank to retreat more quickly from its stimulus campaign, arguing that the bank has largely exhausted its ability to improve economic conditions.

Is this really true? Of course, they are being very vocal — but when didn’t they call for monetary tightening?

The article highlights Charles Plosser of the Philadephia Fed; if you’ve been following these things, you know that Plosser has been warning about imminent inflation since the beginning of the crisis. He did it in 2008; he did it in 2009; he did it in 2010; he did it in 2011; I’m getting tired here, but you can easily find him doing the same in 2012 and 2013. And he has of course been wrong all the way — but he’s doing it again. This is news?

The real story here is the remarkable resilience of inflation panic: people who worry about inflation never seem daunted in the least by the repeated failure of their predictions. It’s an interesting question why.

 

I falchi che gridano al lupo

Binyamin Appelbaum:

 

“Una crescente esplicita minoranza dei dirigenti della Federal Reserve vuole che la banca centrale si ritiri in modo più rapido dalla sua campagna di sostegno all’economia, sostenendo che la banca ha in gran parte esaurito la sua capacità di migliorare le condizioni economiche”.

 

E’ proprio vero? Naturalmente, pare che siano davvero espliciti – ma quando mai non si sono espressi per una restrizione monetaria?

L’articolo sottolinea il caso di Charles Plosser, della Fed di Filadelfia; se avete seguito questi argomenti, sapete che Plosser aveva ammonito su una imminente inflazione sin dall’inizio della crisi. Lo fece nel 2008; lo fece nel 2009; lo fece nel 2010; lo fece nel 2011; e adesso mi sto stancando, ma potete facilmente trovare che fece lo stesso anche nel 2012 e 2013. E naturalmente ebbe completamente torto, ma lo sta facendo ancora. E’ questa la notizia?

Il vero racconto, in questo caso, è il modo rilevante in cui il panico dell’inflazione continua a riprodursi: le persone che si preoccupano per l’inflazione non sembrano mai scoraggiarsi, come minimo per il ripetuto fallimento delle loro previsioni. Capire come mai, è una questione interessante.

Gli antichi atlanti (20 agosto 2014)

agosto 20, 2014

 

Aug 20 1:48 pm

Ancient Atlases

Several commenters on my Roman Empire post mentioned the Colin McEvedy historical atlas of the ancient world. Indeed, a great favorite of mine. And it fed right into my Asimov-psychohistory obsession with its declaration, early on, that

History being a branch of the biological sciences its ultimate expression must be mathematical.

One thing, though: there’s a clarity and sweep to the ancient history atlas that isn’t matched by the later atlases — and I suspect that ignorance is the main reason. That is, we tend to impose more order and simplicity on the distant past, not because it was actually any less messy and complicated than later eras, but because we don’t have all the details and fill in with bold colors and straight lines. As I’ve noted in the past, this is why goldbugs and others who believe that they have access to truths ignored by modern economists tend to draw on supposed events in the distant past, where they can project what they think should have happened onto a mostly blank slate.

So I love my ancient history, but I do think it’s important to realize that the world has always been characterized by buzzing complexity in which causes and effects can be hard to disentangle. Same as it ever was.

 

Gli antichi atlanti

Vari commenti al mio post sull’Impero Romano fanno riferimento all’atlante storico sul mondo antico di Colin McEvedy; in effetti, uno dei miei preferiti. E questo è collegato direttamente alla mia ossessione per la psicostoria di Asimov con la sua affermazione, agli inizi, secondo la quale:

 

“Essendo la storia un ramo delle scienze biologiche, la sua ultima espressione deve essere matematica”.

 

Tuttavia, una considerazione: c’è una chiarezza ed una portata nell’atlante di storia antica che non è eguagliata dagli atlanti successivi – ed io sospetto che la non conoscenza sia la ragione principale. Ovvero, tendiamo a stabilire più ordine e semplicità nel lontano passato, non perché esso fosse effettivamente meno confuso e complicato delle epoche successive, ma perché non possediamo tutti i dettagli e lo riempiamo di tinte forti e di linee rette. Come ho notato nel passato, questa è la ragione per la quale i patiti dell’oro e gli altri che credono di aver accesso a verità ignorate dagli economisti moderni tendono a ricorrere a supposti eventi del lontano passato, dove possono proiettare quello che pensano dovrebbe accadere in una pagina in gran parte ancora da scrivere.

Dunque, io amo la mia storia antica, ma penso che sia davvero importante comprendere che il mondo sia sempre stato caratterizzato da una animata complessità, nella quale le cause e gli effetti a fatica possono essere districati. La stessa cosa che è sempre accaduta.

Manie dell’ineguaglianza (20 agosto 2014)

agosto 20, 2014

 

Aug 20 1:17 pm

Inequality Delusions

Via the FT, a new study compares perceptions of inequality across advanced nations. The big takeaway here is that Americans are more likely than Europeans to believe that they live in a middle-class society, even though income is really much less equally distributed here than in Europe. I’ve truncated the table to show the comparison between the U.S. and France: the French think they live in a hierarchical pyramid when they are in reality mostly middle-class, Americans are the opposite.

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As the paper says, other evidence also says that Americans vastly underestimate inequality in their own society – and when asked to choose an ideal wealth distribution, say that they like Sweden.

Why the difference? American exceptionalism when it comes to income distribution – our unique suspicion of and hostility to social insurance and anti-poverty programs – is, I and many others would argue, very much tied to our racial history. This does not, however, explain in any direct way why we should misperceive real inequality: people could oppose aid to Those People while understanding how rich the rich are. There may, however, be an indirect effect, because the racial divide empowers right-wing groups of all kinds, which in turn issue a lot of propaganda dismissing and minimizing inequality.

