Blog di Krugman

Circoli di influenza (28 luglio 2014)

 

Jul 28 9:06 pm

Circles of Influence

Thomas Palley is upset with what I said about wages in a depressed economy, not because we disagree on the substance — we don’t — but because he thinks I gave him and those in his camp short shrift. I plead innocent, but there is a larger issue on which he does have a case.

What I chided him for in my post was not for coming in late — I never said he did — but for claiming that mainstream economists were too hidebound to see the obvious. If you read what I was reacting to, it was his claim that mainstreamers like me were looking in all the wrong places for an explanation of continuing slow inflation despite high unemployment; jn fact, as I pointed out, people like me have been trying to explain the phenomenon using pretty much the same argument he claims is a radical departure.

So this wasn’t about intellectual priority — it was about refuting a claim of ideological blindness.

Now, Palley says that he was there first; and while I guess I thought Tobin laid out the basics 40 years ago, I’m willing to accept that Palley was somewhat ahead of the curve. And it’s also very much true that even those like me who are sympathetic to the general approach think of it as an arc from Tobin to Akerlof-Dickens-Perry to Daly and Hobijn, missing the heterodox economists who have thought about the same issues.

Fair enough. And modern academic economics is very much an interlocking set of old-boy networks; to some extent this has become even more true since the decline of the journals, with most discourse taking place via working papers long before formal publication. I used to refer to the international trade circuit as the floating crap game — the same 30 or 40 people meeting in conferences all over the world, reading and citing each others’ work; it’s the same in each sub-field. And to some extent it’s inevitable: there’s so much stuff out there, and you have to filter somehow, so you mainly read stuff by people you know and people they tell you are worth reading.

But it’s also true that this is a tendency one ought to lean against. One of my principles for research has always been “Listen to the Gentiles“. If we’re finding good stuff in Minsky, this is a sign that mainstream economists haven’t paid enough attention outside the crap game. And of course the discovery that freshwater economists were completely unaware of the Keynesian revival was a reminder that this can happen even to people with fancy credentials.

On the other hand, if you want the mainstream guys to listen to you, you probably shouldn’t accuse them of being denser and more rigid than they really are.

So how about some more open-mindedness all around?

 

Circoli di influenza

Thomas Palley è disturbato da quello che ho detto sui salari in una economia depressa, non perché non si sia d’accordo sulla sostanza – siamo d’accordo – ma perché pensa che io abbia dato a lui e a quelli del suo campo poca considerazione. Mi dichiaro innocente, ma c’è un tema più vasto sul quale egli ha di certo un argomento.

Quello che io avevo rimproverato nel mio post non era di essere arrivato in ritardo – non l’ho mai detto nei suoi confronti – ma di aver sostenuto che gli economisti dell’orientamento principale erano di mentalità troppo ristretta per accorgersi di ciò che era evidente. Se si legge ciò a cui reagivo, era la pretesa che i cosiddetti economisti alla moda come il sottoscritto stessero guardando in tutti i posti sbagliati per una spiegazione della perdurante bassa inflazione, nonostante l’elevata disoccupazione; di fatto, come sottolineavo, le persone come il sottoscritto stanno cercando di spiegare il fenomeno utilizzando grosso modo lo stesso argomento che egli sostiene essere di derivazione radicale.

Dunque, non era una questione di proprietà intellettuale – riguardava la confutazione dell’argomento della presunta cecità intellettuale.

Ora, Palley sostiene che egli c’era arrivato per primo; e mentre io suppongo che Tobin avesse posto le basi 40 anni orsono, sono disponibile ad accettare la tesi che in qualche modo Palley era più avanti su quella strada. Ed è anche molto vero che persino coloro come me che sono in sintonia con la generale linea di pensiero che corre come un arco da Tobin a Akerlof-Dickens-Perry, a Daly e Hobijn, abbiano trascurato gli economisti eterodossi che hanno riflettuto sugli stessi temi.

Sta bene. E la moderna economia accademica è davvero molto un luogo di reti che si intrecciano tra vecchi colleghi di università; in un certo senso questo è diventato anche più vero dal momento del declino delle riviste, con gran parte del dibattito che avviene attraverso bozze di studi, molto prima della loro formale pubblicazione. Ero solito riferirmi al circuito degli studi sul commercio internazionale come al “gioco delle merde che galleggiano” [1] – le solite 30 o 40 persone che si incontrano in conferenze in tutto il mondo, leggendo e citando gli uni i lavori degli altri; e lo stesso è in ogni sotto settore. E in qualche misura è inevitabile: ci sono molte cose in circolazione e in qualche modo si devono filtrare, cosicché si leggono soprattutto cose di persone che si conoscono e di persone che vi dicono che vale la pena di leggervi.

Ma è anche vero che questa è una tendenza alla quale uno dovrebbe appoggiarsi [2]. Uno dei miei principi di ricerca è sempre stato “Ascolta i Gentili”. Se troviamo cose buone in Minsky, questo è un segno che non abbiamo posto abbastanza attenzione fuori dal “gioco delle merde galleggianti”. E naturalmente la scoperta che gli economisti dell’acqua dolce [3] erano completamente inconsapevoli del ritorno del keynesismo è stata la conferma che sono cose che possono accadere anche a persone con credenziali attraenti.

D’altra parte, se volete che i soggetti della corrente prevalente vi ascoltino, probabilmente non dovreste accusarli di essere più ottusi e più rigidi di quello che sono.

Come fare, dunque, per avere un po’ dappertutto vedute più aperte?

 

 

[1] E’ un po’ letterale, ma non vedo alternative. C’è un vecchio ‘forum’ del 2007 su WordReference.com che alla fine porta a quella traduzione obbligata. L’idea è forse attenuata dal fatto che il gioco consiste nel casuale incontrarsi e scontrarsi dei soliti elementi galleggianti nello stesso piccolo specchio acqueo. Ma gli elementi sono quelli.

[2] Il senso più logico parrebbe quello di “resistere, opporsi”, ma “to lean against” lo trovo solo nel significato di “appoggiarsi”. A meno che nel testo non si sia persa una negazione.

[3] Per “freshwater and saltwater economists” vedi le note sulla traduzione.

Come sta andando la California? (23 luglio 2014)

luglio 23, 2014

 

Jul 23 12:27 pm

How’s California Doing?

The states, said Louis Brandeis, are the laboratories of democracy — although that may not work as well as it used to now that the “I’m not a scientist” wing has taken complete control of the GOP. Still, state experiences can tell the rest of us something. There’s been a lot of talk lately about how the great Kansas tax-cut experiment is doing, namely very badly. But what about the anti-Kansas — California? It’s a state with a Democratic supermajority. Its policies aren’t left-wing in the way Kansas’s are right-wing, but it’s enough of a liberal agenda to have the right frothing at the mouth. So how is it going?

I wrote about the California comeback more than a year ago, to much vitriolic scorn from the usual suspects. But how’s it going now?

Well, David Cay Johnston tells us that job growth remains fast despite predictions of doom from tax hikes. I found myself wondering, however, whether this was just bounceback from an especially severe slump — after all, California was a major housing bubble state, suffered for it, and you would expect a period of relatively fast growth thereafter even if overall performance was lagging the nation.

If you look at the numbers, however, what you see is that while fast job growth has indeed largely reflected recovery from an especially deep slump, at this point California’s performance (blue) since the Great Recession began has fully matched that of the nation (red); that is, there is no sign of growth being hurt by liberal policies or whatever:

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Meanwhile, the budget is in good shape, with room for some much-needed spending increases.

Oh, and California — which enthusiastically went about implementing health reform — appears to have cut the number of uninsured by half in the first year of Obamacare.

Is it a miracle? No — or at any rate not unless you consider any deviation from supply-side predictions miraculous. But it’s looking like a pretty solid record.

 

Come sta andando la California?

Gli Stati, disse Louis Brandeis, sono dei laboratori della democrazia – sebbene questo può non funzionare bene come un tempo, ora che l’ala del “io non sono uno scienziato” ha preso completo controllo del Partito Repubblicano. Eppure, le esperienze statali possono dire qualcosa a tutti noi. C’è stata una grande discussione di recente su come il grande esperimento degli sgravi fiscali del Kansas sta andando, ad esser precisi malissimo. Ma cosa dire dell’anti-Kansas, la California? E’ uno Stato con una super maggioranza democratica. Le sue politiche non sono di sinistra nello stesso modo nel quale quelle del Kansas sono di destra, ma fanno sufficientemente parte di un programma liberal da non provocare irritazione [1]. Dunque, cosa sta succedendo?

