July 13, 2013, 10:18 am
Following up a bit further on my earlier discussion. The French economy gets extraordinarily bad press in this country, and this attitude spills over into some allegedly serious economic analysis too. I don’t have time to dig up examples now, but not that long ago quite a few investment banks etc. were pegging France as the next crisis country, about to go the way of Italy or even Portugal any day now.
And there was actually a spike in French borrowing costs for a while. Here’s the France-Germany long-term interest differential:
You can see the surge from mid-2011 to mid-2012. In retrospect, however, it’s clear that this was a De Grauwian liquidity panic, arising from the fact that France didn’t have its own currency and that it wasn’t clear whether the ECB would act as a lender of last resort. Once the ECB sorta kinda indicated that it would, in fact, do its job, the panic subsided, and France is no longer under severe financial pressure.
True, there’s still a French premium, which may reflect some lingering solvency concerns. In reality, however, France does not have a large structural deficit. And while it has an aging population, the demographic problem is actually much less in France — with its relatively high fertility — than in the rest of Europe, Germany in particular.
But hasn’t the French economy performed poorly in the crisis? Yes, compared with the United States or Germany. But it’s not in the crisis camp, at all. Here’s a comparison:
Most people, I suspect, think of the Netherlands as being like Germany — doing fine thanks to stern fiscal virtue and all that — while those self-indulgent French slide into economic decline. Actually, France and the Netherlands have basically the same performance.
Just to be clear, I’m not saying that all is well with France. France is doing badly; so are we; so is almost everyone. The widespread notion that France is in big trouble is, however, not based on reality. And it’s hard to avoid the suspicion that it’s ultimately political: with their generous welfare state the French are supposed to be collapsing, so people assume that they are.
Ancora sulla non-così-miserabile Francia
Facendo ulteriormente seguito alla mia precedente esposizione. In questo paese, l’economia francese ha una pessima stampa, e questa attitudine trabocca sin dentro qualche seria analisi economica. Non ho tempo adesso di andare a tirar fuori esempi, ma non molto tempo fa numerose banche di investimento etc. venivano etichettando la Francia come il prossimo paese in crisi, vicino ad imboccare da un momento all’altro la strada dell’Italia o persino del Portogallo.
E c’è stato effettivamente un picco nei costi dell’indebitamento francese, per un certo periodo. Ecco qua l’andamento del differenziale degli interessi a lungo termine tra Francia e Germania:
Potete notare la risalita dalla metà del 2011 alla metà del 2012. Retrospettivamente, tuttavia, è chiaro che si è trattato di un panico di liquidità del genere analizzato da De Grauwe, provocato dal fatto che la Francia non aveva la propria moneta e non era chiaro se la BCE avrebbe agito come prestatore di ultima istanza. Una volta che la BCE in qualche modo ha dichiarato che nei fatti avrebbe corrisposto a quel compito, il panico si è placato e la Francia non è più sotto una grave pressione finanziaria.
E’ vero, sussiste una maggiorazione per la Francia, che può essere il riflesso di qualche persistente preoccupazione di solvibilità. In realtà, tuttavia, la Francia non ha un ampio deficit strutturale. E se ha una popolazione che invecchia, il problema demografico è in effetti molto minore in Francia – con la sua relativamente alta fertilità – che nel resto dell’Europa, Germania in particolare.
Ma l’economia francese non si è comportata modestamente nella crisi? Si, a confronto con gli Stati Uniti e la Germania. Ma essa non è affatto nel gruppo della crisi. Ecco un confronto [1]:
Ho il sospetto che gran parte delle persone pensino che l’Olanda sia simile alla Germania – che si comporta bene grazie ad una rigida virtuosità della finanza pubblica e cose del genere – mentre quegli autoindulgenti francesi starebbero scivolando in un declino economico. Effettivamente, Francia ed Olanda hanno fondamentalmente le stesse prestazioni.
Solo per chiarezza: non sto dicendo che tutto vada bene in Francia. La Francia non sta andando bene, come noi, come quasi tutti. Tuttavia, l’idea diffusa che la Francia fosse in un gran guaio non si basava sulla realtà. Ed è difficile evitare il sospetto che questo in ultima analisi dipendesse da un pregiudizio politico: con il loro generoso stato assistenziale si supponeva che la Francia stesse per collassare, per questo la gente lo considera scontato.
[1] Italia in rosso, Francia in blu, Olanda in grigio.
luglio 12, 2013
July 12, 2013, 8:41 am
I was on the Upper West Side yesterday, and you had to walk carefully to avoid the teeming masses of people trying to get you to sign up to get Eliot Spitzer on the ballot for comptroller. And it looks as if the effort succeeded.
So, is this absurd? I don’t think so.
Full disclosure: I happen to know and like Spitzer personally; also, at least some of the talks I’ve given at the 92nd Street Y were sponsored by the Spitzer family. So you can discount what I’m about to say appropriately.
So, first and stupid things first: the prostitute thing is embarrassing and painful to think about, but not a disqualification for public office. David Vitter is still in the Senate, and in internal LA Republican politics is apparently squashing the very pious Bobby Jindal like a bug.
A more important point is that Spitzer was,it turned out, temperamentally unsuited to the job of governor. He’s a bulldog who sinks his teeth into those he sees as wrongdoers and won’t let go. This worked for him as Attorney General, but got him nowhere in running the state.
The point, however, is that the office he’s now seeking is more like the AG position than the governor’s mansion. And it would give him,once again, a chance to tangle with the bad guys of Wall Street from a position of considerable influence.
I know that opinions differ about just how effective Spitzer’s confrontations were. But at least he tried — which is more than you can say about almost anyone else in our political life.Basically, the malefactors of great leverage were bailed out and went right back to being bad guys again, and everyone in public life pretended that nothing had happened.
That, I think, is why there’s a surprising reservoir of support for Spitzer; people remember him as someone who showed at least some of the righteous outrage that has been so wrongly absent from our national discourse.
It’s a useful reminder, and it’s why I regard his entry into the race, win or lose, as a good thing.
Spitzer [1]
Ieri ero nella Upper West Side, e si doveva procedere con una certa attenzione se si voleva evitare le sciamanti masse di individui che cercavano di farti firmare perché Eliot Spitzer possa partecipare alle elezioni per il ruolo di comptroller [2]. E sembra che il suo sforzo abbia successo.
Dunque, è una cosa assurda? Non la penso così.
Per una completa informazione: mi accade di conoscere e di avere personalmente simpatia per Spitzer; inoltre, alcuni dei colloqui che ho tenuto alla “Y della 92esima strada” [3] erano sponsorizzati dalla famiglia Spitzer. Così potete convenientemente fare una tara su quello che sto per dire.
Dunque, in primo luogo e partendo dalle stupidaggini: è penoso ed imbarazzante pensare alla storia della prostituta, ma non è una squalifica dagli uffici pubblici. David Vitter è ancora al Senato, e tra i repubblicani di Los Angeles la politica sta apparentemente schiacciando come un insetto il religiosissimo Bobby Jindal [4].
Un aspetto più importante è che Spitzer era, a quanto si apprende, come temperamento inadatto al ruolo di Governatore. E’ un cane da guardia che affonda i denti in coloro che considera malfattori e non li lascia più andare. Questo gli era utile nella funzione di Procuratore Generale, ma non lo ha portato da nessuna parte nel governo dello Stato.
Il punto, tuttavia, è che l’ufficio al quale si è ora indirizzato è più vicino alla posizione di procuratore generale che non di Governatore. E questo gli darebbe ancora una volta la possibilità di entrare in contrasto con i pessimi individui di Wall Street da una posizione di considerevole influenza.
So che esistono opinioni diverse a proposito di quanto Spitzer sia stato efficace in questi contrasti. Ma almeno ci ha provato – il che è più di quanto si possa dire per chiunque altro nella nostra vita politica. Fondamentalmente, i malfattori dei grandi indebitamenti sono stati messi in salvo e sono tornati ancora una volta al ruolo di cattivi soggetti, e tutti nella vita pubblica hanno preteso che non fosse successo niente.
La qualcosa, io penso, è la ragione per la quale c’è un sorprendente serbatoio di consenso per Spitzer; la gente lo ricorda come qualcuno che almeno ha mostrato un po’ della indignazione morale che è stata colpevolmente assente dal nostro dibattito nazionale.
E’ un ricordo utile, ed è la ragione per la quale io guardo alla sua scesa in campo, che vinca o perda, come una buona cosa.
[1] Eliot Spitzer, ex governatore di New York dimessosi cinque anni fa per uno scandalo legato alla prostituzione, torna nell’arena politica annunciando la sua candidatura a “comptroller” di New York City. Perché la candidatura sia valida, Spitzer deve raccogliere almeno 3.570 firme. Un compito che non sembra affatto difficile dato che l’ex governatore ha promesso di passare al setaccio l’elettorato della città. Figlio di un ricco imprenditore immobiliare, Spitzer ha dichiarato che autofinanzierà la sua campagna, rinunciando ai soldi pubblici. Il New York Times stima che la corsa costerà diversi milioni di dollari.