Interesting stuff.

 

Manie dell’ineguaglianza

Per il tramite del Financial Times, un nuovo studio mette a confronto le percezioni dell’ineguaglianza nel mondo avanzato. La grande scoperta in questo caso è che è più probabile che gli americani credano di vivere in una società di classe media degli europei, anche se il reddito è molto meno egualmente distribuito qua che in Europa. Ho ripulito la tabella [1] per mostrare il confronto tra gli Stati Uniti e la Francia: i francesi pensano di vivere in una piramide gerarchica mentre in realtà sono in gran parte classe media, gli americani l’opposto.

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Come afferma lo studio, anche un’altra prova dice che gli americani sottostimano grandemente l’ineguaglianza nella loro società – e quando gli viene chiesto di scegliere una ideale distribuzione della ricchezza, dicono di preferire quella svedese.

Perché tale differenza? Come io e molti altri sosteniamo [2], quando si arriva alla distribuzione del reddito, l’ “eccezionalismo” americano – il nostro singolare sospetto per, e la nostra ostilità verso la assicurazione sociale ed i programmi contro la povertà – è davvero molto legato alla nostra storia razziale. Questo non spiega, tuttavia, in alcun modo diretto perché noi dovremmo percepire in modo sbagliato l’ineguaglianza di fatto; la gente potrebbe opporsi agli aiuti a “Quella Gente” [3], pur comprendendo quanto i ricchi sono ricchi. Ci può essere, tuttavia, un effetto indiretto, perché la differenza razziale rafforza i gruppi di destra di ogni genere, dalla qualcosa a sua volta scaturisce un bel po’ di propaganda di rifiuto e di minimizzazione dell’ineguaglianza.

Cose interessanti.

 

 

[1] Da quello che capisco, “truncate the table” è un comando informatico che serve ad eliminare i dati senza cancellare una tabella.

[2] Il riferimento nella connessione è ad un saggio di Alberto Alesina, Edward Glaeser e Bruce Sacerdote. Lo studio risale al 2001.

[3] Una espressione tipicamente conservatrice degli americani-bianchi per riferirsi ai poveri, preferibilmente di colore.

Veni, vidi Wiki (19 agosto 2014)

agosto 19, 2014

 

Aug 19 3:31 pm

Veni Vidi Wiki

Vox has a great explanation of the Roman Empire in 40 maps (not all of them maps, really, but close enough); I love this sort of stuff.

A small niggle: nobody now thinks that quinqueremes had five banks of oars, which would be unwieldy to say the least; even rowing a trireme is really hard. Probably there were only one or two banks, with multiple rowers per oar.

Anyway, great stuff; I really liked map 2, which gave me a much better appreciation for how big the empire was. While I’m at it, let me put in a plug for Peter Temin’s lovely book on the Roman economy. Much more fun than thinking about European stagnation.

 

Veni, vidi Wiki

Vox fornisce una fantastica spiegazione dell’Impero Romano attraverso 40 mappe (non sono tutte mappe, in realtà, ma abbastanza vicino): questo genere di cose mi avvincono.

Un piccolo cavillo: nessuno oggi pensa che le quinqueremi avessero cinque fila di remi, la qualcosa, per dire il minimo, sarebbe ingombrante; persino remare su una triremi è davvero difficile. Probabilmente c’erano soltanto una o due fila, con rematori multipli per remo [1].

In ogni modo, una gran cosa; mi è davvero piaciuta la seconda mappa, che mi ha consentito di apprezzare molto meglio quanto fosse grande l’Impero Romano [2]. Già che ci sono, consentitemi di fare un po’ di propaganda allo stupendo libro di Peter Temin sull’economia romana. Molto più divertente che pensare alla stagnazione europea.

 

 

[1] In realtà il “testo” dice che le quinqueremi avevano cinque rematori per ogni fila e non dice quante fila avessero. Krugman è disturbato, oppure sfoggia la sua competenza, solo perché si potrebbe intendere ne avessero cinque! Ma, se posso dare un consiglio, aprite la connessione con Vox.

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[2] La mappa ‘stende’ l’Impero Romano sul territorio americano, ricoprendolo praticamente per intero (con la maliziosa aggiunta del lembo settentrionale di Cuba, ovvero della città de La Avana!).

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Oltre le bugie (19 agosto 2014)

agosto 19, 2014

 

Aug 19 2:48 pm

Beyond the Lies

Greg Sargent notes that the midterm election, which was supposed to be a referendum on Obamacare, isn’t looking at all like that in practice; Republican ads denouncing health reform have been dwindling month by month.

The reason is fairly obvious, although it’s not considered nice to state it bluntly: the attack on Obamacare depended almost entirely on lies, and those lies are becoming unsustainable now that the law is actually working. No, there aren’t any death panels; no, huge numbers of Americans aren’t losing coverage or finding their health costs soaring; no, jobs aren’t being killed in vast numbers. A few relatively affluent, healthy people are paying more for coverage; a few high-income taxpayers are paying more in taxes; a much larger number of Americans are getting coverage that was previously unavailable and/or unaffordable; and most people are seeing no difference at all, except that they no longer have to fear what happens if they lose their current coverage.

In other words, reform is working more or less the way it was supposed to (except for the Medicaid expansion in non-cooperating states).

Many of us argued all along that the right’s chance to kill reform would vanish once the program was actually in place; the horror stories only worked as long as the truth wasn’t visible. And that’s what seems to be happening.