Io scrissi di un ritorno della California più di un anno fa, provocando reazioni al vetriolo dai soliti noti. Ma cosa sta accadendo adesso?

Ebbene, David Cay Johnston ci racconta che la crescita dei posti di lavoro resta veloce, nonostante le previsioni di sciagura per i rialzi delle tasse. Mi sono chiesto, tuttavia, se si trattava proprio di un recupero da una recessione particolarmente grave – dopo tutto, la California fu un importante Stato con una bolla immobiliare, ne pagò il prezzo, e vi sareste aspettati un periodo di crescita relativamente veloce anche se la prestazione in generale restava indietro rispetto alla nazione.

Se guardate ai dati, tuttavia, quello che osservate è che mentre una rapida crescita dei posti di lavoro ha in effetti largamente riflettuto una ripresa da una recessione particolarmente profonda, a questo punto la prestazione della California (linea blu) a partire dalla Grande Recessione ha cominciato ad eguagliare pienamente quella della nazione (linea rossa); cioè, non c’è segno che la crescita sia in qualche modo colpita dalle politiche liberal:

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Nel frattempo, le condizioni del bilancio sono buone, c’è spazio per qualche indispensabile incremento di spesa.

Inoltre la California – che si era comportata con entusiasmo nel mettere in atto la riforma sanitaria – sembra aver tagliato della metà il numero dei non assicurati nel primo anno della riforma di Obama.

E’ un miracolo? No – in ogni caso no, se non considerate ogni deviazione dalle previsioni dal lato dell’offerta come miracolose. Eppure sembra un primato piuttosto solido.

 

 

[1] “Froth in the mouth” significa “avere la schiuma alla bocca”, ma avere “la giusta schiuma” alla bocca  è un po’ intraducibile, se non nel senso di non adirarsi troppo.

I “senza sbocco” del disastro del debito (22 luglio 2014)

luglio 22, 2014

 

Jul 22 4:33 pm

Debt Disaster Dead-Enders

I got some correspondence from people telling me to read Rob Portman’s op-ed in the WSJ, intended to refute the growing evidence that the budget deficit has been grossly overrated as an issue. And it is an interesting piece — it’s a very good illustration both of the desperate desire to see a debt crisis, and what happens when someone (Portman, or more likely the staffer who wrote it) tries to be a Very Serious Person without actually understanding the numbers or having followed any of the analysis.

One thing you need to know is that none of Portman’s numbers refer to the CBO‘s baseline scenario; instead they refer to a much more pessimistic alternate scenario. That’s something he should have shared with readers.

And what you should know about that alternate scenario is that well over half of the projected spending rise he complains about has nothing to do with entitlements; it’s about rising interest payments, because the alternate scenario both assumes that spending will be higher and revenue lower than in the baseline, and that nothing will be done to remedy this situation, so that debt grows without limit. Oh, and those interest payments greatly overstate the real burden of debt in a growing economy with inflation.

But the main thing that struck me was the policy recommendations, written as if he knows nothing about the ongoing discussion of these issues over the past decade and more.

Portman wants us to raise the Medicare and Social Security ages. But raising the Medicare age doesn’t save money, and the Social Security age is already on an upward track to 67 — while life expectancy at age 65 has risen very little for the bottom half of workers.

He also wants means-testing. But Social Security is already de facto means-tested, with a very nonlinear relationship of benefits to wages; meanwhile, means-testing Medicare would actually cost money, because it would force people into more expensive private insurance. Oh, and if you’re worried about the incentive effects of higher taxes, means-testing is actually a big source of disincentives — the highest effective marginal tax rates in America are on lower-income workers who lose benefits as their earnings increase.

For sure we need serious efforts to control health-care costs — which we seem to be getting in Medicare, but face relentless Republican demagoguery.

Finally, whenever someone warns about the supposedly unsupportable costs of entitlements decades into the future, you should ask why, exactly, it’s urgent that we solve that conjectural future problem now — and why it has any bearing at all on current fiscal issues. Don’t say that it’s obvious; it isn’t, and in fact deficit scolds bob and weave when confronted with that question.

But the deficit scolds do love their looming disaster, and they love making tough proposals that someone always involve sacrifices by the little people.

 

I “senza sbocco” del disastro del debito

Ho avuto un po’ di corrispondenza con persone che mi dicono di leggere il commento di Rob Portman sul Wall Street Journal, che intende confutare le prove crescenti secondo le quali il deficit del bilancio era stato grandemente sopravvalutato come problema. E si tratta di un articolo interessante – una ottima illustrazione sia del desiderio disperato di assistere ad una crisi del debito, sia di quello che accade quando qualcuno (Portman, o più probabilmente il suo aiutante che lo ha scritto) cerca di essere una Persona Molto Seria senza in effetti comprendere le statistiche o essersi attenuto ad una qualunque analisi.

Una cosa che si deve sapere è che nessuno dei dati di Portman si riferisce allo scenario di partenza del Congressional Budget Office; si riferiscono invece ad uno scenario alternativo molto più pessimistico. Questo è un aspetto su cui egli avrebbe dovuto rendere partecipi i lettori.

E quello che si dovrebbe sapere su quello scenario alternativo è che ben più della metà della crescita prevista della spesa non ha niente a che fare con i diritti sociali; riguarda il rimborso crescente degli interessi, giacché lo scenario alternativo considera che la spesa sarà più alta e le entrate più basse del quadro di riferimento, e che niente verrà fatto per rimediare a questa situazione, cosicché il debito crescerebbe illimitatamente. Inoltre, quei pagamenti degli interessi sopravvalutano grandemente il reale peso del debito in un’economia che cresce con l’inflazione.

Ma la cosa principale che mi ha colpito sono state le raccomandazioni politiche, scritte come se egli fosse completamente all’oscuro del dibattito su questi temi nel corso del passato decennio e più ancora.

Portman vuole innalzare l’età di accesso a Medicare ed alla Previdenza Sociale [1]. Ma alzare l’età per Medicare non fa risparmiare denaro [2], e la Previdenza Sociale è già su una strada in salita verso i 67 anni – mentre l’aspettativa di vita a 65 anni è cresciuta molto poco per la metà dai lavoratori con redditi minori [3].

Vuole anche estendere i programmi che si basano sulla verifica delle condizioni di reddito degli utenti. Ma la Previdenza Sociale è già nei fatti un programma del genere, con una relazione davvero non lineare tra i sussidi ed i salari; mentre introdurre il controllo dei redditi su Medicare in verità costerebbe soldi, perché costringerebbe le persone ad assicurazioni private più costose. Inoltre, se siete preoccupati sugli effetti di incentivazione delle tasse più elevate, il controllo dei redditi è in effetti una grande fonte di disincentivazione – le più alte aliquote fiscali marginali in vigore in America sono sui lavoratori con i redditi più bassi, che perdono i sussidi al momento in cui incrementano le retribuzioni.

Di sicuro abbiamo bisogno di seri sforzi per controllare i costi della assistenza sanitaria – la qualcosa pare la stiamo ottenendo nel caso di Medicare, ma deve fare i conti con l’inarrestabile demagogia dei repubblicani.

Infine, ogni qual volta qualcuno mette in guardia sui presunti insopportabili costi dei diritti sociali nei decenni futuri, dovreste chiedergli per quale motivo, esattamente, sarebbe urgente risolvere adesso ipotetici problemi futuri – e perché essi debbano avere un qualche peso sui temi della finanza pubblica attuali. Non dite che questo è evidente; non lo è, e di fatto gli allarmisti del deficit non sanno che pesci prendere quando sono messi dinanzi a tale domanda.

Ma gli allarmisti del deficit amano per davvero il loro disastro incombente, ed amano avanzare proposte dure che in qualche modo[4] includono sempre sacrifici per la povera gente.

 

 

[1] Traduciamo “Social Security” con “Previdenza Sociale”, perché in effetti si tratta del programma che si occupa delle pensioni assistite dal contributo pubblico. Vedi anche le note sulla traduzione.

[2] La spiegazione è fornita da un articolo in connessione del 25 ottobre 2013, sul blog “The incidental economist”, di Aaron Carrol ed Austin Frankt. In sostanza si tratta del fatto che l’espulsione di una quota di assistiti di Medicare non provoca altro che uno spostamento della spesa su Medicaid, ovvero sul programma per i redditi più bassi.