Quando Spitzer ricoprì la carica di procuratore generale fu definito da molti il cane da guardia di Wall Street (ma come si legge nel post, Krugman è di diverso avviso). Ora promette di trasformare l’ufficio del comptroller, quello che andrebbe a ricoprire nel caso di vittoria, in un’agenzia che non si limiti a tenere sotto controllo le condizioni finanziarie di New York City ma che svolga anche indagini sull’efficacia delle politiche del governo. Un compito che potrebbe mettere il democratico Spitzer in conflitto con il prossimo sindaco della città, chiunque esso sarà. L’attuale primo cittadino Michael Bloomberg termina il suo ultimo mandato in autunno (da America 24)
[2] “Comptroller” è una posizione pubblica, anche, come in questo caso, di carattere pubblico, in sostanza di controllo e supervisione della qualità della gestione finanziaria di una organizzazione. Suppongo come un specie di “collegio di revisori dei conti”, che però sono una persona sola e sono scelti passando da elezioni.
[3] Si tratta di un Centro culturale no-profit che ha sede a New York.
[4] Non si comprende perché Jindal – Governatore della Louisiana ed astro nascente repubblicano – venga citato in questo contesto, ovvero in relazione a comportamenti personali discutibili; forse fatti di cronaca …
luglio 12, 2013
July 12, 2013, 2:37 pm
The debate over monetary policy has grown increasingly surreal as time goes by. Initially, it was about a fairly straightforward and — crucially — falsifiable position: the claim by monetary hawks like Allan Meltzer and Martin Feldstein that quantitative easing would lead to a major acceleration of inflation. If that inflation had happened, I like to imagine that doves like me would have conceded that we got it wrong, and reconsidered our position.
But the inflationary explosion didn’t happen. So, did the hawks reconsider? No, they just came up with new reasons for the same policy position. It’s not about inflation, it’s about financial stability. Yeah, that’s the ticket!
OK, I think this represents bad logic — do we really feel that the real economy must suffer to control the irrational exuberance of Wall Street traders? I also believe that it represents bad behavior; aside from, of all people, Larry Kudlow, have any of the inflationistas admitted that they were wrong in round one?
But it turns out that even this wasn’t the end of the story. I don’t know whether the hawks are feeling that the financial stability story is wearing thin, or that it’s too hard to sell to some of their audiences, or what. But at this point John Taylor, at least — and I believe he’s not alone — has gone full Chewbacca defense.
For those not familiar with the term, it comes — like so many terms useful for contemporary economic discussion — from South Park, where the Johnny Cochrane character defends O.J. Simpson with a string of bizarre non sequiturs centering on everyone’s favorite Wookie.
I mean, if anyone can find a coherent argument in Taylor’s latest, please tell me. My quick summary: Current monetary policy is just like in the 1970s, except for the lack of inflation thing. It’s completely ineffective, which means that we must stop it immediately, or else this ineffectual policy will somehow have vastly negative effects on something or other (not clear what). But the trouble is that people think stopping it would be too costly, whereas in fact it would have no cost, as illustrated by the really bad things that just happened when the Fed indicated that it might indeed stop the policy.
Also, the sluggishness of the recovery somehow proves that money has been too loose.
I have to admit that at this point the arguments against quantitative easing have become unanswerable — because they’ve become incomprehensible, and there’s nothing to answer.
Il dibattito monetario: in scena Chewbacca [1]
Il dibattito sulla politica monetaria diventa sempre più surreale col passare del tempo. Inizialmente, riguardava una posizione abbastanza lineare e – fondamentalmente – suscettibile di verifica: la pretesa da parte dei ‘falchi’ monetaristi Allan Meltzer e Martin Feldstein che la ‘facilitazione quantitativa’ [2] comportasse una importante accelerazione dell’inflazione. Se quella inflazione ci fosse stata, penso che le ‘colombe’ come me avrebbero ammesso di aver avuto torto, e riconsiderato la loro posizione.
Ma l’esplosione inflazionistica non c’è stata. Dunque, lo hanno ammesso i ‘falchi’? No, sono solo venuti fuori con altre ragioni a sostegno della stessa posizione politica. Il punto non è l’inflazione, è la stabilità finanziaria. Si, questa va a pennello!
Diciamolo, penso che questa rappresenti una cattiva logica – dobbiamo proprio sentire che l’economia reale è al punto di soffrire per controllare l’irrazionale esuberanza degli operatori di Wall Street? Penso anche che rappresenti un pessimo comportamento; a parte, tra tutti, Larry Kudlow, qualcuno tra gli inflazionisti ha ammesso di aver avuto torto nel primo round?
Ma viene fuori che c’è anche altro. Io non so se i ‘falchi’ si stanno accorgendo che il racconto della stabilità finanziaria è un po’ frusto, o che è troppo difficile darlo in pasto al loro pubblico, o qualcosa del genere. Ma a questo punto almeno John Taylor – e non credo che sia solo – è passato direttamente alla tecnica difensiva Chewbacca.
Per coloro che non fossero al corrente di questa espressione, essa deriva – come molti termini utili del dibattito economico odierno – da South Park, dove il personaggio di Johnny Cochrane difende O. J. Simpson con una serie di bizzarre incongruità centrate sul personaggio prediletto da tutti Wookie.
Voglio dire, se qualcuno può trovare un argomento coerente in quest’ultimo Taylor, per favore me lo dica. Una mia rapida sintesi: l’attuale politica monetaria è proprio simile a quella degli anni ’70, a parte la faccenda della mancata inflazione. E’ completamente inefficace, il che significa che dobbiamo interromperla immediatamente, altrimenti questa politica inefficace avrà in qualche modo vasti effetti negativi su qualcosa o su qualcos’altro (non è chiaro che cosa). Ma il guaio è che la gente pensa che interromperla sarebbe troppo costoso, mentre di fatto non avrebbe alcun costo, come è illustrato delle cose del tutto negative che sono appena accadute al momento in cui la Fed ha indicato che essa poteva in effetti fermare quella politica [3].
Inoltre, l’indolenza della ripresa in qualche modo conferma che la politica monetaria è stata troppo facile.
Devo ammettere che a questo punto è diventato impossibile replicare agli argomenti contro la ‘Facilitazione quantitativa” – perché sono diventati incomprensibili, e non c’è niente da rispondere.
[1] “Chewbacca” è una espressione desunta dai cartoni di South Park. Sarebbe un sorta di tattica usata in un dibattimento giudiziario in una di quelle storielle. La tattica, a quanto capisco, consisterebbe nel confondere l’intero procedimento facendo un ricorso sistematico alle balle più strampalate, sino al punto di confondere completamente la giuria. Questa è la scenetta in oggetto, nella quale l’avvocato Cochran sostiene, alla fine del dibattimento, che il suo assistito in realtà è residente in un altro pianeta. La pubblica accusa reagisce dicendo “Dannazione …. Sta usando la tecnica difensiva Chewbacca!”.
[2] Per “Quantitative easing” vedi le note sulla traduzione.
[3] Il senso, è chiaro, è paradossale: gli ‘inflazionisti’ sostengono che non ci sarebbero costi, ma il solo parlarne da parte della Fed ha provocato un innalzamento dei tassi a lungo termine, nonché del costo dei mutui, che già danneggia la ripresa dell’edilizia.
luglio 12, 2013
July 12, 2013, 8:19 am
Update: a hint for all those readers demanding data for other countries: those things with blue lines underneath are hyperlinks, and in this case lead you right to the full dataset.
Roger Cohen has a nice piece making, impressionistically, a point I’ve been meaning to make quantitatively: things are not as bad in France as a lot of Anglo-Saxon reporting would have you believe. Yes, the French seem morose; but the French always seem morose. Just because they aren’t have-a-nice-day types doesn’t tell you much about the state of either their society or their economy.
And although you’d never know it from anything you read here, in some ways the French economy is still doing better than ours.
Dean Baker touched on one aspect the other day: youth unemployment. Yes, the unemployment rate among young French people is much higher than the rate here. But as Dean points out, the fraction of young people who are unemployed is about the same here and there. How is that possible? Because many fewer French college students have to seek work, thanks to vastly more generous scholarships.
But there’s an even more striking comparison — one I learned from Dean. Let’s not look at unemployment rates, which can be distorted in the way we’ve just seen. Instead, look at employment rates — the fraction of the population that has a job. And break it down by age (pdf):
Young French are much less likely to be working, as we’ve already mentioned. So are older French, because of policies that made early retirement financially attractive. But in prime working years, surprise! The French employment picture, at least as of late last year, was significantly better than ours.
And bear in mind that this is in a system where there is much less misery if, as it so happens, you don’t have a job.
Put it this way: right now, there is a lot less actual misery in France than there is here. Don’t let those morose faces fool you.
“Les (non tanto) Miserables”
Aggiornamento: un accenno per tutti quei lettori che chiedono dati sugli altri paesi: queste cosine con le righe blu sottostanti sono collegamenti intertestuali, e in questo caso vi portano dritti ai dati completi.
Roger Cohen scrive un bel pezzo, rendendo in modo impressionistico un aspetto che avevo intenzione di esporre in termini quantitativi: le cose non sono così cattive in Francia come una quantità di resoconti anglosassoni vorrebbero farci credere. E’ vero, la Francia sembra cupa; ma i francesi sembrano sempre cupi. Il solo fatto che siano individui con le cose che gli vanno di traverso non vi dice molto delle condizioni della loro società e della loro economia.
E per quanto non l’abbiate mai saputo da quanto leggete qua, in qualche modo l’economia francese sta facendo meglio delle nostre.
Dean Baker è intervenuto su un aspetto l’altro giorno: la disoccupazione giovanile. E’ vero, il tasso di disoccupazione tra i giovani francesi è molto più alto che da noi. Ma come mette in evidenza Dean, la percentuale di giovani che sono disoccupati è grosso modo la stessa, là e qua. Come è possibile? Perché molti meno studenti universitari francesi devono cercar lavoro, grazie alle notevolmente più generose borse di studio.