 

Oltre le bugie

Greg Sargent osserva che le elezioni di medio termine, che si pensava sarebbe state un referendum sulla riforma sanitaria di Obama, in pratica non sembrano essere affatto niente del genere; la propaganda repubblicana di denuncia della riforma sanitaria sta scemando mese dopo mese.

La ragione è abbastanza evidente, sebbene non sia considerato gentile dirlo schiettamente: l’attacco alla riforma di Obama si basava quasi interamente su bugie, e quelle bugie, adesso che la legge sta effettivamente funzionando, stanno diventando insostenibili. No, non c’è alcun ‘tribunale della morte’ [1]; no, non stanno perdendo la loro copertura assicurativa molti americani, e neppure i loro costi stanno salendo alle stelle; no, non sta scomparendo un gran numero di posti di lavoro. Poche persone in salute e relativamente benestanti stanno pagando di più per l’assicurazione; pochi contribuenti con alti redditi stanno pagando di più di tasse; un numero molto più grande di americani ricevono quello che in precedenza era indisponibile e/o insostenibile e la grande maggioranza delle persone non stanno notando alcuna differenza, a parte il fatto che non debbono più aver paura di ciò che accade se perdono la loro attuale forma di assistenza.

In altre parole, la riforma sta funzionando più o meno come si era ritenuto (ad eccezione della mancata espansione di Medicaid negli Stati che non collaborano).

Molti di noi sostenevano che le possibilità per la destra di liquidare la riforma sarebbero svanite, una volta che il programma fosse effettivamente in funzione; le storie dell’orrore hanno funzionato solo sinché la verità non è stata visibile. Ed è quello che sembra stia accadendo.

 

 

[1] Per “death panel” vedi le note sulla traduzione.

La città e le camminate (piuttosto leggero) (16 agosto 2014)

agosto 16, 2014

 

Aug 16 11:08 am

Steps and the City (Fairly Trivial)

Emily Badger tells us that sprawl is bad for your health; so are movie theater concession counters, reports Sarah Kliff, which is why Tom Harkin and Rosa DeLauro want to include popcorn under the rules requiring calorie disclosure. (At the risk of sounding whiny, they aren’t exactly “coming after” your popcorn; you’d be free to buy it, it’s just that the cinema would have to tell you how many calories you’re about to consume.)

In other words, neoclassical economics is all wrong.

OK, an overstatement. But both concerns about the health effects of urban layout and attempts to deter certain kinds of consumption are basically about the failings of rationality as a model of human behavior. People should get enough exercise — they will, in general, be happier if they do — but they tend not to get exercise if they live in an environment where it’s easy to drive everywhere and not as easy to walk. People should limit their caloric intake — again, they’ll be happier if they do — but have a hard time resisting those giant tubs of popcorn.

I can personally attest to the importance of these environmental effects. These days, I walk around with a pedometer on my wrist — hey, I’m 61, and it’s now or never — and it’s obvious just how much more natural it is to get exercise when I’m in New York than when I’m in Princeton; just a few choices to walk rather than take the subway fairly easily gets me to 15,000 steps in the city, while even with a morning run it can be hard to break 10,000 in the suburbs. Also, the Bloomberg nanny-state legacy, with calories displayed on practically everything, does help curb my vices (greasy breakfast sandwiches!).

The interesting and difficult question is how, and whether, these kinds of behavioral issues should be reflected in policy. There are some conventional externality arguments for promoting walkable development — less pollution, etc.. But can we, should we, also favor walkability and density because it promotes good habits? How far should regulation of fast food go? Etc., etc.

Also, isn’t it kind of interesting that these days big-city residents on average lead more “natural” lives, being outside and getting around on their own two feet, than “real Americans” who live in small cities and towns?

Now, time to finish my Mark Bittman-approved unsweetened oatmeal and not, repeat not, get a breakfast sandwich.

 

La città e le camminate (piuttosto leggero)

Emily Badger ci spiega che spaparanzarsi è negativo per la nostra salute; altrettanto lo sono i botteghini in concessione nei cinematografi, ci informa Sarah Kliff, e quella è la ragione per la quale Tom Harkin e Rosa DeLauro vogliono includere il popcorn tra i generi per i quali valgono le regole della informazione obbligatoria sulle calorie (a rischio di far la parte di chi si lamenta, esse non sono esattamente “conseguenze obbligate” del vostro popcorn; sareste liberi di acquistarlo, solo che il cinematografo vi dovrebbe spiegare quante calorie vi accingete a consumare).

In altre parole, l’economia neoclassica è tutta sbagliata.

Va bene, è una esagerazione. Ma entrambe le preoccupazioni sugli effetti sulla salute della struttura urbana e sui tentativi di scoraggiare certi tipi di consumi riguardano fondamentalmente i fallimenti della razionalità come modello di comportamento umano. Le persone dovrebbero tenersi in una certa misura in esercizio – in generale, se lo fanno sono più contente – ma tendono a non farlo in un ambiente nel quale è facile andare in macchina dappertutto e non è facile camminare. Le persone dovrebbero limitare i loro consumi calorici – ancora, starebbero meglio a farlo – ma non è facile resistere a quei giganteschi contenitori di popcorn.

Io posso personalmente attestare l’importanza di questi effetti ambientali. Di questi tempi, io cammino con un contapassi al polso – che volete, ho 61 anni, o ora o mai più – ed è proprio evidente che è più naturale che mi tenga in esercizio quando sono a New York rispetto a quando sono a Princeton; scegliere solo poche volte di camminare invece di prendere la metropolitana mi fa fare abbastanza facilmente 15.000 passi in città, mentre persino con una corsa mattutina sarebbe difficile oltrepassare i 10.000 passi in periferia. Inoltre, l’eredità della amministrazione prolifica di assistenza di Bloomberg, con le informazioni sulle calorie ostentate praticamente dappertutto, aiuta davvero a tenere a freno i miei vizi (grassi tramezzini per colazione!).