[3] E’ un tema che Krugman aveva toccato in precedenza. Ci sono due aspetti impliciti: il primo è che i mutamenti nella aspettativa di vita devono essere riferiti alla fascia di popolazione dai 65 anni in su, ovvero a quanto cambiano le aspettative di vita per gli ultrasessantacinquenni, ed ovviamente in quella fascia l’aspettativa cresce assai meno che da 0 anni in su, per effetto del crescente miglioramento delle condizioni sanitarie ed anche della sempre più ridotta mortalità neonatale. Il secondo aspetto, è che le aspettative di vita non mutano nello stesso modo per tutta la popolazione, e certo si modificano in modo minore per le persone che lavorano manualmente, con i redditi più bassi e con l’assistenza sanitaria peggiore.

[4] Suppongo sia un errore: “somehow” al posto di “someone”.

Dottrine asimmetriche (appena per esperti) (21 luglio 2014)

luglio 21, 2014

 

Jul 21 7:30 am

Asymmetrical Doctrines (Vaguely Wonkish)

Are Keynesians and market monetarists symmetric, both in their doctrines and in their political position? Nick Rowe says yes; Simon Wren-Lewis says no. Simon is right here, but in fact for more reasons than he gives.

This all started with me saying that the market monetarists have no resonance in the modern conservative movement. Nick says that this is equally true of “fiscalists”, who haven’t managed to get traction with governments, even leftish ones, either. What’s the difference?

As Simon says, one big difference is that people like me are eclectic, urging that multiple policy tools be brought to bear — and willing to accept second-best policies if that’s what is available. We’re all for quantitative easing, even if there are some doubts about its effectiveness, in a world where fiscal austerity is happening whether you like it or not. This is very different from the MM insistence that fiscal policy has no role, and that austerity has no effect because central banks (they claim) could offset it, whether or not they really do.

But there’s also a big difference in the intellectual roles of MM on the right and Keynes on the left.

Talk with Barack Obama, and you’ll find that he has a basically Keynesian view of the world. It may have wobbled a bit in the past, at times when he seemed to buy into the Confidence Fairy, but it’s still his basic outlook — and his aides are very much IS-LM macro types. True, they haven’t gone all out to push for fiscal expansion in the face of opposition (but remember the payroll tax cut), but that’s mainly a political judgement on their part. It’s not a fundamental difference in worldview from friendly economists.

Contrast this with Republican leaders, who get their macroeconomics from Hayek and Ayn Rand, and are clearly liquidationist; it’s not that they don’t take advice from MM, they’re actively hostile to its very concepts.

That’s what I mean when I say that MM is homeless, in a way that my tribe isn’t.

 

Dottrine asimmetriche (appena per esperti)

Sono simmetrici i keynesiani ed i monetaristi di mercato, nelle loro dottrine come nelle loro posizioni politiche? Nick Rowe dice di sì; Simon Wren-Lewis dice di no. In questo caso ha ragione Simon, ma di fatto per ragioni maggiori di quelle che presenta.

Tutto questo era partito dalla mia affermazione secondo la quale i monetaristi di mercato non hanno seguito nel movimento conservatore odierno. Rick dice che lo stesso è vero per i sostenitori della spesa pubblica, che non sono riusciti a portarsi dietro i Governi, neppure quelli di sinistra. Quale è la differenza?

Come dice Simon, una grande differenza è che le persone come me sono eclettiche, insistono sul fatto che debbono essere messi in funzione gli strumenti di una politica molteplice – e sono disponibile ad accettare politiche di seconda istanza, se esse sono quanto è disponibile. Siamo tutti a favore della ‘facilitazione quantitativa’ [1], anche se ci sono alcuni dubbi sulla sua efficacia, in un mondo nel quale, ci piaccia o no, l’austerità della finanza pubblica è in atto. E’ una posizione molto diversa rispetto alla insistenza dei monetaristi moderni secondo i quali la politica della spesa pubblica non ha alcun ruolo, e l’austerità non ha effetto perché le banche centrali (così sostengono) potrebbe bilanciarla, ammesso o no che lo facciano.

Ma c’è anche una grande differenza nei ruoli intellettuali del Monetarismo Moderno sulla destra e di Keynes sulla sinistra.

Se si parla con Barack Obama, si trova che egli ha una visione fondamentalmente keynesiana del mondo. Nel passato è possibile che abbia avuto qualche oscillazione, nei tempi nei quali sembrava credere nella Fata della Fiducia, ma quella è ancora la sua mentalità fondamentale – ed i suoi collaboratori sono in gran parte individui che si ispirano alla macroeconomia del modello IS-LM. E’ vero, costoro non si sono dati tutti da fare per spingere per una espansione della spesa pubblica di fronte all’opposizione (ma si ricordino gli sgravi fiscali sulle retribuzioni), ma quello è principalmente un giudizio politico a loro carico. Non è una differenza fondamentale nella visione del mondo rispetto agli economisti più vicini.

Si metta a confronto questo con i dirigenti repubblicani, che desumono la loro macroeconomia da Hayek e da Ayn Rand, e che sono fondamentalmente liquidazionisti [2]; il punto non è che essi non traggono spunti dal Monetarismo Moderno, essi sono attivamente ostili ai suoi concetti di fondo.

In questo senso io dico che il Monetarismo Moderno è senza casa, mentre io e la mia gente ne abbiamo una.

 

 

[1] Vedi “quantitative easing” alle note della Traduzione.

[2] Il termine suppongo si riferisca allo specifico ‘liquidazionismo’ che si presentò nel dibattito sulla crisi ai tempi della Grande Depressione. Probabilmente all’origine di quel termine ci furono alcune dichiarazioni nelle memorie del Presidente Hoover, che come noto fu travolto dalla crisi del ’29. Egli scrisse che vari suoi collaboratori, tra i quali il Segretario al Tesoro Mellon, lo consigliavano a fare in modo che “il Governo tenesse le sue mani fuori dalla crisi e lasciasse che essa si ‘liquidasse’ da sola”. Il termine, successivamente, venne riferito alle posizioni più elaborate di vari economisti della scuola ‘austriaca’ (Hayek, Schumpeter ma anche Lionel Robbins).

Ebbene, non abbiamo alcuna banana (21 luglio 2014)

luglio 21, 2014

 

Jul 21 7:54 am

Yes, We Have No Banana

Noah Smith has a funny piece on the hermetic system that is Austrian economics, with its multilayered defenses against any kind of criticism. What gets me in particular, because I’ve noticed it a lot lately, is this:

3. “Inflation” doesn’t mean “a rise in the general level of consumer prices,” it means “an increase in the monetary base”, so QE is inflation by definition.

So when Austrians were predicting runaway inflation, they didn’t actually mean consumer prices?

OK, you know that if the CPI had soared, they would have claimed vindication. But the main point is that nobody else cares about the monetary base, or at any rate they care about it only to the extent that it was presumed to say something about future rises in the CPI. Insisting that the term “inflation” means something else in your private language is just pathetic.

But maybe it would have helped, five or six years ago, to have pinned Austrian down on what they thought would happen to something else; following Alfred Kahn, they could have called a general rise in the CPI a banana. Were they predicting a banana? Of course they were. And they were wrong.

 

Ebbene, non abbiamo alcuna banana

Noah Smith ha un articolo divertente sul sistema ermetico che è l’economia austriaca, con le sue difese multistrato contro ogni genere di critica. Quello che in particolare mi convince, perché l’avevo notato molto tempo fa, è questo:

 

3. “Inflazione” non significa “una crescita nel livello generale dei prezzi al consumo”, significa “un incremento nella base monetaria”; cosicché la ‘facilitazione quantitativa’ è inflazione per definizione.

 

Dunque, quando gli ‘austriaci’ prevedevano una inflazione fuori controllo, in verità non intendevano i prezzi al consumo?

E’ vero, si sa che se l’indice dei prezzi al consumo fosse schizzato in alto, essi avrebbero sostenuto di aver avuto una convalida. Ma il punto principale è che nessun altro si cura della base monetaria, o in ogni caso loro se ne occupano solo nella misura i cui era previsto di dire qualcosa sui futuri incrementi dell’indice dei prezzi. Insistere che il termine “inflazione” significhi altro nel vostro linguaggio privato è solo patetico.