Ma c’è un confronto persino più impressionante, che ho appreso da Dean. Non guardate ai tassi di disoccupazione, che possono essere distorti per la ragione che ho appena detto. Guardate, invece, ai tassi di occupazione – la parte della popolazione che ha un lavoro. E disaggregatela secondo l’età (disponibile in pdf):
I giovani francesi è molto meno probabile che lavorino, come ho già ricordato. Lo stesso vale per i francesi più anziani, a causa delle politiche che rendono i pensionamenti precoci finanziariamente attraenti. Ma, negli anni della principale età lavorativa [1], sorpresa! Il quadro della occupazione francese, almeno quella dell’ultimo anno, era significativamente migliore del nostro.
E tenete a mente che questo accade in un sistema nel quale c’è molta meno miseria, se vi succede di non avere un posto di lavoro.
Mettiamola così: in questo momento, c’è molta meno effettiva miseria in Francia che qua da noi. Non consentite che quelle facce cupe vi prendano in giro.
[1] Ovvero, nella popolazione tra i 25 ed i 54 anni. Per questo traduco “prime working age” come “principale età lavorativa”; perché quegli non sono gli anni della “prima età lavorativa” (evidentemente, sulla cinquantina, non si è alla “prima esperienza”). Sono gli anni dove si concentra la “principale” esperienza lavorativa delle persone.
luglio 11, 2013
July 11, 2013, 7:39 am
A couple of days ago I pointed out that there is a big problem with the notion of “libertarian populism”, which is supposed to rally GOP support among “downscale” whites. Namely, a large part of the GOP agenda these days involves tearing down the social safety net — read the blistering Times editorial on North Carolina — and strange to say, downscale whites actually make use of that net.
I pointed out in the original post that a solid majority of the recipients of unemployment benefits are white. Readers have now directed me to better data on food stamps, from the American Community Survey. These show that in 2011, nationally, 48.7 percent of food stamp recipients were white. In swing states the number was higher: for example, 65 percent in Ohio.
Oh, and what about Medicaid, our other big means-tested program? According to the Census data, in 2011 there were 51 million people on Medicaid; 67 percent of them were white.
The point, again, is that it’s going to be hard to sell a libertarian program as populist when the core of that program is a direct assault on programs that help the very people who will supposedly be rallied by the new slogan.
Ancora di più sui bianchi e le reti della sicurezza
Un paio di giorni fa misi in evidenza che c’era un grande problema nell’idea di “populismo libertario”, che si è supposto possa far recuperare al Partito Repubblicano il sostegno dei “ridimensionati” bianchi. In particolare, una larga parte della agenda del Partito Repubblicano di questi tempi riguarda la demolizione della rete della sicurezza sociale – si veda lo scottante editoriale del Times sul North Carolina – e. strano a dirsi, i “ridimensionati” bianchi effettivamente fanno uso di quella rete.
Ho sottolineato nel post iniziale che una solida maggioranza dei fruitori dei sussidi di disoccupazione sono bianchi. I lettori mi hanno ora indirizzato a dati migliori sulle tessere alimentari, a cura dell’ American Community Survey. Questi mostrano che nel 2011, nazionalmente, il 48,7 per cento dei fruitori delle tessere alimentari erano bianchi. Negli Stati “swing” [1] il numero era più alto: per esempio, era il 65 per cento nell’Ohio.
Che dire poi di Medicaid, altro nostro grande programma che si basa sulla verifica del reddito? Secondo i dati del Censimento, nel 2011 c’erano a carico di Medicaid 51 milioni di persone; il 67 per cento di loro erano bianchi.
Il punto, ancora una volta, è che è destinato ad essere difficile rivendere come populista un programma libertario se il cuore di quel programma è un diretto attacco a quelle iniziative pubbliche che aiutano proprio quelle persone che si vorrebbero rimettere insieme per effetto del nuovo slogan.
[1] Espressione classica della politologia americana: gli Stati nei quali il voto “oscilla” da una elezione presidenziale all’altra, tra maggioranze repubblicane e democratiche.
luglio 10, 2013
July 10, 2013, 11:52 am
Still thinking about the new GOP idea — hey, let’s go for white voters! Why didn’t we think of that before? And I thought I’d do a cleaner version of some stuff I did a while back. I’m venturing into political science territory here,and would be happy to have real experts weigh in; but I’m pretty sure I have the basics right here.
So, let’s look at some exit poll data, and cross-tab it with Census income data. In the figure below, the red lines show the income-voting relationship from the Times summary of exit polls, which also supplies the broad ethnic group data. For incomes, I use Census data on median household income for 2011, which is also available for regions. For voting I use Alabama to represent the South, Ohio to represent the Midwest.
So here’s my picture:
Contrary to what some people keep saying, people with higher incomes, other things equal, tend to vote Republican. Cut through the noise and fog, and it is true that Democrats broadly want to redistribute income down, and Republicans want to redistribute income up — and on average, voters get that (which is why “libertarian populism” is hot air). But race and ethnicity also matter, a lot. What you can see right away is that there are three groups that are fairly anomalous.
1. African-Americans “should” lean Democratic, given their low incomes, but they are much more Democratic than this alone would predict.
2. Southern whites are just as much of an anomaly; they have close to the national median income,and “should” be pretty evenly split between parties, but instead are almost entirely Republican.
3. Asian-Americans are relatively high-income, but also strongly Democratic. Although I don’t have the data, Jews would surely look similar.
There really isn’t any mystery, of course, about these anomalies. Despite occasional attempts to widen its appeal, the GOP has effectively defined itself as the party of white Christians — and there are still a lot of historical memories that go with that definition.
Interestingly, Hispanic voters aren’t that much of an anomaly; they vote Democratic, but given relatively low income and a corresponding reliance on the safety net, that’s not surprising — and they’re not nearly as Democratic as the only somewhat poorer African-American community.
This in turn suggests a problem Republicans may not fully realize with their new strategy, which is in effect to be even more the white Christian party. You can think of this as an attempt to persuade Ohio whites to start voting like Alabama whites, which I guess could happen.
But what if the effect is,instead, to persuade Hispanics to start voting like African-Americans?
Reddito, razza e voto
Sto ancora pensando alla nuova idea del Partito Repubblicano – ehi, proviamoci con gli elettori bianchi! Parchè non ci abbiamo pensato prima? Ed ho pensato che potrei fare una versione più ordinata di qualche cosa che avevo fatto in passato, in questo caso mi sto avventurando sul territorio della scienza politica, e sarei felice di avere veri esperti che intervengono; ma sono abbastanza certo di avere su questo le idee di fondo.
Dunque, si guardi a qualche dato sugli exit poll, e lo si incroci nella tabella con i dati censuari sul reddito. Nella figura sotto, le linee rosse mostrano la relazione reddito-voti sulla base delle sintesi degli exit poll del Times, che fornisce anche i dati generali dei gruppi etnici. Per i redditi, uso i dati del Censimento sul reddito delle famiglie medie nel 2011, che sono anche disponibili per regioni. Per i voti uso l’Alabama per rappresentare il Sud, l’Ohio per rappresentare il Midwest.
Ecco dunque la mia lettura:
Contrariamente a quello che alcuni continuano a dire, le persone con i redditi più alti, a parità delle altre condizioni, tendono a votare repubblicano. Aprite un varco in mezzo alle chiacchiere ed al fumo, e in generale è vero che i Democratici vogliono redistribuire i redditi verso il basso e i Repubblicani lo vogliono redistribuire verso l’alto – e in media gli elettori lo capiscono (che è la ragione per la quale il “populismo libertario” è aria fresca [1]). Ma contano molto anche la razza e l’etnia. Quello che potete subito constatare è che ci sono tre gruppi che sono abbastanza anomali.
1 – Gli afro-americani dovrebbero tendere verso i democratici, dati i loro bassi redditi, ma sono molto più democratici di quello che questo dato da solo farebbe prevedere.
2 – I bianchi del Sud sono proprio in egual modo un’anomalia; sono vicini al reddito medio nazionale e “dovrebbero” suddividersi abbastanza equamente tra i (due) partiti, invece sono quasi interamente repubblicani.
3 – Gli asiatici sono relativamente ad alti redditi, ma anche fortemente democratici. Sebbene non abbia i dati, gli Ebrei dovrebbero essere sicuramente simili.
Non c’è proprio alcun mistero, naturalmente, in queste anomalie. Nonostante occasionali tentativi di ampliare il suo raggio di attrazione, il Partito Repubblicano si è essenzialmente definito come il partito dei Cristiani bianchi – e ci sono ancora una quantità di ricordi storici che si accordano con tale definizione.
In modo interessante, gli elettori ispanici non sono altrettanto anomali; essi votano democratico, ma dato il reddito relativamente basso ed un conseguente affidamento alle reti della sicurezza, ciò non è sorprendente – ed essi non sono neanche lontanamente altrettanto democratici come lo è soltanto la alquanto più povera comunità afro-americana.
Questo a sua volta suggerisce un problema che i Repubblicani possono non aver pienamente compreso con la loro nuova strategia, che è in effetti l’essere persino di più il partito bianco cristiano. Lo si può immaginare come un tentativo di persuadere i bianchi dell’Ohio a cominciare a votare come i bianchi dell’Alabama, la qualcosa mi immagino potrebbe accadere.