La domanda interessante e difficile è come, e se, queste specie di temi comportamentali dovrebbero riflettersi nella politica. Ci sono alcuni argomenti convenzionali sulle esternalità a favore di uno sviluppo basato sull’andare a piedi – minore inquinamento, etc. Ma possiamo, o dovremmo, anche favorire l‘andare a piedi e la densità, perché essa promuove buone abitudini? Sino a che punto ci si deve spingere con il regolamenti del “fast food”? Etc, etc.

Inoltre, non è interessante che di questi tempi i residenti nella grande città in media conducano vite più “naturali”, standosene fuori e girando per conto loro, degli “americani veri” che vivono nelle cittadine più piccole?

Adesso, il tempo di finire i miei biscotti di avena senza zucchero che hanno l’approvazione di Mark-Bittman [1], escludendo, ribadisco escludendo, di farmi un tramezzino a colazione.

 

 

[1] Giornalista del New York Times che pare si occupi di diete.

Tutto sullo zero (15 agosto 2014)

agosto 15, 2014

 

Aug 15 6:04 pm

All About Zero

The VoxEU servers were briefly overwhelmed by hits after I linked to their new ebook on secular stagnation, but you should be able to download it now. And I guess I should say a few more words about why it matters so much.

Way back in 2008 I (and many others) argued that the financial crisis had pushed us into a liquidity trap, comparable to the situation Japan has faced since the mid-1990s — a situation in which the Fed and its counterparts elsewhere couldn’t restore full employment even by reducing short-term interest rates all the way to zero. We can argue about what else central banks can do by way of buying longer term and/or risky assets, trying to change expectations, and so on, but in practice the zero lower bound has huge adverse effects on policy effectiveness. It also drastically changes the rules as long as it’s binding; as I said very early in the crisis, virtue becomes vice and prudence is folly. We want less saving, higher expected inflation, and more.

And let me simply point out that liquidity-trap analysis has been overwhelmingly successful in its predictions: massive deficits didn’t drive up interest rates, enormous increases in the monetary base didn’t cause inflation, and fiscal austerity was associated with large declines in output and employment.

What secular stagnation adds to the mix is the strong possibility that this Alice-through-the-looking-glass world is the new normal, or at least is going to be the way the world looks a lot of the time. As I say in my own contribution to the VoxEU book, this raises problems even for advocates of unconventional policies, who all too often predicate their ideas on the notion that normality will return in the not-too-distant future. It raises even bigger problems with people and institutions that are eager to “normalize” fiscal and monetary policy, slashing deficits and raising rates; normalizing policy in a world where normal isn’t what it used to be is a recipe for disaster.

Do we know that secular stagnation is here? No. But the case is strong enough that it should color almost every policy discussion.

 

Tutto sullo zero

I server di VoxEU erano momentaneamente sovraccarichi dai contatti dopo che ho fornito la connessione al loro nuovo libro elettronico sulla stagnazione secolare, ma ora dovreste essere nelle condizioni di scaricarlo.

Nel lontano 2008 io (e molti altri) sostenevamo che la crisi finanziaria ci aveva spinti in una trappola di liquidità, una situazione simile a quella che il Giappone aveva affrontato dalla metà degli anni ’90 – una situazione per la quale la Fed ed i suoi omologhi nel resto del mondo non potevano ripristinare la piena occupazione neppure riducendo i tassi di interesse a breve termine sino allo zero. Potevamo discutere su cos’altro le banche centrali potessero fare mediante l’acquisto di asset a più lungo termine e/o rischiosi, cercando di modificare le aspettative, ma in pratica il limite inferiore dello zero ha vasti effetti negativi sulla efficacia della politica. Inoltre, esso modifica drasticamente le regole per tutto il periodo in cui è vincolante; come dissi proprio agli inizi della crisi, la virtù diviene un vizio e la prudenza diventa follia. Abbiamo bisogno di minore risparmio, di una inflazione attesa più elevata, e di altro ancora.

Lasciatemi semplicemente sottolineare che l’analisi della trappola di liquidità è stata un successo dirompente nelle sue previsioni: deficit massicci non hanno spinto in alto i tassi di interesse, incrementi enormi nella base monetaria non hanno provocato inflazione e l’austerità della finanza pubblica è stata associata ad ampi decrementi nella produzione e nell’occupazione.

Quello che la stagnazione secolare aggiunge a tale combinazione è la forte possibilità che questo mondo da “Alice attraverso lo specchio” [1] sia la nuova norma, o almeno sia destinato ad essere il modo in cui il mondo apparirà per un lungo periodo. Come ho scritto nel mio contributo al libro di VoxEU, questo solleva problemi persino per i sostenitori di politiche non convenzionali, tutti i quali affermano le loro idee sulla base dell’idea che la normalità tornerà in un futuro non lontano. Solleva problemi persino maggiori alle persone ed alle istituzioni che sono desiderose di “normalizzare” la politica della finanza pubblica e monetaria, di abbattere i deficit e di elevare i tassi di interesse; una politica di normalizzazione in un mondo nel quale la normalità non è quello a cui si era abituati, è una ricetta per il disastro.

Sappiamo che la stagnazione secolare è dinanzi a noi? No. Ma è una ipotesi abbastanza forte da influenzare quasi l’intero dibattito politico.