Ma forse sarebbe stato utile, cinque o sei anni fa, aver messo alle corde gli ‘austriaci’ su cosa pensavano sarebbe accaduto a qualcos’altro; sull’esempio di Alfred Kahn[1], essi avrebbero potuto chiamare una crescita dell’indice generale dei prezzi una ‘banana’. Avevano previsto una banana? Certo che l’avevano prevista. Ed avevano avuto torto.

 

 

[1] Alfred Kahn fu un architetto statunitense. Nella sua esistenza si occupò, nel senso che ne fu artefice importante, del processo di deregolamentazione del sistema dei trasporti americano, piuttosto invisa sia dai dirigenti delle imprese che dai sindacati. La deregolamentazione comportò forte competizione, miglioramenti cospicui nei prezzi (l’ascesa dei primi gruppi ‘lowcost’), ma anche varie crisi e fallimenti. Probabilmente sulla base della contrastata fama conseguita, ebbe successivamente, dal Presidente Carter, l’incarico di occuparsi del serio problema dell’inflazione – nel 1978 era balzata in alto dell’8 per cento – andando a ricoprire il difficile compito di Presidente del Consiglio per la Stabilità dei Salari e dei Prezzi. In pratica, fu probabilmente un tecnico ingegnoso e audace, al quale si chiedeva di far miracoli anche sulla spinosa questione del controllo dei prezzi. Da quello che comprendo si rese conto che si trattava di una missione improba, e il suo carattere non doveva essere incline alla moderazione (un suo amico disse che quella nomina era un po’ come “utilizzare un piromane nel lavoro di pompiere”). Alle prese con lo scivoloso linguaggio dell’economia (doveva chiamare quello che stava accadendo eufemisticamente una “recessione”, oppure come “una depressione molto seria”?), un giorno annunciò che, a scanso di ulteriori equivoci, l’avrebbe definita “una banana”. Il che gli provocò un pesante rimbrotto da parte del Presidente della United Fruit Company.

Ma così nacque la faccenda della banana, che ora Krugman resuscita contro gli economisti della cosiddetta scuola ‘austriaca’. Kahn, nella foto qua sotto, morì nel 2010, all’età di 93 anni.

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Tremendo, tremendo (20 luglio 2014)

luglio 20, 2014

 

Jul 20 8:06 pm

The Horror, The Horror

I happened to click on this John Mauldin post, in which he informs us that GDP is a Keynesian plot, and that without it Hayek would of course have won the macroeconomic debate. Oh, kay — but that’s not the horror. It’s this:

We have now made the Newt Gingrich and Niall Ferguson Strategic Investment Conference videos available. … This week, we are happy to provide even more material from this incredibly informative event. Newt Gingrich and Niall Ferguson were the two highest rated presenters at a conference packed with some of the finest economic and investment minds in the world.

Oh, boy.

 

Tremendo, tremendo

Mi è successo di cliccare su questo post di John Mauldin, nel quale egli ci informa che il PIL è un complotto keynesiano, e che senza di esso Hayek avrebbe ovviamente prevalso nel dibattito macroeconomico. E va bene così – ma non è questa la cosa tremenda. Si tratta di questo:

“Abbiamo ora disponibili i video della Conferenza sugli investimenti strategici di Newt Gingrich e Niall Ferguson …. Questa settimana, saremo lieti di fornire maggiore materiale da questo incredibile evento informativo. Newt Gingrich e Niall Ferguson sono stati i due maggiormente accreditati presentatori ad una conferenza gremita dei migliori cervelli dell’economia e degli investimenti nel mondo.” [1]

Oh, ragazzi.

 

 

[1] Newt Gingrich è un leader repubblicano dei decenni passati, che ebbe una certa fama per un primo esperimento di ostruzionismo che mise in atto contro Clinton. Niall Ferguson è uno storico, che ha scritto sui temi più svariati, che dopo la crisi del 2008 è stato oggetto di aspre critiche da parte di Krugman per le sue posizioni in materia di spesa pubblica e di politica monetaria, piuttosto rozzamente antikeynesiane, nonché per altri infortuni minori. Si può dire che Ferguson aveva ‘tendenzialmente’ una fama che è risultata piuttosto appannata da tali recenti prestazioni. La presenza ad un evento del genere dovrebbe essere indicativa di un suo spostamento definitivo su posizioni di destra.

Sempre inflazione, da qualche parte (19 luglio 2014)

luglio 19, 2014

 

Jul 19 5:07 pm

Always Inflation Somewhere

Whenever you point out that the hyperinflation the usual suspects have been predicting for the past 6 years hasn’t materialized, you get a rash of comments declaring that yes it has, the government is just lying about the statistics. One answer — aside from come on, how do you think that works? — is that independent measures, like the Billion Price Index, aren’t very different from the official index. Still, people will point to the price of something that has gone up as evidence that we have lots of inflation.

Not that I think such people can be budged, but it is important to realize that relative prices are always shifting around, and that some prices inevitably go up more than the average. As the figure shows, if you go back to the beginning of the Great Recession, food prices have risen more than the overall CPI (although hyperinflation it isn’t), but car prices have risen more slowly (and high-tech stuff has, of course, gotten much cheaper).

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And what about Shadowstats, which claims that inflation is much higher than the government lets on? A subscription costs $175 — the same as 8 years ago.

 

Sempre inflazione, da qualche parte

Ogni volta che mostrate che l’iperinflazione che i soliti noti avevano prevista per sei anni non si è materializzata, ottenete una serie di commenti che affermano che invece c’è stata, solo che il Governo ha mentito sulle statistiche. Una risposta – a parte quella: “andiamo, come pensi che possa succedere?” – è che le misurazioni indipendenti, come Billion Price Index, non sono molto diverse dall’indice ufficiale. Eppure, le persone indicheranno il prezzo di qualcosa che è aumentato come la prova che abbiamo avuto un mucchio di inflazione.

Non che io pensi che quelle persone possano cambiare opinione, ma è importante comprendere che i prezzi relativi si spostano in continuazione, e che qualche prezzo inevitabilmente sale sopra la media. Come mostra il diagramma, se si torna agli inizi della Grande Recessione, i prezzi dei generi alimentari sono saliti più dell’indice dei prezzi al consumo (sebbene non si tratti di iperinflazione), ma i prezzi delle automobili sono saliti più lentamente (ed i prodotti tecnologici, ovviamente, siano diventati molto più economici).

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E cosa dire di Shadowstats [1], che sostiene che l’inflazione è molto più elevata di quello che il Governo riconosce? Una sottoscrizione costa 175 dollari, lo stesso di 8 anni fa.

 

 

[1] “Shadow Government Statistics” è una associazione, con il relativo blog, che si propone di “analizzare dietro ed oltre i resoconti governativi”. Nella copertina dell’ultimo numero essa presenta una Tabella nella quale si confronta l’inflazione odierna ufficiale, con quella che risulterebbe se si adottassero i metodi statistici del 1990 (da quello che si comprende quelli attuali misurano i cambiamenti anno dopo anno, quelli precedenti mese dopo mese). Questa è la tabella delle differenze:

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James Tobin e l’offerta aggregata (implicitamente per esperti) (18 luglio 2014)

luglio 18, 2014

 

Jul 18 12:42 pm

James Tobin and Aggregate Supply (Implicitly Wonkish)

Thomas Palley argues that mainstream macroeconomists have been looking in all the wrong places for an explanation of the stickiness of inflation in the face of high unemployment; what they should do is consider the old Tobin approach that combines multiple sectors (so that some workers have rising wages even in an economy that’s depressed on average) with downward nominal wage rigidity.

OK, I guess I’m a bit puzzled. I very much agree with Palley that Tobin’s approach does a lot to help explain what we’re seeing; but I don’t know why he thinks this is such a radical notion. I’ve been telling more or less the same story for a while, explicitly name-checking Tobin; and the formal modeling of Daly and Hobijn (pdf), which I’ve cited several times, declared in its first paragraph that it’s building on Tobin’s insights.

There are slight echoes here of an earlier exchange in which Palley made other declarations about insights that New Keynesians have supposedly abandoned, which was odd because those very insights feature in a number of models. But no matter: I do believe that Palley is on the right track here, because it’s pretty much the same track a number of us have been following for the past few years.