Ma cosa accadrebbe se l’effetto, invece, fosse quello di persuadere gli ispanici a votare come gli afro-americani?
[1] Gli americani dicono “aria calda”.
luglio 9, 2013
July 9, 2013, 3:26 pm
Zachary Goldfarb marvels over the fact that even as we use less and less cash in transactions, the amount of currency in circulation has been soaring. Why? He suggests that it’s fear — worries about political and financial stability.
But I’d suggest a different explanation. The motives for holding cash, especially in the form of $100 bills, have been around for a long time; in large part it’s about evading taxes, and the law in general. (Latin American drug lords hoard high-denomination dollar currency; Russian beeznessmen do the same with big euro notes). What has changed is that with zero interest rates, the opportunity cost of holding cash has gone way down.
We’ve seen this phenomenon before, in Japan; way back in the 1990s, Japanese economists used to joke that the only consumer durable selling well was safes. Here’s the ratio of Japanese currency in circulation to GDP, as the country sank deeper into the liquidity trap:
So it’s not fear, it’s despair: there’s nothing to invest in, so why not keep stuff under your mattress?
Provviste di contante
Zachary Goldfarb si meraviglia del fatto che anche se usiamo sempre meno contante nelle transazioni, la quantità di valuta in circolazione è salita alle stelle. Perché? Egli suggerisce che si tratti di paura – i timori per la stabilità politica e finanziaria.
Ma io suggerirei una diversa spiegazione. Il motivo per detenere contante, specialmente nella forma di biglietti da 100 dollari, c’è stato per tanto tempo; in larga parte dipende dalla evasione fiscale, ed ha a che fare in generale con la legge (i signori della droga latino americani fanno incetta di valuta in dollari di alto taglio; i beeznessmen russi fanno lo stesso con la banconote in euro di maggior valore). Quello che è cambiato è che con i tassi di interesse a zero, il ‘costo di opportunità’ [1] di detenere il contante è andato in basso.
Abbiamo visto in precedenza questo fenomeno in Giappone; negli anni ’90 gli economisti giapponesi erano soliti dire scherzando che l’unico bene di consumo che si vendeva bene erano le casseforti. Ecco il rapporto tra la valuta giapponese in circolazione e il PIL, quando il paese affondò in una trappola di liquidità:
Dunque non si tratta di paura: non c’è niente su cui investire, perché non tenere la roba sotto il materasso?
[1] Per costo di opportunità di una scelta, in microeconomia, si definisce “la perdita del potenziale guadagno da altre alternative, quando viene scelta una alternativa”.
luglio 9, 2013
July 9, 2013, 3:14 pm
Aha. In my last post, I wrote about the claims that there were a lot of missing white voters, which are emboldening those calling for “libertarian populism”; as I pointed out, this supposed populism is actually just the same old economic royalism, wrapped in different rhetoric — and “downscale” whites very much need the safety net the GOP is tearing down. I also wondered, however, how much I should trust Sean Trende’s claim that missing white voters are a real, important thing.
Well, Alan Abramowitz sends me to new analysis saying, no, missing whites aren’t a real thing. When it comes to serious political science, it seems, Trende is not your friend (sorry, couldn’t help myself):
So what starts out looking like a mysterious epidemic of “missing” white voters becomes mostly a reflection of the simple fact that 2012 was a low turnout election. This unremarkable outcome is then hyped by Trende as the big demographic development of 2012 by doing something that is really quite misleading. He adds back in all the missing white voters to the 2012 electorate while leaving out all the missing minority voters.
But this probably won’t stop the GOP from going with the story anyway. Empirical failure hasn’t changed their minds about economics, or for that matter anything else, so why should this be different?
Un’ombra più bianca del fallire[1]
Eccoci. Nel mio ultimo post ho scritto a proposito della pretesa che ci siano stati una quantità di elettori bianchi dispersi, che stanno incoraggiando coloro che si pronunciano per il “populismo libertario” [2]; come ho messo in evidenza, questo presunto populismo è in effetti proprio lo stesso vecchio “regalismo economico” [3] confezionato con una diversa retorica – ed i bianchi “ridimensionati” hanno molto bisogno delle reti della sicurezza sociale che il Partito Repubblicano sta demolendo. Mi ero anche chiesto, tuttavia, quanto avessi dovuto credere alla pretesa de Sean Trende secondo la quale gli elettori bianchi dispersi sono una cosa reale ed importante.
Ebbene, Adam Abramowitz mi rinvia ad una nuova analisi, secondo la quale, no, gli elettori bianchi dispersi non sono una cosa reale. Se si parla seriamente di scienza politica, a quanto pare, Trende non è un gran riferimento (mi dispiace, non sono stato capace di aiutarmi da solo):
“Dunque, quella che comincia a sembrare come una misteriosa epidemia di elettori bianchi “dispersi” è niente altro che un riflesso del fatto che il 2012 furono elezioni con bassa affluenza. Questo ordinario risultato è stato poi montato da Trende come il grande sviluppo demografico del 2012, facendo qualcosa che è davvero abbastanza fuorviante. Egli torna ad includere tutti gli elettori bianchi scomparsi all’elettorato del 2012, mentre lascia fuori tutti gli elettori scomparsi delle minoranze.”
Ma questo probabilmente non fermerà il Partito Repubblicano dal procedere in ogni caso con quel racconto. Il fallimento empirico non ha cambiato le loro menti a proposito di economia, o se è per quello non le ha cambiate in nessun altra occasione, perché questa volta dovrebbe essere diverso?
[1] Un titolo abbastanza complesso, ma in realtà giocato tutto sull’analogo titolo della famosissima canzone “A whiter shade of pale” di Procol Harum. Che fu tradotta, ai suoi tempi, con “Un ombra più bianca del pallido”. Nella canzone la faccia della fanciulla, che all’inizio era pallida come un fantasma, divenne “un ombra più bianca del pallido”. In questo caso la competizione tra varie gradazioni di biancore riguarda i diversi settori dei fallimenti logici dei conservatori, come un po’ contortamente chiarito nella ultima frase del post.
[2] Nel linguaggio politico americano “libertario” è un termine che non allude, come da noi, ad un antistatalismo anarchico; piuttosto ad un antistatalismo socialmente conservatore. Il principio del libertarismo è quello di fare ciò che si vuole, con l’unico limite di non limitare lo stesso diritto agli altri. Ad esempio, in Ayn Randy, scrittrice americana di origini russe considerata un’icona del pensiero “libertarian”, la libertà dell’impresa capitalistica privata è uno dei connotati più significativi del “libertarismo” (il campione del suo romanzo “Atlas Shrugged” era un imprenditore).
[3] E’ una espressione praticamente coniata negli anni Trenta da Franklin Delano Roosevelt, con la quale egli alludeva alle posizioni politico economiche dei Repubblicani – posizioni favorevoli ad una aristocrazia del denaro e del capitale che Roosevelt considerava alla stregua di una riproposizione dei sistemi dinastici di tipo monarchico. Quindi, nella espressione, la parola “royalism” allude esattamente a valori di tipo monarchico-dinastico che negli USA erano stati sconfitti con la Guerra di Indipendenza.
luglio 9, 2013
July 9, 2013, 9:14 am
For a brief period after the 2012 election, it looked as if there might be some serious introspection among Republicans, some reconsideration of where their scorched-earth opposition to everything Obama had gotten them. But it didn’t last long. Even the notion that the GOP might need to accommodate itself a bit to an increasingly nonwhite nation has been fading fast; the big thing now is that the trouble in 2012 was missing white voters, and that the GOP just needs to redouble its efforts to identify itself as the party of white people.
But if there really is a missing-white-voter issue — and I’d like to see some more analysis by serious political scientists before I completely buy in — what will it take to bring these people back out to play? Sean Trende, who has been making the missing-whites case, describes the missing as “downscale, rural, Northern whites”. What can the GOP offer them?
Well, the trendy answer now is “libertarian populism” — but the question is what that means. And for a lot of Republicans, as Mike Konczal notes, it seems to mean lower tax rates on the wealthy, tight money, and deregulation. And this is supposed to appeal to downscale whites because, um, because.
True believers will say that this kind of agenda is actually great for low-income workers because it would lead to wonderful economic growth. This happens to be a view contradicted by all the evidence, but more to the point, what on earth would make anyone think that it’s a workable political strategy? Yelling even more loudly about the wonders of sound money and supply-side economics isn’t going to persuade anyone who hasn’t been persuaded already.
But wait, it gets worse. As a practical matter, the current GOP agenda isn’t so much about hard money or even lower top marginal rates as it is about slashing safety-net programs. There has been a highly successful attack on unemployment benefits, and the party has worked itself into a lather about food stamps too.
So, news flash: these programs don’t just benefit Those People; they’re also very important to downscale whites, the very people that will supposedly rescue the GOP. This is especially true of unemployment insurance (pdf):
Data are scrappier on food stamps (pdf), with a lot of states failing to report the race of many recipients; but if we look at, for example, Pennsylvania, which does have almost complete reporting, we find that 59 percent of food stamp recipients are non-Hispanic whites.
In short, the idea behind libertarian populism seems to be to bring back disaffected whites by preaching, even more forcefully, the virtues of the pro-wealthy policies the GOP has been following all along, and meanwhile destroying the safety net programs many of those disaffected whites depend on. Sounds like a winner.