 

 

[1] E’ il racconto del 1871 di Lewis Carroll, che fa seguito ad “Alice nel paese delle meraviglie” del 1865.

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La stagnazione secolare: il libro (15 agosto 2014)

agosto 15, 2014

 

Aug 15 9:52 am

Secular Stagnation: The Book

Ebook, actually: the invaluable VoxEU has a new ebook with contributions from a lot of good people — and also one from me — which is must-reading for anyone trying to keep up with current debates about our economic prospects.

For those new to or confused by the term, secular stagnation is the claim that underlying changes in the economy, such as slowing growth in the working-age population, have made episodes like the past five years in Europe and the US, and the last 20 years in Japan, likely to happen often. That is, we will often find ourselves facing persistent shortfalls of demand, which can’t be overcome even with near-zero interest rates.

Secular stagnation is not the same thing as the argument, associated in particular with Bob Gordon (who’s also in the book), that the growth of economic potential is slowing, although slowing potential might contribute to secular stagnation by reducing investment demand. It’s a demand-side, not a supply-side concept. And it has some seriously unconventional implications for policy.

Anyway, go thou and download. You need to read this.

 

La stagnazione secolare: il libro

Per la verità, il libro elettronico: l’inestimabile VoxEU presenta un nuovo libro elettronico con contributi da parte di varie ottime persone – ed anche uno da parte del sottoscritto – che è una lettura obbligatoria per chiunque sta cercando di tenersi aggiornato sul dibattito attuale sulle nostre prospettive economiche.

Per coloro per i quali il tema è nuovo o che sono confusi dalla terminologia, la stagnazione secolare è la tesi secondo la quale mutamenti profondi nell’economia, quali il rallentamento della crescita della popolazione in età lavorativa, hanno realizzato episodi quali gli ultimi cinque anni in Europa e negli Stati Uniti, e gli ultimi 20 in Giappone, che è probabile si ripetano frequentemente. Vale a dire, ci ritroveremo spesso a fronteggiare cadute persistenti nella domanda, che non possono essere superate neppure con tassi di interesse vicini allo zero.

La stagnazione secolare non è la stessa cosa della argomentazione, in particolare attribuita a Bob Gordon (anch’egli nel libro), secondo la quale la crescita del potenziale economico sta rallentando, sebbene il rallentamento potenziale potrebbe contribuire alla stagnazione secolare riducendo la domanda di investimento. Si tratta di un concetto dal lato della domanda, non dal lato dell’offerta. Ed ha alcune implicazioni seriamente inedite per la politica.

In ogni modo, andate a scaricarlo. E’ necessario che lo leggiate.

Fandonie sulla finanza pubblica, una rivisitazione (13 agosto 2014)

agosto 13, 2014

 

Aug 13 12:23 pm

Fiscal Flimflam, Revisited

Brad DeLong reminds us of the original Ryan budget plan — or actually “plan”, as I’ll explain — and emphasizes its dire warnings about a looming debt crisis that wasn’t. But pointing out that the debt panic was unjustified only gets at part of what was wrong with that Ryan budget (and all his subsequent proposals). For the fact is that it wasn’t a proposal made in good faith.

As I and others pointed out at the time, when you looked at the substance of what Ryan was proposing, it didn’t at all match up to his supposed deep concern over the deficit. Specifically, in the first decade he proposed savage cuts in aid to the poor, but he also proposed huge tax cuts for the rich — and the tax cuts for the rich were bigger than the aid cuts for the poor, so that the specifics of the plan were actually deficit-increasing, not deficit-reducing.

So how did he claim otherwise? By declaring that he would make his tax cuts deficit-neutral by closing loopholes — but he refused to say anything about which loopholes he would close; and by claiming that he would make huge cuts in discretionary spending, again without specifying what he would cut. So the budget was essentially a con job.

Now, when I say things like that, people start howling about lack of civility. But I wasn’t insulting someone for the sake of insult; if you didn’t understand the essential dishonesty of the plan, you weren’t getting the story right. Yes, I could have used diffident language — but why? Readers deserve to be told clearly what is going on.

Look, I wish we lived in a world in which you could reasonably assume that people with different political views were arguing their case honestly. But we don’t. And you have to argue with the politicians we have, not the politicians we wished we had.

 

Fandonie sulla finanza pubblica, una rivisitazione

Brad DeLong ci ricorda il programma originario sul Bilancio di Paul Ryan – per la verità, il “programma”, come stiamo per spiegare – ed enfatizza i suoi terribili ammonimenti su una incombente crisi da debito che non c’è stata. Ma mettendo in evidenza che il panico da debito era ingiustificato, riguarda solo una parte di quello che era sbagliato nel Bilancio di Ryan (e in tutte le sue proposte successive). Perché il fatto è che non era una proposta avanzata in buona fede.

A quel tempo, io ed altri mettemmo in evidenza che, quando si guardava alla sostanza di quello che Ryan veniva proponendo, esso non era affatto coerente con la sua supposta profonda preoccupazione sul bilancio. In particolare, aveva proposto nel primo decennio tagli selvaggi agli aiuti ai poveri, ma aveva anche proposto grandi sgravi fiscali ai ricchi – e gli sgravi per i ricchi erano più grandi dei tagli agli aiuti ai poveri, cosicché l’elemento distintivo del programma era effettivamente l’incremento del deficit, non la riduzione del deficit.