 

James Tobin e l’offerta aggregata (implicitamente per esperti)

Thomas Palley [1] sostiene che i macroeconomisti della tendenza prevalente hanno guardato in tutti i posti sbagliati per spiegare la vischiosità dell’inflazione a fronte della elevata disoccupazione: quello che dovrebbero fare è considerare il vecchio approccio di Tobin che mette assieme vari aspetti (come quello per cui alcuni lavoratori hanno accresciuto i salari pur a fronte di un’economia che in media è depressa) con una rigidità dei salari nominali verso il basso.

Devo dire che sono un po’ perplesso. Sono molto d’accordo con Palley che l’approccio di Tobin è di grande aiuto per spiegare quello a cui stiamo assistendo; ma non so perché pensi che sia un tale concetto radicale. Da tempo racconto più o meno la stessa storia, riferendomi esplicitamente al nome di Tobin; e l’illustrazione del modello formale di Daly e Hobjin, che ho varie volte citata, dichiarava al suo primo paragrafo di essere costruita sulle intuizioni di Tobin.

C’è in questo caso una leggera similitudine con un precedente scambio, nel quale Palley faceva altre dichiarazioni sulle intuizioni che egli supponeva i neo keynesiani avessero abbandonato, la qualcosa era curiosa perché proprio quelle intuizioni comparivano in un certo numero di modelli. Ma non è importante: credo per davvero che in questo caso Palley sia sulla strada giusta, giacché assomiglia abbastanza all’indirizzo che alcuni tra di noi stanno seguendo in questi ultimi anni.

 

 

[1] Thomas Palley è un economista americano. Scrive su riviste e giornali come: The Atlantic Monthly, Nation, American Prospect. I suoi temi principali sono le riforme necessarie per promuovere una società democratica ed aperta. In passato è stato consigliere del sindacato AFL-CIO.

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Per comprendere la stravagante epidemia (17 luglio 2014)

luglio 17, 2014

 

Jul 17 10:25 am

Understanding the Crank Epidemic

James Pethokoukis and Ramesh Ponnuru are frustrated. They’ve been trying to convert Republicans to market monetarism, but the right’s favorite intellectuals keep turning to cranks peddling conspiracy theories about inflation. Three years ago it was Niall Ferguson, citing a bogus source. Ferguson was widely ridiculed, by moderate conservatives as well as liberals — but here comes Amity Shlaes, making the same argument and citing the same source. The “reform conservatives” have made no headway at all.

Why this lack of progress?

The answer is that inflation paranoia isn’t a simple misunderstanding that can be corrected by pointing to evidence. It’s deeply embedded in the modern conservative psyche. Government action must, by definition, have disastrous results; and whatever market monetarists may try to say, their political comrades will continue to lump monetary policy in with fiscal stimulus and Obamacare. And fiat money can’t work — Francisco D’Anconia said so, and it must be true. So it’s always the 70s, if not Weimar, and if the numbers say otherwise, they must be cooked. Evidence has a well-known liberal bias.

Even the rare conservative willing to admit that we don’t yet have high inflation won’t admit that this suggests something wrong with models that predicted a huge inflation surge. No, it’s just a miracle.

So market monetarism isn’t going anywhere, politically. It was conspicuously absent in the Eric Cantor-sponsored book of supposed new ideas — and Cantor himself was knocked out of Congress by a faith-based Randite (which doesn’t make sense, but sense also has a well-known liberal bias.)

Sorry, guys, but you have no home.

 

Per comprendere la stravagante epidemia

James Pethokoukis e Ramesh Ponnuru sono frustrati. Stanno cercando di convertire i repubblicani al monetarismo di mercato, ma gli intellettuali preferiti della destra continuano a rivolgersi a individui stravaganti che mettono in circolazione teorie della cospirazione sull’inflazione. Tre anni fa fu il caso di Niall Ferguson, con la citazione di una falsa fonte. Ferguson fu oggetto di una generale ironia, da parte di conservatori moderati come di progressisti – ma ora arriva Amity Shlaes, che avanza la stessa tesi e cita la stessa fonte. I “conservatori riformisti” non hanno fatto alcun progresso.

Perché questa difficoltà a progredire?

La risposta è che la paranoia dell’inflazione non è una semplice incomprensione che possa essere corretta riferendosi ai fatti. Essa è profondamente radicata nella psiche del conservatore moderno. L’azione del Governo deve avere, per definizione, risultati disastrosi; qualsiasi cosa i monetaristi di mercato cerchino di dire, i loro colleghi in politica continueranno a mettere sullo stesso piano la politica monetaria con lo stimolo della spesa pubblica e con la riforma sanitaria di Obama. E stampare moneta non può funzionare, lo disse Francisco D’Anconia [1] e deve essere vero. Siamo dunque in ogni caso agli anni ’70, se non a Weimar, e se i dati dicono altro, devono essere stati truccati. Le prove hanno una ben nota inclinazione progressista.

Persino i pochissimi conservatori disposti ad ammettere che non abbiamo avuto una alta inflazione, non riconosceranno che questo suggerisca qualcosa di sbagliato nei modelli che prevedevano una ampia risalita dell’inflazione.

Dunque, in termini politici, il monetarismo di mercato non sta andando da nessuna parte. Esso è rimasto significativamente assente nel libro sulle presunte nuove idee sponsorizzato da Eric Cantor [2] – e Cantor medesimo è stato liquidato dal Congresso dai fideisti seguaci della Rand (che è una cosa insensata, ma anche la sensatezza ha una ben nota inclinazione progressista).

Spiacente, signori, ma siete senza casa.

 

 

 

[1] E’ uno dei personaggi del romanzo di Ayn And “Athlas shrugged” (“Atlante non se ne curò”). Come più volte si è visto, la strana figura della scrittrice russo-americana e quel suo racconto sono numi tutelari delle destra americana.

[2] Eric Ivan Cantor è un politico statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Virginia:

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Devi aver fede (16 luglio 2014)

luglio 16, 2014

 

Jul 16 10:41 am

Ya Gotta Have Faith

Jared Bernstein sends me to Congressional testimony on the state of the economy – his and Larry Kudlow’s (pdf). Jared’s remarks are, of course, sensible. Kudlow’s are … well, kind of amazing.

Kudlow’s side of the aisle has, of course, been predicting runaway inflation and a debased dollar for around five and a half years. Kudlow, to his credit, has actually admitted that his prediction didn’t pan out, which is rare. But what has he learned from the experience?

The zero Federal Reserve target rate, at five-years-plus after the financial meltdown, is too low and is contributing to a distortion of risk assessment in the financial markets. Moreover, the Fed has relapsed into the nonexistent Phillips-curve tradeoff between inflation and unemployment. Ms. Yellen’s dashboard of labor-market indicators makes your head spin. That’s no way to conduct policy. More people working does not cause inflation. Excess money and a devalued dollar do.

Miraculously, both actual and expected inflation indicators have stayed low.

Hey, nothing wrong with my model – it’s just that miracles happen.

 

Devi aver fede

Jared Bernstein [1] mi rinvia alla audizione Congressuale sullo stato dell’economia – la sua e quella di Larry Kudlow [2] (disponibili in pdf). Le osservazioni di Jared, ovviamente, sono sensate. Quelle di Kudlow sono …. ebbene, piuttosto sorprendenti.

Lo schieramento di Kudlow ha, come si sa, per cinque anni e mezzo previsto una inflazione fuori controllo ed un dollaro svalutato. A suo merito, Kudlow in effetti ha ammesso che la sua previsione non ha avuto successo, che è una cosa rara. Ma cosa ha appreso dall’esperienza?

“Il tasso di riferimento zero della Federal Reserve, dopo cinque anni e più dal cataclisma finanziario, è troppo basso e sta contribuendo ad una distorsione della valutazione del rischio nei mercati finanziari. Inoltre, la Fed è ricaduta nell’inesistente tesi della compensazione della curva di Phillips tra inflazione e disoccupazione. Il quadro degli indicatori della signora Yellen sul mercato del lavoro confonde le idee. Non c’è modo di sviluppare una politica. Più persone che lavorano non provocano inflazione. Troppa moneta ed un dollaro che si svaluta la provocano.

Miracolosamente, sia gli indicatori sulla inflazione attuale che su quella attesa sono rimasti bassi.”

Capite? Non c’è niente di sbagliato nel mio modello – solo che i miracoli certe volte accadono.

 

 

[1] E’ un intellettuale americano, componente del Center on Budget and Policy Priorities e già consigliere economico del Vice Presidente Joseph Biden.