I bianchi e le reti della sicurezza sociale
Per un breve periodo dopo le elezioni del 2012 è sembrato ci fosse una qualche seria introspezione tra i Repubblicani, qualche ripensamento sulla loro opposizione da terra bruciata ad ogni cosa che Obama aveva loro proposto. Ma non durò a lungo. Anche il concetto secondo il quale il Partito Repubblicano potrebbe aver bisogno di adeguarsi un po’ ad una nazione sempre di più non-bianca è svanito presto; la grande scoperta adesso è che nel 2012 il guaio fu quello di aver perso i voti dei bianchi, e che il Partito Repubblicano ha solo bisogno di raddoppiare i suoi sforzi nell’identificarsi come il partito della gente bianca.
Ma se ci fosse realmente il tema di una perdita di voti bianchi – e mi piacerebbe leggere qualche analisi in più di un serio analista politico prima di crederci – cosa ci vorrà per riportare questa gente ad avere un ruolo? Sean Trend, che sta sostenendo il caso della perdita degli elettori bianchi, descrive quegli scomparsi come “i ridimensionati bianchi del Nord rurale”. Cosa può offrire loro il Partito Repubblicano?
Ebbene, la risposta alla moda oggi è il “populismo libertario” – ma la questione è cosa significhi. E per molti repubblicani, come nota Mike Konczal, sembra significare aliquote fiscali più basse per i ricchi, stretta monetaria e deregolamentazione. E questo si suppone interessi i bianchi che hanno perso peso sociale, perché … chissà.
I veri e propri credenti diranno che questo genere di agenda è effettivamente una gran cosa per i lavoratori a basso reddito, giacché porterebbe ad una meravigliosa crescita economica. Si dà il caso che questa sia una opinione contraddetta da ogni prova, ma più ancora, cosa diamine può convincere qualcuno che si tratti di una strategia politica funzionante? Gridare ancor più rumorosamente sulle meraviglie della moneta forte e dell’economia dal lato dell’offerta non sono cose destinate a convincere nessuno che non sia già convinto.
Ma aspettate, perché c’è di peggio. In termini pratici, la attuale agenda del Partito Repubblicano non riguarda tanto la moneta forte e neanche le aliquota fiscali marginali più basse per i più ricchi, quanto l’abbattimento dei programmi della sicurezza sociale. C’è stato un attacco che ha avuto successo ai sussidi di disoccupazione, ed il Partito si è anche dato da fare con eccitazione sul tema degli aiuti alimentari.
Dunque, notizia lampo: di questi programmi non beneficiano soltanto Quegli Individui [1]; essi sono anche molto importanti per i bianchi ridimensionati, proprie le persone che si suppone salveranno il Partito Repubblicano. Questo è vero specialmente per la assicurazione di disoccupazione (dati disponibili in pdf) [2]:
Le statistiche sono più sciatte sugli aiuti alimentari, con un quantità di Stati che mancano di informare sulla provenienza etnica di molti assistiti; ma se guardiamo, ad esempio, alla Pennsylvania, che offre notizie abbastanza complete, troviamo che il 59 per cento degli assistiti dagli aiuti alimentari sono bianchi non-ispanici.
In breve, l’idea che sta dietro il populismo libertario sembra quella di recuperare i bianchi scontenti elogiando, ancora più enfaticamente, le virtù delle politiche a favore dei ricchi che il Partito Repubblicano segue da sempre, e nel frattempo distruggendo i programmi delle reti della sicurezza sociale dai quali dipendono molti di quei bianchi delusi. Sembrerebbe vincente.
[1] Ovvero, le persone indicate con un certi disprezzo dai repubblicani come i “takers”, gli assistiti.
[2] La tabella, in sostanza, mostra che pur essendoci stato, dal 1992 al 2010, un leggero calo nelle percentuali di bianchi tra i disoccupati e tra i percettori dei sussidi di disoccupazione (al quale ha corrisposto un certo incremento dei non-bianchi e una posizione sostanzialmente stabile tra gli ispanici), il dato complessivo dei bianchi continua ad essere il più elevato in assoluto.
luglio 8, 2013
July 8, 2013, 2:01 pm
Jared Bernstein writes from Europe about the complete unwillingness of European policy makers to learn from their mistakes; call it Euroderp. And it is indeed a remarkable thing: despite overwhelming evidence that austerity doesn’t work as advertised, there has been essentially no relaxation of the orthodoxy, and no admission of error.
Along the way, Bernstein mentions the Blanchard-Leigh (pdf) analysis of multipliers, in which these IMF economists admit that the Fund failed to appreciate how much damage austerity would do because it underestimated multipliers by about two-thirds. And this illustrates a point I think many readers fail to grasp: the difference between urp, which is forgivable,and derp, which isn’t.
By urp I mean just getting something wrong — and then conceding, as evidence rolls in, that you did indeed get it wrong: “Urp! That was a bad call!” Obviously if someone urps all the time, his credibility is diminished; but everyone is going to do it now and then. To urp is human.
Derp, on the other hand, means being proved wrong but continuing to loudly assert the same thing again and again regardless. Blanchard and Leigh urped, but they didn’t derp; the inflationistas, on the other hand, just keep on derping.
As I said, some people don’t seem to get this distinction. They point to mistakes I’ve made in the past — mainly my bad call on deficits and interest rates in 2003 — and say, “You derp too!” But I’ve admitted that this was a bad call, and adapted my analysis accordingly. I wish I’d gotten it right, but everyone with the possible exception of the Pope urps now and then; all I can say is that I think I have fewer urps than most, and I really, really try not to derp.
So don’t accuse me of derp; I’m not that kind of perp.
“Urp” contro “derp”
Jared Bernstein scrive dall’Europa sulla completa mancanza di volontà degli uomini politici europei ad apprendere dai loro sbagli; la possiamo chiamare “Euroderp”! [1] E in effetti è una cosa considerevole: nonostante la prova schiacciante che l’austerità non funziona nel modo che era stato propagandato, non c’è stata alcuna attenuazione dell’ortodossia, nessuna ammissione di sbagli.
Nel corso dell’articolo, Bernstein cita l’analisi di Blanchard-Leigh sui moltiplicatori (disponibile in pdf), con la quale questi economisti del FMI ammettono che il Fondo non aveva compreso quanto danno l’austerità avrebbe provocato perché aveva sottostimato per due-terzi i moltiplicatori [2]. E questo illustra un aspetto che penso molti lettori non riescano ad afferrare: la differenza tra l’ “urp”, che è perdonabile, ed il “derp”, che invece non lo è.
Con lo “urp” io intendo semplicemente fare qualcosa di sbagliato – e poi ammettere, quando arrivano le prove, che avete fatto qualcosa di sbagliato: “Urp! E’ stata una cattiva mossa!”. Evidentemente, se qualcuno emette “urp” tutte le volte, la sua credibilità diminuisce; ma tutti sono destinati a farlo ogni tanto. L’ “urp” è umano.
Il “derp”, d’altra parte, significa essere scoperti in uno sbaglio ma proseguire in continuazione ad asserire comunque la stessa cosa. Blanchard e Leigh si sono espressi con un “urp”, non con un “derp”; gli inflazionisti, per loro conto, continuano esattamente con i “derp”.
Come ho detto, alcuni non sembra percepiscano questa differenza. Indicano gli errori che io ho fatto nel passato – principalmente la mia cattiva previsione sui deficit e sui tassi di interesse nel 2003 – e dicono: “Anche il tuo è stato un ‘derp’ !”. Ma io ho ammesso che era una previsione sbagliata, e coerentemente ho adattato la mia analisi. Mi piacerebbe aver visto giusto, ma tutti, con la possibile eccezione del Papa, si esprimono con degli “urp” ogni tanto; tutto quello che posso dire è che penso di averne avuti meno della maggioranza degli altri, e con tutto il mio impegno cerco di evitare i “derp”.
Cosicché non accusatemi di ‘derpeggiare’ [3]; non ho commesso crimini di quel genere .
[1] Vedi il post del 6 luglio (a proposito del termine “derp”).
[2] Per il concetto di “multiplier” vedi le note sulla traduzione.
[3] Come è evidente, questo post è leggermente in stile demenziale ….. “Urp” e “derp” non li traduciamo, perché è più semplice apprezzarli come fonemi. “Perp” è invece un diminutivo di “perpetrator”, che significa qualcuno che è sospettato di un crimine; ma il gioco verbale non è traducibile.
luglio 8, 2013
July 8, 2013, 1:32 pm
A long, long, long time ago I used to believe that the central political and economic debate facing our nation was going to be about globalization — not realizing that it would instead revolve around a powerful movement to roll back the clock here at home, and bring back the Gilded Age. (As I once said, I think to Robert Kuttner, while he and I were arguing about tariffs, Sauron was gathering his forces at Mordor). Anyway, back then, as a columnist for Slate, I wrote a piece arguing that low wages and poor working conditions by Western standards were necessary and inevitable in poor countries — provoking the predictable outrage.
All these issues have faded into the background, but they’re still out there — and the Bangladesh factory horror has bought some of them back to prominence. And there are now serious moves to impose stricter safety and working conditions standards in third-world apparel producers. So what’s my view?
The answer is, I’m all for them — and no, I don’t think that’s a contradiction of my earlier views.
It remains true that given their low productivity, countries like Bangladesh can’t be competitive with advanced countries unless they pay their workers much less, and provide much worse working conditions too. The Bangladeshi apparel industry is going to consist of what we would consider sweatshops, or it won’t exist at all. And Bangladesh, in particular, really really needs its apparel industry; it’s pretty much the only thing keeping its economy afloat.