Come poté, dunque, sostenere una cosa diversa? Dichiarando che avrebbe realizzato i suoi sgravi fiscali senza effetti sul deficit, interrompendo elusioni del fisco – ma rifiutò di dire alcunché sulle scappatoie che avrebbe interrotto; e sostenendo che avrebbe realizzato ampi tagli nella spesa pubblica discrezionale, ancora senza specificare cosa avrebbe tagliato. Dunque il Bilancio era in pratica una fregatura.

Ora, quando io dico cose di questo genere, c’è gente che comincia a strepitare di una mancanza di civiltà. Ma io non stavo insultando qualcuno per il gusto di insultare; se non avevate capito l’essenziale disonestà del programma, non potevate intendere correttamente la storia. Sì, avrei potuto utilizzare un linguaggio più cauto – ma perché? I lettori meritano che si racconti loro con chiarezza cosa sta succedendo.

Vedete, mi piacerebbe vivere in un mondo nel quale si possa ragionevolmente supporre che le persone con diversi orientamenti politici stanno sostenendo le loro tesi onestamente. Ma non è così. E si deve discutere con i politici che abbiamo, non con quelli che vorremmo avere.

Cosa succede in Europa? (dal blog di Krugman, 13 agosto 2014)

agosto 13, 2014

 

Aug 13 9:48 am

What’s the Matter With Europe?

Just a few months ago Europe’s austerians were busy congratulating themselves, declaring that a modest upturn in southern Europe vindicated all their actions. But now the news is looking grim, with industrial production stalling out and good reason to fear yet another slide into recession:

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This comes as many though not all US data points are suggesting stronger growth. So why has Europe done so badly? I’m actually not too committed to any one story here; there are arguably several factors.

First, there is fiscal austerity, which has been a very big drag. It’s important to realize, however, that the US has also had quite a lot of de facto austerity via the sequester and all that at the federal level, and state and local cutbacks. If we use the IMF’s measure of structural balances, Europe has indeed tightened relative to the United States:

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International Monetary Fund

But it’s not as big a difference as you might think — maybe 2 1/2 points of potential GDP.

You can also argue that Europe’s fundamentals are considerably worse. If you’re worried that secular stagnation might be depressing the natural real rate of interest — the rate consistent with full employment — and you think that demography is a big factor, Europe looks really terrible, indeed full-on Japanese:

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This says that Europe really, really needs to keep inflation expectations from sliding — in fact, it almost surely needs expected inflation higher than 2 percent. In fact, however, the ECB has been much less successful than the Fed at keeping expected inflation from declining.

And this reflects past policy choices and what they say about institutional biases. In the US, Janet Yellen and associates have been quite clear that they are prepared to take some inflation risks on the upside in order to avoid the “nightmare scenario” of raising rates only to discover that the economy was weakening again, and thereby deepening the liquidity trap. In Europe, however, the nightmare scenario isn’t hypothetical: it happened both in 2008 and, incredibly, again in 2011. And the sadomonetarists at the BIS and elsewhere continue to have much more influence in Europe than in the United States.

The thing is, I don’t believe that current management at the ECB is that different in its understanding of what policy should be doing from leadership at the Fed. But it has to struggle against an economy that is weaker in its underlying fundamentals, bad history, and a much more powerful contingent of monetary hawks.

It really is quite scary.

 

Cosa succede in Europa?

Solo pochi mesi fa i filo-austeri in Europa erano occupati a congratularsi reciprocamente, dichiarando che una modesta risalita nell’Europa meridionale faceva giustizia delle loro iniziative. Ma adesso le notizie sembrano sgradevoli, con la produzione industriale che ristagna e con buone ragioni per temere un’altra scivolata nella recessione:

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Questo accade nel mentre molti, anche se non tutti, riferimenti statistici negli Stati Uniti stanno indicando una crescita più forte. Cosa ha fatto, dunque, l’Europa di così negativo? In questo caso, io per la verità non sono troppo legato a nessuna spiegazione particolare; ci sono probabilmente una molteplicità di fattori.

Il primo: c’è stata una austerità della finanza pubblica che è stata un vero grande fattore di trascinamento. E’ anche importante comprendere, tuttavia, che anche gli Stati Uniti hanno di fatto avuto una buona misura di austerità, attraverso il cosiddetto “sequestro” [1] e tutto il resto al livello federale, ed i tagli ai livelli degli Stati e delle istituzioni locali. Se utilizziamo le misure del FMI degli equilibri strutturali [2], l’Europa in effetti si è ristretta [3] rispetto agli Stati Uniti:

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Fondo Monetario Internazionale

 

Ma non è una differenza così grande come si potrebbe ritenere – forse due punti e mezzo del PIL potenziale.

Si può anche sostenere che i fondamentali dell’Europa siano considerevolmente peggiori. Se siete preoccupati che la stagnazione secolare possa essere depressiva del tasso di interesse reale naturale – ovvero il tasso di interesse coerente con la piena occupazione – e pensate che la demografia sia un fattore importante, l’Europa sembra realmente in un condizione molto negativa, in sostanza pienamente ‘giapponese’:

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[4]

Questo dice che l’Europa ha per davvero bisogno di evitare uno scivolamento delle aspettative di inflazione – di fatto, ha quasi certamente bisogno di una inflazione attesa più elevata del 2 per cento. In sostanza, tuttavia, la BCE ha molto meno successo della Fed nell’impedire un declino della inflazione attesa.