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[2] Economista americano, personalità televisiva e pubblicista.

L’età dell’infallibilità (15 luglio 2014)

luglio 15, 2014

 

Jul 15 5:20 pm

This Age of Infallibility

The estimable Sarah Kliff tabulates all the predictions of Obamacare disaster that didn’t come true; she puts it at seven major themes, ranging from “the website will never work” to “nobody will sign up”. We can presume, then, that people like John Boehner — who declared that it would never work and that more people would lose insurance than gain it — are spending some time now trying to understand how they could have been so wrong.

April fools! (Yes, I know it’s July.)

I guess there’s always been a human tendency to claim that you were right even when you have been totally wrong. George Orwell put it clearly in “In Front of Your Nose“:

The point is that we are all capable of believing things which we know to be untrue, and then, when we are finally proved wrong, impudently twisting the facts so as to show that we were right. Intellectually, it is possible to carry on this process for an indefinite time: the only check on it is that sooner or later a false belief bumps up against solid reality, usually on a battlefield.

Actually, if you look at the complete unrepentance of the Cheneys et al, even bumping up against reality on a battlefield seems not to be enough these days. And it does seem to me that denial runs even deeper than it used to; consider the impossible-to-be-more-wrong Rick Santelli angrily declaring that he was right.

It’s probably about partisanship, which means both living in an information bubble and being so deeply committed to a worldview that you literally can’t consider facts that don’t fit.

But it’s quite something to behold.

 

L’età dell’infallibilità

La preziosa Sarah Kliff dispone secondo uno schema tutte le previsioni di disastro della riforma della assistenza di Obama che non si sono avverate: le colloca secondo sette titoli maggiori, partendo dal “sito governativo che non funzionerà mai” sino al “nessuno si iscriverà”. Possiamo allora supporre che persone come John Boehner – che aveva dichiarato che essa non avrebbe mai funzionato e che gran parte delle persone avrebbero perso l’assicurazione invece di acquisirla – stiano ora passando un po’ di tempo nel cercare di capire come hanno potuto sbagliare tanto.

Pesce d’aprile! (sì, lo so, è luglio).

Immagino che ci sia sempre una tendenza umana a sostenere che si è avuto ragione anche quando si è avuto torto marcio. George Orwell l’aveva affermato chiaramente in “Di fronte al vostro naso”:

“Il punto è che tutti siamo capaci di credere a cose che sappiamo non essere vere, e poi, quando alla fine si dimostra che avevamo sbagliato, impudentemente a travisare i fatti in modo da far apparire che avevamo ragione. Dal punto di vista intellettuale, è possibile proseguire con questo meccanismo per un tempo indefinito: l’unica verifica è che presto o tardi una falsa convinzione va a sbattere contro la solida realtà, di solito un campo di battaglia”.

Effettivamente, se guardate alla totale impenitenza di Cheney e compagnia, di questi tempi persino andare a sbattere con la realtà in un campo di battaglia sembra non essere sufficiente. E mi pare davvero che il negare oggi vada più in profondo di un tempo: si consideri uno che non poteva sbagliare maggiormente come Rick Santelli, che dichiara furibondo di aver avuto ragione.

Dipende probabilmente dalla faziosità, il che significa sia vivere in una ‘bolla’ dell’informazione, sia essere profondamente coinvolti in una visione del mondo, al punto da non potere considerare i fatti che non vi si adattano.

Ma è qualcosa da osservare con attenzione.

Vita senza automobile (15 luglio 2014)

luglio 15, 2014

 

Jul 15 5:05 pm

Life Without Cars

I’ve been following some of the discussion about Uber, Lyft, and all that, and I have a few unoriginal thoughts. Well, strictly speaking they are original, in the sense that I haven’t read them anywhere else — but surely they’re out there. So this post is partly a bleg for references.

Anyway: the big benefit from new IT-mediated car services will come if they make it possible for lots of people — and not just people in Manhattan — to live without owning their own cars. And if you think about it, you can see how that might work.

Right now, if you live in places without exceptionally good public transportation, it’s very difficult to manage without a car. Yet when you think about it, for most people owning a car is quite wasteful. It’s an expensive item of equipment that sits idle most of the time; it requires parking (and often a parking structure) both at origin and at destination; it requires maintenance and is a big hassle all around.

So reliable, quick-response chauffeur services could free many people from the need to tie up all those resources in a consumer durable that they only use now and then. And from a social point of view it would avoid the need to tie up so much capital that sits unused most of the time.

There is, however, an obvious problem: rush hour. Peak car use comes twice a day, and that would seem to dictate that we have nearly as many cars as we do now even if they’re supplied by the likes of Uber.

But here’s where surge pricing comes in. If traveling during peak hours is more expensive than off-peak, people will have an incentive to shave off those peaks. People who aren’t commuting to work will avoid travel at peak hours; some people will find other ways to travel; some people (and businesses) will rearrange their schedules to take advantage of cheaper off-peak travel. So you can imagine a society that still relies mainly on cars to get around, but manages to do this with significantly fewer cars than we need at present.

Cars aren’t the only consumer durable where something like this might work, of course. People in New York don’t need refrigerators (and in particular freezers) that are as big as those in the suburbs, because it’s so easy to pop around the corner for groceries; online ordering and delivery could produce a similar effect outside the city. But cars are surely the big prize.

Again, I’m sure this has been worked out by someone somewhere. But I’m having fun thinking about it.

 

Vita senza automobile

Sto un po’ seguendo il dibattito su Uber [1], Lyft e tutto il resto, ed ho qualche pensiero non particolarmente originale. Ovvero, strettamente parlando sono originali, nel senso che non li ho letti da altre parti – ma sicuramente sono in circolazione. Questo post, dunque, in parte è come una richiesta di riferimenti.

In ogni modo: il grande beneficio dei servizi automobilistici con il supporto delle tecnologie della comunicazione verrà dal fatto che essi rendono possibile per una quantità di persone – e non solo per quelle di Manhattan – di vivere senza possedere una propria autovettura. E, se ci pensate, potete immaginare come può funzionare.

In questo momento, se vivete in posti senza mezzi di trasporto pubblici particolarmente buoni, è molto difficile farcela senza una automobile. Tuttavia, quando ci riflettete, per gran parte delle persone possedere una macchina è un discreto spreco. E’ un genere di attrezzatura costosa che resta inutilizzata per gran parte del tempo; richiede luoghi per parcheggiare (e spesso strutture di parcheggio) sia alla partenza che all’arrivo; richiede manutenzione ed è una scocciatura in tutti i sensi.

Così, servizi automobilistici affidabili e di pronto impiego potrebbero liberare molte persone dalla necessità di destinare tutte quelle risorse in un bene di consumo durevole che viene utilizzato solo ogni tanto. E da un punto di vista sociale, ciò eviterebbe la necessità di impegnare tanto capitale che resta inutilizzato per gran parte del tempo.

C’è, tuttavia, un problema evidente: l’ora di punta. Di solito il culmine nell’uso dell’automobile viene due volte al giorno, ed è quello che sembra costringere ad avere circa le stesse autovetture che abbiamo oggi, anche se siamo assistiti dagli operatori di Uber.

Ma è qua che interviene l’aspetto del rialzo dei prezzi. Se viaggiare durante le ore di punta è più costoso che in quelle scariche, le persone avranno un incentivo a tagliare quei picchi. Le persone che non sono pendolari eviteranno di viaggiare alle ore di punta; alcune persone scopriranno altre forme di mobilità; alcune persone (e imprese) riorganizzeranno i loro orari per avvantaggiarsi della mobilità più economica nelle ore di calma. Dunque, si può immaginare una società che ancora si basa principalmente sulla automobili per circolare, ma che gestisce le cose con un numero significativamente minore di autovetture di quelle che ci necessitano al momento.

Naturalmente, le automobili non sono l’unico bene di consumo durevole per il quale potrebbe funzionare qualcosa di simile. La gente di New York non ha bisogno di frigoriferi (e in particolare di congelatori) che sono grandi come quelli delle periferie, dato che è talmente facile girare l’angolo per un negozio di alimentari; le ordinazioni via internet e le consegne dei cibi potrebbero produrre un effetto simile fuori dalle città. Ma le automobili sarebbero certamente il grande vantaggio.

Ancora, sono certo che in giro qualcuno ha riflettuto su questi temi. Ma mi sto divertendo a pensarci su.