At this point, however, there really isn’t any competition between apparel production in poor countries and rich countries; the whole industry has moved to the third world. The relevant competition is instead among poor countries — Bangladesh versus China, in particular. And here the differences aren’t as dramatic: McKinsey (pdf) estimates Bangladeshi productivity in apparel at 77 percent of China’s level.
Given this reality, can we demand that Bangladesh provide better conditions for its workers? If we do this for Bangladesh, and only for Bangladesh, it could backfire: the business could move to China or Cambodia. But if we demand higher standards for all countries — modestly higher standards, so that we’re not talking about driving the business back to advanced countries — we can achieve an improvement in workers’ lives (and fewer horrible workers’ deaths), without undermining the export industries these countries so desperately need.
So, can we act to improve the lot of workers in low-age, labor-intensive manufacturing? Yes, we can, as long as the goals are realistic and the measures appropriate in scale. And we should go ahead and do it.
Fabbriche dello sfruttamento più sicure
Molto, molto tempo fa ero propenso a credere che la discussione politica ed economica fondamentale per la nostra nazione fosse destinata ad essere quella sulla globalizzazione – non comprendendo che essa avrebbe invece ruotato attorno ad un potente movimento per rimettere indietro le lancette dell’orologio, qua da noi, e riportarci all’Età dell’Oro (come dissi una volta, mi pare a Robert Kuttner [1], mentre io e lui stavamo ragionando di tariffe, Sauron stava riunendo le sue forze a Mordor [2]). In ogni caso, a quei tempi, come commentatore della rivista Slate, scrissi un pezzo sostenendo che i bassi salari e le condizioni di lavoro miserabili per gli standard occidentali erano necessarie ed inevitabili nei paesi poveri – suscitando un prevedibile scandalo.
Tutti questi temi sono svaniti sullo sfondo, ma fuori da qua esistono ancora – e la fabbrica degli orrori del Bangladesh [3] ne ha riportato alcuni alla ribalta. E ci sono ora alcune serie iniziative per imporre standards più adeguati di sicurezza e di condizioni di lavoro ai produttori dell’abbigliamento del terzo mondo. Qual è dunque la mia opinione?
La risposta è: sono del tutto dalla loro parte – e no, non penso che ci sia una contraddizione con le mie precedenti posizioni.
Resta vero che data la loro bassa produttività, paesi come il Bangladesh non possono essere competitivi con i paesi avanzati se non pagano molto meno i loro lavoratori, ed anche se non forniscono peggiori condizioni lavorative. L’industria dell’abbigliamento del Bangladesh è destinata ad essere un luogo di sfruttamento, oppure a non esistere affatto. Ed in particolare il Bangladesh ha senza alcun dubbio bisogno dell’industria dell’abbigliamento; è praticamente l’unica cosa che tiene a galla la sua economia.
A questo punto, tuttavia, non c’è alcuna competizione tra la produzione dell’abbigliamento nei paesi poveri e quella nei paesi ricchi; l’intera industria si è spostata nel terzo mondo. La competizione importante è piuttosto tra i paesi poveri – il Bangladesh verso la Cina, in particolare. E qua le differenze non sono spettacolari: McKinsey (disponibile in pdf) stima che la produttività del Bangladesh nell’abbigliamento sia il 77 per cento di quella della Cina.
Data questa realtà, possiamo chiedere che il Bangladesh fornisca condizioni migliori ai suoi lavoratori? Se lo facciamo col Bangladesh e solo col Bangladesh, sarebbe controproducente: le imprese si sposterebbero in Cina o in Cambogia. Ma se chiediamo standards più elevati per tutti paesi – standards modestamente più elevati, non stiamo parlando di portare le imprese ai livelli dei paesi avanzati – possiamo ottenere un miglioramento nella vita dei lavoratori (e un numero minori di morti orribili), senza mettere a repentaglio le industrie dell’export delle quali questi paesi hanno disperatamente bisogno.
Possiamo dunque agire per migliorare le manifatture di lavoratori in giovane età e ad alta intensità di lavoro? Si, possiamo nella misura in cui gli obbiettivi sono realistici e le misure sono in scala appropriata. E dovremmo andare avanti a farlo.
[1] Robert Kuttner, giornalista e scrittore, cofondatore della rivista di orientamento liberal The American Prospect.
[2] Mordor (Terra Oscura; da mor “oscuro” e (n)dor “paese, terra”) è uno dei regni di Arda, l’universo immaginario fantasy creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien. Si trova nella Terra di Mezzo. È il paese di Sauron, una terra tetra circondata da scurissime montagne, sempre coperta da nuvole e abitata dai servi dell’Oscuro Signore, come gli orchi. (Wikipedia)
[3] Nello scorso aprile, uno stabilimento industriale del Bangladesh è crollato, provocando la morte di 1.127 lavoratori. A seguito di quella tragedia si sono sviluppate iniziative sostenute dai sindacati americani per avere la adesioni di vari marchi mondiali dell’abbigliamento a piani di sicurezza nel Bangladesh. Queste le immagini della tragedia:
luglio 8, 2013
July 8, 2013, 9:50 am
Continuing the ongoing attempt to characterize the economists and economist wannabes who keep warning about inflation from the Fed’s efforts to do something about a weak economy, Noah Smith suggests that none of the inflationistas really believe what they’re saying. Instead, he writes, they’re either trying to defend economic models that defined their careers, but failed; lashing out because they personally have been made to look like fools; or playing to a lucrative audience of grumpy old rich white men, who are natural goldbugs:
So to sum up, there are three main reasons for predicting inflation, in defiance of both market expectations and recent past experience. These are 1. Commitment to a research paradigm, 2. Emotive expressions of political and personal anger, and 3. Cynical affinity manipulation.
I’d go along with most of this, with two caveats.
One is that my guess is that even the worst of these guys probably aren’t as self-consciously cynical as Smith seems to suggest. Snidely Whiplash types, twirling their mustaches and smirking over their evilness, do exist, but they’re rare. For the most part, people have an amazing ability to rationalize their actions: objectively, they’re cynically exploiting the rubes, but in their own minds they’re honest warriors for Truth, Justice, and the Austrian Way.
More important, I think Smith has missed an important category. Look at the 23-economist letter warning Bernanke against QE, and you’ll see several people who really don’t fit his typology. Michael Boskin, Douglas Holtz-Eakin, John Taylor, and several others have not, historically, been equilibrium-macro types, devoting their careers to the proposition that monetary policy can do nothing but cause inflation. On the contrary, their analytical models have always, whether they admit it or not, been more or less Keynesian. The same is true for a few other monetary hawks who didn’t sign this letter, e.g. Allan Meltzer and Martin Feldstein. (Way back, one colleague described Meltzer’s work with Karl Brunner as “Just Tobin with some original errors”)
So what is it that makes these guys — whose analytical framework, when you come down to it, doesn’t seem very different from Bernanke’s, or mine — so hostile to expansionary monetary policy? What do they have in common? The obvious answer is that they’re all very committed Republicans. And it’s hard to escape the suspicion that what’s really going on is that they’re bitterly opposed to expansionary policy when a Democrat is in the White House.
We could have tested that proposition if Mitt Romney had won. But doing that test would have been a clear case of unethical human experimentation.
Inflazionisti politici
Proseguendo il suo tentativo in corso di distinguere gli economisti e gli aspiranti economisti che continuano a mettere in guardia dall’inflazione dagli sforzi della Fed di fare qualcosa per un economia debole, Noah Smith suggerisce che nessuno degli ‘inflazionisti’ effettivamente crede in quello che dice. Piuttosto, scrive, costoro o stanno cercando di difendere i modelli economici che hanno caratterizzato le loro carriere, ma non hanno funzionato, dando colpi perché personalmente gli è stata fatta fare la figura degli sciocchi; oppure stanno recitando ad un pubblico ben redditizio di bianchi, vecchi ricchi e scontrosi, che sono naturalmente fanatici dell’oro:
“Dunque, per riassumere, ci sono tre principali ragioni per pronosticare l’inflazione, sfidando sia le aspettativa dei mercati che la recente passata esperienza. Queste sono: 1 – la coerenza verso un paradigma di ricerca; 2 – l’espressione emotiva di una rabbia politica e personale; 3 – la cinica manipolazione delle somiglianze.”
Sarei d’accordo con gran parte di ciò, con due avvertenze.
La prima: la mia impressione è che persino i peggiori di questi personaggi non sono così auto consapevolmente cinici come Smith sembra suggerire. I tipi alla Snidely Whiplash [1], che si accarezzano i baffetti e fanno sorrisetti malvagi, esistono per davvero, ma sono rari. Per la maggior parte dei casi, le persone hanno una sorprendente capacità di razionalizzare le loro azioni: obiettivamente, essi stanno cinicamente approfittando dell’ignoranza diffusa, ma nelle loro teste sono degli onesti combattenti per la Verità, la Giustizia ed il “Metodo” austriaco [2].