E questo riflette le passate scelte politiche e quello che esse ci dicono dei pregiudizi nelle istituzioni. Negli Stati Uniti, Janet Yellen e i suoi colleghi sono stati abbastanza chiari nell’affermare di essere pronti a correre alcuni rischi inflazionistici verso l’alto pur di evitare uno “scenario da incubo” di tassi crescenti al solo scopo di scoprire che l’economia si sta nuovamente indebolendo, e di conseguenza che si sta approfondendo la trappola di liquidità. In Europa, tuttavia, lo scenario da incubo non è ipotetico: è successo nel 2008 e, incredibilmente, ancora nel 2011. Ed i sadomonetaristi alla Banca dei Regolamenti Internazionali e dappertutto continuano ad avere molta maggiore influenza in Europa che non negli Stati Uniti.

Il punto è il seguente: io non credo che l’attuale governo della BCE sia così diverso nella comprensione di quale politica dovrebbe essere messa in atto, rispetto al gruppo dirigente della Fed. Ma esso deve combattere con un’economia che è più debole nei suoi sottostanti fondamentali, con una storia negativa, e con uno schieramento di falchi del monetarismo molto più potente.

Davvero è una situazione che fa non poca paura.

 

 

[1] E’ uno dei termini con i quali sono state descritte negli ultimi anni le controversie ostruzionistiche nel Congresso americano che hanno caratterizzato lo scontro tra i repubblicani e la Amministrazione Obama, con non pochi effetti pratici sull’andamento reale della politica finanziaria pubblica.

[2] Gli “equilibri strutturali”, ai fini della lettura del diagramma successivo, sono così definiti nel glossario dell’OCSE: “L’equilibrio di bilancio può essere scomposto in una componente ciclica ed in una componente non-ciclica, o strutturale. La scomposizione è rivolta a separare le influenze cicliche sul bilancio che derivano dalla divergenza tra la produzione effettiva e quella potenziale (il gap della produzione), dai fattori non ciclici. I cambiamenti di questo secondo genere possono essere considerati una causa piuttosto che un effetto delle fluttuazioni della produzione e possono essere interpretati come indicativi delle correzioni politiche discrezionali. Dovrebbe essere notato, tuttavia, che i cambiamenti nelle risorse in entrata – quali i risultati dei cambiamenti dei prezzi del petrolio, ad esempio – e nei pagamenti degli interessi – quali i risultati della passata accumulazione del debito o i cambiamenti nei tassi di interesse – non sono né ciclici né puramente discrezionali. Tuttavia, questi cambiamenti sono riflessi nella evoluzione della componente strutturale dell’equilibrio di bilancio”.

 

[3] Mi pare che l’espressione “si è ristretta”, alla luce della definizione precedentemente illustrata di “equilibrio strutturale”, significhi che, in riferimento alla produzione potenziale, gli equilibri strutturali sono ‘peggiorati’ maggiormente negli Stati Uniti, rispetto all’Europa. Ovvero che negli Stati Uniti c’è stata nel complesso una austerità minore, e conseguentemente un sostegno maggiore alla crisi di domanda.

[4] La tabella indica l’andamento della popolazione in età lavorativa compresa tra i 15 ed i 64 anni nell’area euro, e mostra l’andamento anno per anno – dal 2006 al 2013 – rispetto all’anno precedente. E’ dunque un indicatore demografico particolarmente significativo degli effetti della demografia sul mercato del lavoro, con un effetto di restrizione particolarmente significativo sia di una crescente quota di persone anziane, sia di un crescente basso ricambio di persone giovani.

Gli empiristi contrattaccano (10 agosto 2014)

agosto 10, 2014

 

Aug 10 8:32 pm

The Empiricist Strikes Back

If climate change doesn’t scare you, and our failure to act doesn’t inspire despair, you’re not paying attention. And the great sin of the climate deniers is their role in delaying action, quite possibly until it’s too late.

But there are other, smaller evils; and one that strikes close to home for me is the campaign of personal destruction waged against Michael Mann.

Mann, as some of you may know, is a hard-working scientist who used indirect evidence from tree rings and ice cores in an attempt to create a long-run climate record. His result was the famous “hockey stick” of sharply rising temperatures in the age of industrialization and fossil fuel consumption. His reward for that hard work was not simply assertions that he was wrong — which he wasn’t — but a concerted effort to destroy his life and career with accusations of professional malpractice, involving the usual suspects on the right but also public officials, like the former Attorney General of Virginia.

As you can imagine, I find it easy to put myself in Mann’s shoes; obviously a lot of people would like to do something similar to me, although they haven’t (yet?) found a suitable line of attack.

Now for the slightly encouraging news: Mann filed suit against National Review for defamation. And as D.R. Tucker points out at Washington Monthly, the latest response from NR sounds very much like a publication running scared.

Also encouraging is the evident inability of NR to understand how you defend against a charge of defamation. You don’t repeat the false allegations — sorry, guys, but courts also have access to Google and Nexis, and can find that all the charges have been rejected in repeated inquiries. You try, instead, to show that you made the allegations in good faith. But of course they didn’t.

Good for Mann in standing up here; he’s doing all of us a service.

 

Gli empiristi contrattaccano

Se il cambiamento climatico non vi spaventa, e la nostra incapacità di agire non vi ispira angoscia, vuol dire che siete sovrappensiero. E il grande peccato dei negatori del problema del clima è il loro ruolo nel ritardare l’iniziativa, del tutto possibile finché non sarà troppo tardi.

Ma ci sono altri più piccoli mali; e uno che ci tocca da vicino, secondo me, è la campagna di distruzione personale intrapresa contro Michael Mann [1].