 

 

 

[1] E’ una impresa nel settore dei trasporti, con filiali in molte città del mondo, che ha sede a San Francisco, in California. La flotta di automobili di Uber è disponibile al servizio al consumatore attraverso il semplice invio di un messaggio sul telefonino, mi pare non molto diversamente dai taxi. L’articolo di Neil Irwin sul New York Times nella connessione, riferisce che imprese del genere di Uber attualmente riescono a produrre prezzi inferiori di circa il 20/25 per cento. Il giornalista racconta una sua esperienza, nella quale la scelta di una ‘corsa’ Uber – che sarebbe stata più comoda e rapida dell’utilizzo di un mezzo pubblico, sarebbe costata 5,74 dollari, contro gli 8/9 dollari di un taxi. Dall’articolo, pare di capire che non ci sia una differenza sostanziale nella ‘chiamata’ del mezzo di trasporto, ma una diversa e più flessibile organizzazione che consente prezzi più convenienti. Va però aggiunto che – se ho ben capito – la chiamata si può basare su una forma di ‘fidelizzazione’ alla rete per il tramite dei mobile app, il che probabilmente comporta qualche differenza nella rapidità del servizio.

Lyft è una altra impresa del genere.

Sulla neo-paleo keynesiana curva di Phillips (15 luglio 2014)

luglio 15, 2014

 

Jul 15 10:42 am

On the Neo-paleo-Keynesian Phillips Curve (Wonkish)

In a previous post I mentioned, sort of in passing, that recent data actually look like an old-fashioned pre-accelerationist Phillips curve — that is, unemployment determines the inflation rate, not the rate of change of the inflation rate.

Where did this assertion come from? There seems to be one of these funny situations right now where people who don’t work on such issues consider this a wild and crazy, or maybe just silly assertion, while those actually doing serious empirical work treat it as a matter of course.

Here’s what you see if you look at US data:

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But is that just me? No. Consider two recent studies on unemployment and inflation.

First, there’s Michael Kiley (pdf), who had the very good idea of adding power by estimating the relationship across a number of metropolitan areas.You need to read it carefully, but it turns out that his Phillips curve is non-accelerationist for the past 15 years:

We estimate equation 2 over two sample periods (as in our national estimates), 1985-2013 and 1998-2013. For the 1985-2013 sample, we proxy expected inflation with a region-specific intercept and the national measure of long-run expected inflation from the Survey of Professional forecasters used in our national regression; for the 1998-2013 sample, region fixed effects are used to proxy for expected inflation (because, as in the national regressions presented earlier, the survey measure of expected inflation is es- sentially constant over the 1998-2013 period).

Then there’s the new post by Klitgaard and Peck at Liberty Street, which essentially does a similar exercise for eurozone countries. Their results look like this:

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That’s a relationship between the change in unemployment and the change in inflation, equivalent to a relationship between the level of unemployment and the level of inflation — i.e., an old-fashioned Phillips curve.

I’m not saying that this is a fundamental truth. All I’m saying is that people trying to fit recent data keep finding something that looks like the old-fashioned relationship. You can offer various explanations — downward wage rigidity, anchored expectations, or maybe it just isn’t worth adjusting price-setting to match fairly small variations in expected inflation. But anyway, that’s what the data look like.

 

Sulla neo-paleo keynesiana curva di Phillips (per esperti)

In un precedente post mi sono riferito, quasi di passaggio, ai dati recenti che assomigliano ad una tradizionale curva di Phillips, quale essa era prima della scoperta dei fattori di accelerazione [1] – vale a dire, la disoccupazione determina il tasso di inflazione, e non la percentuale di cambiamento del tasso di inflazione.

Da dove deriva questa affermazione? Sembra in questo caso di essere in una di quelle curiose situazioni nelle quali le persone che non lavorano su tali temi considerano affermazioni di questo genere allucinanti e pazzesche, o magari solo sciocche, mentre quelli che effettivamente stanno facendo un serio lavoro empirico le trattano alla stregua di conseguenze naturali.

Ecco quello che si osserva se si guardano i dati degli Stati Uniti [2]:

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Ma, si tratta solo di un mio giudizio? No. Si considerino due studi recenti sulla disoccupazione e sull’inflazione.

Quanto al primo, c’è Michael Kiley (disponibile in pdf) che ha avuto la buona idea di aumentare la visibilità stimando la relazione tra un certo numero di aree metropolitane. Si deve leggerlo con attenzione, ma si scopre che la curva di Phillips non ha avuto fenomeni di accelerazione nel corso degli ultimi 15 anni:

“Stimiamo l’equazione 2 su due periodi campione (come nelle nostre stime nazionali), quello 1985-2013 e quello 1998-2013. Per il campione 1985-2013 intermediamo la inflazione attesa sulla base informazioni colte su aree specifiche e la misurazione nazionale della inflazione attesa di lungo periodo sulla base del Sondaggio dei Previsori Professionali utilizzato nella nostra regressione nazionale; per il campione 1998-2013, gli effetti corretti al livello della regione sono utilizzati per intermediare il dato della inflazione attesa (giacché, come nelle regressioni nazionali presentate in precedenza, la misurazione del sondaggio sulla inflazione attesa è sostanzialmente costante nel periodo 1998-2013) [3]”.

C’è poi il nuovo post di Klitgaard e Peck sul blog Liberty Street [4], il quale sostanzialmente fa lo stesso esercizio per i paesi dell’eurozona. I loro risultati sono i seguenti:

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Questa è la relazione tra i mutamenti nella disoccupazione e quelli nell’inflazione, equivalente alla relazione tra il livello della disoccupazione ed il livello dell’inflazione – vale a dire, una curva di Phillips di tipo tradizionale.

Non sto dicendo che questa sia una verità fondamentale. Tutto quello che sto dicendo è che le persone che cercano di adattare i dati recenti finiscono per trovare qualcosa che assomiglia ad una relazione simile a quello che si riteneva corretta nel passato. Si possono offrire varie spiegazioni – la rigidità verso il basso dei salari, le aspettative bloccate, o forse semplicemente non è il caso di correggere la definizione dei prezzi per metterli in equilibrio con variazioni abbastanza modeste nella inflazione attesa. Ma, in ogni modo, è a questo che i dati recenti assomigliano.

 

 

[1] A proposito della “curva di Phillips” si può leggere una ampia nota andando sulle “Note della traduzione”.

In sintesi Phillips fornì il suo contributo nel 1958 e il tema era relativo al rapporto tra inflazione e disoccupazione, che pareva allora fosse stabile. Ad un dato livello di disoccupazione corrispondeva un dato livello di inflazione, cosicché, come scrisse l’economista Robert Solow: “La società può permettersi un saggio di inflazione meno elevato o addirittura nullo, purché sia disposta a pagarne il prezzo in termini di disoccupazione”. In realtà, in precedenza anche l’economista americano Irving Fisher si era occupato dello stesso tema, come successivamente Paul Samuelson.

Il fenomeno della stagflazione del 1970 mostrò tuttavia che erano contemporaneamente possibili sia elevati livelli di disoccupazione che di inflazione. Le nuove teorie che cercarono di spiegare il fenomeno si basavano sulla indagine del ruolo delle “aspettative razionali”, distinguendo tra il significato nel breve periodo della curva di Phillips e quello nel lungo periodo. Queste teorie ritengono che nel lungo periodo solo un tasso di disoccupazione stabile è collegato ad un tasso di inflazione stabile. Qualora non si abbia un tasso naturale di disoccupazione (anche definito NAIRU, acronimo inglese che sta per “tasso di disoccupazione che non provoca una accelerazione dell’inflazione”), se la disoccupazione si colloca al di sotto di quel livello, l’inflazione subisce una accelerazione; se si colloca al di sopra, subisce una decelerazione. E’ chiaro che queste differenze di comportamento derivano dal ruolo delle “aspettative”, che amplificano nel lungo periodo gli effetti della situazione reale.

In questo senso, dunque, Krugman parla in questo post – come in quello del giorno 14 – di una curva “tradizionale” (old-fashioned) di Phillips, e di una curva “accelerazionista”.