Penso sia più importante il fatto che Smith si è scordato di una categoria. Si guardi la lettera dei 23 economisti che hanno messo in guardia Bernanke contro la “Facilitazione Quantitativa”, e si vedranno alcuni individui che in realtà mal si adattano alla sua tipologia. Michael Boskin, Douglas Holtz-Heakin, John Taylor e vari altri non sono stati, storicamente, cultori delle teorie economiche dell’equilibrio, avendo dedicato le loro carriere al concetto che la politica monetaria non può fare altro che provocare inflazione. Al contrario, i loro modelli analitici sono sempre stati, che lo ammettano o no, più o meno keynesiani. La stessa cosa è vera per un po’ di altri ‘falchi’ monetari che non hanno firmato quella lettera, come Allan Meltzer e Martin Feldstein (nel passato, un collega descriveva il lavoro di Meltzer assieme a Karl Brunner come si trattasse “proprio di Tobin con alcuni errori originali”.
Dunque, cosa rende questi soggetti – il cui schema analitico, quando si va a fondo, non sembra molto diverso da quello di Bernanke o mio – costì ostili alla politica dell’espansione monetaria? Cosa hanno in comune tra di loro? La risposta evidente è che sono per davvero impegnati con i Repubblicani. Ed è difficile sfuggire al sospetto che quello che è davvero accaduto è che essi si sono opposti aspramente alla politica espansiva da quando un Democratico è alla Casa Bianca.
Potremmo aver provato questa affermazione se Mitt Romney avesse vinto. Ma fare una prova del genere sarebbe stato un chiaro caso di immorale esperimento con esseri umani.
[1] E’ un personaggio di un cartone animato, presumibilmente cinico:
[2] Ovvero, della scuola economica austriaca.
luglio 8, 2013
July 8, 2013, 9:23 am
David Warsh has a meditation on the possibilities of a Hillary Clinton presidency, suggesting that she might be — of all things — the next Dwight Eisenhower. That’s an interesting thought, although I believe it’s quite wrong. But the good thing about Warsh’s suggestion is that it forces me to ask why, exactly, I think it’s so wrong.
The first thing is to understand Eisenhower’s significance. What you need to realize is that Republicans spent much of the early postwar period still trying to dismantle the New Deal. It took their shocking upset defeat in 1948 to drive home the fact that it just wasn’t going to happen. And Eisenhower became the symbol of a GOP that was not going to try to return to Gilded Age capitalism; in his famous letter to his brother he wrote:
Should any political party attempt to abolish social security, unemployment insurance, and eliminate labor laws and farm programs, you would not hear of that party again in our political history. There is a tiny splinter group, of course, that believes you can do these things. Among them are H. L. Hunt (you possibly know his background), a few other Texas oil millionaires, and an occasional politician or business man from other areas.Their number is negligible and they are stupid.
Of course, that tiny splinter group now controls the GOP.
So, what would a Hillary Clinton presidency be like? She would not be a figure of reconciliation — that would take a moderate Republican. And right now there are no moderate Republicans, more or less by definition: show any signs of moderation, and you are excommunicated.
That will, one hopes, eventually change — but it’s going to take several big electoral defeats, and it’s not going to happen by 2016. If she becomes president, which does look fairly likely, Clinton will almost surely face the same environment Obama has faced all along — a completely obstructionist, hate-filled opposition. The only thing that might change this would be if her victory is really shocking — say, Democrats retake both houses of Congress and Clinton herself carries Texas.
So, she won’t be like Ike. But that needn’t stop her from doing a lot of good.
Non come Ike
David Warsh svolge alcuni pensieri sulle possibilità di una Presidenza di Hillary Clinton, suggerendo che potrebbe essere – tra tutte le cose – il prossimo Dwight Eisenhower. E’ un ragionamento interessante, sebbene io creda che sia abbastanza sbagliato. Ma la suggestione di Warsh è utile, perché mi costringe a chiedermi perché, esattamente, pensi che sia così sbagliata.
La prima cosa è capire il significato di Eisenhower. Quello che bisogna comprendere è che i Repubblicani spesero gran parte del primo periodo postbellico nel cercar di smantellare il New Deal. Ci volle la loro impressionante e inaspettata sconfitta del 1948 per acquisire il fatto che non era una cosa possibile. Ed Eisenhower divenne il simbolo di un Partito Repubblicano che non aveva intenzione di cercar di tornare al periodo d’oro del capitalismo; in una famosa lettera a suo fratello , scrisse:
“Di un qualsiasi partito politico che dovesse provare ad abolire la sicurezza sociale, l’assicurazione di disoccupazione e le leggi sul lavoro e sui programmi in agricoltura, non si vorrebbe più sentir parlare nella nostra storia politica. C’è una minuscola fazione, naturalmente, che crede che si debbano fare queste cose. Tra di loro H. L. Hunt (probabilmente avrai sentito parlare dei suoi trascorsi), alcuni milionari del petrolio del Texas, ed un occasionale uomo politico o impresario in altre regioni. Il loro numero è trascurabile e sono sciocchi”.
Come è chiaro, quella minuscola fazione oggi controlla il Partito Repubblicano.
Dunque, a cosa assomiglierebbe una presidenza di Hillary Clinton? Ella non sarebbe una figura di riconciliazione – per quello ci vorrebbe un repubblicano moderato. E in questo momento, più o meno per definizione, non ci sono repubblicani moderati: mostrate qualche segno di moderazione e siete scomunicati.
Si spera che alla fine cambierà – ma sono destinate a volerci varie grandi sconfitte elettorali, e non accadrà per il 2016. Se ella diventa Presidente, la qualcosa sembra abbastanza probabile, è quasi certo che la Clinton farà i conti con lo stesso ambiente con il quale li ha fatti Obama dall’inizio – una opposizione completamente votata all’ostruzionismo e carica d’odio. L’unico modo per cambiare questa situazione sarebbe una sua vittoria davvero impressionante – diciamo, che i Democratici si riprendano ambedue i rami del Congresso e la stessa Clinton trionfi nel Texas.
Dunque, non sarà come Ike. Ma non c’è bisogno che questo le impedisca di fare un gran bene.
luglio 7, 2013
July 7, 2013, 8:27 am
One of the odd things about the people arguing that we must raise interest rates to head off bubbles — Raghuram Rajan, Martin Feldstein, the BIS, and so on — is the near-universal assertion among this group that just a little rate increase can’t do any real harm. (Just a thin little mint). After all, rates are so low!
As I’ve argued, this is a novel economic principle; where else do we argue that demand curves (in this case the demand for investment) are vertical at low prices? But it has occurred to me that it might be helpful to look at what the partial victory of these people — their implicit success in bullying the Fed into talking about tapering despite a still very weak, low-inflation economy — has wrought. Bear in mind that the interest rates that matter most for the economy are not the rates at which the government can borrow, but the rates facing private investors — and above all, mortgage rates, for housing is the most important transmission mechanism for monetary policy. And here’s what we see for mortgage rates since the talk of tapering began:
Do you really think that this will have no effect? Really, really?
By the way, I see that some readers imagine that the effects of the taper talk somehow refute my earlier assertions that the rate at which the Fed is buying long-term bonds has little effect on interest rates. But you’re misunderstanding both what I said and what is happening now. My point was always that the direct effects of bond purchases were small, so that anticipated changes in the pace of purchases — like the end of QE2 in 2011 — had minimal effects.
What’s happening now, however, is that the taper talk has led to a sharp revision of market expectations about the path of short-term interest rates, which the Fed does control. From Gavyn Davies:
The Fed didn’t mean this to happen; it tried to communicate that it wasn’t changing the path of short-term rates; but this was naive on its part. The Fed can’t really commit to future policy; all it can do is signal its character, and what it ended up doing here was convey the sense that it’s much more inclined to tighten too soon than previously thought.
So it’s a bad story, all around.
Quella terribile stretta
Una delle cose curiose delle persone che sostengono che dobbiamo alzare i tassi di interesse per evitare le bolle – Raghuram Rjan, Martin Feldstein, la Banca dei Regolamenti Internazionali, et cetera – è la dichiarazione quasi universale in questo gruppo che un piccolo incremento non può fare alcun danno (solo una minuscolo piccolo soldino). Dopo tutto, i tassi sono bassi!
Come ho sostenuto, si tratta di un principio economico insolito; dove altro si sente dire che le curve della domanda (in questo caso la domanda per investimenti) sono verticali con i prezzi bassi? Ma mi è venuto in mente che potrebbe essere d’aiuto dare un’occhiata a quello che ha provocato la parziale vittoria di queste persone – il loro implicito successo nel costringere a parlare di restrizione, nonostante un’economia con una bassa inflazione e ancora molto debole). Si tenga a mente che i tassi di interesse che sono più importanti per l’economia non sono quelli ai quali il Governo può indebitarsi, ma quelli con i quali fanno i conti gli investitori privati – e soprattutto i tassi sui mutui, perché il settore immobiliare è in più importante meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Ed ecco quello che si è visto sui tassi dei mutui dal momento sono cominciati i discorsi sulla stretta:
Pensate davvero che questo non avrà alcun effetto? Davvero nessuno?
Per inciso, vedo che alcuni lettori si immaginano che gli effetti dei discorsi sulla stretta in qualche modo confutino i miei precedenti giudizi, secondo i quali il tasso al quale la Fed sta acquistando i bonds a lungo termine ha effetti modesti sui tassi di interesse. Ma state fraintendendo sia quello che io dissi che quello che sta oggi succedendo. La mia opinione è sempre stata che gli effetti diretti degli acquisti dei bonds fossero piccoli, cosicché i cambiamenti anticipati nel ritmo degli acquisti – come la fine della seconda “Facilitazione Quantitativa” nel 2011 – ebbe effetti minimi.