Mann, come alcuni di voi forse sanno, è uno scienziato di grande impegno che ha utilizzato la prova indiretta degli anelli degli alberi e delle carote di ghiaccio nel tentativo di creare una documentazione sul clima nel lungo periodo. Il suo risultato è stato il famoso grafico del “bastone da hockey” di una brusca crescita delle temperature nell’epoca della industrializzazione e del consumo del carbone fossile [2]. Il premio per il suo duro lavoro non sono stati soltanto i giudizi secondo i quali avrebbe sbagliato – il che non era vero – ma uno sforzo ben concertato per distruggere la sua vita e la sua carriera con accuse di cattiva pratica professionale, che hanno riguardato i soliti noti della destra ma anche pubblici ufficiali, come il passato Procuratore Generale della Virginia.

Come vi potete immaginare, è semplice per me mettermi nei panni di Mann; è evidente che una gran quantità di individui sarebbero contenti di fare lo stesso nei miei confronti, sebbene non abbiano (ancora?) trovato una adeguata linea di attacco.

Ora, per quanto concerne le notizie leggermente incoraggianti: Mann ha fatto causa contro la National Review per diffamazione. E come D.R. Tucker mette in evidenza nella Washington Monthly, l’ultima risposta da parte di National Review appare molto simile ad una fuga precipitosa dal testo pubblicato.

E’ anche incoraggiante l’evidente inidoneità di National Review a difendersi da una accusa di diffamazione. Non si ripetono le false accuse – spiacente, signori, ma anche i Tribunali hanno accesso a Google ed a Nexis, e possono scoprire che in ripetute indagini tutte quelle accuse sono state respinte. E’ invece possibile dimostrare che si sono fatte quelle asserzioni in buona fede. Ma ovviamente non era il loro caso.

In questo caso è bene che Mann abbia resistito; ci sta facendo un servizio a tutti.

 

 

[1] Michael Mann è professore di meteorologia e direttore dello Earth System Science Center. E questa è la sua immagine con una delle sezioni degli alberi che utilizza per lo studio degli andamenti climatici:

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[2] La controversia sul “grafico del bastone da hockey” ha riguardato, appunto, gli studi sull’andamento climatico nell’ultimo millennio. L’espressione è stata originata dalla rappresentazione grafica di quegli studi, che è visibile nel diagramma sottostante, nella quale l’intero periodo che va dal clima caldo del Medioevo sino al clima molto caldo degli anni 2000, somiglia appunto ad uno strumento di quel genere:

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Si consideri che alcune delle prime ricerche di Mann ed altri risalgono all’anno 1998. La polemica è stata dunque molto lunga, e la asprezza del dibattito americano su questi temi, in particolare dello scontro con gli ambienti della destra, non si comprenderebbe senza un riferimento a tale lunga storia. Già dagli inizi degli anni 2000 lo scontro fu molto vivo e coinvolse personaggi della Amministrazione Bush. Più di due dozzine di ricerche hanno nel tempo sostanzialmente concluso con un pieno sostegno ai risultati delle prime ricerche del 1998. Lo stesso Mann ha prodotto i risultati di nuove ricerche nel 2008.

In lode del Dipartimento dei Veicoli a Motore (9 agosto 2014)

agosto 9, 2014

 

Aug 9 2:54 pm

In Praise of the DMV

OK, not exactly. But I see that some of the commenters on my libertarian piece invoke the old “horrors of the DMV” line to claim that government never works.

What’s remarkable about this line is that it reflects a fantasy — in this case, a negative fantasy — more than the reality. I’m sure that there are terrible DMV offices where people have miserable experiences, but that’s by no means universal or even normal. These days you can usually make appointments online; and even when you don’t, how bad is the experience? I’ve visited the Baker’s Basin DMV on Route 1 many times, and while I’ve sometimes had to wait a while, the people have been generally helpful and the lines have moved fast.

And if you compare the DMV with some private-sector bureaucracies — [cough] ExpressScripts [cough] — it’s a model of customer service.

The point is that the vision of hopeless government isn’t grounded in personal experience, let alone data. At this point it’s a cultural cliche, or a projection by people who read Atlas Shrugged in their teens and never grew up.

 

In lode del Dipartimento dei Veicoli a Motore

Va bene, non esattamente. Ma vedo che qualche commentatore del mio articolo sul movimento libertariano fa appello al vecchio motivo degli “orrori del Dipartimento dei Veicoli a Motore” per sostenere che la amministrazione pubblica non funziona mai.

Quello che è rilevante di questa posizione è che essa è frutto di una fantasia – in questo caso, di una fantasia negativa – non di una realtà. Io sono certo che esistono uffici terribili del DMV, dove le persone fanno esperienze terribili, ma in nessun modo questo significa che sia un fenomeno complessivo e neanche consueto. In questi giorni potete normalmente prendere appuntamenti on-line; e persino quando non lo fate, l’esperienza è così negativa? Ho visitato il DMV di Baker’s Basin [1] sulla Strada 1 molte volte, e se talvolta ho dovuto un po’ attendere, le persone sono state generalmente servizievoli e le code si muovevano rapidamente.

E se confrontate il DMV con qualche burocrazia del settore privato – del tipo ExpressScripts [2] (colpi di tosse ripetuti) – la prima è un modello di servizio per gli utenti.

Il punto è che la concezione di una amministrazione pubblica senza speranza non è fondata sulle esperienze personali, per non dire sulle statistiche. Si tratta ormai di un cliché culturale, o di una proiezione di individui che hanno letto l’ “Atlas Shrugged”[3] nella loro adolescenza e non sono mai cresciuti.

 

 

[1] Città o quartiere del New Jersey.

[2] Dovrebbe essere una società che opera nel settore farmaceutico.

[3] Il racconto molto celebrato tra le persone di destra di Ayn Rand.

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