[2] Come si può vedere, tutti i dati del periodo 1988-2008 si concentravano in un range di incrementi salariali (assunti come indicativi dell’inflazione) tra il 3 ed il 4 per cento, mentre il tasso di disoccupazione si collocava in questi tutti le rilevazioni tra il 4 ed il 6 per cento. Gli ultimi anni spostano il tasso di disoccupazione tra l’8 ed il 10 per cento, e rallentano gli incrementi salariali ad una fascia tra l’1,5 ed il 2,5.

[3] Traduzione, come forse si nota, laboriosa e non sicura. Utilizzo “proxy” nel suo significato più vicino al termine informatico, che mi pare l’unico che consenta di tradurlo come un verbo, come nel testo.

[4] Liberty Street, a New York, è la strada dove ha sede la Federal Reserve Bank di New York.

L’odio verso l’assistenza sanitaria (14 luglio 2014)

luglio 14, 2014

 

Jul 14 7:42 pm

Health Care Hatred

The good news about Obamacare so far shouldn’t be considered disputable. Enrollments really are above target; multiple independent surveys show a sharp drop in the uninsured population; health care cost growth really has slowed dramatically, whatever the reason; the newly insured are generally satisfied with their coverage. If you want to insist that big problems lie ahead, fine (but please explain), but the facts so far are pretty good.

But what I’m getting — and what you get whenever you suggest that things are going OK — is an outpouring, not so much of disagreement, as of fury. People get red-in-the-face angry, practically to the point of incoherence, over the suggestion that it’s not a disaster.

What’s that about? Partly it may be Obama derangement syndrome. I was struck by mail I received after my last column accusing me of shilling for Obama and refusing to admit what a disaster he’s been — when the column didn’t so much as mention the guy. Obamacare was a label stuck on the Affordable Care Act by its opponents, to tie the president to the disaster to come; now they’re livid that it, and he, are turning out OK.

Partly it may be general hatred for any kind of program that helps the less fortunate, especially if they happen to be, you know, not white. Such programs must be disasters — don’t bother me with evidence.

And partly, I suspect, there’s now an element of shame. If this thing is actually working, everyone who yelled about how it would be a disaster ends up looking fairly stupid.

But, you know, sometimes looks don’t deceive.

 

L’odio verso l’assistenza sanitaria

Le buone notizie sulla riforma della assistenza di Obama, sino a questo punto, non dovrebbero essere considerate discutibili. Le iscrizioni sono sopra l’obbiettivo; molti sondaggi indipendenti mostrano una brusca caduta nella popolazione non assicurata; la crescita dei costi della assistenza sanitaria è davvero rallentata in modo spettacolare, qualsiasi sia la ragione; i nuovi assicurati sono generalmente soddisfatti della loro copertura assicurativa. Se si intende ribadire che i grandi problemi verranno più oltre, va bene (magari spiegatevi), ma i fatti sino a questo punto sono abbastanza positivi.

Ma quello che io ottengo – e che ottenete voi ogni qual volta mostrate che le cose stanno andando bene – è una sorta di sfogo, non tanto per una diversa valutazione, ma proprio per rabbia. La gente diventa rossa in faccia per la rabbia, praticamente sino al punto dell’illogicità, quando si suggerisce che non è stato un disastro.

Da cosa dipende? In parte, può darsi dalla sindrome di disordine mentale derivante da Obama. Sono colpito dalle mail che ho ricevuto dopo il mio ultimo articolo che mi accusano di fare la propaganda per Obama e di rifiutare di ammettere quale disastro sia stato – dato che l’articolo neanche faceva menzione del soggetto. “Obamacare” era un’etichetta affibbiata alla Legge sulla Assistenza Sostenibile dai suoi oppositori, per collegare il Presidente al disastro in arrivo; ora si diventa lividi alla notizia che la legge, e il Presidente, ne emergono positivamente.

In parte potrebbe essere il generale disprezzo verso ogni genere di programma che aiuti i meno fortunati, specialmente coloro che non sono – sapete, per combinazione – bianchi. Programmi del genere non possono che essere disastri – e non infastiditeci con le prove.

Ed in parte, ho il sospetto, ora c’è un senso di vergogna. Se la cosa sta effettivamente funzionando, ognuno che gridava il disastro che sarebbe stato, finisce col sembrare discretamente stupido.

Ma, sapete, qualche volta le apparenze ingannano.

 

Rick Santelli e la truffa dei gruppi identitari (14 luglio 2014)

luglio 14, 2014

 

Jul 14 7:28 pm

Rick Santelli and Affinity Fraud

So, there was a fun moment on CNBC: Rick Santelli went on a rant about inflation and the Fed, and CNBC analyst Steve Liesman went medieval on him:

It’s impossible for you to have been more wrong, Rick. Your call for inflation, the destruction of the dollar, the failure of the US economy to rebound. Rick, it’s impossible for you to have been more wrong. Every single bit of advice you gave would have lost people money, Rick. Lost people money, Rick. Every single bit of advice. There is no piece of advice that you’ve given that’s worked, Rick. There is no piece of advice that you’ve given that’s worked, Rick. Not a single one. Not a single one, Rick. The higher interest rates never came, the inability of the U.S. to sell bonds never happened, the dollar never crashed, Rick. There isn’t a single one that’s worked for you.

You really need to watch this moment:

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But here’s the thing: before Liesman started, Santelli yelled that he had been right all along — and some of the traders started applauding.

Think about that: Liesman is of course right about Santelli’s record, and as I’ve pointed out many times this goes for all the inflationistas. So any trader who believed him would have lost money hand over fist. So why the applause?

Basically, I think, it’s because Santelli is their kind of guy; he hates the poors, he hates people who want to help the poors, he was trashing Janet Yellen for suggesting that she actually cares about the plight of the unemployed. And the traders feel the same way. So they like Santelli even though he’s been wrong about everything.

 

Rick Santelly e la truffa dei gruppi identitari [1]

E così c’è stato un passaggio divertente alla CNBC: Rick Santelli [2] si è messo a sbraitare sull’inflazione e la Fed, e l’analista della CNBC Steve Liesman ha reagito in modo piuttosto primitivo:

“Non potrebbe avere torto maggiore, Rick. Lei parla di inflazione, di distruzione del dollaro, della incapacità dell’economia statunitense a riprendersi. Rick, lei non potrebbe dire cose più sbagliate. Ogni singolo pezzo dei consigli che lei ha fornito, Rick, avrebbe fatto perdere soldi alla gente. Perdere soldi, Rick. Ogni singola briciola di consiglio. Non c’è una briciola di consiglio tra quelle che ha fornito che ha funzionato, Rick. Non una. I tassi di interesse più alti non ci sono mai stati, l’incapacità degli Stati Uniti a vendere obbligazioni sul debito non c’è mai stata, il dollaro non è mai crollato, Rick. Non c’è niente che ha funzionato nel modo in cui lei afferma.”

Davvero è necessario che vediate questo passaggio [3]:

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Ma il punto è questo: prima che Liesman partisse, Santelli aveva gridato che lui aveva sempre avuto ragione – ed alcuni degli operatori di borsa presenti avevano cominciato ad applaudire.

Ci si rifletta: Liesman ha ovviamente ragione sulla prestazione di Santelli, ed io ho sottolineato molte volte come questo valga per tutti gli ‘inflazionisti’. Dunque, ogni operatore che avesse creduto in lui dovrebbe aver perso soldi a piene mani. Perché, dunque, gli applausi?

Fondamentalmente, penso, perché Santelli è il soggetto che va loro a genio: odia i poveri, odia le persone che vogliono aiutare i poveri, critica ferocemente Janet Yellen per aver indicato che essa davvero si preoccupa della condizione difficile dei disoccupati. E gli operatori di borsa hanno gli stessi sentimenti. Dunque a loro piace Santelli, anche se ha avuto torto su tutto.

 

 

[1] Per “affinity fraud” si intende un vero e proprio reato che è normalmente oggetto di procedure giudiziarie, allorquando l’affinità (spesso religiosa, ma anche sociale, culturale etc.) provoca comportamenti ispirati al raggiro ed alla truffa. Normalmente il raggiro è ai danni dei componenti del gruppo, la cui affinità viene utilizzata da qualcuno per trarne indebito vantaggi. In questo post l’affinità viene considerata come un esempio di ‘corresponsabilità’ tra quello che dice Santelli e la claque di operatori di borsa presente che lo sostiene

[2] Rick Santelli è un editore della CNBC ed è stato un ispiratore del Tea Party.

[3] Il passaggio è in connessione video, ma io non riesco a trasmetterla. Santelly è quello di destra.

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