Quello che sta accadendo, tuttavia, è che il pronunciamento per la stretta ha portato ad una brusca revisione delle aspettative del mercato sull’andamento dei tassi di interesse a breve termine, che la Fed controlla per davvero. Da Gavyn Davies:
La Fed non aveva intenzione che questo accadesse: ha cercato di comunicare che non stava procedendo a cambiamenti sull’andamento dei tassi a breve termine; ma è stato ingenuo da parte sua. La Fed non può realmente impegnarsi sulla politica del futuro; tutto quello che può fare è dare un segnale relativo alla sua indole, e in questo caso ha finito col comunicare la sensazione di essere molto più incline ad una stretta troppo ravvicinata di quello che si credeva in precedenza.
Dunque è un brutta storia, da tutti i punti di vista.
luglio 6, 2013
July 6, 2013, 5:35 pm
Josh Barro has made a very useful contribution to policy discussion by adapting the term “derp” for a certain kind of all-too-prevalent stance in economic debate, which Noah Smith somewhat euphemistically describes as “the constant, repetitive reiteration of strong priors”. In other words, people who take a position and refuse to alter that position no matter how strongly the evidence refutes it, who continue to insist that they have The Truth despite being wrong again and again.
The main locus of econoderpitude these days involves inflation, and more broadly the proposition that deficit spending and expansion of the Fed’s balance sheet will be a disaster, even in a depressed economy. Matt O’Brien documents the continuing prevalence of this form of derp, and tries to characterize the various forms it takes, and I don’t have any quarrel with his details. I wonder, however, whether it might not be useful to think of it a bit differently, using a geographical metaphor.
That is, think of all these economists and wannabe economists as inhabitants of a land we’ll call Derpistan. Everything there is derp; but it’s not undifferentiated derp. Instead, all Derpistan is divided into three parts: Inner Derpistan, Middle Derpistan, and Outer Derpistan.
Middle Derpistan is where most of the country’s inhabitants used to live.It had what looked like highly fertile intellectual soil, easy to cultivate with a few tools taken from the intro textbook: printing money causes inflation! Running deficits drives up interest rates! It’s the 1970s all over again! A lot of people settled in comfortably there circa 2009, and waited for their crops to come in.
It turned out, however, that this wasn’t such a good place to settle down after all. Some of us tried to warn them, on both the interest rate and the inflation front; things aren’t that simple in a liquidity trap. But they didn’t listen; and as inflation and soaring rates kept not coming and not coming, they found themselves like farmers on the Great Plains in the 1930s, watching their chosen ground turn into dust.
Despite this, a few oblivious types have refused to move; Michael Kinsley comes to mind. But for the most part, what we’ve seen is emigration. A few, like Larry Kudlow (!!!) have packed their belongings on top of the pickup truck and left Derpistan altogether. Most, however, have migrated only a short distance in or out.
Some have moved to Outer Derpistan, a land of utter intellectual barbarism; here we have Erick Erickson declaring never mind the facts, he has feelings, and Niall Ferguson declaring that we really do have inflation, but the feds are spiriting it away in their black helicopters and burying it in Area 51.
For the most part, however, we’ve seen a migration to Inner Derpistan — the region that borders the civilized world, also known as the reality-based community, and has picked up some of its customs. The migrants to this region — the Bank for International Settlements, Martin Feldstein, and so on — seem to be conceding, at least implicitly, that their inflation warnings didn’t pan out. Instead, they’re now all talking about financial stability. But they haven’t left Derpistan, because they’re still demanding the exact same thing — higher rates and an end to quantitative easing — despite having been wrong about everything so far.
And I have to say that these are the people who worry me. The refugees of Outer Derpistan are sad cases, but they don’t have any real influence, even if the BBC thinks they should give prestigious lectures and stuff. But the Inner Derpistanis are the barbarians at the gate; they are, I believe, already having a seriously malign effect on policy.
Regioni del Derpistan
Josh Barro ha fornito un contributo molto utile al dibattito politico adattando il termine “derp” [1] per un certo genere di atteggiamenti che dilagano nel dibattito economico, che Noah Smith descrive con un qualche eufemismo come “la costante, ripetitiva reiterazione di forti prevenzioni”. In altre parole, persone che prendono una posizione e rifiutano di modificarla a prescindere dalla forza con la quale essa è confutata dai fatti, che continuano e ribadire di avere La Verità, nonostante abbiano avuto torto più e più volte.
Il luogo principale della “derpitudine economica” di questi giorni riguarda l’inflazione, e più in generale il fatto che la spesa pubblica in deficit e l’espansione degli equilibri contabili della Fed sarebbero un disastro. Matt O’Brien documenta la perdurante prevalenza di questa forma di “derp” e prova a caratterizzare le varie forme che essa assume, ed io non ho nessuna ragione di disputare su questi dettagli. Mi chiedo, tuttavia, se non sarebbe utile pensare a qualcosa di diverso, utilizzando una metafora geografica.
Ovvero, penso a tutti questi economisti ed aspiranti economisti come abitanti di una terra che chiameremo Derpistan. Là ogni cosa è ‘derp’, ma non un indifferenziato ‘derp’. Piuttosto, il Derpistan è diviso in tre parti: il Derpistan Interno, il Medio Derpistan ed il Derpistan Esterno.
Il Medio Derpistan è il luogo dove normalmente viveva la maggioranza degli abitanti. Esso era caratterizzato da qualcosa che pareva un terreno intellettualmente fertile, facile da coltivare con pochi strumenti presi da introduzioni di libri di testo: stampare moneta provoca inflazione! Gestire deficit alza i tassi di interesse! Siamo tornati agli anni ’70! All’incirca nel 2009 un bel po’ di persone si erano sistemate in quel posto, ed era lì che attendevano i loro raccolti.
Si scoprì, tuttavia, che dopotutto quello non era un posto così buono per insediarsi. Alcuni di noi avevano provato a mettere in guardia, sia sul fronte del tasso di interesse che su quello dell’inflazione; cose che non erano tanto semplici in una trappola di liquidità. Ma non avevano voluto intendere, e dal momento che l’inflazione e i tassi di interesse alle stelle continuavano a non materializzarsi, si ritrovarono come gli agricoltori delle Grandi Pianure degli anni Trenta, che guardavano le terre da loro prescelte trasformarsi in polvere.
Nonostante questo, pochi individui inconsapevoli hanno rifiutato di spostarsi: viene in mente Michael Kinsley. Ma per la massima parte abbiamo assistito ad una migrazione. Alcuni, come Larry Kudlow (!!!) hanno impacchettato i loro effetti personali sopra il camioncino e lasciato del tutto il Derpistan. I più, tuttavia, sono emigrati solo ad una certa distanza, verso l’interno o l’esterno.
Alcuni si sono spostati verso il Derpistan Esterno, una terra di totale barbarie intellettuale; qua abbiamo Erick Erickson che dichiara che i fatti non contano mai, che lui ha le sensazioni, e Niall Ferguson [2] che dichiara che l’inflazione l’abbiamo su serio, ma quelli della Fed la fanno sparire con i loro neri elicotteri e la sotterrano nell’Area 51 [3].
Per la maggior parte, tuttavia, stiamo assistendo ad una migrazione verso il Derpistan Interno – la regione che confina con il mondo civilizzato, anche noto come comunità basata sulla realtà, ed ha assunto alcune delle loro abitudini. Gli emigrati in questa regione – la Banca dei Regolamenti Internazionali, Martin Feldstein, ed altri simili – sembrano concedere, almeno implicitamente, che i loro ammonimenti di inflazione non hanno avuto riscontri. Ora, invece, hanno preso a parlare di stabilità finanziaria. Ma non hanno lasciato il Derpistan, perché continuano a chiedere esattamente la stessa cosa – tassi più alti e la fine della facilitazione quantitativa [4]– nonostante che sinora abbiano avuto torto su tutto.
E devo dire che queste sono le persone che mi preoccupano. I rifugiati del Derpistan Esterno sono casi tristi, ma non hanno alcuna reale influenza, anche se la BBC pensa che dovrebbero fornire prestigiose letture [5] e altra roba. Ma i “Derpistaniani interni” sono come i barbari alla porta; credo che stiano già avendo un effetto malefico sulla politica.
[1] “Derp” è un neologismo – figlio del linguaggio dei cartoni di South Park, dove appare un personaggio con quel nome, ed utilizzato poi nel linguaggio internet – che dovrebbe indicare la reazione a qualcosa di talmente insensato o sciocco, da restare senza parole; ovvero è quello che si dice quando non si sa quel che dire.
[2] La feroce polemica con Ferguson è un costante di Krugman, almeno da quando dovette polemizzare con le sue profezie economiche, che effettivamente hanno fatto poca strada.
[3] L’Area 51, inizialmente chiamata “Nevada Test Site – 51″ e successivamente ribattezzata con il nome attuale, consiste in una vasta zona militare operativa di 26.000 km2, situata vicino al villaggio di Rachel a circa 150 km a nord-ovest di Las Vegas, nel sud dello stato statunitense del Nevada. Gli elevati livelli di segretezza che circondano la base e il fatto che la sua esistenza sia solo vagamente ammessa dal governo statunitense ha reso questa base un tipico soggetto delle teorie del complotto e protagonista del folklore ufologico. (wikipedia)
[4] Per “facilitazione quantitativa” vedi le note sulla traduzione.
[5] In connessione, una pubblicità della BBC su prossime ‘letture’ di Niall Ferguson.